2
Spesso per definirlo si è ricorsi alla metafora
cristica, sottolineando le corrispondenze tra le due vicende,
e si è parlato di lui come di un iniziato al “legno della
conoscenza”
1
e quindi al martirio della croce che essa
comporta.
Di per contro, è stata tentata anche la lettura
opposta, mirante ad evidenziare la natura diabolica, ancorché
dionisiaca, del burattino.
D’altronde - fa notare Lanza - “più che foggiare un
semplice burattino, si direbbe che il povero Geppetto stia
dando vita, evocando, a una sorta di essere demoniaco, il cui
dominio gli sfugge a misura che la creazione - evocazione
procede.”
E’ di Novalis il celebre detto “quando uno spirito
muore diventa uomo”.
Molte sono le letture delle “Avventure” nell’ottica
della perdita. Pinocchio esperisce il mondo, si trova
coinvolto nelle vicende terrene e ultraterrene, si imbatte in
altrettante figure mitiche, esemplari.
In una parola, conosce; nel far questo, però, perde
la sua natura, l’innocenza del legno e quella del mito,
diventando un essere razionale, di questo mondo. Perde la
fanciullezza, la stolta ingenuità che lo avvicina ai
pericoli; guadagna l’età adulta, l’umanità del bambino per
bene, del bravo ragazzo che lavora, studia e non fa disperare
il babbo.
1
R. Tommasi, Pinocchio: Analisi di un burattino,Firenze,
Sansoni ,1990
3
Ovviamente, ciò è avvenuto perché il narratore
toscano non si è fermato al quindicesimo capitolo.
2
Altrimenti non si celebrerebbe il finale consolatorio
e lieto del romanzo di Carlo Lorenzini – vero nome di Collodi
- sul quale tra l’altro ci sono dispute critiche rilevanti:
c’è infatti chi, sulla scorta di un epilogo “buonista”, vede
nel ravvedimento del fattosi bambino una conclusione
virtuosa, falsa, di un racconto già pericolosamente
indirizzato verso il climax discendente famigliare e
familista del contemporaneo “Cuore” di De Amicis.
In realtà la Storia si ferma prima e i sospetti
continuano, alimentati peraltro da una frase dello stesso
Lorenzini sulla forzatura del finale.
Tant’è, sia che il finale dovesse fermarsi alla morte
di Pinocchio, impiccato ad un albero, alla sua stessa
materia, o che, invece, si veda la vicenda nella sua
conclusione felice, il personaggio del burattino continua ad
esercitare un fascino metaforico, a moltiplicare le sue
possibili letture, a suggerirci nuove strade rispetto a
quella maestra.
Seguendo Pinocchio nella selva della conoscenza,
addentrandoci “nella foresta dei simboli”, cogliamo il suo
lato più misterioso, meno rassicurante.
Tutto quello che appariva famigliare, normale, viene
distorto; il fantastico e il razionale si confondono. Fiaba e
realtà si compenetrano; l’occulto, le forze che solo gli Dei
e gli spiriti possono manifestare – sosterrebbe un Artaud –
2
…come invece risulta avrebbe voluto: la sua prima idea
prevedeva un finale tragico al xv° capitolo, con Pinocchio
impiccato ad un albero; ma per le continue richieste dei
lettori Collodi scrisse il seguito delle Avventure.
4
escono allo scoperto, s’insediano nella marionetta o nel
burattino; questi stessi spiriti, queste qualità così umane e
così divine, traspaiono dalla rassicurante e falsamente piana
materia della fabula.
Come afferma il Tommasi, nella favola in questione
“…niente è realmente ciò che sembra”.
I personaggi alludono costantemente a qualcos’altro,
si fanno portatori di significati, sono simboli in movimento,
fantasmi di un’idea: sono quindi a pieno diritto materia di
teatro, ma anche di riflessione critica.
Il teatro, sotto le forme diverse ed opposte dello
spettacolo da circo e del teatrino di Mangiafuoco, è sempre
presente nelle “Avventure”. Il quadro, la visione per scene
successive, rimandano invece al cinema; ma gli scenari
stessi, nella loro purezza scenografica, simboleggiano
propriamente lo spazio teatrale, luogo dove accade qualcosa,
nel quale si manifestano i segni, prendono corpo le visioni.
Questo è il teatro, delle antitetiche figure del Capocomico
burbero e dell’attore, del tremebondo ma bonario Mangiafuoco
e del cinico ammaestratore di asini: la sua versione
decaduta, il baraccone da fiera, sono tutte metafore meta-
teatrali.
In realtà, il metamorfismo di Pinocchio ne fa anche
un abitante di diritto della modernità agli esordi, un
cittadino della crisi dell’uomo nell’universo materialista
dell’industrialismo, un operaio vittima della società
dell’autoritarismo consumista, che sa essere boia e carnefice
di sé stesso e della sua ingenuità - come avviene nella piéce
di Franceschi - ed in tal modo guadagnarsi l’accesso nella
comunità corrotta ed incivile della civitas.
La stessa essenza di Pinocchio è quella di essere un
attore, ma anche una marionetta agita da chissà quali funi
divine sospese sopra il graticcio del palcoscenico; una
5
marionetta che, contrariamente alla sua appartenenza, vive di
vita propria, fecondando il racconto, ricevendo, subendo le
situazioni, e al medesimo tempo provocandole più o meno
coscientemente.
Visto che sempre di visioni si tratta - ed il teatro
è notoriamente nella tradizione occidentale ellenica “luogo
dal quale vedere ed al quale vedere” –, va da sé l’interesse
costante del palcoscenico per la vicenda collodiana. Un
interesse testimoniato dalle innumerevoli trasposizioni e
traduzioni sceniche delle quali è stato fatto oggetto il plot
del Lorenzini.
Pinocchio è stato tradotto - qualche volta tradito,
come avrò modo di delineare - nelle esperienze del teatro
russo, oppure preso di per sé per l’energie testuali
contenute, vive e latenti in ogni pagina del manoscritto,
reso forte e significante alla lettera; magari caricato di
significati analogici alla maniera di Carmelo bene. Talvolta
in molto teatro superficiale, per bambini, si sono
disinnescate le potenzialità del personaggio, negando il
carattere tristemente adulto della parabola ‘pinocchiesca’.
Ancora: Pinocchio è diventato un rivoluzionario e un
utopista, in molto teatro politico, un feticcio della
controcultura, un moderno adolescente rockettaro, figlio
della contestazione anni settanta, un salvatore martire, un
socialista e un mazziniano, una vittima, succubo dei maneggi
e della morale bugiarda degli adulti; un iniziato alla
conoscenza, un libero muratore, un topos psicanalitico.
Ma di tutte le visioni di questo controverso
personaggio, di quest’inquietante maschera teatrale -
attraverso il passaggio obbligato per la commedia dell’art -
le più convincenti sono apparse essere quelle che, pur
mantenendo un rispetto testuale di fondo, ne hanno
attraversato i sensi possibili, stravolgendo i significati
6
senza alterarne la forma.
Invece di operare sul testo, sulle battute e sugli
accadimenti della storia, queste letture più convinte della
metafora di Collodi hanno operato sullo spirito, agendo sui
dialoghi, facendo parlare le parole oltre le parole.
Qui diventa fondamentale l’attore, colui che
normalmente porge la battuta, che da le intonazioni giuste,
le accentazioni. Solo con l’attore il testo acquista
significati nuovi, i famosi “geroglifici viventi” pensati da
Artaud nella sua celeberrima concezione di un teatro puro,
originario, necessario; l’attore ha l’arduo compito di
mettere in scena, di rendere vivo il personaggio di Pinocchio
nella sua identità duplice, di uomo e di marionetta, di umano
e di sopraterreno.
All’attore spetta inscenare l’ambiguità,
l’ambivalenza della marionetta, trattata sovente negli
scritti dei teatranti del Novecento; si pensi a tal proposito
alla riflessioni di Kantor, al saggio celeberrimo di Kleist,
alle suggestioni del teatro d’ombra e di figura su Artaud e
sul teatro surrealista a lui contemporaneo, ma rilevanza
acquisiscono anche il prezioso ed antico studio di Yorick, un
primissimo compendio critico sul genere, e le innovative
osservazioni di Schulz.
Dal teatro di prosa passando per i numerosi
‘pinocchi’ cinematografici da Antomoro a Benigni - perché no,
a Spielberg - si giunge infine al regno tout court di
Pinocchio: il teatro dei burattini. Tanta è l’attenzione
recente verso la vita del ciocco di legno sul terreno che gli
è proprio; numerose le trasposizioni, le messe in scena
deliberate della creazione collodiana.
Dai fratelli Colla all’Archivolto, Pinocchio viene
rivisitato in maniera adulta, con un’attenzione remota da
letture semplicistiche, per ragazzi, volta piuttosto a
7
sottolineare ora quell’aspetto ora quell’altro del racconto.
Nelle succitate opere non sempre è il protagonista a
reggere la scene; spesso sono i comprimari a definirlo per
opposizione: la figura della Fata o quella del Grillo,
giudicate in più casi individui pedanti incarnazioni d’un
potere oppressivo, bugiardo, manipolatore. Lo stesso
Pinocchio è visto così come eroe, anti-eroe, martire e
vittima di personaggi e situazioni.
Del mito vengono insomma date differenti letture
drammaturgiche, tese ad evidenziare gli aspetti più disparati
e contraddittori della metafora.
Particolare rilievo l’approdo delle avventure al
Teatro dei teorici e teatranti russi, con frequenti
sconfinamenti della prosa nel balletto e nel dramma musicale,
quasi a voler sancire la musicalità insopprimibile del legno,
la timbrica naturale della cassa armonica, il corpo del
burattino, uno strumento vivente.
Come avviene per molte maschere italiane, anche
Pinocchio è adottato ed adattato dal Teatro d’Arte di Mosca e
dai burattinai sovietici, accomunato al Petruska nazionale,
guarda caso debitore di Pulcinella, e indi calato in contesti
di pura fiaba, di evasione rococò, quasi fosse solamente un
sembiante stentoreo e pallido dell’originaria creatura del
Collodi. A.N Tolstoj, Sapiro,Borisova, N.M Balunias e A.M
Fedorov, Dajilis, sono le personalità del teatro d’arte che
vicendevolmente, sulla scorta di Vachtangov, Stanislavskij e
Mejerchol’d, si avventurano nel difficile compito di rendere
le Avventure, esplorandone la potenzialità scenica, il
carattere propedeutico; da qui si perviene allo studio della
maschera, all’interrogarsi irrisolto sul significato ultimo
di mascheramento, alla recitazione, quale momento isolato
della continua analisi dell’attore e della sua potenzialità
espressiva.
8
Il teatro italiano, debitore fortemente delle tesi e
degli esperimenti futuristi, produce numerosi spettacoli dove
umano e marionetta cercano un contatto, mescolano le proprie
nature; l’uno meccanizzandosi, l’altra rivelando insperate
doti di umanità esemplare: l’universo meccanico, il progresso
del motore fanno breccia nei cuori dell’Italia agraria,
ancorata al passato e culturalmente in affanno, tuttavia
desiderosa d’interrogarsi sulla nuova realtà industriale: di
questo periodo sono il Pinocchio innamorato di Cavicchioli e
Rossato e la bizzarria del Salvini.
Comunque siano le derive testuali e sceniche del
testo, il legame di queste opere con la natura del pezzo di
legno le rende affascinanti e pregne di significati nascosti,
non sempre facilmente operanti nei contesti più umani del
teatro di prosa.
Pinocchio, nella sua dimensione contemporanea,
spogliato dei vestiti del tempo di Collodi, privato del
contesto e proiettato in una dimensione futuribile, post-
moderna, è l’icona pop di molti allestimenti recenti, tra
tutti il testo di Bennato, germogliato in pieno ’77 e il rock
itinerante di Dall’Orto. Se poi sotto i fari c’è la natura
politica, allora ecco che il burattino diventa come detto
l’emblema dell’uomo contemporaneo, proletario di ritorno
senza averne coscienza; oppure un eroe anti-cristiano, nelle
riflessioni di Sergio Martella, un rappresentante politico
delle idee mazziniane di Collodi nelle tesi dello studioso
del sociologo Frosini, un socialista e cristiano naturale per
la Sand, una sfida intellettuale per i romantici e per gli
studiosi di maschere, che attorno al suo essere maschera di
“naso”, figlio di pulcinella venuto al mondo per ripicca,
costruiscono un mito e un fraintendimento.
9
Insomma: la creatura di Lorenzini finisce anche per
assumersi il peso gravoso di essere - parole di Bene -
“l’ultima grande maschera italiana”, l’italiano medio per
definizione, con l’ulteriore scorno, in un Biffi, di
rappresentare - incosciente burattino di legno - il nocciolo,
il midollo della “questione italiana”.
Un Pinocchio controverso, piegato come un giunco alle
varie interpretazioni, è insomma quello che emerge dai
numerosi studi, dalle diverse trascrizioni per la scena, dai
reiterati tentativi di portare in scena con efficacia le
“Avventure”, nel luogo più consono al dinamismo della
marionetta, al potenziale espressivo della teatralità insita
della storia di un burattino.
Nella drammaturgia testuale e in quella spettacolare,
concretizzabile solo con il gioco teatrale, Pinocchio viene
altresì sottoposto a diverse letture, intagliato come un
ceppo grezzo, sbozzato a livello di materiale nei modi più
disparati, trasformato in molteplici simbolici manufatti
teatrali. Un lavoro di scrittura, un taglio, che ha qualcosa
dell’alchimia, dell’affinazione del metallo nel crogiolo.
I frequenti tagli drammaturgici, l’operazione
artigianale, i tradimenti della fabula, le infrazioni e la
fedeltà, finiscono per arricchire la vicenda, fornendoci una
visione d’insieme delle prospettive sceniche del testo di
Lorenzini.
Pinocchio vive di questo, dei sentieri percorsi
lontano dalla strada maestra, della riproposta fedele del
testo; ma anche del suo tradimento, letterale o sostanziale
che sia, della sua metamorfosi continua in altre forme, in
altre drammaturgie.
D’altronde, come asseriva Manganelli nel suo “Libro
Parallelo”, le ipotesi sul burattino possono essere le più
disparate, e non in senso univoco; si ha perciò una
10
polisemia, nell’opera del Collodi, che giustifica il motto:
”Tutto arbitrario tutto documentato”. Insomma: da queste
molteplici ipotesi non possono che originarsi molteplici
derive sceniche dall’originale.
La storia di Pinocchio nel teatro è la storia di una
metafora e delle sue possibilità ed attuazioni sceniche.
Pinocchio come personaggio drammatico continua nella sua
profonda complessità - nel suo prestarsi a riconoscimenti
plurimi, nei caratteri e nelle azioni - a vivere sulla scena
teatrale - nelle vesti di burattino, marionetta, uomo, attore
- sempre nuove vite, nuove possibilità di senso.
11
Pinocchio Personaggio Simbolico
Chi è Pinocchio?
3
Come si definisce il personaggio
collodiano? Difficile è stabilire dove cominci il burattino e
dove finiscano le sue peripezie. Infatti, le caratteristiche
del personaggio principale delle Avventure non possono essere
estrapolate dal contesto; i suoi caratteri risaltano nella
vicenda, definendosi nell’interazione più che con le parole.
Non c’è cifra stilistica che eguagli l’ironia, l’arguzia di
Collodi. Il tono conversativo delle Avventure, come ci
riferisce la ricercatrice Parissi, si precisa nelle
“istintive aperture dialogiche”. Diventano fondamentali i
verbi d’azione. Questa natura dialogica non può che essere
marcatamente teatrale.
Ogni dialogo contiene un’azione, le parole diventano
il nucleo del significato profondo, della “morale”, mentre
ciò che accade svela la natura diabolica del mondo, i
caratteri e le inclinazioni dei personaggi comprimari e delle
comparse, la cui importanza travalica il senso ordinario dato
solitamente alle figure minori. Nelle Avventure, i personaggi
sono vere e proprie apparizioni, fantasmi che anche per una
sola battuta si rivelano risolutivi, dando corpo alla
vicenda, arricchendo di senso l’intero corso della Storia.
Esemplare il venditore di roba usata, il suo importante
portato simbolico, reso in poche scarne battute.
3
C’era una volta un pezzo di legno. La Simbologia di
Pinocchio. Atti del congresso organizzato dalla Fondazione
Nazionale Carlo Collodi di Pescia, Milano, Emme, 1981
12
Pinocchio, come una sorta di “Candide”, fa esperienza
di ciò che gli sta attorno, innocentemente, in maniera
diretta, senza malizia.
Il burattino, personaggio simbolico, è attorniato da
simboli viventi; quindi si perde in questa “foresta di
simboli”, rapito dalla vita che scorre impetuosa, trascinato
dal mare delle passioni, con una disarmante sete di
conoscenza da novello Ulisse, bugiardo per indole, ma privo
della scaltrezza calcolatrice dell’eroe greco.
Pinocchio è un antieroe: capita nelle cose,
venendone per così dire, affascinato e trascinato
continuamente.
Sbaglia le strade da prendere, allontanandosi dalla
strada maestra e dai suoi innumerevoli precettori; la sua è
una necessità conoscitiva.
Sulla scorta del Tommasi e di un Dei
4
, si può
intraprendere un’analisi di Pinocchio nella sua natura
simbolica e - seguendo le suggestioni critiche d’un Barbolini
- tracciarne un identikit essenziale.
Lo scopo è arrivare ai caratteri essenziali del
personaggio del dramma, fornire un’identità del personaggio.
Chi è Pinocchio? La risposta non può che essere nel
legno col quale è stato creato, nella materia che ne
preconizza il senso. “…il legno è dunque la pelle o l’osso di
Pinocchio. Ne è anche l’anima. Il pezzo di legno contiene già
il burattino, prima ancora che esso venga intagliato…”
Pinocchio appartiene alla natura: fin dall’etimo del
suo nome ciò appare ben chiaro. Basta scorrere il dizionario
4
C.Dei, in… Psicosaggi, I Promessi sposi, Pinocchio, I
Malavoglia, Faust, Don Chisciotte, Amleto, Genesi edizioni,
"Letteratura" n. 3.
13
di vernacolo toscano del Tommaseo del 1871, alla voce
Pinocchio: “Pinocchio o pinolo sono due eccezioni
linguistiche toscane che indicano entrambe la mandorla del
pino.”
Pinocchio - col suo suono fonetico duro, gravante
sull’ultima sillaba - è nato da un legno di catasta e “non un
legno di lusso”; questo è quanto apprendiamo nelle prime
pagine della storia.
Il legno è la materia per eccellenza, comune in
qualità di simbolo della sostanza universale nella gran parte
delle tradizioni mitologiche e simboliche, considerato
universalmente emblema della vita stessa.
Percepito da sempre come contenitore di saggezza e
scienza sovrumana, per certe religioni addirittura viene
considerato uno degli elementi primi, così come nelle scienze
magiche antiche. La sua simbologia - opposta a quella della
pietra considerata segno di morte in particolar modo nella
tradizione gaelica - gioca un ruolo chiave nelle discipline
esoteriche.
Il legno è la vita, dà la vita, ed è sul legno che
avviene nella mitologia cristiana la morte e la resurrezione
del semi-dio provvidenziale, del salvatore. Lo stadio
vegetale, quindi, considerato come lo stadio primario
dell’essere, il suo manifestarsi, diviene la condizione di
partenza perché il prodigio magico si avveri. Di legno è il
crogiuolo dove si affinano le materie grezze per giungere –
attraverso processi di purificazione – alla pietra
filosofale.
Queste tradizioni di pensiero sono presenti
nell’opera di Collodi, che a fianco di simbolismi usuali
nella tradizione mediterranea contempla prestiti dalla
tradizione magica nordica, inserendo nel contesto della
favolistica italiana la figura della Fata–Bambina. La natura
14
stessa partecipa della fabula, con le allegorie animali dei
vizi umani, satireggiati attraverso l’agire del ricco
bestiario antropomorfo delle Avventure.
Nella Gatto, nel Gatto, come in altre presenze,
spesso familiari, sono sedimentati i saperi e le conoscenze
di un secolare repertorio di miti e credenze. Su questo humus
sembrano innestarsi i vizi e le virtù umane, quasi fossero
trasposte servendosi di tali spiriti, di tali Dei
soprannaturali; eppure tutti riconducibili, nella loro metà
più realistica, alla madre terra.
Perciò Pinolo, figlio delle pigne - o toscanamente
parlando delle ‘pine’ - è a tutto diritto un abitante dei
boschi, del contesto dei boschi magici, nei quali la natura
non è un fatto meramente ‘scientifico ’, ma assume le
tonalità del soprannaturale.
Non a caso Collodi, nella stesura del romanzo, coglie
gli echi del coevo sentimento liberty, filtrato dal
conservatorismo fiorentino, risentendo della passione
dell’epoca. Pinocchio è del 1881: per la frequentazione del
simbolo importata dal milieu culturale francese e questa
fascinazione - arricchita dall’interesse per i primi
esperimenti in voga in Europa di psichismo e mesmerismo -
finisce per sposarsi a quello che Tommasi chiama, “archetipo
di lontananza e mistero proprio delle culture orientali.”
Da ciò, la costante nebbia nordica di arcano, il
caliginoso alone un po’ tetro, che fa ombra alla solarità
latina dei paesaggi più aperti, il fondo nero della fabula.
Un’atmosfera magica, portentosa, insita
nell’ambientazione quotidiana e famigliare delle prime
pagine.
Pinocchio irrompe nel racconto dopo l’antefatto della
sua creazione e lo fa con lo strumento che è proprio ai
rituali magici: la parola. La parola sovrana, capace di
15
difendere il legno soprannaturale dall’imperizia di Mastro
Ciliegia, al fine di consegnarlo nelle abili mani di
Geppetto, nelle mani del creatore, del gran maestro.
La voce di Pinocchio è da subito in primo piano.
Prima di tutti gli altri canali possibili di espressione,
egli afferma di esistere con la sua vocina stridula, inumana,
la “voce sottile” del legno.
La compenetrazione di sovrannaturale e terreno, tra
“…vite animali, vegetali e sconosciute essenze capaci di
metamorfosi”
5
, trovano nel burattino di legno la sintesi.
Prima di essere forma finita il egli è un toppo di
legno; come tale, viene regalato da Mastro Ciliegia a
Geppetto. Segue il dialogo fra i due; Geppetto decide di
cavare dal legno un burattino, un modo per far su denari: “Ho
pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un
burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma
e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il
mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino:
che ve ne pare?”
6
Pinocchio surriscalda l’atmosfera, causando con le
sue parole, lo scontro fra i due falegnami.
5
Cfr.Tommasi. Sul misticismo decadente si ricordi la
querelle sul magnetismo, la disputa tra studiosi a Firenze
nel 1854.
6
C. Collodi,Le avventure di Pinocchio: la storia di un
burattino, dal “Giornale per i bambini”, Firenze, Salimbeni
libreria editrice, 1981 (Ristampa anastatica delle puntate
apparse negli anni 1881-1883). Dialogo fra Geppetto e Mastro
Ciliegia Cap 2.