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Introduzione
Le problematiche relative agli aspetti ambientali, la sempre più sentita necessità di
ridurre l’inquinamento e le oramai onnipresenti conseguenze dello sconsiderato
aumento dell’effetto serra hanno dato modo, negli ultimi vent’anni, di iniziare ad
ipotizzare un possibile ruolo delle piante arboree da frutto nella mitigazione di questi
fenomeni (S OFO et al ., 2004b).
Gli studi sono ancora incerti e tutt’altro che ultimati: risulta però interessante
esaminare come pur nel campo della frutticoltura ci sia un forte interesse alla ricerca
in questo particolare settore di carattere prettamente ecologico–ambientale; tantoché
le analisi che si erano inizialmente avviate nel campo delle coltivazioni erbacee si
sono ben presto spostate anche in quello delle coltivazioni arboree e l’attività in
questo comparto sta proliferando. Questa tendenza altro non è che un segno tangibile
di un cambiamento di rotta, necessario oramai da qualche anno, che finalmente sta
portando la Ricerca scientifica anche fuori dal comparto unicamente finalizzato alla
mera massimizzazione delle produzioni unitarie.
L’idea che la Frutticoltura possa contribuire alla mitigazione dell’ effetto serra
tramite l’immagazzinamento della CO 2 atmosferica nella biomassa dei vegetali sta
trovando sempre più riscontri nella comunità scientifica e, sotto questo punto di vista,
le piante da frutto stanno assumendo un valore aggiuntivo, rispetto a quello
tradizionale: infatti vengono valutate anche per il loro ruolo di contenitori di
carbonio, ossia di carbon sink (SOFO et al ., l.c.).
Proprio a tal proposito dovremo riconoscere che con i sistemi super intensivi e
l’utilizzo di pratiche agricole non troppo razionali stavamo rischiando di convertire la
pedosfera da serbatoio (sink) di carbonio ad una vera è propria fornitrice (source) di
quest’ultimo, con pesanti ripercussioni sulla quantità di CO 2 presente nell’atmosfera
(SCHLESINGER e L ICHTER, 2001; S OFO , l.c.). Partendo da questa considerazione, forti del
bagaglio di conoscenze pregresse, optando per un razionale uso delle tecniche
colturali (come ad esempio la fertilizzazione, l’irrigazione e la gestione del suolo)
potremmo andare a mitigare le emissioni di CO 2 comportando numerosi aspetti
positivi che non si traducono soltanto, come in passato si poteva pensare, sulla qualità
del frutto e sulla salute del consumatore, ma che vanno a riflettersi su di un sistema
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ben più grande, che interessa tutto il globo e va a toccare gli appassionanti profili
dell’Ecologia Agraria.
In questo modo, attraverso l’utilizzo di opportune pratiche agricole e tenendo anche
conto delle caratteristiche pedoclimatiche locali, si potrà infatti invertire il flusso di
carbonio dall’atmosfera verso la pedosfera e la biosfera, trasformando, quindi, una
parte significativa della CO 2 in humus e biomassa vegetale, ed è proprio in questa
prospettiva che la pedosfera va considerata come un ecosistema planetario, che
interagisce non solo con la biosfera, ma anche con l’atmosfera, sul quale l’Uomo può
intervenire in maniera opportuna in modo da modificarne la composizione favorendo,
nei limiti del possibile, una riduzione dei danni dell' effetto serra .
Ad una parte introduttiva, che prenderà in esame le problematiche attuali, le
caratteristiche del ciclo del Carbonio, e non ultime le metodologie utilizzate per
misurare i quantitativi di CO 2 trattenuti dai vegetali, ne seguirà una seconda, più
specifica, che tratterà quattro casi studio riferibili ad impianti di Melo (Malus
domestica Borkh.), Pero ( Pyrus communis L.), Susino europeo ( Prunus domestica L.), e
Pesco ( Prunus persica (L.) Batsch.): di ognuno andremo ad indagarne il possibile ruolo
nella mitigazione dell’ effetto serra .
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1. Livelli maggiori di CO 2
e aumento
dell’effetto serra: i problemi del
nostro secolo
Oramai i problemi al centro del dibattito ambientale sono numerosi e assai
conosciuti: a partire dagli anni ‘90 i cambiamenti climatici, con particolare riferimento
al riscaldamento globale, sono divenuti temi molto discussi e dibattuti. Tuttora
l’opinione comune non si presenta troppo concorde, tantoché taluni Autori, primo fra
tutti L OMBORG , ritengono che queste problematiche vadano trattate con un po’ di
scettiscismo.
Si deve però dire che la concentrazione di CO 2 è sicuramente aumentata durante il
secolo appena trascorso (cfr. Grafici 1 e 2), raggiungendo valori di circa 370 p.p.m. nel
2000 (KEELING e WHORF, 2000) e addirittura si stima che questo valore tenderà
raddoppiare entro la fine del Secolo XXI (IPCC, 1995). A tal proposito sono stati
condotti numeri studi che hanno permesso di determinare che ogni anno circa 3,2 Gt
CO 2 vengono rilasciate nell’atmosfera (L AL, 1997). Trattasi di una quantità che deriva
principalmente dalla combustione di carburanti fossili, dalla deforestazione, dalla
desertificazione e, non ultimo, dall’uso di pratiche agricole non razionali (S CHLESINGER,
2001).
Grafico 1 – Concentrazioni atmosferiche di CO 2 da 150.000 anni fa ad oggi (K EELING e WHORF, 2000).
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Grafico 2 – Concentrazioni attuali di CO 2 misurate a Mauna Loa, nelle Hawaii. Si noti come ogni anno il
picco di crescita avvenga all’incirca nel mese di Maggio, in conseguenza dell’inizio della ‘stagione di
crescita’ nell’emisfero Nord (M ARACCHI, 2000).
Figura 1 – Influenza relativa dei gas serra di origine antropica sulla variazione della temperatura. Il
cambiamento totale della forzatura dal 1750 al 1998 è di 2,43 W/m 2
(L OMBORG , 2003).
Grafico 3 – Emissioni annuali di carbonio a livello planetario provocate dai combustibili fossili e dalla
produzione di cemento, 1850-1999, e concentrazione globale di CO 2 nell’atmosfera misurata in p.p.m.v.
(parti per milione di volume), 1850-1999 (L OMBORG , l.c.).
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1.1 Dall’IPCC al Protocollo di Kyoto
I problemi relativi ai cambiamenti climatici furono affrontati per la prima volta nel
1980 quando l’Organizzazione Meteorologica Mondiale organizzò la prima
Conferenza Mondiale sul Clima (M ARACCHI, 2000). In questa occasione furono sollevate
le prime preoccupazioni relative alle modifiche dell’atmosfera terrestre causate
dall’aumento delle emissioni di alcuni gas, primi fra tutti l’anidride carbonica
(originata dalle combustioni), il metano, gli ossidi di azoto e i clorofluorocarburi
(CFC), e alle possibili conseguenze sul bilancio termico terrestre.
Per analizzare, studiare e monitorare il problema, in quella sede fu proposta la
creazione di una Commissione Internazionale (l’IPCC – International Panel On Climate
Change) con il compito di monitorare il fenomeno e di preparare degli scenari delle
possibili evoluzioni previste.
Dieci anni dopo, nel 1990, si tenne a Ginevra la seconda Conferenza Mondiale sul
clima nel corso della quale vennero presentati i risultati del lavoro svolto sia da quel
IPCC anzidetto sia dai climatologi per valutare l’attendibilità delle previsioni
effettuate dieci anni prima. I risultati misero in evidenza il trend in aumento della
temperatura media terrestre in accordo con le stime teoriche.
Gli stessi dati furono la base di discussione per la Conferenza delle Nazioni Unite di
Rio de Janeiro (1992) alla quale parteciparono i capi di Governo dei Paesi
industrializzati e di quelli in via di sviluppo. Dalla Conferenza scaturì la Convenzione
Internazionale sul clima, sottoscritta negli anni seguenti da tutti i Paesi aderenti alle
Nazioni Unite, nella quale si conveniva di attuare progressivamente una politica di
riduzione delle emissioni (mediante provvedimenti fiscali, carbon tax, etc.) tesa a
favorire un ammodernamento tecnologico che riducesse le emissioni.
Gli anni seguenti furono caratterizzati da altre riunioni delle quali la più importante
e degna di nota risulta essere quella di Kyoto. Da questa, dopo alcuni anni di incontri e
riunioni successive, prende vita il conosciutissimo Protocollo di Kyoto. Questo altro
non è che un trattato internazionale in materia ambientale riguardante in modo
dettagliato tutti gli aspetti del riscaldamento globale, sottoscritto, proprio nella città
giapponese di Kyoto, l'11 Dicembre 1997 da più di 160 paesi ed entrato in vigore solo
il 16 Febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia.
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Figura 2 – Logo del Protocollo di Kyoto (I ACOMELLI , 2007)
Da un punto di vista prettamente giuridico vediamo che tra le caratteristiche del
documento troviamo molte restrizioni: il trattato prevede infatti l’obbligo, in capo ai
paesi industrializzati, di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti
(biossido di carbonio ed altri cinque gas serra, ovvero metano, ossido di diazoto,
idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in una misura non
inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno
base — nel periodo 2008–2012. Tra le altre peculiarità, queste più prettamente
economico-commerciali vi è il ricorso a meccanismi di mercato conosciuti come
‘meccanismi flessibili’ , il principale dei quali è il ‘meccanismo di sviluppo pulito’ con
l'obiettivo di ridurre le emissioni al costo minimo possibile (I ACOMELLI , 2007).
La genesi dell’entrata in vigore è stata assai tormentata perché si richiedeva che
fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero
ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti; quest'ultima
condizione è stata raggiunta soltanto nel Novembre del 2004, quando anche la Russia
ha perfezionato la sua adesione.
Figura 3 – Paesi che hanno aderito al Protocollo di Kyoto al Febbraio 2009. In verde gli stati che hanno
firmato e ratificato il trattato, in grigio gli stati che lo hanno firmato ma non ancora ratificato, in rosso il
caso degli Stati Uniti d’America che hanno prima firmato e poi rifiutato di ratificare il trattato.