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1. IL CAMMINO VERSO IL CINEMA
1.2 Dall’infanzia a The Falls: strutture e Land Art
Alla maniera di uno scrittore molto caro a Peter Greenaway, Jorge Luis Borges, anche la vita
di questo regista non è “prodiga di episodi spettacolari o piccanti”
1
. In effetti non si può certo
affermare che la notorietà o il successo che può aver ottenuto Greenaway si debba in qualche
modo, anche minimo, a una biografia nutrita di storie misteriose, intriganti o scandalose.
Nonostante ciò non si può negare che ogni sua opera sia impregnata delle sue idee e,
conseguentemente, di elementi autobiografici anche se non dichiaratamente presentati come
tali. In molti personaggi dei suoi film possiamo riconoscere alcuni tratti della sua personalità,
molte creature fuoriuscite dalle sceneggiature incarnano le ossessioni greenawayane e in ogni
sua opera gli attori non sono altro che veicoli al servizio delle idee: “Voglio propagandare un
cinema delle idee senza necessariamente sostenere un’idea in particolare. […] io discuto di
cinema per amor suo”
2
.
Nei suoi film le idee sottese sono integrate e fuse in maniera magistrale con la narrazione e
l’immagine, e il tutto è regolato da ferree strutture organizzative.
Ma come si è avvicinato al mondo della pellicola il visionario regista britannico? Nato nel
1942 in Galles, dopo pochi anni la famiglia si sposta nella periferia di Londra. Cresciuto in
una famiglia piccolo borghese, nutre sin da piccolo una passione per la storia naturale e per
l’ornitologia, probabilmente assorbite per osmosi dal padre, uomo d’affari che nel tempo
libero si dilettava di tali svaghi. Già dagli otto / nove anni inizia a collezionare insetti e
continuerà per oltre una decina d’anni: possiamo ravvisare qui un’ anticipazione della sua
smisurata propensione alla catalogazione dell’esistente, alla tensione verso una
categorizzazione delle infinite varietà del reale
3
.
Frequenta una scuola pubblica di matrice anglicana e conservatrice, di cui mal sopporta la
rigidità ma che lo infarcisce di letteratura inglese e lo spinge ad iniziare a disegnare; nel
frattempo studia storia e mitologia. A quell’epoca sogna di diventare pittore e si diverte a
stendere brevi racconti. Nonostante i genitori vorrebbero diventasse avvocato, il suo desiderio
1
Fernando Savater, Borges, Bari, Laterza, 2003, p. 7
2
Jonathan Hacker, David Price, Take Ten: Contemporary British Film Directors, Oxford, Clarendon, 1991,
p. 212
3
Cfr. Giovanni Bogani, Peter Greenaway, Milano, Il Castoro, 1999, p. 30
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di dipingere lo porta a iscriversi a una scuola d’arte, la Walthamstow Art School, che si rivela
un ambiente più “fresco” e moderno rispetto all’istituto precedente ma che è comunque
pervasa da un notevole accademismo.
Un giorno del 1958 capiterà casualmente in un cinema , in seguito all’annullamento di una
partita di cricket, ed assisterà alla proiezione de Il Settimo Sigillo (Det sjunde inseglet, Ingmar
Bergman, 1957). Il sedicenne Greenaway ne rimarrà talmente folgorato da andarlo a rivedere
numerose volte i giorni seguenti e, in seguito, dichiarerà a proposito del film:
Ci ritrovavo qualcosa che conoscevo sia dalla letteratura che dal cinema. C’erano la metafora, il
significato letterale e simbolico, le assurde regole di una partita a scacchi con la Morte, nozioni di storia e
di mitologia. Era un film in costume come fino ad allora non ne avevo mai visti, con un’azione
drammatica che avresti voluto non finisse mai.
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Da questo commento possiamo osservare che già dal primo approccio vero e proprio al
cinema (prima seguiva ogni tanto i film commerciali inglesi e hollywoodiani) si definisce la
propensione per un cinema denso di riferimenti e stratificazioni culturali, con un una netta
presenza di livelli simbolici e metaforici a completare l’alchimia di tensione drammatica e
gusto figurativo.
La nuova passione lo spinge iscriversi a un corso di cinema europeo, grazie al quale ha modo
di visionare vari film di registi italiani, quali Michelangelo Antonioni o Pier Paolo Pasolini, e
alcune pellicole francesi. Talmente affascinato da queste ultime si reca in viaggio a Parigi,
dove può approfondire la conoscenza di cineasti come François Truffaut, Jean-Luc Godard e
Alain Resnais; di quest’ultimo lo impressiona particolarmente il modo assolutamente inusuale
e originale in cui viene trattato il tempo in L’anno scorso a Marienbad (L’année dernière à
Marienbad, Alain Resnais, 1961)
5
.
Nel 1962 compie il suo esordio in 8 mm con una breve pellicola chiamata Death of Sentiment,
un breve compendio sull’architettura funeraria dei cimiteri. Contemporaneamente tenta
l’iscrizione al Royal College of Art Film School, neonata scuola affiliata alla Royal Court of
Art. Molte sono le domande e davvero pochi i posti; il futuro regista viene rifiutato.
Pur intraprendendo una breve carriera, stigmatizzata in seguito dallo stesso Greenaway, come
critico cinematografico presso alcune riviste universitarie, torna a dedicarsi alla pittura;
giunge in quegli anni anche ad esporre i suoi quadri a Londra in una mostra intitolata
4
Marcia Pally, “Cinema as The Total Art Form”, Cineaste, vol. XVIII, n. 3, 1991, p. 6
5
Cfr. Giovanni Bogani, op. cit., p. 31
9
Ejzenštejn at Winter Palace, titolo che tradisce il permanere della sua passione per il cinema
palesata qui come omaggio al teorico e regista sovietico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn
6
.
I suoi dipinti, che variano dalle grande dimensioni a quelle di un francobollo, sono spesso
accompagnati da storie e racconti aneddotici da lui stesso scritti; questi risentono delle
influenze di Jorge Luis Borges e di Italo Calvino nella loro ironia paradossale, nella fantasia
labirintica e nell’enciclopedica erudizione. A loro volta i dipinti servono da illustrazione per i
racconti
7
.
Frattanto per guadagnarsi da vivere riesce a trovare un lavoro prima come portiere e poi nel
reparto distribuzione del BFI (British Film Institute, ovvero la maggiore istituzione
cinematografica della Gran Bretagna); grazie a questo impiego si riaccende la speranza di
poter approcciarsi in maniera pratica al cinema:
Al BFI […] ho avuto la possibilità di vedere centinaia di cortometraggi d’archivio, […] ho frequentato un
secondo corso sul cinema europeo, forse di maggiore valore rispetto al primo poiché ebbi l’opportunità di
visionare film sperimentali, visti raramente, film particolari e fatti in economia. È stato incoraggiante: se
si potevano realizzare film come questi, allora per me ci sarebbe potuta essere una possibilità.
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Nel 1965 assume un nuovo impiego, che manterrà fino al 1976, come montatore al COI
(Central Office of Information); qui egli non deve far altro che ordinare e assemblare
documentari per tale ente governativo (che si occupa di raccolta di informazioni, statistiche e
propaganda), documentari che forniscano ogni tipo di informazioni sul Regno Unito e
illustrino la way of life britannica.
A distanza di quattro anni dal suo primo cortometraggio, in particolare grazie alla
dimestichezza acquisita come montatore, nel 1966 riprende la produzione filmica con Train, a
cui seguiranno numerosi altri film autoprodotti. Nel 1969, dopo Intervals, riuscirà ad ottenere
assistenza per la distribuzione dal BFI, ente che assumerà in aggiunta il ruolo di finanziatore
dell’opera di Greenaway a partire da A Walk Through H, nel 1978. Due anni dopo, a chiudere
questo periodo giovanile di sperimentazione, sarà il suo primo lungometraggio The Falls.
Il regista gallese ha modo di confessare che se ha deciso di dedicarsi al cinema in un certo
momento è stato anche perché non era riuscito a far pubblicare i suoi innumerevoli libri e non
era riuscito a organizzare abbastanza mostre dei suoi quadri; il cinema, in questo senso, gli
6
Cfr. Alessandro Bencivenni, Anna Samueli, Peter Greenaway. Il cinema delle idee, Genova, Le Mani, 2000, p.
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7
Cfr. G. Bogani, op. cit., pp. 31-32
8
Jonathan Hacker, David Price, Elettra Aldani (a cura di), Il cinema secondo Greenaway, Milano, Nuove
Pratiche, 1996, p. 33
10
offriva la prospettiva alquanto ghiotta di poter far convogliare le sue opere letterarie e
pittoriche in una nuova forma
9
.
Pur formandosi in maniera non dissimile dal pioniere del documentario realistico John
Grierson, al contrario di quest’ultimo proprio il suo compito di produrre documentari in serie
lo porta a sviluppare l’idea della natura illusionistica intrinseca nel mezzo cinematografico.
Anzi proprio il documentario, con i suoi innumerevoli trucchi ed espedienti grafici da poter
utilizzare, rappresenta un tipo di prodotto cinematografico con le maggiori possibilità di dar
vita a universi immaginari. Paradossale che tutto ciò valga per il documentario, il genere che
vanta la maggior pretesa di realismo. A proposito di una tecnica tipica di questo prodotto,
ovvero la voce fuori campo, lo stesso regista gallese dichiara: “Il commento è un modo di
organizzare e strutturare le immagini. […] In Inghilterra abbiamo la tradizione del commento
della BBC: una voce autoritaria, la voce della ‘ragione’, apparentemente neutrale. Una voce
onnipotente, quasi la voce di Dio”
10
.Se ne deduce che il documentario permette sia la
creazione di una realtà artificiale grazie alle sue numerose possibilità tecniche sia che concede
facilmente una strutturazione filmica non dipendente dalla narrazione classica.
La propensione di Greenaway verso la non-narratività dei suoi primi lavori deriva dalle
suggestioni delle neo-avanguardie strutturaliste e minimaliste, nate tra gli anni ’50 e ’60 e
presenti ancora nei ’70. Avanguardie devote alla riscoperta della pura forma, con particolare
attenzione rivolta al processo compositivo e, quindi, con “lo spostamento dell’attenzione
dall’arte come oggetto all’arte come esecuzione di un processo”
11
. Di tutto il movimento
minimalista statunitense il giovane Greenaway è affascinato, in particolar modo, dalle
sperimentazioni sulla variazione, sulla serie e sulla durata dei musicisti della scena
newyorkese dei primi ’60 quali Philip Glass, Steve Reich e Terry Riley, influenzati in maniera
notevole da un compositore davvero innovativo come John Cage, autore di performance
silenziose quali 4’33’’. Un’altra opera di Cage influenzerà la struttura numerica del già citato
The Falls; inoltre Greenaway dedicherà a questo maestro della musica contemporanea una
parte del documentario televisivo Four American Composers (1983)
12
.
Tutto questo movimento provoca la nascita nel cinema underground, sia statunitense che
europeo, di una corrente “strutturalista” che propugna una ricerca volta alla realizzazione di
un cinema dalle forme pure in netto contrasto con il cinema commerciale di matrice
9
Antonio Maraldi (a cura di), Il cinema di Peter Greenaway, Cesena, Centro Cinema Città di Cesena, 1990, pp.
7-8
10
Massimo Chirivi, Peter Greenaway, Venezia, Ufficio attività cinematografiche del Comune di Venezia, 1991,
p. 18
11
Domenico De Gaetano, Peter Greenaway. Film video, installazioni, Torino, Lindau, 2008, pp. 14-15
12
Cfr. Ibidem