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2
l’ambito musicale, cambiamenti situazionali che risalgono al xix secolo
hanno mutato radicalmente l’aspetto e la sostanza di ciò che oggi chia-
miamo musica popolare o pop, portando di fatto ad una cesura—se non
un’opposizione—fra i due ambiti musicali borghese e popolare3 (ben-
ché il termine ‘musica popolare’ sia tradizionalmente associato in Italia
a musiche di tradizione orale, ho preferito adottarne l’uso corrente per
ovviare alla mancanza di una traduzione appropriata (musica leggera?)
dell’inglese popular music.). Nel corso della ‘rivoluzione borghese,’ infat-
ti, in atto dalla fine del xviii alla prima metà del xix secolo, il sistema
di mercato si estende gradualmente anche alle attività musicali, così che
al termine di questa fase di transizione gran parte della produzione
musicale è mediata da editori musicali, gestori di teatri e organizzatori
di concerti e, “per la prima volta nella storia, la gente non fa più musica
da sé, ma la compra” (Middleton 1994: 32).
Una nuova frattura si intravede sullo scorcio del xix secolo quando
nasce la ‘cultura di massa,’ caratterizzata dallo sviluppo del capitalismo
monopolistico e dalla crescente internazionalizzazione culturale, legata
in special modo all’emergenza dell’egemonia americana. Questa è visi-
bile tanto nelle forme musicali—l’impatto del ragtime, del jazz, delle
canzoni di Tin Pan Alley,4 delle nuove forme di danza—quanto nei
nuovi metodi di produzione, pubblicazione e diffusione di prodotti
musicali. In particolare, una convergenza di interessi di corporazioni,
sindacati industriali e associazioni imprenditoriali e politiche porta,
entro la prima guerra mondiale, alla concentrazione quasi totale della
produzione e distribuzione musicale nelle mani della nuova alleanza
fra sistema editoriale centralizzato e case discografiche in rapido svi-
luppo, cui si aggiungono, di lì a poco, il nuovo mezzo radiofonico e l’in-
eredit à
3
dustria cinematografica.5 Cruciale negli sviluppi della musica popolare
americana è l’interscambio costante fra le forme popolareggianti della
tradizione europea (operetta, balli viennesi, music hall e varietà) con-
fluite nella canzone di Tin Pan Alley e le musiche dei neri americani
(blues, gospel, jazz)—caratterizzate da una sintassi musicale basata su
struttura verticale, ornamento e poliritmia, invece che su architetture
armoniche e sviluppo lineare.
Parallelamente alle correnti ‘popolare’ e ‘di massa,’ esiste poi nella
musica europea una terza corrente costituita dagli sviluppi modernisti
della tradizione eurocolta, che rappresentano una risposta volutamente
‘esoterica’ alla mercificazione dell’editoria musicale. Da questo
momento in poi ‘industria’ e ‘arte’ musicali saranno simbioticamente in
perenne conflitto. Il contrasto fra musica come espressione e musica
come prodotto commerciale definisce l’esperienza pop del xx secolo: è
una nozione ormai acquisita nell’opinione comune, tanto che qualun-
que storia del pop presenta invariabilmente lo stesso canovaccio,
secondo cui l’industrializzazione della musica implicherebbe uno spo-
stamento dalla produzione musicale attiva al consumo passivo di pro-
dotti musicali.
In realtà, la musica popolare “non subisce la riproduzione tecnica,
nasce grazie ad essa” (Castaldo 1994: 24), e la sua evoluzione coincide
con quella della musica registrata, con lo sviluppo dell’industria musi-
cale attraverso l’interazione di fattori tecnologici, legislativi, economici
e sociali.
Il disco infatti è emerso come prodotto musicale dominante dopo
la prima guerra mondiale e ha significato una profonda trasformazione
dell’esperienza musicale, con la comparsa di nuove modalità di produ-
eredit à
4
zione, di ascolto e di consumo della musica. Queste costituiranno il
quadro di riferimento del secondo dopoguerra, quando prende avvio
una terza fase di mutamento situazionale, che si può definire come il
“momento dell’estetica rock,”6 e che si manifesta in modo eclatante con
l’avvento del rock ’n’ roll fra 1954 e 1956.
Tale irruzione, posta in una prospettiva storica, appare meno una
‘rivoluzione’ quanto piuttosto il risultato di una serie di cambiamenti a
lungo termine, in cui fra l’altro hanno avuto un ruolo determinante fat-
tori contestuali, quali la diffusione di determinati generi, la predomi-
nanza di certi formati radiofonici, cambiamenti tecnologici, sposta-
menti nei rapporti fra emittenti radiofoniche e le maggiori case disco-
grafiche, nonché fra queste ultime e produttori indipendenti. Nel corso
degli anni venti e trenta, sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna, la
precedente modalità di produzione musicale legata alla partitura scritta
e alla vendita di spartiti aveva ceduto il passo all’impatto crescente della
radio e del disco, con significative conseguenze. Innanzitutto, la costi-
tuzione di un’organizzazione per i diritti d’autore alternativa alla
ascap,7 controllata da Tin Pan Alley, aveva aperto l’etere americano ad
altri sound precedentemente esclusi, in particolare la musica country &
western e, più discretamente, la musica nera. In secondo luogo, il decli-
no delle grandi orchestre swing, legate alla ascap, e perciò bandite dal-
le radio e colpite dal boicottaggio dei musicisti nel periodo 1939–’41,
aveva lasciato un vuoto nei favori del pubblico, colmato dal nuovo stile
dei crooners.8
Non meno importanti furono i cambiamenti nella riproduzione
tecnologica: oltre alla registrazione elettrica e all’introduzione del
microfono mobile, la sostituzione del fragile 78 giri con il più durevole
eredit à
5
45 giri di plastica9 e l’introduzione del nastro magnetico come supporto
di registrazione.10 Nel giro di pochi anni, fra la fine del 1954 e l’inizio del
1957, il proliferare di stazioni radio locali,11 l’avvento del 45 giri, di pro-
duttori e distributori indipendenti scardina l’oligopolio dell’industria
discografica americana.
Sullo sfondo di un mercato in espansione secondo una logica di
economia ‘globale,’ cambiano anche i rapporti di produzione, il più
significativo dei quali è rappresentato dall’ingerenza nelle risorse di
produzione musicale da parte dei giovani delle classi povere, accompa-
gnata dall’apertura di un nuovo mercato giovanile. Questo gruppo, con
il suo margine di ‘ribellione,’ guarda a nuove fonti musicali, special-
mente al rhythm ’n’ blues afroamericano, che presenta molti aspetti
volti a connotare da una parte sentimenti di ‘oppressione’ e dall’altra un
uso non alienato del corpo.12 La fioritura del rock ’n’ roll e dei movimen-
ti degli anni sessanta si svolge sullo sfondo di una nuova fase storico-
sociale, quella del lungo ‘boom’ economico, del ‘capitalismo assisten-
ziale’ e di un’ideologia di tolleranza liberale. Verso la fine degli anni
sessanta, i nuovi schemi sociali, gli stili musicali e le nuove tecnologie
sono già in gran parte assimilati in un sistema industriale riorganizzato
che
si presenta come un ol igop ol io tra n s naz iona le di gra ndi ind ust rie
del tempo libero, in qualche misura soddisfatto da produttori “indi-
pendent i,” serv i to da ca nali telev i s ivi e staz ioni ra diofon iche con
audience altissime (e da alcuni programmi e canali “di minoranza”),
da una stampa musicale simbioticamente compiacente e da aziende
commerciali del settore. (Middleton 1994: 36)
“Quando nasce, il rock ’n’ roll non è poi molto diverso dalle musi-
che che già si suonavano in America alla metà degli anni cinquanta. C’è
eredit à
6
un certo grado di ulteriore sintesi, indubbiamente, ma niente di così
clamorosamente nuovo da giustificare l’esplosione che ne è derivata”
(Castaldo 1994: 47). È vero, i musicisti neri di rhythm ’n’ blues erano
già arrivati a formule simili,13 ma—al di là delle connotazioni puramen-
te stilistiche—mancava ancora un pubblico in grado di definire un rap-
porto del tutto nuovo con la musica. L’ascesa del rock dipenderà da un
più ampio mutamento sociale: la comparsa dei giovani come mercato
della musica popolare.
A differenza di un’Europa profondamente lacerata e impoverita
nelle sue risorse economiche e sociali, l’America esce dal dopoguerra
con un forte impulso di crescita. Spinta dal mito della modernità, è il
primo paese a produrre un nuovo immaginario legato al tempo libero,
al divertimento, al benessere economico. Sotto la smagliante superficie
del sogno americano, tuttavia, cova la tensione della guerra fredda, la
paura della bomba atomica, e la nuova divisione del mondo in blocchi
di influenza contrapposti esige un nuovo rigore ideologico, aprendo le
porte agli isterismi maccartisti. Eppure, spuntano nuove figure ‘eroi-
che’ che appaiono subito ben diverse da quelle del buon cittadino:
Marlon Brando e James Dean, Holden Caufield e Neal Cassady14 hanno
in comune di essere giovani, sprezzanti, ribelli, e di non credere alle
lusinghe del sogno americano. È proprio il fenomeno giovanile a costi-
tuire la novità più significativa del dopoguerra: il concetto di ‘gioventù’
come precisa categoria sociale emergeva allora come gruppo di età tra-
sversale che condivideva simili interessi per il tempo libero e una qual-
che forma di ‘rivolta’ verso gli adulti. L’esplosione demografica, un rela-
tivo aumento di benessere economico, la crescita dell’educazione
secondaria, spingono l’adolescente a sentirsi per la prima volta protago-
eredit à
7
nista, portatore di uno stile di vita ‘autonomo’ rispetto agli adulti. In
una società dei consumi in piena espansione, il termine è inevitabil-
mente connesso a una crescente autonomia economica che, se da una
parte apriva nuovi mercati, specialmente nel settore della musica e del-
l’abbigliamento, dall’altra faceva del teenager un soggetto a sé stante, in
grado di esprimere valori e ideali diversi, persino di mettere in discus-
sione quegli stessi meccanismi da cui era stato generato. Cambia anche
l’uso del tempo libero: cessa di essere semplicemente momento di
riposo dopo il lavoro, ambito di interessi familiari, e diviene lo spazio
per un potenziale stile di vita alternativo; mentre il ballo, situato all’in-
crocio fra musica popolare e tempo libero, è indubbiamente una delle
direzioni principali verso cui si orienta il ‘senso’ del pop, vissuto
innanzitutto come riscoperta delle ragioni del corpo.
Prima che a cambiamenti demografici ed economici, l’emergere del
teenage consumer15 in Gran Bretagna è stato associato alla società di massa
di importazione americana, alla ‘liberazione politica’ delle masse e alla
crescita della comunicazione di massa16 in quel dicotomico atteggia-
mento degli inglesi verso l’America, salutata come futuro e al tempo
stesso temuta per la minaccia ai ‘valori’ tradizionali della società ingle-
se. “Riconosciuta a malincuore come sintomo di un più ampio cambia-
mento, ‘l’americanizzazione’ era divenuta spesso anche l’amaro sinoni-
mo del precipitoso e sgradito avvento del mondo industriale” (Cham-
bers 1985: 7). Imputata della ‘nascita’ di una cultura giovanile qualitati-
vamente differente, è anche la frattura nell’esperienza sociale causata
dalla guerra, soprattutto gli effetti sui bambini nati durante il conflitto
(assenza del padre, evacuazioni, e altre interruzioni alla normale vita
eredit à
8
familiare, oltre alla violenza). Anche l’allargamento dell’educazione
secondaria per tutti (Education Act, 1944) rientra in questo quadro. Se
il concetto di classe come principale fattore strutturale della società
inglese sembra sparire sullo sfondo di un diffuso consenso17 alle rifor-
me sociali del nuovo welfare state, ad esso subentrano altri fattori: lo
status economico (risultante di formazione scolastica, lavoro e possibi-
lità di consumo); la formazione scolastica (ora aperta a tutti, consente
una mobilità sociale su base meritocratica); il consumo (alternativa al
percorso meritocratico); e, ovviamente, l’età (i giovani definiti ‘the van-
guard of social change’). Insomma, alla distinzione di classe apparente-
mente dissolta si sovrappone la distinzione fra generazioni. Preso fra
cultura ed economia, il termine stesso teenager—inteso soprattutto
come consumatore—serviva a connotare la diversità del fenomeno e a
distanziarlo dal resto della società. Il paradosso era che, mentre il con-
sumismo aveva bisogno di novità, identificata totalmente con il teen-
ager consumatore, questo si opponeva alla società e alla precedente
industria musicale, in un gioco di avvicinamento reciproco; al tempo
stesso, era la crescente ricchezza del paese (di cui il teenager godeva in
quanto consumatore libero da preoccupazioni di sussistenza) a consen-
tire un senso di rivolta generalizzato. Così, in quanto rappresentazione
più ovvia e disponibile dei profondi cambiamenti sociali in atto, la figu-
ra del teenager è servita come tema centrale su cui la società poteva di
volta in volta convogliare le proprie preoccupazioni generali.18
eredit à
9
note
1
Il termine ‘popular’ possiede, in
ambito musicale, una molteplicità
di connotazioni radicate social-
mente e storicamente: etimologi-
camente ha a che fare con il ‘popo-
lo,’ spesso però in riferimento alla
gente comune, per cui esprime una
connotazione spregiativa; verso la
fine del xviii secolo, parallelamen-
te allo sviluppo di un mercato bor-
ghese di prodotti musicali, emerge,
almeno in Gran Bretagna, un signi-
ficato diverso—‘favorito’—che nel
secolo seguente si avvicina ad
‘apprezzato’ (cioè giudicato esteti-
camente valido). In questo stesso
periodo inizia anche un uso positi-
vo del termine riferito alla classe
sociale (musica prodotta dal ceto
basso). Sopravvivono comunque le
vecchie connotazioni: solo nella
seconda metà del xix secolo, con
l’impatto del Romanticismo, il ter-
mine ‘folk’ viene a incorporare i
significati precedenti di ‘contadi-
no,’ ‘nazionale,’ e ‘tradizionale,’
mentre ‘popular’ passa a descrivere
i prodotti del music hall e poi le
canzoni per il mercato di massa
come quelle di Tin Pan Alley e
Denmark Street. Nel corso del XX
secolo questi significati coesistono
e si intrecciano nei diversi usi del
termine, schematicamente classifi-
cabili in quattro categorie: (a) defi-
nizioni normative (musica popola-
re come tipo di musica inferiore);
(b) definizioni negative (musica
popolare in quanto distinta da altri
generi di musica, come ‘folk’ o
‘seria’); (c) definizioni sociologiche
(musica popolare legata a un deter-
minato gruppo sociale); (d) defini-
zioni tecnologico-economiche
(musica popolare diffusa dai mass
media e/o in un mercato di mas-
sa). Due sono oggi i tipi di defini-
zione correnti. Il primo, positivi-
sta, si concentra sugli aspetti quan-
titativi come volumi di vendita,
classifiche e statistiche di playlist,
ma appare troppo legato metodo-
logicamente ai meccanismi di mer-
cato. Nel secondo tipo di defi-
nizione, sociologico, i presupposti
sono invece qualitativi: l’essenza
del ‘popolare’ è determinata dal-
l’alto o creata dal basso, a seconda
che ‘il popolo’ sia considerato dai
teorici della cultura di massa come
un’entità passiva e manipolabile
(quindi associato a ‘standardizza-
zione’ e al ‘commerciale’) o dai teo-
rici di ultra sinistra come un sog-
getto storico attivo e progressivo
(associato ad ‘autenticità’ e ‘spon-
taneità’); in entrambi i casi, tutta-
via, i processi culturali sono ridotti
a schemi astratti, ignorando le con-
traddizioni esistenti nei processi
produttivi (Middleton 1994).
2 Raymond Williams, citato in
Kureishi & Savage 1995.
3 Le basi storiche della demarcazione
in Europa fra musica popolare e
‘classica’ sono ben attestate, e si
possono agevolmente porre nel
declino del patronato artistico e la
conseguente crescita di un mercato
borghese alla fine del xviii secolo.
La distinzione stessa, d’altro canto,
non è così semplice come a prima
vista può apparire: Middleton
identifica tre momenti di cambia-
mento radicale, tre fasi di transi-
zione durante le quali i confini fra
le due musiche sono stati ridise-
gnati: 1790–1840, 1890–1920 e gli
anni cinquanta (Middleton 1994:
32–36).
4 Tin Pan Alley era il soprannome
attribuito alla 28ª strada di
Manhattan dove, a partire dal 1880,
song pluggers (propagandisti e cac-
ciatori di successi) suonavano e
componevano nei loro cubicoli su
pianoforti scordati, da cui il rumo-
re di ‘pentole di latta.’ Già nel 1900
quasi tutti gli editori musicali ave-
vano sede a Tin Pan Alley, e il ter-
mine è poi divenuto sinonimo del-
l’editoria musicale. A Londra il suo
equivalente era Denmark Street.
5 Lo sviluppo di un’industria cultu-
rale di massa—termine usato da
Adorno in riferimento a istituzioni
nella nostra società che adottano i
caratteristici modi di produzione e
organizzazione industriale per
produrre e diffondere simboli, sot-
to forma di prodotti e servizi cul-
turali, generalmente come beni di
consumo—come quella discografi-
ca, è un capitolo della più generale
storia dell’industria dei prodotti
elettrici, insieme a radio, cinema e
televisione, nel quadro dell’econo-
mia capitalista americana, caratte-
rizzata da una forte competizione
sia per il mercato che per le inno-
vazioni tecnologiche, nonché da
cicli di espansione e stagnazione.
Dopo l’insuccesso, sullo scorcio
del xix secolo, dei primi tentativi
di commercializzazione del fono-
grafo di Edison come apparecchio
per dettatura negli uffici, la
Columbia Phonograph Co. ne sco-
prì un più redditizio uso commer-
ciale come macchine per diverti-
mento a moneta (come accadeva
allora anche al cinema), e prese a
produrre cilindri con vari generi di
canzoni di intrattenimento.
Contemporaneamente nasceva nel
1893 la United States Gramophone
Company ad opera di Emile
Berlinger, inventore del gram-
mofono. Convinto della superio-
rità del proprio apparecchio, che
usava dischi, anziché cilindri, per
la riproduzione del suono,
Berlinger lanciò il grammofono
come apparecchio per l’intratteni-
mento domestico, aprendo il pri-
mo studio di registrazione.
Inizialmente le società produttrici
di fonografi consideravano cilindri
e dischi unicamente come supporti
dimostrativi per la promozione dei
nuovi apparecchi. Tuttavia, ad un
certo punto dello sviluppo del
nuovo medium elettrico, la logica
mutò: man mano che gli apparec-
chi si diffondevano nelle case, il
pubblico cominciava a voler ascol-
tare determinati suoni e a ricercare
dischi, che cessarono perciò di
essere semplicemente una novità.
eredit à
10
Per l’industria discografica ameri-
cana tale mutamento avvenne nel
corso degli anni venti, che rappre-
senta un periodo di forte espansio-
ne, con numerose società in com-
petizione in termini di innovazio-
ni tecniche, qualità del design e
altri accessori, ciascuna ovviamen-
te con il proprio catalogo di dischi.
In questa fase, le società discografi-
che facevano ancora parte dell’in-
dustria dei prodotti elettrici, senza
alcun legame con l’editoria musi-
cale di Tin Pan Alley e Denmark
Street. Per le scelte musicali queste
società si affidavano al giudizio di
impresari, cercando di offrire l’ul-
tima versione dei successi teatrali o
delle sale da ballo. Mancava l’inte-
resse a promuovere nuovi artisti, in
quanto si stimava che, nonostante
il successo dei dischi di musica
popolare—indispensabili alla ven-
dita degli apparecchi di riprodu-
zione—a lungo termine il profitto
sarebbe dipeso da cataloghi di
musica ‘classica.’ Il mercato inizia-
le, infatti, era rappresentato dalla
famiglia medio-borghese, relativa-
mente benestante (questo vale per
i diversi media elettronici, per la
radio come per la televisione),
mentre l’organizzarsi dell’indu-
stria discografica attorno al disco (e
al pubblico) popolare rappresenta
uno sviluppo successivo, quasi una
conseguenza della crisi economica
esplosa alla fine del decennio. La
crisi degli anni trenta si caratteriz-
za non soltanto per una drastica
riduzione della spesa per l’intratte-
nimento, ma anche per una signifi-
cativa riorganizzazione delle con-
suetudini di divertimento, con la
diffusione della radio e l’avvento
del cinema sonoro. Gli anni trenta
segnano infatti il passaggio del
potere musicale dal sistema edito-
riale centralizzato di Tin Pan Alley
ad uno star system integrato di reti
radiofoniche, studi di Hollywood e
case discografiche. Lo sviluppo
della radio in America segue in
parallelo quello dell’industria
discografica. Per persuadere il pub-
blico a noleggiare gli apparecchi, le
diverse società in competizione
scoprono presto la necessità di svi-
luppare programmi di intratteni-
mento. Anche in questo caso, il
mercato borghese scelto come tar-
get determina la scelta del prodotto
offerto, trascurando importanti
settori di mercato, in particolare la
musica nera, dal jazz al blues. Per
una più ampia discussione dell’in-
treccio di aspetti economici e tec-
nologici nell’industria discografica,
si veda Frith 1983 e 1988: 11–23, e
Shuker 1994: 31–52.
6 Richard A. Peterson, ‘Why 1955?
Explaining the advent of rock
music,’ Popular Music, 1990; 9/1:
97–116, citato in Shuker 1994 e
Frith 1987.
7 La principale fonte di profitto per
l’industria musicale si sposta dai
diritti d’autore (royalties sulla ven-
dita di spartiti e dischi) a quelli di
riproduzione pubblica (concerti e
trasmissione radiofonica). Oltre
alle prime norme legislative sul
copyright—che risalgono agli anni
dieci—nel 1914 era stata fondata la
ascap (American Society of
Composers, Authors &
Publishers) allo scopo di raccoglie-
re i proventi dei diritti d’autore e di
riproduzione ricavati dalla vendita
di dischi e spartiti, da concerti e
spettacoli pubblici. Sul finire degli
anni trenta, a causa del controllo
quasi monopolistico esercitato dal-
la ascap sul mercato musicale,
esplodeva una vera e propria batta-
glia legale e commerciale fra gli
editori musicali e le stazioni radio
americane che, opponendosi alle
pretese della ascap, formarono
nel 1939 una propria organizzazio-
ne per il controllo sui diritti d’au-
tore, la bmi (Broadcast Music
Inc.)—ma così facendo si trovaro-
no obbligate a cercare musicisti e
compositori al di fuori del dominio
di Tin Pan Alley, soprattutto nel-
l’ambito della musica nera e del
country, fino ad allora sistematica-
mente escluse dall’accesso al gran-
de pubblico. La disputa venne pre-
sto risolta, ma per la prima volta
generi alternativi si erano guada-
gnati uno spazio sul mercato. A
minare ulteriormente il monopo-
lio di Tin Pan Alley, intervenne
poi, fra l’agosto del 1942 e l’ottobre
del 1943, lo sciopero dell’American
Federation of Musicians per otte-
nere aumenti sulle prestazioni in
sala di incisione. Le case discografi-
che, che ora attingevano ai remu-
nerativi profitti dei juke-box e si
trovavano in difficoltà per la man-
canza di nuovo materiale, furono
infine costrette a cedere alle richie-
ste dei musicisti, ma nel frattempo
lo swing delle grandi orchestre
aveva ricevuto un altro duro colpo.
8 Cantanti solisti di musica leggera,
soprattutto ballate sentimentali, il
cui stile vocale meno ‘impostato,’
dalla voce più naturale—favorito
dalle nuove tecnologie di registra-
zione elettrica e dal nuovo
microfono mobile—suggeriva un
tono intimo, che ben si adattava
all’ascolto domestico.
9
I sistemi elettronici subentrano a
quelli elettromeccanici della ‘cul-
tura di massa’ (così come questi
avevano sostituito i metodi mecca-
nici di produzione e distribuzione
del primo periodo borghese, la
musica stampata). Fin dall’inizio le
due principali case discografiche
americane, la Columbia (fondata
nel 1889) e la rca (nata nel 1929
incorporando la Victor, fondata nel
1901)—cui si unì la Decca america-
na (fondata nel 1934)—si erano
affrontate sul terreno del formato
del nuovo medium. Il 78 giri in
bachelite si era affermato come
standard negli anni trenta, ma la
ricerca di nuovi formati prosegui-
va, sia per migliorare la qualità del
suono riprodotto sia per aumenta-
re la capacità del supporto. Negli
anni quaranta la Columbia, svilup-
eredit à
11
pando il microsolco e un nuovo
materiale plastico (il vinile), lanciò
il long-playing a 33 giri. La rca
rispose, pur partendo dalle stesse
tecnologie, con un diverso forma-
to, più piccolo, a 45 giri. La ‘batta-
glia delle velocità’ si risolse infine
con una semplice spartizione di
mercato: l’lp per la musica classica,
il 45 giri per i singoli pop destinati
alle radio e ai jukebox. Un impor-
tante aspetto di tali innovazioni
tecnologiche riguarda proprio i
materiali: la fragilità del preceden-
te formato a 78 giri implicava alti
costi di distribuzione, sostenibili
solo dalle maggiori case discografi-
che; il nuovo vinile a 45 giri, prati-
camente indistruttibile, consentiva
l’accesso al mercato nazionale
anche a piccole etichette indipen-
denti.
10 Sviluppata durante la guerra da
scienziati tedeschi, la registrazione
su nastro magnetico venne inizial-
mente sfruttata dalle emittenti
radio e dagli studi cinematografici.
Le potenzialità del nuovo
medium—soprattutto, la flessibi-
lità ed economicità—lo resero già
entro il 1950 la tecnologia standard
negli studi di registrazione.
Riducendo drasticamente i costi di
registrazione (precedentemente su
disco di alluminio rivestito di lac-
ca, non riutilizzabile) favoriva l’ac-
cesso al mercato di produttori
indipendenti. La grande importan-
za del nastro magnetico, tuttavia,
oltre che in termini di costi, stava
nel ruolo di intermediario nel pro-
cesso di registrazione, che consen-
tiva ora manipolazioni sul materia-
le sonoro paragonabili alle tecniche
di montaggio sviluppate dal cine-
ma. Vedi anche Frith 1988:11–23.
11 Negli anni trenta la radio aveva
raggiunto l’apice del successo,
integrata in uno star system con gli
studi di Hollywood e le case disco-
grafiche. Garantite dalla Federal
Communications Commission
(fcc), le principali reti nazionali—
nbc, cbs e Mutual—controllavano
quasi esclusivamente il mercato.
Soltanto l’apparire della televisione
nel 1947 innescò una frammenta-
zione del mercato e un moltiplicar-
si di stazioni locali, le cui limitate
risorse non potevano però soste-
nere costose produzioni di pro-
grammi, spettacoli e concerti, e
dovettero quindi ripiegare sul
materiale discografico, instaurando
un rapporto di dipendenza simbio-
tica con le case discografiche. La
competizione fra le stazioni radio
commerciali provocò una differen-
ziazione di generi e di pubblico,
con il conseguente allargamento
dell’assortimento di musica tra-
smessa. Le major furono tuttavia
lente aa cogliere il cambiamento di
interesse, che venne abilmente
sfruttato da nuove etichette indi-
pendenti (Sun, Atlantic, Stax,
Chess, Vee Jay), capaci di offrire la
musica più popolare. (Shuker
1994: 43–44).
12 Più o meno nello stesso periodo
avvengono sconvolgimenti simili
in ambito jazzistico (be-bop) e
all’interno dell’avanguardia
(Boulez, Cage, Stockhausen).
13
Il decennio successivo al conflitto
fu un periodo di eccezionale creati-
vità per la musica da ballo nera, che
dallo stile delle big bands passò ai
piccoli combo rhythm ’n’ blues—
stile che sarà poi chiamato
rock ’n’ roll. Lo stile di vita era
altrettanto importante, una misce-
la variabile di sesso, droga, ballo,
abbigliamento… Questo aspetto
fondamentale dell’America filtrerà
in Gran Bretagna nella prima sot-
tocultura giovanile ad acquistare
visibilità, i Teddy boys.
14
I primi (casomai occorresse ricor-
darlo) interpreti, rispettivamente,
de Il selvaggio (1954) e Gioventù bru-
ciata (1955); i secondi, personaggi
principali, rispettivamente, di The
Catcher in the Rye di J.D. Salinger
(1951) e On the Road di Jack Kerouac
(1957).
15 Mark Abrams, The Teenage Consumer,
1959. Prima della crescita economi-
ca degli anni cinquanta i giovani
working class cominciavano a
lavorare già a quindici anni e dove-
vano imparare a diventare adulti
mentre continunavano a mettere
buona parte della propria paga in
famiglia; quelli middle class invece
erano tenuti in uniforme scolastica
fino a diciotto anni e tenuti al ripa-
ro da tentazioni grazie alla conti-
nua serie di barriere scolastiche e
professionali poste dinanzi a loro,
nonché dalla limitata disponibilità
economica e di svaghi. Si veda l’in-
teressante articolo di Colin
MacInnes, ‘Pop songs &
Teenagers’ del febbraio 1958 [in
Kureishi & Savage 1995].
16 Già nel 1941 George Orwell rileva-
va nella cultura di massa inglese un
nuovo e inquieto spirito, centrato
sul cibo in scatola, sul ‘Picture
Post’ e sul motore a scoppio (citato
in Chambers 1985). Su questa posi-
zione di condanna della società
industriale postbellica si allinearo-
no intellettuali inglesi molto
diversi fra loro: per esempio,
Richard Hoggart (The Uses of
Literacy, 1958) e Raymond
Williams (Culture and Society
1780–1950, 1963). Per un’attenta ana-
lisi delle ragioni culturali di tale
schieramento, si veda Hebdige
1981.
17
Il dibattito sui cambiamenti sociali
del dopoguerra si concentra su tre
parole-chiave: ‘benessere’ riferito
essenzialmente al boom della spe-
sa consumistica della working
class; ‘consenso’ riferito all’accet-
tazione, da parte dei due grandi
partiti politici e della maggior parte
dell’elettorato, di tutte le misure—
economia mista, crescita dei salari,
stato assistenziale—adottate dal
1945 per una partecipazione di tut-
te le classi sociali alla ricchezza del
paese; e ‘imborghesimento’ della
working class, termine questo che,
sovrapponendo il relativo benesse-
eredit à
12
re e il consenso politico ad altre
misure di progresso sociale (for-
mazione scolastica allargata, allog-
gi popolari, new town) portò alla
convinzione diffusa che la vita e la
cultura working class stavano ces-
sando di essere una formazione
separata all’interno della società
inglese, con la progressiva assimi-
lazione agli schemi, valori e aspira-
zioni della middle class. Per la gen-
te, insomma, benessere e consenso
stavano portando all’imborghesi-
mento della classe operaia, produ-
cendo nuovi tipi sociali (in partico-
lare, l’operaio benestantte e il tee-
nager), nuove disposizioni sociali,
e nuovi valori. In realtà, durante gli
anni 1951–’64 con i Tories al gover-
no, l’innegabile miglioramento
degli standard di vita cela il persi-
stere delle divisioni di classe etra-
dizionali e, alla radice, la debolezza
del ‘miracolo’ economico britanni-
co. La nozione di consenso era più
reale: le riforme sociali del governo
laburista nell’immediato dopo-
guerra poggiavano sulla mobilita-
zione di tutte le classi, la pianifica-
zione economica, le alleanze politi-
che, e l’uguaglianza che avevano
caratterizzato il periodo bellico,
cui seguì il capitalismo ‘dal volto
umano’ dei Tories di Churchill,
tornati al governo nel 1951.
Tuttavia, maschera il fatto che la
politica dei Tories, fatta di mano-
vrine in cerca di voti, fu una politi-
ca di mera sopravvivenza e che ad
ogni tornata elettorale praticamen-
te metà del paese votava contro.
Dunque, più che di assimilazione
della working class alla middle
class, si trattò di una convergenza.
(Hall & Jefferson 1976).
18 Dalla nascita del fenomeno giova-
nile, in Gran Bretagna, nei primi
anni cinquanta, l’interesse dei
commentatori si concentra inizial-
mente sui temi della massificazio-
ne e omogeneizzazione, vedendo
nei giovani un gruppo di consuma-
tori relativamente passivi.
L’emergere di una controcultura e
la protesta giovanile nelle univer-
sità e per le strade contro il Sistema
e la guerra del Vietnam negli anni
sessanta portarono al riconosci-
mento dei giovani come gruppo
sociale autonomo, generazionale, e
trasversale quanto alle tradizionali
demarcazioni di classe, status e
occupazione: ecco che il rock si
presenta come espressione cultu-
rale specifica. Già sul finire degli
anni sessanta e poi nei primi anni
settanta, l’immagine (costruita) di
una cultura giovanile omogenea
non regge più il confronto con la
realtà: il radicalismo del movimen-
to di protesta, sempre più identifi-
cato con la classe media (anziché
working class), si sgonfia ed è
prontamente mercificato dall’in-
dustria. Si torna a prestare atten-
zione al background sociale degli
adolescenti, il cui gruppo appare
formato da una corrente principale
cui si affiancano sottoculture
diverse legate al background socia-
le ed etnico di origine. L’attenzione
della sociologia accademica si spo-
sta allora sulle sottoculture, i cui
membri, attraverso le attività del
tempo libero e gli stili costruiti a
partire da oggetti presi dal quoti-
diano, cercano di ricavare un pro-
prio spazio culturale autonomo, e
rappresentano quindi una politica
di opposizione, seppure a livello
simbolico, alla cultura dominante.
Solo recentemente si è tornati a
studiare la mainstream e i fans,
prestando particolare attenzione al
momento d’uso della musica: oltre
alla rivalutazione del consumo,
visto in termini più attivi e creativi,
si è scoperto come anche la main-
stream sia diversificata al suo inter-
no, e come le scelte siano influen-
zate da fattori di classe, apparte-
nenza etnica e sesso.
13
Anche a prendere le parole di Kureishi1 come una provocazione, è inne-
gabile che i cambiamenti avvenuti in Inghilterra negli anni sessanta
sarebbero stati impensabili senza i Beatles. Il loro avvento deriva in un
certo senso dall’esplosione demografica e dalla depressione economica
del dopoguerra, segna anzi il momento in cui i babyboomers reclamano
un posto nella compagine sociale. È l’età dell’oro del pop. Le spinte al
cambiamento provenienti da frange ‘marginali’ convergono lentamente
verso il centro della società. Se ancora nel 1961 si distinguono, all’inter-
no di quel vasto e confuso contenitore chiamato cultura giovanile, par-
tizioni abbastanza nette—la cultura popolare, modello di riferimento
dei teenager, soprattutto appartenenti alla working class; il movimento
di protesta, prerogativa di intellettuali e studenti della middle class; e la
frangia anticonformista degli artisti e studenti delle scuole d’arte2—
fatalmente entro la metà del decennio sarà la cultura popolare ad attrar-
re la classe media e a produrre “quella stilizzazione estrema del costu-
me sociale e delle forme espressive” che chiamiamo pop (Colaiacono
1996: 73). Come anticipato dall’Independent Group agli inizi degli anni
cinquanta, il pop diventa arte. Catalizzatore per eccellenza di questa
2 Preparazione
Se non ci fossero stati i Beatles, culturalmente
almeno, le cose sarebbero andate diversa-
mente.—Hanif Kureishi
preparazio ne
14
trasformazione sono le art schools, una ‘breccia’ nel sistema scolastico
britannico che darà asilo a molti ‘disadattati’ negli anni anni cinquanta,
sessanta e settanta.3
In un arco di tempo relativamente breve—grosso modo fra il 1959 e
il 1963—dall’amalgama di rock ’n’ roll (allora confinato entro la cultura
della classe operaia giovanile) e di sonorità americane più ‘esotiche’
come il jazz tradizionale, il folk, il blues (appannaggio di giovani di altri
strati sociali) era maturato il primo pop britannico.4 Il successo senza
precedenti dei Beatles provocò un decisivo cambiamento nell’immagi-
ne pubblica che circondava il pop: da evento straordinario ma periferi-
co diventò il simbolo fondamentale della cultura metropolitana ingle-
se. La nascita di questa forza musicale coincise con l’elezione del primo
governo laburista dopo tredici anni, mentre il mito di una società opu-
lenta, moderna e senza classi era ormai diventato estremamente con-
vincente, soprattutto nella rappresentazione pubblica che ne davano
quotidianamente i media. Nel 1966 la cultura popolare è ormai accetta-
ta, rispettabile: al centro di tutto la Swinging London, nuova capitale del
pop nelle sue varie manifestazioni—musica, moda, fotografia, club, sti-
le di vita—espressione di una rinnovata imprenditorialità simbolizzata
dai ‘nuovi aristocratici.’ Tale situazione dipendeva anche dall’assenza di
grandi temi politici al centro del dibattito nazionale e da un governo
laburista più progressista degli stessi elettori—come testimoniato dalla
legislazione su aborto, divorzio, omosessualità e l’abolizione della pena
capitale. Sul piano economico quest’epoca vede lo spostamento del-
l’enfasi capitalistica dalla produzione di beni allo sviluppo del terziario
(settore commerciale e dei servizi), in particolare l’espansione del mer-
preparazio ne
15
cato discografico (fino ad allora prevalentemente working class) a mer-
cato di una gioventù eterogenea ma trasversale rispetto alle tradizionali
divisioni di classe.
Nel giugno del 1967 i Beatles pubblicavano Sgt. Pepper’s Lonely Hearts
Club Band, esplicito sforzo di allinearsi su una posizione ‘hippie’ in coin-
cidenza con le crescenti proteste contro la guerra in Vietnam, il ‘flower
power’ e l’infatuazione per le religioni orientali. L’album rappresenta
l’apice di un processo di accumulazione che cambiò definitivamente la
natura della musica popolare inglese. L’estinzione del beat intorno al
1966 aveva portato alla ribalta altre esperienze musicali, come il
rhythm ’n’ blues, il folk, e la psichedelia, nessuna delle quali aveva però
il carisma per imporsi come forza trainante.
5
All’epoca Sgt. Pepper appar-
ve come il segno della raggiunta maturità del rock.
6
L’unità musicale,
tematica, sonora e grafica del progetto rivelava l’ambizione di creare
un’opera d’arte di massa, travalicando i limiti della forma musicale di
intrattenimento, legata prevalentemente al ballo: l’uso di strumenti
classici ed etnici, di strutture ampie e diversificate, testi altamente sofi-
sticati, sono la testimonianza di questo mutamento di mentalità. È il
rock in generale a dimostrare in questa fase la consapevolezza di aver
elaborato un proprio linguaggio specifico, incentrato sugli aspetti rit-
mici e soprattutto timbrici della musica, mentre le modalità di fruizio-
ne si polarizzano sempre più nettamente intorno al concerto, in cui
prevale un senso corale di partecipazione collettiva, e al disco inteso
come medium espressivo autonomo.