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Introduzione
Professore al Collège de France per quasi trent’anni, psicoterapeuta e psicologo sperimentale, perso-
naggio di fama internazionale nella prima metà del Novecento, Pierre Janet (1859-1947), dopo una rela-
tiva eclissi, torna oggi ad essere riletto e considerato all’interno di quella disciplina di cui è stato uno dei
fondatori: la psicopatologia.
Janet fu il maestro di alcuni grandi personaggi del secolo scorso che segnarono una svolta nella di-
sciplina psicologica, come Jean Piaget, Carl Gustav Jung, Elton Mayo, Jean Delay e Henri Ey. In ambi-
to italiano fu accolto, divulgato e utilizzato nell’insegnamento, non solo in campo psicodinamico e psi-
chiatrico, da Gemelli, Musatti e Morselli. Tuttavia, oggi questo personaggio rimane di fatto ignorato an-
che da quei pochi manuali che, pur ricordando i suoi apporti, lo menzionano usando prevalentemente
delle fonti secondarie.
Partendo da un esame storico ed epistemologico del suo primo periodo di attività (1883-1889), se ne
è analizzata la prima opera quale frutto di un apprendistato fra medicina e filosofia ottocentesca: L'au-
tomatisme psychologique. Essai de psychologie expérimentale sur les formes inférieures de l'activité
humaine del 1889.
In quest’opera, scritta più di centoventi anni fa, si può respirare quell’unione tra ricerca empirica e
terapia, tra psicologia dinamica e psicologia sperimentale che oggi sembra caratterizzare ‘di nuovo’ al-
cuni studi e alcune pratiche d’intervento psicologico.
L’Automatisme è una di quei classici che fanno comprendere quanto vicino sia il passato e l’origine
della psicologia.
Capitolo
1:
Pierre
Janet
1.
L’alternativa
francese
al
modello
tedesco:
la
psicopatologia
In Europa, nella seconda metà dell’Ottocento, la ricerca medica è caratterizzata dalla sperimentazio-
ne. Nel 1865 Claude Bernard (1813-1878) pubblica Introduction à l’étude de la médecine expérimenta-
le, avviando l’uso del metodo sperimentale in ambito medico. Tale metodo trascende la disciplina medi-
ca e psichiatrica (gli alienisti), contaminando gli studi fisiologici e gli studi filosofici sulla coscienza.
Questi ultimi, combinandosi con i dati dei fisiologi e dei medici, daranno vita ai primi studi di psicolo-
gia sperimentale. La ricerca di un metodo scientifico attraverso il quale sia possibile determinare i mec-
canismi regolatori del funzionamento fisiologico normale e patologico, sarà sempre più al centro, da
prospettive diverse, dei dibattiti francesi (Théodule Ribot, Hyppolyte Taine, Charles Richet, Jean Martin
Charcot), inglesi (Alexander Bain, Francis Galton, John Hughlings Jackson), tedeschi (Emile Kreapelin,
Eugen Bleuler, Karl Jaspers) e italiani (Cesare Lombroso, Enrico Morselli, Angelo Mosso, Sante De
Sanctis). Ad esempio, in Germania, l’interesse per il patologico rimane nelle mani degli alienisti e dei
medici, concretizzandosi nell’esigenza di una conoscenza anatomo-clinica della malattia secondo un
modello sistematico di classificazione dei sintomi allo scopo di compiere una valutazione diagnostica
oggettiva. Ciò comporta una visione del sintomo come epifenomeno di un malfunzionamento organico.
Lo studio del normale, invece, viene coltivato nel primo laboratorio di psicologia sperimentale di Lipsia,
con Wilhelm Wundt (1832-1920).
Al di là del Reno, i grandi esponenti della nuova psicologia scientifica, provenienti in primis
dall’ambito medico e fisiologico ma anche da quello filosofico, pongono l’esigenza di una sperimenta-
zione controllata sia del normale che del patologico, a cui riferirsi prima di poter definire le regole e i
sintomi della malattia e della normalità (Lombardo, 1994, in Janet, 1994, introduzione): “Mentre in In-
ghilterra la nuova psicologia veniva riconoscendosi nell’approccio psicometrico galtoniano e in Germa-
nia la scuola di Lipsia risultava la più rappresentativa del nuovo settore di studi scientifici, la Francia si
caratterizzò per lo studio della patologia finalizzato alla formulazione di modelli di funzionamento nor-
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male dei fatti psichici” (Foschi, 2003, p. 50). Così in Francia, alla fine del diciannovesimo secolo, nasce
la Psicopatia o Psicopatologia. Secondo questa disciplina, i fenomeni normali e patologici devono essere
letti all’interno di un continuum multidimensionale, ove è la sproporzione dei principi regolatori comuni
a determinarne la manifestazione normale o morbosa.
Théodule Ribot (1839-1916), primo promotore di questa disciplina in terra francese, traducendo, di-
vulgando e sistematizzando il pensiero scientifico in ambito psicologico delle scuole inglesi e tedesche,
elabora il Metodo Patologico d’indagine delle funzioni psichiche.
Seguendo Wilhelm Wundt e il suo introspezionismo sperimentale, e rifiutando quello spiritualista di
Victor Cousin (1792-1867), il metodo di Ribot si basa sullo studio psicofisiologico del patologico come
fondamento della psicologia. Nello studio dei disturbi patologici l’uso del caso clinico diviene il riferi-
mento per capire il “caso normale” e gli altri casi clinici. La tecnica comparativa diviene il fondamento
scientifico degli studi sulle anomalie umane. Ponendo come oggetto d’indagine “il patologico”, Ribot si
distingue dal metodo wundtiano, basato sull’introspezione controllata del “normale”. Quello delineato
da Ribot è un quadro teorico, metodologico e operativo in cui la psicologia si configura come disciplina
ad un tempo sperimentale e patologica, a partire da una concezione della malattia come esperimento
fornito dalla natura che consente allo sperimentatore di indagare aspetti della vita psichica non altrimen-
ti indagabili. Il Metodo Patologico avrebbe così contribuito alla formulazione anche delle leggi della
norma. Secondo questo metodo, l’esperimento doveva attenersi a tre cardini: 1. Studio diretto dei feno-
meni fisiologici ed indagine indiretta degli stati di coscienza concomitanti; 2. Studio diretto dei fenome-
ni psichici; 3. Studio dei disturbi patologici come processo di decomposizione da analizzare.
La sistematizzazione terminologica ed esplorativa di Ribot fornisce alle nuove generazioni di “psico-
logi” francesi una prospettiva metodologica entro la quale l’evoluzionismo (spenceriano) diventa il qua-
dro teorico generale di riferimento: il principio esplicativo della fisiologia diviene la base della psicolo-
gia e, a livello operativo e investigativo, la sperimentazione e l’uso dei casi patologici forniscono i me-
todi portanti per una Psicologia Patologica propriamente scientifica (Foschi, 2003). Allievi di Ribot e
promotori di questo modello teorico e metodologico, a cui peraltro apportano ulteriori elaborazioni per-
sonali, sono Alfred Binet (1857-1911), nel periodo che precede i suoi studi nel campo dei test
d’intelligenza, e Pierre Janet. E' proprio Janet, con il suo studio filosofico, storiografico e clinico, a ricu-
cire la frattura tra la filosofia positivista dello stesso Ribot, ma anche di Richet, e la psicologia filosofica
di Cousin, Maine de Biran e Paul Janet, sistematizzando e dando valore scientifico ad una psicologia pa-
tologica.
2.
Vita
e
opere
di
Pierre
Janet
Pierre Marie Félix Janet nasce a Parigi nel 1859 da una famiglia della medio-alta borghesia cittadina.
Il padre, Jules Janet (1813-1894), è un redattore di rubriche giuridiche e la madre, Fanny Hummel
(1836-1885), una fervente cattolica. Pierre è il primogenito di tre fratelli e durante la sua vita intellettua-
le e accademica professa una tendenza liberale e agnostica, non prendendo mai parte alla vita politica.
Una persona di spicco che lo influenza molto è lo zio Paul Janet (1823-1899), filosofo ed esponente del-
la scuola spiritualista di Cousin, il quale lo incoraggia nell’intraprendere studi filosofici e religiosi e lo
aiuta nella carriera accademica.
Dopo una depressione giovanile e una crisi religiosa, intraprende lo studio della filosofia. Nel 1878
supera l’esame di Baccalauréat e l’anno successivo entra nell’École Normale Supériore insieme a Emile
Durkheim (1858-1917) e a Henri Bergson (1859-1941). Dal 1882 insegna al Liceo di Chateuroux, ma
già dal febbraio del 1883 viene spostato a Le Havre (Francia nord-occidentale), sempre per
l’insegnamento della filosofia, dove rimane fino al 1889. In questi sei anni, oltre a fare il professore di
filosofia e a scrivere un manuale di questa disciplina per i licei, svolge un volontariato presso l’ospedale
della città. Sotto la guida del Dott. Gibert e del Dott. Powilewicz, Janet avvia un rudimentale laboratorio
di psicopatologia sperimentale, la Salle Charcot, dove può visitare e studiare i malati. Questi ultimi fan-
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no per lo più parte della classe operaia e contadina e presentano spesso disturbi di tipo isterico.
Janet, in questo periodo, è alla ricerca di fonti per la sua tesi sulle Allucinazioni in relazione al mec-
canismo di percezione, ma, confrontandosi con i pazienti dell’ospedale e grazie all’aiuto del Dott. Gi-
bert, rivolge la sua attenzione verso l’ipnosi. Gibert parla a Janet di una paziente su cui è possibile in-
durre un’ipnosi a distanza. È il caso di Léonie o Mme. B (Janet P., 1886a; 1886b; 1889). Nel 1885 Janet
intraprende con questa paziente alcuni esperimenti. Le prime osservazioni vengono spedite dal giovane
Pierre allo zio Paul Janet, il quale le riporta alla Société de Psychologie Physiologie di Parigi, di cui è
uno dei più alti dirigenti. Tali scritti suscitano molto entusiasmo tra gli uditori e, in poco tempo, Charles
Richet, Théodule Ribot, Jean Martin Charcot, Frederick e Sidwick Myers e tanti altri visitano la piccola
cittadina di Le Havre per osservare Léonie. Il piccolo reparto dell’ospedale e i suoi pazienti divengono
per Janet il dato grezzo su cui lavorare per scrivere la tesi, poi pubblicata nel 1889 con il titolo di Auto-
matisme Psychologie. Essai de psychologie expérimentale sur les formes inférior de l’activité humaine.
Janet mette a punto tre nuove regole metodologiche nell’osservazione del caso clinico: 1. esaminare i
pazienti da solo; 2. prendere note estese di tutto ciò che i pazienti dicono o fanno (poi ribattezzato come
Metodo della Penna Stilografica); 3. esaminare nel dettaglio l’intera biografia dei pazienti e dei loro
trattamenti passati.
Pierre Janet pubblica i suoi primi articoli sulla Revue Philosophique di Ribot, a soli 26 anni (Janet,
1886a). Nel 1889 si trasferisce a Parigi, sempre per l’insegnamento nei licei. Contemporaneamente, su
invito di Charcot, Janet dirige un laboratorio di psicologia patologica alla Salpêtrière. A Parigi Janet
prende una seconda laurea in Medicina nel 1893 con la tesi sull’ État mental de l’hystérique, da cui poi
deriva, insieme ad altri approfondimenti, le opere Nèvroses et idees fixes del 1898 e Les obsessions et la
psychastenie del 1903. Questa scelta è dettata dalla possibilità di continuare a visitare i pazienti ed esse-
re così osservatore diretto dei dati clinici. In questo primo periodo parigino, Janet collabora anche con
Ribot, che lo fa diventare prima suo vicario al Collège de France, e nel 1902 suo sostituto sulla cattedra
di Psicologia Sperimentale a cui concorreva anche l’amico Alfred Binet. Alla morte di Charcot (1893),
il cambio di dirigenza alla Salpêtrière ostacola l’attività di Janet: è accusato di perpetuare l’uso charco-
tiano dell’ipnosi e di classificare l’isteria come una vera patologia, invece che come il frutto di semplice
suggestionabilità. Nel 1911, insofferente dei limiti che gli vengono imposti,
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Janet abbandona la Sal-
pêtrière. Nel frattempo, tra il 1903 e il 1904, aveva fondato con l’amico Georges Dumas (1866-1946) la
rivista Journal de Psychologie Normale et Pathologique, sulla quale pubblicherà la maggior parte dei
suoi articoli futuri (Ellenberger, 1976, pp. 387-415). In questo stesso periodo, Janet inizia a viaggiare
per tenere delle conferenze. L’amico William James (1842-1910) lo chiama oltre oceano. Tra i suoi nu-
merosi eventi in Europa, possiamo invece ricordare i congressi di Roma del 1905, Amsterdam del 1907,
Ginevra del 1909, Londra del 1913.
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Janet trova comunque sostegno dal successore di Charcot, il neurologo Fulgence Raymond (1844-1910), con il quale condivide la
scrittura di alcuni articoli e opere a cavallo tra ’800 e ’900. È alla morte di Raymond che Janet abbandona definitivamente la Sal-
pêtrière.
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Quest’ultimo è ancora ricordato nella storia della psicoanalisi come il congresso in cui Janet assunse un atteggiamento dichiarata-
mente ostile verso Sigmund Freud (1856-1939) e la Psicoanalisi, tanto che i suoi discepoli avviarono un attacco massiccio nei suoi
confronti, senza risparmio di colpi. Chi prima, come Ernest Jones (1879-1958) (Jones 1911; 1914), trovava alcune somiglianze tra la
psicoanalisi di Freud e l’analisi psicologica di Janet, ora le nega. Si parlò di plagio e si crearono anche dei falsi storici (Ellenberger,
1976). Dal canto suo, Janet, l’anno seguente, difese la psicoanalisi da attacchi immeritati. Eppure, nessuno si accorse, allora, che la
critica di Janet alla psicoanalisi e le argomentazioni svolte da Carl Gustav Jung (1875-1971) nel corso del congresso di Londra a pro-
posito della scientificità della tecnica psicoanalitica andavano nella medesima direzione: “La relazione di Janet appare […] una cari-
catura degli elementi di critica alla psicoanalisi che già da tempo facevano la loro comparsa negli scritti di Jung” (Ortu,1989, p. 235).
Alcune critiche comuni riguardano la nebulosità della struttura teorica, la confusione terminologica, l’ascientificità dei risultati e il
primato dell’energia libidica come univoca fonte delle patologie. Jung, che fu allievo di Janet al Collegé de France agli inizi del seco-
lo, riconosceva a quest’ultimo alcune intuizioni della psicoanalisi, quali ad esempio la catarsi e il valore del rapporto con il paziente.
Jung concordava con Janet circa la visione della natura della nevrosi come un “tentativo di autoguarigione dell’individuo”, e di con-
seguenza riteneva che ogni forma di psicoterapia fosse una forma di educazione morale. Dopo questo episodio, nonostante la media-
zione di Ferenczi, Jung fu escluso dalla scuola psicoanalitica da Freud stesso (Ortu, 1987; 1989).