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Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire un quadro più ampio e chiaro possibile per
quel che riguarda la novità dell’anno in ambito finanziario: i piani individuali di risparmio,
cosiddetti PIR.
Essendo, appunto, una novità del 2017 il materiale reperibile a riguardo è veramente scarno.
Non esistono articoli accademici a tal proposito, ma solo alcuni brevi studi svolti da società
di consulenza italiane; ciò che non manca sono sicuramente gli articoli di giornali, le
cronache finanziarie sono inondate dai PIR.
Abbiamo messo assieme ed implementato tutto il materiale fino ad ora disponibile per
analizzare questa novità da tutti i suoi punti di vista, focalizzandoci soprattutto sui due
principali: gli investitori e le PMI quotate. Ed è proprio nel coinvolgimento di quest’ultime
che sta la grande portata dei PIR.
Ci scusiamo se nelle varie analisi che si succedono non è stato utilizzato un orizzonte
temporale sempre concordante, ma come detto in precedenza, il materiale a disposizione è
in continuo divenire, ragion per cui risulta impossibile avere una perfetta omogeneità
temporale. Passeremo da analisi trimestrali, fino ad un massimo di analisi semestrali.
Lo studio seguente, pur analizzando la questione da diversi punti di vista, si propone di
essere il più oggettivo possibile.
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1 Dieci domande sui PIR
1.1 Che cosa sono i PIR, e perché se ne parla tanto nelle cronache finanziarie?
PIR è un acronimo che sta per piano individuale di risparmio, piano all'interno del quale i
risparmiatori possono collocare qualsiasi tipologia di strumento finanziario (azioni,
obbligazioni, quote di fondi, ecc…) o somma di denaro, rispettando però determinati vincoli
di investimento. Se ne parla perché mettono in discussione uno dei paradossi dell'Italia,
quello di essere un paese ad elevato tasso di risparmio privato che storicamente è affluito in
misura molto marginale al settore produttivo (ed in particolare alle PMI). Un danno grave
se si pensa che l'economia italiana è una delle prime al mondo nell'ambito manifatturiero. A
fronte di 3.500 miliardi di risparmi di ricchezza delle famiglie, esclusi gli immobili, solo una
percentuale inferiore al 5% finisce direttamente in azioni e obbligazione di aziende
(escludendo le banche). Anche l'ammontare del risparmio intermediato da fondi comuni e
assicurazioni che si investe in azioni e obbligazioni produttive non arriva a toccare 100
miliardi. Quindi i PIR sono una grande opportunità per avvicinare il mondo del risparmio al
mondo della produzione.
Presenti in altre realtà estere già da diversi anni, i piani individuali di risparmio, cosiddetti
PIR, sono stati introdotti con la legge di stabilità approvata lo scorso dicembre. Con lo
scoccare del 2017 è nata quindi questa nuova forma di investimento che si contraddistingue
per una ben precisa particolarità: permette di ottenere forti incentivi fiscali.
Se da un lato parliamo di forma di investimento, dall’altro questa novità può decisamente
essere considerata anche una forma di risparmio viste le sue caratteristiche, che
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successivamente analizzeremo. I PIR si possono inquadrare quindi anche nel contesto del
terzo pilastro della previdenza complementare, un’altra questione spinosa per la realtà
italiana.
I PIR sono a tutti gli effetti dei “contenitori” nei quali possono essere inseriti diversi tipi di
strumenti finanziari o somme di denaro, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa. Tra
i PIR possiamo avere: fondi comuni d’investimento, contratti assicurativi, gestioni
patrimoniali o dossier titoli.
Si tratta di un’importante alternativa di investimento per i risparmiatori che ha due obiettivi
primari: convogliare il risparmio delle famiglie italiane nell’economia reale e incentivare gli
investimenti a medio/lungo termine. Il tutto con una legislazione che a riguardo permette
forti incentivi fiscali: non pagare gli oneri fiscali sugli utili generati ed evitare l’imposta di
successione.
1.2 Quali sono quindi i vantaggi dei PIR?
Possiamo individuarne principalmente tre:
Vantaggi fiscali.
Il primo dei vantaggi per i risparmiatori che investono in PIR è fiscale ed è costituito da due
tipi di benefici. Innanzitutto con i PIR si può ottenere il 100% di esenzione dalla tassazione
su utili, interessi, cedole e dividendi generati dall’investimento. È un beneficio
particolarmente rilevante: normalmente, infatti, le plusvalenze sono tassate al 26%, o al
12,5% nel caso dei titoli di stato. Scegliere un PIR significa quindi risparmiare fino a 260€
di tasse per ogni 1000€ di rendimento. Un secondo beneficio fiscale di chi sceglie un PIR è
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la completa esenzione del patrimonio dall’imposta di successione.
Per ottenere questi benefici occorre che l’investimento in PIR rispetti alcuni requisiti, sia in
termini di composizione del portafoglio, che di ammontare investito e orizzonte temporale
dell’investimento: li vedremo tra poco.
Chi si occupa di controllare il rispetto di tutti i requisiti per ottenere l’esenzione fiscale? Per
quanto riguarda i fondi comuni di investimento PIR detenuti presso una società di gestione,
sarà la SGR a effettuare tutti i controlli e gli adempimenti necessari per ottenere l’esenzione
fiscale. Se vuoi acquistare fondi o strumenti finanziari e inserirli sul tuo dossier titoli è
invece la banca che deve preoccuparsi di effettuare i controlli (ossia assicurare che gli
strumenti inseriti nel dossier titoli rispettino i requisiti PIR) e accertare che tu abbia diritto
all’esenzione.
Sostegno all’economia reale.
I PIR sono stati introdotti per creare un ponte diretto tra il risparmio privato e l’economia
reale del Paese e sostenere così la crescita economica, proprio per il fatto che favoriscono
gli investimenti in azioni e obbligazioni di imprese italiane.
Una normativa utile, quindi, perché aiuta a superare uno dei limiti presenti nella nostra
economia: la difficoltà di accesso al capitale, soprattutto per quanto riguarda le aziende di
dimensione medio piccola. Secondo l’ufficio studi di Confindustria, i finanziamenti alle
imprese sono calati di oltre il 15% nei cinque anni che vanno dal 2012 al 2016. Il calo è
ancora più marcato se si prendono in considerazione le aziende di dimensioni medio piccole.
Questa situazione deriva sia dalla crisi economica, che fa sì che le aziende investano meno e
quindi abbiano minore necessità di finanziamenti, sia dall’enorme difficoltà con cui le banche
possono erogare credito alle piccole e medie aziende. Infatti, a parità di importo erogato e
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rating dell’azienda finanziata, la regolamentazione prevede che l’impiego di capitale per una
banca che presta a piccole e medie imprese sia da 2 a 5 volte più elevato rispetto a quello
che ha prestando ad aziende di più grande dimensione.
Questo è un grande freno allo sviluppo. Attraverso gli investimenti dei PIR le piccole e
medie imprese hanno una nuova grande opportunità per finanziare la propria crescita, con
interessanti ricadute in termini di competitività e occupazione per tutto il Paese.
Miglioramento dell’investimento.
Il terzo vantaggio di investire in un PIR è il miglioramento dell’allocazione del portafoglio,
grazie a specifiche regole di diversificazione del rischio, e l’incentivo a investire con un
corretto orizzonte temporale.
L’orizzonte temporale minimo per ogni investimento per ottenere i vantaggi fiscali è di 5
anni. Una volta ottenuta la detassazione degli utili, questa verrà mantenuta per sempre:
mantenere un investimento i cui frutti sono detassati aumenta la probabilità di avere risultati
positivi e la convenienza stessa dell’investimento.
Incrementando la durata dell’investimento, infatti, si riduce la probabilità di perdita. Come si
vede nel grafico sottostante, la probabilità di perdita per un investimento azionario passa da
quasi il 40% su un orizzonte temporale di 1 anno a circa il 5% su un orizzonte temporale di
8 anni.
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1.3 Come investono i PIR?
Questo forse è il quesito più importante e che meglio ci illustra il tipo di strumento
finanziario con cui abbiamo a che fare. Come sottolineato in precedenza i PIR sono
investimenti pensati per canalizzare il risparmio degli italiani nelle imprese italiane, anche in
quelle medie e piccole, in modo da favorire la crescita del Paese e delle sue eccellenze.
Infatti un PIR deve investire: almeno il 70% in strumenti finanziari emessi da imprese
italiane o europee (a patto che queste ultime dispongano di una stabile organizzazione in
Italia) ad esclusione di quelle che svolgono attività immobiliare.
Di questo 70%, almeno il 30% (quindi il 21% del totale) deve essere investito in aziende
che non fanno parte del FTSE MIB (l’indice principale della Borsa Italiana) o equivalenti,
cioè deve essere destinato all’acquisto di azioni o obbligazioni emesse da piccole e medie
imprese italiane; questo vincolo di destinazione veicolerà quindi risorse alle aziende facenti
parte dell’indice Italia FTSE Mid & Small Cap e di conseguenza anche al segmento AIM
Italia.
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Il restante 30% può essere investito in strumenti di altri emittenti (azioni, obbligazioni,
depositi, …) anche non italiani.
In poche parole l’investimento sarà rivolto soprattutto ad aziende italiane, PMI comprese,
sia sotto forma di obbligazioni che di azioni.
Esiste anche un limite di concentrazione pensato per garantire una diversificazione
all’investitore: il PIR non può investire una quota superiore al 10% in strumenti finanziari
emessi o stipulati con lo stesso emittente, o con altra società appartenente al medesimo
gruppo, o in depositi e conti correnti.