Si parla di “convergenza tecnologica” perché gli strumenti che ci stanno aprendo la
concreta possibilità di cambiare radicalmente la condizione umana nel prossimo futuro
sono il frutto di una sinergia tra diversi ambiti di ricerca. Non a caso, nanoscienza e
nanotecnologia, biotecnologia e biomedicina (inclusa l’ingegneria genetica), tecnologie
dell’informazione (incluse intelligenza artificiale e tecnologie per la comunicazione) e
scienze cognitive (soprattutto la neuroscienza cognitiva) stanno abbandonando la
provincia della ricerca scientifica in cui sono rimaste relegate fino a oggi per avvicinarsi
sempre più al centro dell’attenzione pubblica, governativa e commerciale delle nazioni
più ricche. La piattaforma comune che renderà possibile questa convergenza è data dalla
struttura stessa della materia, sulla quale dovrà fondarsi una visione olistica della
conoscenza scientifica. Secondo Roco e Bainbridge della NSF
4
, grazie a quattro punti
chiave nel corso dei prossimi vent’anni si aprirà la possibilità di unificare gran parte
delle scienze:
1. L’origine della convergenza sarà al livello della nanoscala, cioè dipenderà dallo
studio dei fenomeni che interessano la materia su una scala dell’ordine di un mi-
lionesimo di millimetro: sostanzialmente, la scienza arriverà ben presto a
comprendere non solo il modo in cui gli atomi si combinano in molecole, ma
anche le leggi che regolano l’aggregazione molecolare in strutture polimeriche.
Questa conoscenza consentirà di manipolare la materia a livello della nanoscala,
cioè letteralmente di costruire molecole artificiali ad hoc con le funzioni più sva-
riate.
2. Il catalizzatore della convergenza sarà il susseguente salto tecnologico consenti-
to dalla manipolazione della materia sulla nanoscala. Saranno disponibili nuovi
strumenti scientifici e innovative metodologie analitiche che consentiranno la ri-
duzione epistemologica di molte discipline ancora oggi separate.
3. La conseguenza immediata di questa “rivoluzione” sarà una nuova comprensio-
ne del mondo in termini di sistemi gerarchici a complessità crescente. Dalla
fisica degli atomi alla biologia molecolare, alla meccanica dei materiali fino alla
biologia e alle scienze cognitive. Questa unificazione del sapere non avverrà e-
sclusivamente dal basso all’alto, perché dovrà avvalersi di tutti i sostanziali
sviluppi delle quattro aree di ricerca summenzionate.
4
Roco M. C. - Bainbridge W. S. (a cura di), Converging Technologies…, cit., p. 2.
V
4. Il risultato più grande della convergenza tecnologica sarà la concreta possibilità
di soddisfare alcuni dei sogni più antichi dell’umanità e migliorare le condizioni
di vita di tutti: grazie alle nuove tecnologie, l’uomo potrà potenziare le proprie
capacità psichiche, fisiche e sociali, in modo tale da vincere (secondo le previ-
sioni più ottimistiche) le sfide poste dai conflitti politici ed economici che
macchiano fin dall’alba dei tempi la nostra storia.
È per questo che, secondo l’ottimismo dei ricercatori statunitensi, dobbiamo recuperare
lo spirito del Rinascimento, abbandonando i vari specialismi per adottare una prospetti-
va globale sulla conoscenza scientifica del mondo. La fiducia progressista che si respira
leggendo i rapporti stilati dopo le varie conferenze sulla convergenza tecnologica ha
fondamentalmente due motivazioni: da una parte c’è la consapevolezza che la fusione
dei campi del sapere scientifico provocherà un enorme balzo in avanti della nostra
conoscenza del mondo; dall’altra c’è il sogno di applicare le nuove tecnologie per
promuovere il progresso dell’umanità intera, risolvendo alcuni dei problemi più urgenti
della nostra epoca. Questa speranza poggia su una convinzione ben precisa, e cioè che
solo un livello tecnologico più avanzato potrà fruttare una “prosperità per tutti” senza
esaurire le risorse naturali e mettere in crisi l’ecosistema. Ma ciò implica l’assunzione di
un substrato utopistico, un ottimismo che, per quanto sempre benvenuto (e a volte
necessario) quando si parla di ricerca scientifica e tecnologica, rischia di assumere
connotazioni ideologiche che impediscono di conferire il giusto peso al “fattore umano”
del progresso: la tecnologia in sé non potrà darci la salvezza, perché molto dipenderà
dalle nostre scelte, non solo in quanto singoli, ma soprattutto in quanto collettività.
È da qui che prende le mosse la mia ricerca, dalla convinzione che non sia oggi
possibile interpretare il progresso tecnico come un indubbio miglioramento della qualità
della vita umana. Anzitutto, il concetto stesso di “miglioramento” è generico e proble-
matico, e certamente dipende dal modo in cui concepiamo le nostre condizioni di vita e
dalle nostre speranze, quindi sarebbe un errore non tematizzarlo: il desiderio di miglio-
rare la condizione umana, per quanto universale nella sua astrattezza, è di fatto
concretizzato in molteplici forme, e non è possibile trascurare le differenze di opinioni a
riguardo. In secondo luogo, il nuovo progresso annunciato dalla convergenza tecnologi-
ca è in qualche modo diverso rispetto al passato: oggi non si tratta più di adattare
l’ambiente alle nostre necessità, né di estendere la portata del nostro agire mediante
utensili più efficaci, ma di intervenire direttamente sul corpo e sulla psiche umani col
fine di migliorarli. Questo significa incrementare la qualità della vita umana modifican-
VI
do, anche in maniera drastica, l’uomo stesso con la speranza di realizzare alcuni dei
nostri sogni più ancestrali: avere prestazioni fisiche e mentali superiori, prolungare
l’arco della vita, eliminare le sofferenze emotive.
Ecco allora che l’entusiasmo conoscitivo (la partita della convergenza tecnologica si
gioca per accrescere il bagaglio di conoscenze sul funzionamento del corpo e della
mente umani) deve sposare la prudenza riflessiva, e le visioni escatologiche di un
paradiso in terra tecnomediato devono confrontarsi con l’esigenza di agire in modo
moralmente corretto. Credo sia dunque quantomeno opportuno riflettere sulle implica-
zioni morali del progresso tecnologico, coltivando la speranza di poter giungere se non a
delineare delle linee di condotta stabili, quantomeno a far luce sulla controversia che
ruota attorno all’applicazione di tale convergenza: se essa frutterà davvero i risultati
previsti sarà solo merito delle persone che avranno agito in modo eticamente avvertito.
Il presente lavoro, come ogni testo di filosofia, prende allora le mosse da una serie di
domande: com’è possibile migliorare la condizione umana grazie allo sviluppo tecnico?
Quali sono le tecnologie che promettono di soddisfare i nostri desideri più ancestrali? E
cosa significa migliorare la condizione umana? In che senso dovremmo operare questo
miglioramento?
1.2 La scelta del problema etico: il biopotenziamento personale
Le prospettive su cui riflettere sono molteplici e non è possibile affrontarle nello spazio
di una tesi di laurea. Ai fini della presente trattazione voglio restringere l’ambito del
discorso agli aspetti bioetici del potenziamento del corpo umano tramite le nuove
tecnologie.
DEFINIZIONE DI BIOPOTENZIAMENTO: In generale utilizzerò il termine “biopotenziamen-
to” per indicare tutta quella classe d’interventi tecnici guidata dalla volontà di (1)
potenziare le prestazioni psicofisiche di un individuo, (2) prolungare la vita contrastan-
do le cause dell’invecchiamento, (3) modificare il proprio stato d’animo a piacimento. Il
biopotenziamento è un uso deliberato delle tecnologie volto a ottenere un aumento delle
capacità umane e del funzionamento del corpo umano agendo direttamente su di esso, e
include anche la possibilità di intervenire per creare capacità finora sconosciute.
Parliamo dunque di tecniche di manipolazione del corpo umano e della personalità
umana. Ora, l’uso di una tecnica implica l’esistenza di un agente, di un mezzo e di un
oggetto, quindi dobbiamo porci tre domande preliminari. Chi è l’agente? Quali sono le
tecniche utilizzate? Su chi/cosa si effettua la manipolazione?
VII
Per quanto riguarda le tecniche utilizzate, l’attenzione ricade su quelle che, attualmente
o nell’immediato futuro, ci permettono di aumentare le nostre capacità naturali per
soddisfare tre desideri: lunga vita, prestazioni superiori e felicità. Il prossimo capitolo
consiste in una panoramica di tutte le recenti scoperte tecniche e scientifiche rilevanti.
Per quanto riguarda invece il soggetto agente e l’oggetto su cui si agisce, restringo
ancora l’ambito del discorso al caso in cui il biopotenziamento sia un atto di auto-
miglioramento, cioè l’espressione libera di una persona adulta che decide di usare le
nuove tecnologie per aumentare le proprie capacità, prolungare la propria vita, manipo-
lare il proprio umore. Quali sono i valori tirati in ballo da interventi di questo tipo? È
possibile sollevare un’obiezione decisiva contro queste pratiche oppure dovremmo
concludere che ognuno è proprietario di sé e del proprio corpo e quindi ha il diritto di
manipolarsi come meglio crede?
1.2.1 Esclusione dell’eugenetica
Per “ingegneria genetica” bisogna intendere tutto quel complesso di tecniche che
consente di modificare e manipolare il patrimonio genetico degli organismi biologici.
Quando questa tecnica viene applicata per scopi di miglioramento, porta alle estreme
conseguenze l’addomesticamento del corpo umano e presenta risvolti filosofici molto
interessanti. Tuttavia, in questa sede ho deciso di non occuparmi dei problemi etici che
accompagnano l’uso radicale dell’ingegneria genetica, quello che andrebbe a soddisfare
il desiderio di biopotenziare un nascituro: l’intervento sul patrimonio genetico di una
terza persona, per quanto sia il proprio figlio, merita una discussione a parte, sia per
l’estensione della problematica correlata, sia perché coinvolge un’altra classe di
dilemmi morali, pertinenti i diritti e i doveri dei genitori, e il valore morale delle
generazioni future. Limito il mio discorso al singolo individuo, cittadino adulto e
autonomo di una società di diritto, il quale desideri biopotenziare se stesso
5
.
5
Per una trattazione estesa del problema dell’eugenetica si veda G. Venturini, Eugenetica e Bioetica, tesi
non pubblicata, disponibile presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa.
VIII
Sezione Prima: Panoramiche
Capitolo 2. Nano-Bio-Info-Cogno: Tecnologie Convergenti per il Potenziamento
Umano
2.1 La convergenza
Il miglioramento della condizione umana sarà possibile grazie alla convergenza
tecnologica di alcune aree di ricerca che fino ad oggi si sono sviluppate in relativa
indipendenza. Gli ambiti di indagine che promettono i maggiori risultati sono quattro:
NANOTECNOLOGIA
1
: L’unità fondamentale di tutti gli esseri viventi è la cellula, un
organismo capace di vita autonoma composto grosso modo da una membrana che
contiene il citoplasma e un nucleo. Il citoplasma è un liquido in cui si svolgono tutte le
attività vitali della cellula, soprattutto grazie a determinate macchine molecolari. Queste
sono delle strutture proteiche, ovvero degli agglomerati di molecole a base di carbonio
molto complessi e capaci di svolgere determinate funzioni. In generale, gran parte delle
proprietà della materia dipende dal modo in cui le molecole interagiscono tra loro, e in
particolare la vita si basa sul corretto funzionamento di svariate macchine molecolari. Il
nucleo di una cellula protegge il DNA, una molecola molto lunga e complessa che nella
sua passività svolge una funzione essenziale: è capace di dirigere delle macchine
molecolari molto importanti, chiamate “ribosomi”. Nel nucleo, le DNA polimerasi (altre
macchine molecolari) leggono settori di DNA e lo riproducono (usando le molecole di
base presenti nella cellula) in nastri di RNA messaggero. Ora, proprio come dei
computer che, leggendo un programma, riescono a svolgerne le istruzioni, i ribosomi
“elaborano” le informazioni presenti sui nastri di RNA e creano le proteine, i “mattoni”
con i quali è costruito tutto il regno vivente. Ecco, i ribosomi sono la prova inconfutabi-
le che delle macchine molecolari possono essere programmate per costruire molecole
complesse: essi sono delle vere e proprie “nanomacchine” che, in base alle leggi della
1
Per una esauriente introduzione alla nanotecnologia si veda il fondamentale testo di E. Drexler, Engines
of Creation, Anchor books, New York 1986.
1
natura, assemblano singole molecole in strutture più grandi capaci a loro volta di
svolgere le funzioni più disparate. Ora immaginiamo di poter assemblare e programma-
re a nostro piacimento delle nanomacchine artificiali, capaci di svolgere funzioni
specifiche: sarebbe possibile creare proteine di forma e caratteristiche innovative, e
sviluppare una sorta di “ingegneria molecolare” capace di migliorare in modo decisivo
tutta una serie di processi biochimici, rivoluzionando la chimica industriale. Ma non è
difficile immaginare che a questa nanotecnologia di prima generazione seguirebbe ben
presto una scienza molto più potente. Nulla impedisce infatti che, una volta padroneg-
giato il meccanismo di creazione, si possa passare ad assemblare molecole progettate ad
hoc per funzionare come componenti meccanici, e costruire nanomacchine sempre più
complesse. Si potrebbero sviluppare degli enzimi che assemblano strutture ben precise
di atomi, in modo tale da trasformare gli elementi puri in tutte le sostanze che cono-
sciamo (potremmo ad esempio trasformare il carbone in diamante): per questa via la
biologia molecolare si convertirebbe in una vera e propria “nanoingegneria”, un
complesso di tecniche atte a manipolare la materia con i più disparati “nanostrumenti”.
E a quel punto, solo la fantasia umana e le leggi della natura potranno porre un limite
alle possibilità.
BIOTECNOLOGIA: Per “biotecnologia” bisogna intendere un intero complesso di scienze
e tecniche unite sostanzialmente dal loro campo operativo, e cioè gli organismi viventi.
Rientrano in questa sfera la biologia molecolare, la neurobiologia, l’ingegneria genetica,
la biomedicina, la farmacologia, insomma tutte quelle conoscenze e quelle tecniche
capaci di alterare e controllare il fenomeno della vita.
TECNOLOGIA DELL’INFORMAZIONE: In questa sfera rientrano l’informatica, le scienze
della comunicazione, l’elettronica e la robotica. Quest’ultima area di ricerca tecnologica
è il frutto di una convergenza tra elettronica, meccanica, informatica e, negli ultimi
tempi, intelligenza artificiale.
SCIENZE E NEUROSCIENZE COGNITIVE: Le discipline che studiano la mente e i processi
cognitivi, sia di basso (percezione, azione volontaria) che di alto livello (ragionamento,
espressione simbolica). Le scienze cognitive rappresentano esse stesse un ottimo
esempio di come vari ambiti di ricerca caratterizzati da approcci e metodologie diverse,
possano convergere verso uno scopo condiviso. Sfruttando l’analogia tra la mente
umana e i programmi per calcolatori, vari studiosi di filosofia della mente, psicologia,
linguistica, intelligenza artificiale e neuroscienze cognitive, seguono fin dagli anni ’50
del secolo scorso un programma di ricerca che in seguito si è concretizzato attorno alla
2
teoria funzionalista della mente. Secondo questa teoria, i processi cognitivi stanno al
cervello come il software informatico sta all’hardware elettronico di un calcolatore. Ciò
implica che i processi mentali, anche quelli più elevati quali la coscienza, non dipendo-
no dal supporto materiale che li implementa, ma esistono solo in quanto esercitano un
ruolo causale. Data la possibilità di implementare, grazie a un programma, molti
processi di ragionamento logico/ algebrico su un calcolatore elettronico, le scienze
cognitive non fanno differenza tra i risultati ottenibili dalla programmazione e quelli di
una mente umana, e conferiscono pertanto legittimità alla simulazione su calcolatore
come terreno per la sperimentazione di ipotesi sul funzionamento della mente.
L’esempio emblematico di un ragionamento funzionalista (o meglio protofunzionalista)
è lo storico “gioco dell’imitazione”, un esperimento mentale di grande rilevanza
euristica ideato dal matematico inglese Alan Turing proprio nel 1950. Secondo il
cosiddetto test di Turing, una macchina può dirsi pensante se è possibile programmarla
in modo che riesca a sostenere una conversazione così bene da risultare indistinguibile
da un interlocutore umano.
Ora, la convergenza “NBIC” (acronimo inglese di Nanotechnology- Biotechnology-
Information technology- Cognitive sciences) sarà possibile quando la nanotecnologia
riuscirà a manipolare la materia molecolare e a gestire i processi che avvengono in una
scala tra 1 e 100 nanometri
2
. Non a caso “molti dei progressi più rilevanti in biotecnolo-
gia e biomedicina stanno avvenendo proprio al livello della nanoscala”
3
e, ovviamente,
né la nanotecnologia né la biotecnologia possono fare molto senza i più avanzati sistemi
di elaborazione dati e di micromanipolazione elettronica. Attualmente, le tecnologie
informatiche stanno studiando nuovi metodi di miniaturizzazione, e non è azzardato
presumere che ben presto sarà possibile costruire e programmare dei nanotransistori. Il
difficile qui è immaginare cosa non sarà possibile fare, a livello computazionale, con dei
calcolatori costruiti con miliardi di questi nanotransistori, e magari basati su
un’architettura a rete neurale (cioè in modo tale da imitare il funzionamento del cervello
ed elaborare più di una serie di calcoli in parallelo). Forse le scienze cognitive saranno
le ultime a mettersi in sinergia con le altre, ma di certo rappresentano l’ambito di ricerca
che promette i maggiori risultati per quanto riguarda il potenziamento delle prestazioni
umane: grazie alle nuove tecniche d’indagine messe a disposizione dalla nanotecnologia
2
Cfr. Roco M. C. - Bainbridge W. S. (a cura di), Managing Nano-Bio-Info-Cogno Innovations, Springer,
Dodrecht 2006, p. 2 e seg.
3
ibidem
3
e dalle tecnologie informatiche, sarà possibile non solo autoalimentare il progresso
scientifico, ma anche, sempre che l’approccio teorico sia quello giusto, raggiungere la
completa conoscenza del funzionamento del cervello e della mente, e l’abilità di
costruire agenti intelligenti che possano aiutare l’umanità svolgendo i compiti più
pericolosi o faticosi. Sviluppando ambiti di ricerca “di confine” tra scienze umane,
ergonomia e design quali l’interazione uomo/macchina sarà possibile implementare
l’informatica e la nanoelettronica per creare interfacce neurali e connettere direttamente
il sistema nervoso umano alle macchine.
2.2 Tecnologie per migliorare le prestazioni psicofisiche
Le conseguenze più immediate della convergenza NBIC si avvertiranno probabilmente
nel campo delle capacità individuali e collettive. Questa previsione è motivata da due
osservazioni: in primo luogo, in ogni epoca conosciuta sono esistite persone attivamente
impegnate nel migliorare il proprio corpo, sia imparando e perfezionando determinate
attitudini con l’allenamento, sia ricercando tecniche e procedure per ottenere dei risultati
migliori in particolari attività, e i nostri tempi non fanno eccezione; in secondo luogo,
una buona metà della ricerca tecnologica e scientifica dedicata espressamente allo
sviluppo di nuovi metodi e nuovi strumenti per potenziare e ampliare lo spettro delle
capacità umane è di stampo militare, ed è noto che, quando si tratta della sicurezza
nazionale, nessuno stato bada a spese. Inoltre, come la storia della tecnologia insegna
(basta prendere in considerazione l’esempio di internet), le scoperte militari incontrano
spesso ottime applicazioni in ambito civile, quindi possiamo tranquillamente presumere
che anche per la convergenza NBIC accadrà lo stesso.
Dunque, in che modo è possibile sfruttare le nuove tecnologie per migliorare la capacità
individuali? Le strade relativamente più semplici passano attraverso lo studio e il
potenziamento delle caratteristiche naturali, ma non è difficile teorizzare percorsi
alternativi e ben più radicali, quali l’innesto di protesi cibernetiche o la possibilità di
interfacciarsi direttamente con dei sistemi intelligenti. A un livello ancora più profondo,
soprattutto grazie ai risultati che la convergenza promette di fornire in ambito biotecno-
logico, non sembra impossibile alterare il patrimonio genetico di un individuo affinché
sviluppi capacità del tutto nuove. Vediamo alcuni esempi.
4
2.2.1 Il potenziamento di capacità prevalentemente somatiche
Il sistema muscolo-scheletrico conferisce struttura al corpo e svolge un ruolo essenziale
nella vita umana. Avere un bel corpo, muscoloso e atletico, è una caratteristica apprez-
zata in tutte le culture, e non è un caso se, nelle società che si basano soprattutto sul
lavoro cognitivo, la sedentarietà e la susseguente flaccidezza delle membra siano
diventate un problema serio, che può compromettere gravemente la salute sia fisica che
mentale. Inoltre la conformazione muscolo-scheletrica costituisce buona parte del nostro
aspetto esteriore, un fattore molto rilevante nei rapporti interpersonali: il corpo,
attraverso i movimenti, l’aspetto, e gli indumenti e gli orpelli di cui lo rivestiamo, è il
primo e più radicale spazio d’espressione della nostra personalità e della nostra cultura.
Non stupisce dunque che esso sia il tradizionale ambito di applicazione per le tecniche
di miglioramento personale, in particolar modo volte a incrementarne le capacità
motorie e ad affinarne l’aspetto estetico. La cosmetica e gli sport (almeno nel senso più
generale di attività motorie ludico/agonistiche) esistono fin da quando esiste l’uomo
stesso e la ricerca tecnologica è da tempo indirizzata a soddisfare tali esigenze. Basta
pensare al giro d’affari che ruota attorno alla chirurgia plastica, alla biochimica per la
produzione di cosmetici, ai farmaci per l’incremento della massa muscolare usati in
ambito sportivo. Grazie alla convergenza NBIC, possiamo immaginare scenari futuri in
cui sarà possibile agire sulla conformazione del nostro corpo con relativa facilità, in
tutta sicurezza e a basso costo. Un esempio potrebbe essere quello del potenziamento
muscolare che, oltre a svolgere un ruolo importante in determinati tipi di occupazioni,
può servire come metodo preventivo della sarcopenia, la progressiva degenerazione
delle fibre muscolari con l’invecchiamento. La forma classica di questo potenziamento è
l’esercizio fisico, ma già oggi sono disponibili farmaci, spesso illegali perché provocano
pericolosi effetti collaterali, capaci di incrementare in modo significativo la dimensione
e la prestanza della massa muscolare. Sul versante della medicina cosmetica, non è
difficile immaginare che le prime applicazioni della micro e nanochirurgia saranno
proprio volte all’alterazione somatica.
La progressiva disponibilità del corpo, favorita ma non causata dallo sviluppo tecnolo-
gico, sta già evolvendosi in una vera e propria “scultura della carne” che mostra di non
conoscere confini di ceto, cultura, sesso o professione. Chiunque svolga un mestiere in
cui la bella presenza ha una qualche rilevanza, ha già un buon motivo per utilizzare la
cosmetica (chimica o chirurgica che sia); chi invece ha interesse nel migliorare le
5
capacità del proprio corpo, dall’atleta professionista al soldato, fa già parte di un
mercato pronto a consumare gli ultimi ritrovati della biotecnologia.
2.2.2 Il potenziamento di capacità prevalentemente psichiche
Spesso non rendiamo il giusto merito a quelle tecnologie che, nel corso della storia,
hanno potenziato le capacità cognitive umane. Ci stupiamo e ci meravigliamo della
complessità della nostra mente, glorifichiamo le grandi personalità per il loro genio
rivoluzionario nell’indagine della natura o per l’impulso che hanno dato allo sviluppo
tecnico, ma quasi mai ricordiamo che buona parte dei progressi dell’umanità sono stati
possibili solo grazie a determinate tecniche cognitive. La storia dei metodi usati per
potenziare le proprie capacità mentali può risalire fino alla scrittura, che migliorò in
maniera drastica la memoria e la reperibilità delle informazioni, e dilatò la portata
spaziale e temporale della comunicazione. Seguendo le vicissitudini della mente umana
nel corso del tempo, verrebbe spontaneo distinguere tra tecniche mentali e strumenti
cognitivi materiali, ma è importante sottolineare che, ad un’analisi più approfondita,
questa separazione perde gran parte del suo valore. L’alfabeto e i numeri sono strumenti
cognitivi che hanno aperto la possibilità di sviluppare tecniche mentali (la scrittura e la
matematica) le quali però a loro volta necessitano di strumenti materiali per esprimersi
al meglio (il supporto su cui scrivere e leggere, gli utensili per calcolare). La mnemo-
tecnica tanto esplorata nel Rinascimento, era un metodo tutto mentale per potenziare la
capacità di memorizzare testi o sequenze di numeri, ma anche il più bravo dei maghi
non può reggere il confronto con un semplice libro, che riesce a mantenere inalterate
memorie vecchie di millenni.
Questa coevoluzione tra capacità mentali umane e tecnologie cognitive, può essere
compresa meglio se interpretiamo la nostra mente come un sistema “ibrido” a tutti gli
effetti, fondato su una struttura biologica ancestrale (il cervello “rettiliano”), una
struttura biologica più recente che si forma anche in risposta all’ambiente (la corteccia)
e una serie di “periferiche culturali”, strumenti cognitivi senza i quali sarebbe molto più
limitata
4
. Gli strumenti che abbiamo finora sviluppato agiscono per lo più come un
supporto esterno, ma la convergenza NBIC promette un futuro in cui sarà possibile
potenziare direttamente facoltà individuali quali la concentrazione, la memoria, la
conoscenza o la velocità di ragionamento. In vero, esistono già delle sostanze capaci di
4
Cfr. Garcia Rill, Focusing the possibilities of nanotechnology for cognitive evolution and human
performance, in Roco M. C. - Bainbridge W. S. (a cura di), Converging Technologies…, cit., p. 228.
6
influire in modo prevedibile sulla mente: basta pensare all’uso quotidiano che facciamo
della caffeina, della nicotina, dei sonniferi, degli anestetici o degli stupefacenti. Siamo
giunti a un punto in cui il desiderio di avere sotto controllo il proprio corpo si è dilatato
fino a includere la coscienza stessa, ed è proprio questo che le tecnologie NBIC possono
promettere: dormire quando si vuole, essere concentrati sul lavoro, rilassati a casa,
memorizzare le cose importanti, dimenticare quelle inutili o dannose.
Quali sono le tecnologie all’avanguardia in questo campo e in che modo promettono di
migliorare le nostre capacità mentali? Partiamo dalla memoria e dalla capacità di
apprendimento. Gli studi più promettenti si basano sulla manipolazione genetica
5
quindi
per ora non rientrano nel settore in cui ci stiamo concentrando, quello dei biopotenzia-
menti personali scelti in autonomia da individui adulti. Tuttavia, anche le ricerche
farmaceutiche sembrano sulla buona strada. C’è da dire che da tempo si conoscono gli
effetti di alcune sostanze stimolanti, i cosiddetti “nootropi”, capaci di migliorare la
velocità e la precisione dell’apprendimento, ma che questi studi sono ostacolati dalla
messa al bando di alcune di esse in quanto rientrano nelle categorie di stupefacenti più a
rischio (una fra tutte, la cocaina). Uno dei protagonisti di queste ricerche è l’acetilcolina,
un neurotrasmettitore che sembra essere legato alla formazione dei ricordi: alcuni
nootropi agiscono come inibitori dell’enzima adibito alla distruzione dell’acetilcolina, e
in effetti producono un temporaneo aumento della memoria. Già nell’ottobre del 2003 la
Food and Drug Administration degli USA ha approvato la “memantina”
6
, un farmaco
per il trattamento del morbo di Alzheimer capace di ridurre il sintomo della perdita di
memoria.
Per quanto riguarda invece la concentrazione, il modafinil, un farmaco per contrastare la
narcolessia, sembra funzionare molto bene anche nel tenere alto il livello di attenzione
di individui sani, soprattutto in condizioni di stress. Questa sostanza riesce a migliorare
la fermezza, cioè la capacità di inibire le reazioni istintive e spesso inconsulte, consen-
tendo di ottenere una maggiore accuratezza pur senza ottundere i riflessi
7
. Un risultato
simile si ottiene con le anfetamine che aumentano la concentrazione di dopamina (un
neurotrasmettitore) tra le sinapsi e riescono a potenziare in modo significativo molte
funzioni dell’organismo. Purtroppo, questo genere di ricerca è compromesso da un
5
Cfr. Bostrom N. - Sandberg A., Cognitive Enhancement: Methods, Ethics, Regulatory Challenges,
Future of Humanity Institute, 2006, articolo disponibile in rete presso www.nickbostrom.com
6
Cfr. Sententia W., Cognitive Enhancement and the Neuroethics of Memory Drugs, in Roco M. C. -
Bainbridge W. S. (a cura di), Managing Nano-Bio-Info-Cogno Innovations, Springer, Dodrecht 2006, p.
153 e seg.
7
Cfr. Bostrom N. - Sandberg A., op. cit.
7
problema di fondo molto più ampio, e cioè che, onde poter agire con sicurezza sui
molteplici fattori che condizionano la mente, bisogna prima conoscere a fondo il
funzionamento del cervello. Non a caso molti nootropi hanno notevoli effetti collaterali
negativi e, in alte dosi, possono risultare tossici. Non solo, il valore del farmaco come
biopotenziamento soffre in generale di una limitazione strutturale perché qualsiasi
principio attivo di questo tipo ha un’efficacia episodica e limitata alla sua persistenza
nel flusso sanguigno. È anche per questi motivi che alcuni ricercatori stanno sperimen-
tando la stimolazione magnetica transcraniale per controllarne gli effetti
sull’eccitabilità della corteccia cerebrale. Dalle prime ricerche
8
sembra che questo tipo
di tecnologia sia in grado di migliorare l’apprendimento motorio, la coordinazione e
l’apprendimento procedurale.
Le tecniche per potenziare la creatività, l’autocontrollo, la velocità del ragionamento e
la forza di volontà, sono ancora molto rudimentali e per lo più si rifanno a conoscenze
non scientifiche, ma, se la convergenza NBIC manterrà la promessa e aiuterà la ricerca
nella comprensione del cervello umano, non sembra impossibile arrivare al punto di
saper gestire, come e quando si vuole, tutte le proprie facoltà cognitive. Il punto
importante qui è che tutto il campo di ricerca associato alla cura e prevenzione del
deterioramento cognitivo senile, rappresenta già un mercato potenziale multimiliardario.
Secondo Wrye Sententia del “Center for Cognitive Liberty and Ethics”, la prospettiva
economica presentata da questa nuova fetta di mercato spingerà le industrie del settore a
investire nel prossimo futuro molte più risorse nella ricerca di farmaci per il potenzia-
mento cognitivo. Già oggi ci sono almeno 60 aziende farmaceutiche e biotecnologiche
impegnate a sviluppare sostanze per la memoria
9
e sarà solo questione di tempo prima
che vengano scoperti composti sicuri ed economici. È naturale supporre che questi
progressi nel campo della terapia alimenteranno il mercato parallelo dei biopotenzia-
menti non legati alla salute.
2.2.3 L’interfaccia cervello/macchina: le neuroprotesi
Il termine “interfaccia” indicava, originariamente, “il punto di contatto, di trasmissione
tra due o più elementi”
10
chimici, fisici o meccanici, e solo in un secondo momento fu
risemantizzato dagli ingegneri informatici per indicare quelle parti hardware e software
8
ivi
9
Sententia W., op. cit., p. 153 e seg.
10
Scalisi R., Users: Storia dell’interazione uomo- macchina dai mainframe ai computer indossabili,
Guerini e associati 2001, p. 29.
8
che permettono all’utente di interagire con un calcolatore elettronico. Nel corso del
tempo, man mano che la scienza dell’interazione uomo/macchina e uomo/computer in
particolare acquisiva importanza, lo studio delle interfacce è diventato sempre più
fondamentale per il design industriale, fino a raggiungere un posto di primo piano in
fase di progettazione. Esso si è fatto carico dell’esperienza maturata dall’ergonomia,
cioè “l’insieme di regole, modalità, strumenti, condizioni, vincoli e opportunità
attraverso i quali l’uomo manipola e scambia informazioni con gli artefatti e, tramite gli
artefatti, con gli altri uomini”
11
, e oggi siamo giunti alla consapevolezza del fatto che
l’interfaccia determina gran parte del modo in cui usiamo gli artefatti tecnologici. Come
scrive la Scalisi riportando le tesi di P. Lévy:
“L’uso sociale delle tecnologie deriva dalle loro interfacce. In pratica non è il principio co-
stitutivo di una macchina a determinarne l’uso, ma le modalità attraverso cui questo
principio viene articolato nel rapporto tra uomo e macchina e cioè nell’interfaccia.”
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I problemi legati allo studio dell’interazione uomo/macchina sono molto pratici e
riguardano soprattutto la facilità di apprendimento e d’uso dell’interfaccia. Quando
usiamo uno strumento (e in particolar modo quando usiamo strumenti complessi come i
computer), tra le nostre intenzioni e le possibilità realmente disponibili c’è sempre una
certa incongruenza: a volte non riusciamo a fare immediatamente ciò che vorremmo, e
dobbiamo sempre adeguarci o limitarci al modo in cui lo strumento “chiede” di essere
utilizzato. Secondo una teoria ideata dallo psicologo D. A. Norman
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ciò è particolar-
mente vero nel mondo delle tecnologie elettroniche, ambito in cui le “distanze” tra
l’utente e l’artefatto diventano ben tre. Anzitutto tra le nostre intenzioni e il significato
dei comandi disponibili in un’interfaccia c’è sempre una certa “distanza semantica” che
limita la nostra libertà e velocità d’espressione. In secondo luogo, tra il significato di un
comando e la sua forma c’è una “distanza di riferimento” e ciò complica l’uso: spesso,
soprattutto con le interfacce software, il modo in cui bisogna interagire per ottenere certi
risultati non è affatto immediato o intuitivo, ma richiede un certo apprendimento
preliminare, con tutte le conseguenze che questo comporta. Infine abbiamo una
“distanza inter-referenziale”, l’incongruenza tra l’input e l’output, cioè tra i comandi
che devo eseguire e la risposta semantica fornita dall’interfaccia (lo sterzo di un’auto
deve esercitare una certa inerzia altrimenti si riduce per chi guida la sensazione di aver
effettivamente svoltato; il bottone di un mouse deve emettere un “click” per farmi
11
ivi, p. 31.
12
ivi, p. 37.
13
cfr Burattini E. – Cordeschi R. (a cura di), Intelligenza Artificiale, Carocci, Roma 2001, cap. 10.
9
capire che il comando è stato accettato). La presenza di queste distanze è dovuta sì a una
scarsa attenzione nei confronti dell’utente, ma è anche causata da un’incongruenza di
base apparentemente inconciliabile: noi dobbiamo interagire con gli artefatti sempre e
comunque attraverso un’interfaccia, la quale, per quanto sia progettata nel migliore dei
modi, solo perché esiste esercita sempre un carico cognitivo o somatico sull’utente.
Ma cosa accadrebbe se l’interfaccia raggiungesse uno stadio di perfezionamento tale da
svanire del tutto? Avremmo la possibilità di interagire con gli strumenti con la stessa
semplicità con cui usiamo il nostro stesso corpo. E qui entrano in campo le tecnologie
NBIC che, grazie alla miniaturizzazione dell’elettronica e alla bionanotecnologia,
promettono di rivoluzionare il modo in cui ci rapportiamo con i nostri artefatti. Il primo
passo sarà un’evoluzione dell’ormai comune telefono cellulare, che si sta trasformando
in un vero e proprio computer indossabile provvisto di un’avanzata intelligenza
artificiale
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. La tecnologia portatile sta causando tre grosse rivoluzioni nell’interazione
uomo/macchina: (1) sta diventando sempre più costante nel tempo, perché agisce senza
soluzione di continuità e in automatico, (2) ben presto ci consentirà di potenziare
direttamente la portata dei nostri sensi e, indirettamente tramite il supporto cognitivo di
un agente artificiale, migliorerà il nostro intelletto, (3) infine potrà fungere da mediatri-
ce con l’ambiente esterno, sia esso naturale o tecnicamente predisposto all’interazione.
Il computer diverrà così personale e personalizzato da poter svolgere le funzioni di un
terzo emisfero cerebrale
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: servirà per ricordare in modo immediato tutte le esperienze
da noi vissute, recuperare ogni genere di informazioni nel giro di pochi attimi, avvisarci
di potenziali pericoli, tenere sotto controllo la funzionalità del nostro organismo ed
essere programmato per rispondere a certe evenienze, connettersi ad altri computer e
creare delle “menti collettive”, tradurre in tempo reale le lingue straniere e quant’altro.
In un secondo momento, soprattutto grazie agli sviluppi della nanobiotecnologia, sarà
possibile ridurre l’interfaccia a livello neurale e connettere direttamente il sistema
nervoso umano alle macchine. Gli artefatti diverranno vere e proprie estensioni del
nostro corpo e ci consentiranno potenzialità soltanto fantasticabili, come poter vedere
con occhi artificiali o camminare con gambe robotiche, respirare sott’acqua, guidare con
la sola forza del pensiero.
14
Scalisi R., op. cit., p. 163 e segg.
15
ivi, p. 164.
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