II
Lo studio è stato inizialmente orientato sulla caratterizzazione e quantificazione dei
prodotti ottenuti durante la pirolisi dei materiali compositi con matrice polimerica a
base di poliesteri insaturi.
Successivamente la ricerca è stata indirizzata anche verso lo studio di diaframmi di
polietilene presenti negli accumulatori al piombo.
La sperimentazione, condotta su un impianto in scala di laboratorio, mirava a
verificare se il processo è autosostenuto termicamente e facilmente adattabile alle
variazioni della composizione della carica di partenza.
Particolare attenzione è stata rivolta allo studio dell’andamento nel tempo della
produzione dei gas, utilizzando una valvola a 16 vie, e alla caratterizzazione dei
solidi.
Gli altri scopi di questa tesi sono stati:
• la valutazione delle quantità di calore recuperabili;
• la possibilità di recuperare quantità significative di prodotti chimici interessanti;
• il recupero di solidi in condizioni di riutilizzo.
Bibliografia
[1.1] Sironi. Polimeri, Tessili, Compositi e loro recupero: prospettive e previsioni.
FEDERCHIMICA.
1
1.1 Generalità
Sono compositi tutti i materiali derivanti dalla combinazione di due o più
componenti distinte. In particolare il termine è utilizzato per indicare
l’accoppiamento di una matrice o legante polimerico, ceramico o metallico con un
rinforzo, che può essere una fibra, un tessuto o un altro tipo di materiale.
Dal punto di vista della scienza dei materiali, sono esempi di materiali compositi:
• Il cemento armato, in cui il ferro supplisce con la sua resistenza alla trazione alle
deficienze del calcestruzzo.
• I pneumatici, formati da gomme, fibre, e fili d’acciaio.
• Il legno, con fibre di cellulosa flessibili ed elastiche, cementate da una matrice di
lignina molto più rigida.
• Le resine poliestere, caricate con fibra di vetro.
L’accoppiamento può avvenire tra fasi nettamente distinte come il calcestruzzo e i
tondini di ferro, o come i materiali plastici e le fibre di vetro; tali fasi possono però
essere nettamente meno distinguibili oppure costituire addirittura delle “impurezze”
disperse in una matrice, come in molte leghe metalliche [1.1].
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
2
Si possono distinguere, inoltre, tre tipi di materiali compositi:
1. Gli agglomerati, come le mole,
2. I rivestimenti superficiali, in particolare i metalli placcati,
3. I materiali rinforzati.
Questi ultimi costituiscono la categoria di materiali compositi più interessante, in
quanto abbinano elevate caratteristiche meccaniche a notevole leggerezza; essi sono
formati da una matrice con funzione di legante e da fibre di elevata resistenza
meccanica disposte secondo le direzioni in cui si manifestano le sollecitazioni più
elevate.
I materiali rinforzati si possono suddividere in funzione della natura della matrice
(polimerica, metallica, vetrosa, ceramica, ecc.), o in funzione della lunghezza delle
fibre (continue o discontinue).
I materiali a matrice polimerica sono molto diffusi essendo leggeri e poco costosi.
Vengono impiegate come matrici le resine termoindurenti, fenoliche, epossidiche,
polistireniche, poliammidi-immidiche, polieterochetoniche.
Le fibre più usate sono quelle in vetro, mentre per applicazioni particolari si
impiegano fibre di carbonio e polimeriche organiche (per es. il Kevlar) [1.2].
1.2 Tecnologia ed applicazioni
La trattazione che segue prende in esame i soli materiali compositi a matrice
polimerica, ottenuti a partire da una resina in fase liquida e da una carica costituita da
fibre o granuli, secondo lo schema di figura 1.1.
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
3
Resina Tessuto
Impregnato
Carica
Componenti e sistemi
Automozione Elettronica Impiantistica Aerospaziale
Figura 1.1
La resina può essere termoplastica o termoindurente, mentre la carica può avere
natura inorganica o organica, come riassunto nella tabella 1.2.
La fibra è introdotta nella matrice sotto forma di fibrille disposte in modo
disordinato, oppure in forma continua e allineata (ne sono esempi i monofilamenti di
boro, i fili o tessuti di grafite, vetro o polimeri aramidici). Nel caso in cui la carica
accoppiata al polimero fosse granulare, le proprietà del materiale sarebbero indotte
dalla granulometria, dalla porosità, dall’area superficiale e dalla natura amorfa o
cristallina.
I compositi termoindurenti più diffusi sono costituiti da resine poliestere insature e
fibre di vetro di lunghezza compresa tra 1 e 10 mm e diametro compreso tra 5 e 20
micron. L’eccezionale modulo elastico del vetro (orientativamente 70 GPa) e la sua
resistenza alla trazione (2 GPa) sono alla base delle elevate caratteristiche
meccaniche ottenute.
La resina termoindurente o termoplastica serve essenzialmente da legante ed
impartisce al materiale composito le caratteristiche fondamentali di natura chimica,
termica ed elettrica. Tra i polimeri del primo tipo, oltre ai poliesteri insaturi, si
possono menzionare le resine epossidiche, fenoliche e siliconiche. Esempi di
polimeri termoplastici usati nei materiali compositi sono le poliammidi, le resine
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
4
butadiene-stirene, le acetaliche, le acrilonitrile-butadiene-stirene, il polietilene, il
polipropilene ed i policarbonati.
Le resine poliammidiche caricate con il 20÷25 % in peso di fibre di vetro presentano
un notevole aumento del carico di rottura, modulo elastico, durezza e resistenza
termica; diminuisce invece l’allungamento, il coefficiente di dilatazione termica
lineare, il ritiro allo stampaggio e l’assorbimento d’acqua. Una variabile significativa
nel comportamento meccanico del materiale è espressa anche dal tipo di legami
trasversali tra fibra e matrice [1.3].
I compositi a base di fibre allineate (ad esempio i tessuti) mostrano proprietà
meccaniche così elevate (ad esempio un carico di rottura 2 o 3 volte superiore) da
poter entrare nei settori di applicazione tradizionale dei metalli. La fibra è il
componente che sopporta le sollecitazioni meccaniche del manufatto, mentre la
matrice impartisce le caratteristiche chimiche e fisiche, protegge le fibre e trasmette
gli sforzi di taglio tra gli strati di fibre. Il materiale acquista così resistenza anche alla
compressione e alle sollecitazioni trasversali. Quando la matrice è impregnata con
fibre fragili la sua struttura riveste una funzione importante anche nel determinare la
tenacità ed il comportamento a trazione del manufatto.
Appartengono a questa categoria gli SMC (Sheet Molding Compound), caratterizzati
da alta rigidità, elevata resistenza termica, autoestinguenza, stabilità dimensionale e
basso peso specifico (25÷50 % inferiore rispetto ai metalli). I settori di impiego più
significativi sono i seguenti:
• Automobilistico: paraurti, spoiler, tettucci e portiere.
• Elettrotecnico: interruttori di potenza, pannelli e prese per impianti.
• Impiantistico: piastre per filtri a pressa, flange e corpi di pompe.
Tra le cariche citate vi sono quelle granulari che secondo la natura svolgono una
funzione che può essere sia fisica, come per la maggior parte delle fibre, che chimica.
I fogli ottenuti, ad esempio, da polietilene (apolare) caricato con silice amorfa
(polare) hanno la proprietà di permettere il passaggio di ioni e, come tale, sono
adoperati come diaframmi porosi negli accumulatori al piombo per isolare le piastre
elettrodiche senza però impedire il passaggio degli ioni [1.4]. Questo materiale si
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
5
ottiene miscelando il polietilene e la silice con additivi, la cui funzione è quella di
plastificanti e lubrificanti per la successiva operazione di estrusione.
Dal punto di vista termico, le cariche inorganiche utilizzate sono sufficientemente
stabili da permettere l’impiego in un ampio campo di temperature, di cui si riportano
i dati più significativi [1.5]:
Fibra di vetro Quarzo Silice Ceramica
590÷760 °C 1090 °C 1090 °C 980 °C
Tabella 1.1 Temperature di utilizzo di cariche inorganiche
In conclusione, i materiali compositi trovano applicazione nei numerosi settori, quali
l’aerospaziale, l’automobilistico, l’elettronico, il nautico ed il militare, oltreché nella
fabbricazione di serbatoi, tubazioni e articoli sportivi. Come conseguenza tendono a
diffondersi sempre di più, rendendo urgente la necessità di provvedere ad uno
smaltimento post-uso diverso dalla discarica.
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
6
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Tabella 1.2 Classificazione dei compositi a matrice polimerica
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
7
1.3 Produzione dei polimeri compositi
Le tecniche di produzione dei materiali plastici rinforzati dipendono dalla natura del
polimero impiegato nel composito. Esistono numerose linee di produzione, la cui
scelta dipende dalla forma e dalla applicazione alla quale è destinato il prodotto
finale.
Una tipica caratteristica dei compositi a matrice termoindurente è la formazione del
materiale in simultanea allo stampaggio del prodotto finale. In alcuni casi,
specialmente per i compositi a matrice termoplastica, avviene prima la miscelazione
e successivamente lo stampaggio.
I processi di fabbricazione dei materiali compositi si classificano come a umido e a
preimpregnazione. Fanno parte dei processi a umido: la laminazione manuale, lo
spray-up, la pultrusione e lo stampaggio a sacco.
Di fronte alla necessità di avere una particolare distribuzione delle fibre si può
utilizzare lo stampaggio a trasferimento di resina, nel quale la distribuzione della
fibra secondo l’ordine prestabilito avviene prima dell’impregnazione. Questa
soluzione si realizza in due modi distinti:
1. Indurimento successivo all’impregnatura (RTM),
2. Impregnatura e indurimento contemporanei (RIM).
I processi a preimpregnazione evolvono in due fasi: un’iniziale nella quale la resina
fluida bagna completamente il rinforzo e una successiva nella quale avviene lo
stampaggio. Appartengono a questa categoria gli Sheet Molding Compounds (SMC)
ed i Bulk Molding Compounds (BMC). Gli SMC sono preparati in continuo sotto
forma di fogli: la resina, allo stato di film altamente viscoso, è addizionata alla carica
quindi compressa e riscaldata, raggiungendo la solidificazione e lo spessore voluto
[1.5].
I compositi a matrice termoplastica sono generalmente ottenuti attraverso lo
stampaggio convenzionale e i metodi di produzione termica, nei quali
l’impregnazione è realizzata prima dello stampaggio, a causa dell’elevata viscosità
del polimero.
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
8
1.4 Riciclo dei materiali compositi a fine vita
1.4.1 Problematiche ambientali
Negli ultimi decenni è andata aumentando l’attenzione verso il problema ambientale
causato dai materiali plastici post-uso abbandonati o mandati in discarica. L’idea che
i materiali polimerici sono inquinanti è superata, tuttavia essi rappresentano pur
sempre un serio problema ambientale dovuto essenzialmente alla loro bassissima
biodegradabilità ed al loro molto ingombrante volume per via della loro bassa
densità.
Appartengono a questa categoria i materiali composti di varia natura ed origine:
come gli SMC rinforzati con fibra di vetro, le schede elettroniche e i diaframmi di
polietilene caricati a silice.
A partire dal 1991 la legge 475 del 1988 (“Disposizioni urgenti in materia di
smaltimento dei rifiuti industriali”) è diventata operativa; i rifiuti di materie plastiche
raccolti in Italia nello stesso anno ammontano a 2000 tons. Questo valore è salito a
78000 tons nel 1996 e ha raggiunto le 110000 tons nel 1997.
Un ulteriore contributo è stato dato dal decreto legislativo del 5 Febbraio 1997 n° 22
(“Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi
e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”), detto “Decreto Ronchi”.
Attraverso questo decreto si sono dettate norme in materia di competenze tra le
autorità destinate a riscoprire un ruolo nella gestione dei rifiuti, in materia di
predisposizione di piani di gestione e in materia di sanzioni.
In particolare, i soggetti responsabili del recupero non saranno più esclusivamente i
consorzi, ma anche i produttori e gli utilizzatori di imballaggi. L’ente che gestisce e
controlla tali flussi di materia è il Conai (ex Replastic).
Il coinvolgimento della popolazione è aumentato, passando dai 31.2 milioni di
abitanti nel 1996 ai 37 milioni stimati nel 1997, corrispondenti ad una resa procapite
rispettivamente di 2 e 2.4 Kg/anno di plastica per abitante [1.6].
Da prima delle recenti leggi sui rifiuti solidi, un enorme sforzo è stato compiuto dalle
autorità comunali e regionali per evitare la dispersione nell’ambiente dei materiali
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
9
polimerici in generale ed imporne ai cittadini la raccolta differenziata. Il problema è
di ordine internazionale ed in particolare sono interessati tutti i Paesi industrializzati
sia per motivi ecologici sia per motivi economici, al fine di evitare lo spreco di
materiale che può essere riutilizzato.
Sembra, tra l’altro, che tutte queste iniziative abbiano portato ad un diminuito
interesse del mercato nell’applicazione dei materiali biodegradabili.
Con l’intento di affrontare e risolvere questo problema, sono stati attuati molti
metodi per il recupero e per il riciclo di questi materiali, tanto che attualmente è stato
possibile anche fare delle classificazioni. Infatti, sia l’ASTM americana sia l’APME
(Association of Plastics Manufacturers in Europe) hanno proposto uno schema per
una definizione corretta e comune delle diverse tecnologie utilizzate per la
valorizzazione dei materiali plastici post-uso.
In generale si può affermare che tutti questi metodi sono stati classificati in quattro
principali categorie di riciclo:
1) Riciclo primario: è un trattamento di scarti di produzione e materiale in genere
ancora senza impurezze in un processo di produzione per ottenere i manufatti
originali e di buona qualità cui era destinato il materiale;
2) Riciclo secondario: è un processo di trattamenti fisico-meccanico di materiale
polimerico riciclato;
3) Riciclo terziario: è un trattamento sia termico sia chimico cui si sottopone il
materiale post-uso per ottenere monomeri o altri prodotti chimici che possano
essere utilizzati in applicazioni industriali;
4) Riciclo quaternario: è il diretto incenerimento del materiale plastico per ottenere
calore ed energia.
E’ chiaro che il problema generale del riciclo non potrà essere risolto da uno solo di
questi metodi, ma un loro equilibrato utilizzo potrà portare ad una soluzione
soddisfacente.
I ricicli di tipo 1, 2 e 4 sono quelli più utilizzati. Il terzo tipo di riciclo, che possiamo
chiamare riciclo chimico, è quello per ora meno seguito anche perché è quello per cui
sono necessarie ancora una gran massa di nuove conoscenze. Esso è eseguito sul 3÷5
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
10
% di tutto il materiale plastico post-uso. La ricerca in questo campo è solo ai primi
passi, ma ci sono tutte le ragioni per credere che essa vada incrementata e stimolata.
Da un punto di vista termodinamico, infatti, il materiale polimerico post-uso contiene
un’elevata “energia chimica” dovuta alla struttura altamente ordinata delle molecole
che lo compongono, struttura che può essere un’ottima base di partenza per ottenere,
sia in presenza sia in assenza di catalizzatori, altri prodotti chimici che possono
trovare utili applicazioni.
1.4.2 Valorizzazione chimica ed energetica
Lo stato delle conoscenze è tale che attualmente è ancora più conveniente, da un
punto di vista economico, bruciare il materiale polimerico per produrre energia.
D’altra parte, come sembra irragionevole sprecare “l’energia chimica” di questo
particolare materiale, così sembra del tutto ragionevole cercare reazioni chimiche che
possano utilizzare questo materiale come materia prima per l’ottenimento di nuovi
prodotti, con l’obiettivo quindi di lasciare il riciclo quaternario, l’incenerimento,
come ultima possibilità di recupero.
Attualmente il riciclo chimico è operato in alcuni casi particolari e su materiali
singoli come ad esempio l’idrolisi del polietilentereftalato per riottenere monomeri
ed oligomeri, la pirolisi del polimetilmetacrilato per ottenere monomero ed il
ricupero del caprolattame dal Nylon 6.
I vantaggi, inoltre, dei processi chimici sono molti. Essi permettono di ridurre del 90
% il volume dei rifiuti solidi plastici. Essi sono realizzati in sistemi chiusi così da
evitare che l’impatto ambientale preveda la pur minima sorgente d’inquinamento. I
processi chimici, o forse meglio termochimici, sono processi che possono essere
molto ben controllati ed è quindi anche ridotta al minimo od evitata la produzione di
furani e diossine. Per tutte queste ragioni gli impianti per questi processi possono
essere costruiti in prossimità dei centri abitati, serviti quindi da vie di comunicazione
che evitano grosse spese di trasporto.
La Germania è stata la prima nazione europea a imporre per legge un parziale riciclo
delle materie plastiche dai rifiuti solidi urbani. Per questo motivo l’Università di
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
11
Amburgo è all’avanguardia nello studio del trattamento pirolitico di materiale
plastico post-uso a livello di impianti semi-pilota. In un primo tempo è stata studiata
la trasformazione mediante la pirolisi di materiali misti (PS, PE,
Polimetilmetacrilato) in aromatici, oli e cere.
Recentemente si è mirato ad indirizzare le ricerche verso lo studio della degradazione
di polietilene principalmente per due motivi:
• In primo luogo, per la gran quantità di poliolefine presenti nei rifiuti solidi urbani
a causa della breve vita media dei manufatti di questi materiali (il 67 % dei rifiuti
plastici è rappresentato da PE o PP).
• Secondariamente, in quanto i monomeri che si possono ottenere da questi
materiali, e vale a dire etilene e propilene, hanno un alto valore economico.
Nell’Europa occidentale la composizione media in plastica dei rifiuti solidi urbani
può essere così suddivisa:
PE e PP PS e Derivati PVC PET Altri
66.9 % 13.3 % 10.3 % 5.3 % 4.2 %
Tabella 1.3 Composizione della frazione plastica degli RSU in Europa
Una miscela di questa composizione pirolizzata a 700÷800 °C produce una quantità
di aromatici (Processo BXT) in ragione del 40÷50 %.
Rese maggiori in prodotti aromatici si possono ottenere pirolizzando separatamente
frazioni di PE, PP e PS.
La frazione singola di poliolefina (PE e PP) è stata trattata in due condizioni
sperimentali diverse:
a) Pirolisi a 450÷550 °C per produrre oli alifatici e cere;
b) Pirolisi in presenza di vapore o azoto a 650÷750 °C per produrre olefine.
Tra i gas, la quantità di specie pregiate (etilene, propilene, butene e butadiene) cresce
dal 7 % al 30÷35 % con l’aumentare della temperatura. Uno stesso andamento segue
la produzione degli aromatici (benzene, xilene, toluene) [1.7].
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
12
Accanto a lavori di livello di impianto semi-pilota, come quelli appena esposti, non
sono da trascurare ricerche di base in cui sono degradati i materiali plastici in
presenza di catalizzatori di cracking. Il dato più importante di questa metodologia è
quello che la temperatura di degradazione è drasticamente diminuita a 300÷350 °C. I
catalizzatori usati sono zeoliti e silico-allumine di varia composizione. La
degradazione in questi casi avviene sotto vuoto [1.8].
I prodotti di degradazione termica in presenza di zeoliti mostrano un contenuto più
elevato di gas rispetto a quelli ottenuti in assenza di catalizzatore. La frazione
gassosa è costituita da idrocarburi alifatici da C
1
a C
5
e contiene anche alfaolefine
[1.8].
Si ottiene inoltre una frazione di volatili composta da prodotti la cui composizione
oscilla tra C
8
e C
20
. In alcuni casi non si ottengono prodotti insaturi, ma un elevato
contenuto di aromatici.
La degradazione di LDPE puro, in presenza di zeoliti, porta all’ottenimento di
prodotti volatili che hanno composizione simile a quella delle benzine, mentre la
parte non volatile può essere paragonata a combustibile adatto per jet, arricchito in
aromatici.
Un’altra metodologia di degradazione di materiali plastici poliolefinici è stata
studiata nei laboratori dell’Istituto di Chimica delle Macromolecole del CNR: è stato
utilizzato un processo usato fin dagli anni ’30 per studiare in laboratorio la
degradazione del kerosene a dare petrolio.
Tale processo è denominato idropirolisi e prevede di mantenere la sostanza da
degradare in presenza di acqua in condizioni subcritiche, e cioè al di sotto di 374 °C
ed a 22 MPa. Questo processo permette di abbassare ulteriormente la temperatura di
degradazione, di evitare la formazione di residui insolubili e infusibili che si
ottengono in tutti i processi pirolitici e di evitare la produzione di idrogeno nei gas.
In queste condizioni la degradazione della poliolefina è controllata in modo tale che
il principale prodotto della reazione è il monomero.
Particolarmente studiato il caso del polistirolo che in 8 ore è degradato per il 80 %
con produzione di monomero in quantità del 70÷75 %. Il resto dei prodotti è
rappresentato da toluene, etilbenzene, alfametilstirene, dimero e trimero dello stirene.
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
13
La ricerca è in pieno sviluppo e si sta allargando lo studio a tutte le poliolefine, con
buone prospettive per un miglioramento del processo [1.8].
Lo scopo di tutte queste soluzioni è la degradazione termica del materiale polimerico
e la valorizzazione della sola fase liquida e gassosa, trascurando l’eventuale frazione
inorganica che ne costituisce la carica.
Nella maggior parte della pirolisi fino ad oggi studiata, le condizioni operative erano
inadeguate al recupero della carica, pregiudicandone il successivo riutilizzo.
Quest’aspetto ha suggerito di valorizzare le potenzialità del materiale composito,
realizzando la pirolisi in opportune condizioni che non modifichino la proprietà della
fibra di vetro o della silice in esso contenuta e ne facilitino il recupero attraverso una
successiva ossidazione dei residui carboniosi ottenuti.
Attraverso questo tipo di pirolisi, i materiali compositi sono fonti di idrocarburi
gassosi dotati di un interessante potere calorifico, di oli costituiti da prodotti
valorizzabili chimicamente e di fibre di vetro, silice o qualsiasi altra carica
termicamente stabile alle condizioni processo.
L’aspetto innovativo di questo processo è il modesto impatto ambientale combinato
con la produzione e il recupero di sostanze con un relativo valore aggiunto, sia per
quanto riguarda la fase liquida che per quella solida. Tale processo è ottenuto
sfruttando il potere calorifico degli idrocarburi gassosi prodotti, che autosostengono
il ciclo produttivo.
In un recente convegno sul riciclo dei materiali plastici, tenutosi a Praga nel luglio
1997, furono presentate le relazioni che riguardavano tutti i quattro tipi di riciclo che
abbiamo elencato all’inizio.
Gli studi sul riciclo chimico rappresentavano circa un terzo dei lavori presentati: di
questi, molto pochi avevano già uno sbocco applicativo.
A convalida di quanto abbiamo detto all’inizio, il materiale plastico da rifiuti solidi
urbani ha dimostrato di essere una materia prima di grande interesse, che trova già
notevoli applicazioni nel campo del riciclo meccanico e nell’incenerimento per
produrre calore e quindi energia.
Capitolo 1 Materiali compositi a matrice polimerica
14
Per quanto riguarda il riciclo chimico, il compito più importante è affidato per ora
alla ricerca, che deve aumentare le conoscenze di base da cui saranno possibili nuove
applicazioni.
1.5 Bibliografia.
[1.1] Ilschner, Lees, Dhingra. Composite materials. Ullmann’s Encyclopedy of
Indusrial Chemistry.
[1.2] Enciclopedia Piccola Treccani Istituto Enciclopedico Italiano.
[1.3] Pasquon, Pregaglia. Prodotti e processi dell’industria chimica. Città Studi.
[1.4] Silvestroni. Fondamenti di chimica. Veschi.
[1.5] Rosato. Reinforced Plastic. Grumann Aerospace Corp.
[1.6] Pipere Il recupero decolla? Mercato, Gestione ambientale.
[1.7] Kaminsky, Schlesselmann, Simon. Thermal degradation of mixed plastic
waste to aromatics and gas. Polimer Degadation and Stabilility, 53 (1996)
189-197.
[1.8] Audisio Riciclo chimico dei materiali plastici post-uso. Tecnologie chimiche,
n° 4/98.