Nel corso della storia queste piante sono state più o meno "laicizzate":
ora si sa che queste "divinità" sono delle sostanze chimiche, i principi attivi in
esse contenuti. Ancora oggi, però, alcune di queste piante sono al centro del
sistema religioso e sono fulcro del sistema interpretativo dei diversi aspetti della
realtà e della vita di numerose culture e sono amministrate da sciamani e
curanderos perché vengono utilizzate anche per scopi curativi, sebbene tale uso
non sia separabile da un più generale contesto spirituale-religioso.
Una di queste piante è il peyote; dagli Huichol del Messico questo cactus
è considerato "fonte della loro vita", per gli Indiani d'America è l'ostia sacra del
consolidato sincretismo religioso della Native American Church; nel Messico
settentrionale, i Tarahumara continuano invece ad utilizzare il peyote
esclusivamente nei riti di guarigione.
L'esperienza percettiva e psichica indotta dal peyote differisce così tanto
dalla normale percezione del mondo esterno ed interno, da non poter essere
descritta a parole: chi lo assume abbandona il mondo familiare e, in piena
coscienza, entra in un mondo quasi di sogno in cui lo spazio e il tempo, i due
elementi base dell'esistenza umana assumono un altro valore e altre dimensioni e
anche l'esperienza della corporeità può essere profondamente interessata.
Forme e colori appaiono come in un caleidoscopio e acquistano
significati nuovi, inoltre si aggiunge un profondo coinvolgimento emotivo che
fortifica il ricordo di ciò che si è vissuto. Sebbene gli effetti siano stati descritti
fin nei minimi particolari e si siano indagati i meccanismi che li determinano, è
molto più difficile spiegare e capire come nel magico scenario del deserto
messicano questa danza di forme e colori acquisti per gli indios il significato di
un'armonia soprannaturale e come i luoghi diventino trasfigurazioni divine: una
semplice collina diventa il centro dell'universo, un piccolo ruscello la fonte delle
acque cosmiche dove "ritrovare la propria vita".
2
3I
BOTANICA E CHIMICA DEL PEYOTE
I.1. STORIA BOTANICA DEL PEYOTE
Le prime descrizioni europee del peyote risalgono alla seconda metà del
1500, ma solo all'inizio del1800 sono giunti in Europa i primi esemplari di cactus
per studi scientifici.
Fu il botanico francese Charles Lemaire (1845), ad attribuire a questa
pianta il primo nome botanico Echinocactus Williamsii. In seguito, il principe
Salm-Dyck, botanico, fornì una sufficiente descrizione della pianta, ma senza
essere accompagnata da alcuna illustrazione; solo nel 1847 apparve il primo
disegno del peyote sulla rivista Curtis' Botanical (Fig. 1).
Nella seconda metà del XIX secolo le caratteristiche della pianta e l'uso del
nome Echinocactus furono oggetto di disputa tra i botanici europei ed americani;
gradualmente, l'impiego di tale nome divenne sempre più limitato e nuovi generi
vennero proposti per raggruppare specie che sino ad allora erano incluse nel
genere Echinocactus.
Nel 1886 Theodore Rumpler, propose che la pianta peyote venisse rimossa
dal genere Echinocactus e inserita nel genere isolato Anhalonium. Quindi, la
classificazione binomia Anhalonium Williamsii divenne presto molto usata in
Europa e negli Stati Uniti.
Molto tempo prima (1839), Lemaire aveva proposto il termine
Anhalonium per indicare un altro gruppo di cactus spinosi, oggi correttamente
classificati con il nome di Ariocarpus, pertanto, il termine Anhalonium deve
essere considerato come un omonimo dell'Ariocarpus, sicché, in accordo con la
nomenclatura botanica internazionale, esso non può essere usato per indicare un
genere di pianta (L'Ariocarpus assomiglia vagamente alla peyote, ma è un genere
diverso).
4Nel 1887, Louis Lewin, farmacologo tedesco, ricevette dalla Parke Davis
& Company di Detroit del materiale etichettato come "Muscale Button", che usò
per studi di chimica riuscendo a scoprire numerosi e nuovi alcaloidi. Alcuni
"bottoni" secchi vennero rinvenuti in acqua al fine di identificare il materiale
vegetale e fu in questa occasione che il botanico Paul E. Hennings del Royal
Botanical Museum di Berlino, notò che il materiale appariva simile alla pianta
chiamata Anhalonium Williamsii (Echinocactus williamsii di Lemaire e Salm-
Dyck) ma differiva un po' per la forma del corpo e per la presenza di una peluria
fitta nella parte centrale della pianta. Hennings concluse allora che il materiale
secco, portatogli da Lewin, era una nuova specie e, in onore al suo collega, gli
attribuì il nome di Anhalonium lewinii. La descrizione venne accompagnata da
due disegni; uno illustrava la nuova specie "A. lewinii", l'altro la vecchia "A.
Williamsii", ma il disegno della nuova specie, ottenuto dalla pianta secca che
Lewin aveva bollito in acqua, altro non era che una sommaria ricostruzione di
quello che la pianta era in passato.
Il tessuto essiccato si riduce molto in volume, mentre la peluria rimane
invariata perciò in proporzione al resto del tessuto vegetativo essa appariva molto
più abbondante. Hennings e Lewin pensavano di aver scoperto una nuova specie
di peyote mentre la pianta che loro stavano studiando non era altro che l'A.
Williamsii.
Negli anni che seguirono, tra i botanici c'era ancora molta confusione
circa la classificazione del peyote, ma nel 1891, Coulter propose un nuovo genere
per identificare soltanto il peyote: Lophophora. Questo rese più chiara la
nomenclatura in quanto il peyote era stato incluso, alla fine del XIX secolo, in
almeno cinque generi diversi di cactus. Il gruppo di piante comunemente chiamato
e usato come peyote è quindi unico nella famiglia dei cactus e merita di essere
citato separatamente come genere Lophophora.
Agli inizi del 1900, numerose forme e varianti di peyote erano diffuse tra i
coltivatori d'Europa e d'America ed erano spesso descritte come nuove e differenti
specie. Il numero e la prominenza delle coste, le lievi variazioni di colore e le
condizioni della peluria sono le tre condizioni che hanno permesso di individuare
molte delle specie di peyote. Tuttavia, questi caratteri variano così spesso in
5funzione dell'età della pianta che è a lento sviluppo, che spesso non sono
parametri sufficienti a separare delle specie. A questo si aggiungeva il fatto che
pochi erano gli studi effettuati su queste piante dal punto di vista cromosomico,
pertanto poche erano le notizie sulle specie ed il numero delle varianti nella
popolazione del peyote.
In seguito, la possibilità di poter visitare i luoghi di crescita naturale in
Texas e Messico permise l'intensificarsi di studi di laboratorio che hanno
dimostrato l'esistenza di due grandi popolazioni di peyote:
• Lophophora Williamsii comunemente nota come peyote cactus é diffusa
dal Texas del Sud sino alle alte pianure del Messico Settentrinale (vedi
Figg. 2, 3 e 5).
• Lophophora Diffusa cresce più a Sud rispetto alla L. Williamsii, nelle
zone desertiche dello Stato del Queretaro in Messico. Quest'ultima specie
differisce dalla L. Williamsii per il colore giallo-verdastro anziché blu-
grigio-verde, dall'essere praticamente priva di coste e solchi e da una
crescita globosa. Inoltre l'alcaloide principale risulta essere la pellotina,
mentre la mescalina ed in generale gli alcaloidi a struttura
feniletilamminica sono contenuti in percentuali minori (vedi Figg. 4 e 5).
I.2. ASPETTI BOTANICI
Il peyote, Lophophora Williamsii, è una pianta appartenente alla famiglia
delle Cactacee. Cresce nelle alture desertiche del Messico settentrionale e nell'
estremo sud-occidentale degli Stati Uniti.
E' senza dubbio uno dei cactus più curiosi e strani: non ha spine, spunta dal
terreno per pochissimi centimetri ed ha una robusta radice a fittone il cui volume
supera di parecchio quello del corpo. La lunghezza complessiva, compresa la
radice è al massimo di 15 cm. La parte che spunta dal terreno è arrotondata, il suo
diametro varia da 4 a 12 cm, è di colore grigio-verde, con sfumature bluastre e si
6divide in coste (in numero variabile da 5 a 13) e in rilievi, che formano la corona
superiore, la quale è ricoperta da una fine peluria lanuginosa grigio-biancastra.
A questo aspetto esteriore è legata l'etimologia greca del termine
lophophora, (λοφοσ = ciuffo, cresta e φερο = porto), cioè che porta ciuffo.
Ugualmente, il termine peyote è l'ispanizzazione dell'antico termine azteco peyotl,
il cui significato indica in modo impreciso qualcosa di bianco, lucente, setoso e
lanoso, evidente riferimento alla peluria.
Il fiore del peyote è apicale, solitario e piuttosto piccolo (aperto ha un
diametro di 1,5-2,5 cm), il colore è generalmente rosa pallido, ma può essere
anche bianco o a volte giallastro perché riflette il colore del polline al centro del
fiore.
Il frutto è una bacca di colore rosa carne, che si sviluppa e rimane nascosto
sotto la lanugine apicale per circa un anno, allora giunge rapidamente a
maturazione e si protende fuori dalla peluria centrale della pianta. Il frutto
racchiude numerosi semi neri e porosi.
Il peyote cresce di solito come individuo semplice, unicefalo, diventa
policefalo con l'età o se lesionato; è uno dei cactus a sviluppo più lento: dalla
germinazione alla prima fioritura passano 12-15 anni e, la corona, a seconda delle
varie tappe del processo vegetativo e dell'età, assume forme e aspetto diversi tanto
che inizialmente vi fu una grande confusione nella nomenclatura e nella
tassonomia del cactus.
La droga è costituita dalle sommità essiccate; sottoforma dei cosiddetti
"bottoni di mescal" essa può essere conservata a lungo e trasportata senza
detrimento. I bottoni si ottengono tagliando la corona in spesse fette carnose che
vengono messe ad asciugare al sole, una volta essiccate queste sembrano dei
grossi bottoni colore marrone. Questa forma di conservazione della droga ha
senz'altro contribuito alla diffusione del "culto del peyote" ben oltre l'area di
crescita del cactus; il peyote, infatti è stato utilizzato per secoli dagli abitanti del
mesoamerica a scopi magici, religiosi e terapeutici ed attualmente è ancora
liberamente assunto da alcune tribù messicane (Huichol, Tarahumara e Cora).
7Nel Nord America il culto più diffuso tra gli indiani nordamericani è una
religione derivata dal Cristianesimo e basata sull'uso regolare del peyote come
sacramento, la Native American Church.
Nelle cerimonie religiose possono essere assunti dai 4 ai 30 bottoni da una
sola persona, questi vengono semplicemente messi in bocca, ammorbiditi con la
saliva ed inghiottiti senza masticare. Occasionalmente possono essere anche
immersi in acqua e in seguito viene bevuto l'infuso.
Il colore fangoso, l'odore nauseante e il sapore altrettanto sgradevole e
amaro è il meno promettente dei passaporti immaginabili per il paradiso
artificiale.
La maggior parte degli indiani nordamericani, per raggiungere le lontane e
ristrette aree di crescita del cactus e raccoglierlo, compiono ancora oggi
pellegrinaggi sacri annuali.
Il termine mescal utilizzato in relazione al peyote è improprio:
correttamente esso si riferisce ad una bevanda alcolica distillata dall'Agave
angustifolia. Questo errore è anche responsabile della denominazione del
principale alcaloide contenuto nel peyote, la mescalina, che non è affatto presente
nell'agave. Forse la parola "mescal" è stata utilizzata dai missionari e dagli
ufficiali governativi per far pensare al peyote come ad una droga simile all'alcol,
così da impedirne l'uso attraverso una legge anti-alcol, ma molto probabilmente si
tratta di un errore casuale che si è perpetuato nel tempo involontariamente.
I.3. ASPETTI CHIMICI: " UNA FABBRICA DI ALCALOIDI "
Il peyote è di solito identificato con il suo alcaloide principale, la
mescalina, ma essa è solo uno dei quasi 60 alcaloidi che sono stati isolati dal
cactus, che Schultes (1983) definì una vera e propria "fabbrica di alcaloidi"
(Appendice A).
Le prime fondamentali ricerche chimiche sulla Lophophora Williamsii si
devono ad Arthur Heffter e ad Ernst Späth.
8Nel1896 Heffter isolò dai bottoni di mescal diversi alcaloidi in forma pura
e sperimentandoli su sé stesso scoprì che uno di questi, che chiamò mescalina, era
quello che presentava maggiormente le proprietà allucinogene caratteristiche della
pianta intera. Bisogna ricordare, infatti, che negli anni che hanno preceduto la
caratterizzazione chimica degli alcaloidi contenuti nel peyote, diverse esperienze
ed autoesperienze con la droga intera erano già state fatte da alcuni ricercatori che
erano particolarmente interessati alla caratterizzazione degli effetti allucinogeni e
psicotomimetici della pianta: D. W. Prentiss e F. P. Morgan (1895), W. Mitchell
(1896).
Späth, invece, dimostrò che la struttura chimica della mescalina è la 3,4,5-
trimetossifeniletilammina e nel 1919 fu in grado di produrre l'alcaloide per sintesi
chimica.
Entro la fine degli anni '30, la maggior parte degli alcaloidi del peyote era
stata isolata e caratterizzata; gli ultimi alcaloidi scoperti e isolati risalgono agli
anni '60-'70 (Jerry L. Mc.Laughlin -1965, 1966, 1967-; Kapadia e Fales -1968-;
Kapadia e Fayez -1970, 1973-).
Dal punto di vista chimico, gli alcaloidi isolati dal peyote si possono
classificare in due gruppi:
- alcaloidi a struttura feniletilamminica, tra i più importanti oltre alla
mescalina, la N-acetilmescalina, la N-metilmescalina, l'Ordenina, la
Tiramina, etc. (Tabella I),
- alcaloidi a struttura tetraidroisochinolinica, alcuni dei più importanti
sono riportati nella Tabella II.
9TABELLA I
PRINCIPALI ALCALOIDI A STRUTTURA FENILETILAMMINICA
R
1
R
2
R
3
R
4
R
5
alcaloide
HHOCH
3
OCH
3
OCH
3
Mescalina
H CO CH
3
OCH
3
OCH
3
OCH
3
N-acetilmescalina
HCH
3
OCH
3
OCH
3
OCH
3
N-metilmescalina
CH
3
CH
3
OCH
3
OCH
3
OCH
3
N,N-dimetilmescalina
HHOCH
3
OCH
3
H 3,4-
dimetossifenetilammina
HHOCH
3
OCH
2
-O-Omomiristicilamina
HHOCH
3
OCH
3
OH 3,4-dimetossi-5-
idrossifenetilamina
HHHOHHTiramina
HCH
3
HOHHN-metiltiramina
CH
3
CH
3
HOHHOrdenina
CH
2
CH
2
-
CHCOOH
-CH
2
OCH
3
OCH
3
OCH
3
Peyonina
10
TABELLA II
PRINCIPALI ALCALOIDI A STRUTTURA
TETRAIDROISOCHINOLINICA
R
1
R
2
R
3
R
4
R
5
alcaloide
CH
3
CH
3
OCH
3
OCH
3
OH Pellotina o Peyotina*
CH
3
H OCH
3
OCH
3
OH Analonidina
CH
3
CH
3
OCH
3
OCH
2
-O-Lofoforina o Lofotina*
CH
3
H OCH
3
OCH
2
-O-Analonina
HHOCH
3
OCH
3
OH Analamina
HHOCH
3
OCH
3
OCH
3
Analinina
CH
3
H OCH
3
OCH
3
OCH
3
O-metil-analonidina
HCH
3
OCH
3
OCH
3
OH Analidina o Analotina*
* Rispettivo derivato quaternalizzato
Tutti gli alcaloidi sono biogeneticamente correlabili agli amminoacidi
naturali tirosina, fenilalanina e alla 3,4-diidrossifenilalanina, ciò è particolarmente
evidente per le feniletilammine, ma vale anche per le isochinoline, infatti, è molto
probabile che gli alcaloidi feniletilamminici siano precursori nella via biosintetica
degli alcaloidi tetraidroisochinolinici. L'evidenza di questa correlazione è
dimostrata dal fatto che nel peyote e in alcune altre specie di piante c'è la presenza
simultanea di feniletilamine e isochinoline che hanno entrambe la catena laterale