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INTRODUZIONE
Peter Eisenman è stato una delle figure più emergenti della seconda metà del 900. Pochi come
lui sono riusciti a lasciare un segno indelebile nel panorama architettonico di quegli anni.
Nasce in New Jersey nel 1932, e si forma a New York, fino a quando nel 1960 si sposta
in viaggio verso l’Europa, dapprima in Inghilterra, a Cambridge dove termina i suoi studi con
il conseguimento di un PhD, e successivamente in Italia. Qui ha modo di visitare gli edifici di
Palladio, ma soprattutto la città di Como, dove le opere di Giuseppe Terragni lo ispireranno
per le sue prime realizzazioni. La Casa del Fascio dell’architetto italiano rappresenta a pieno
l’impostazione formalista di Eisenman: le forme pure delle sue architetture seguono le ideologie
dell’architetto che ne farà modello di studio nella sua tesi di dottorato, e dalle quali prenderà
ispirazione per il suo ciclo “Houses”.
“La base formale dell’architettura moderna” viene scritta tra il 1961 e il 1963, ma pubblicata
solo 40 anni dopo. È in questo testo che Eisenman parla della forma, e cerca di porla alla
base dell’architettura moderna.
Nella tesi distingue la forma generica da quella specifica, trattando le proprietà della prima.
Da queste prende avvio per lo sviluppo dei nuovi sistemi formali e pone ad analisi le loro
trasformazioni, tramite l’applicazione della sua teoria ad alcune opere di Le Corbusier, Frank
Lloyd Wright, Alvar Alto, e infine Giuseppe Terragni.
Viene da chiedersi come lo scritto di Eisenman si relazioni agli sviluppi teorici di quegli stessi
anni, in cui ha origine il formalismo nel pensiero dell’architettura moderna. Inoltre, la tesi
è stata pubblicata quaranta anni dopo la sua stesura, tanto da farci domandare se vada
letta come se fosse stata pubblicata subito dopo averla scritta o alla luce degli sviluppi che
Eisenman ha compiuto in quello stesso lasso di tempo
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PIER VITTORIO AURELI, “Chi ha paura della forma? Origini e sviluppo del formalismo nel moderno e La base
formale dell’architettura moderna di Peter Eisenman”, introduzione al testo “La base formale dell’architettura
moderna”, Peter Eisenman, 2009 Edizione Pendragon
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La risposta però non ci è data sapere, ma è interessante vedere come il suo pensiero si rapporti
ad alcune delle più importanti figure emergenti di quegli anni ma anche a quelle antecedenti
a lui, e che hanno segnato il pensiero moderno.
La teoria di Eisenman sulla forma è stata influenzata dalla conoscenza di Colin Rowe,
sviluppatosi nel periodo in cui il formalismo artistico e architettonico è stato teorizzato.
Colin Rowe debutta nel panorama architettonico formalista con la sua opera “The Mathematics
of the Ideal Villa”, in cui analizza le opere Villa Foscari a Malcontenta di Palladio e la
Maison Strein a Garches di Le Corbusier. Entrambe le ville vengono analizzate separatamente
dal contesto, dapprima come oggetto architettonico assoluto di cui si mette in luce il dato
concettuale, ovvero la pianta, e poi dal punto di vista percettivo della forma architettonica,
ovvero l’alzato. In queste analisi prodotte da Rowe risulta evidente l’uso del diagramma,
come metodo di lettura dell’idea architettonica, che vedremo essere fondamentale anche
nell’approccio metodologico di Eisenman.
Lo stesso Rowe riprende l’uso del diagramma dal suo mentore Rudolf Wittkower, storico
dell’architettura, che con il suo testo “Architectural Principles in the Age of Humanism”, sposta
l’architettura Rinascimentale da una lettura puramente estetica ad una più analitica. I diagrammi
prodotti da Rowe e da Wittkower presentano però una differenza notevole: mentre il primo
si basa su schemi che suddividono gli spazi interni in modo semplice e leggibile, ovvero
usando il ritmo scandito da muri e pilastri ABABA, il secondo mette in risalto la sequenza e
la gerarchia degli spazi secondo lo schema ABCBA. I diagrammi di Rowe tendono quindi a
mostrare quasi in maniera più sofisticata il carattere costruttivo e percettivo degli spazi interni,
mentre Wittkower in maniera più strutturale e regolare, sottolinea il carattere organizzativo
della forma.
Eisenman scrive la sua tesi di dottorato distaccandosi dalla sofisticatezza dell’approccio di
Colin Rowe. Il suo obiettivo è analizzare la forma architettonica per principi, con lo scopo di
semplificare la comprensione di tutto il costruito.
Quello che fa Eisenman è quindi analizzare opere di grandi architetti che sono riusciti, a suo
parere, a mettere in primo piano la trasmissibilità del processo formale più che il programma
funzionale o la struttura, così da liberare la forma dal suo significato, dall’uso dei suoi spazi,
e dalla funzione strutturale dei suoi elementi.
Importante per lo sviluppo della tesi prodotta da Eisenman e del suo pensiero, è la figura di Le
Corbusier e più in particolare i quattro tipi di composizioni da lui analizzati e sviluppati. Negli
schizzi che produce di cinque sue opere, delle quali si mostra l’impianto generale e una vista
tridimensionale, si comprende immediatamente il suo pensiero senza il bisogno di ulteriori
argomentazioni. In questa analisi, ricorre all’individuazione di una forma generica mostrando
poi il suo sviluppo compositivo verso una forma specifica. È proprio questo che suggerisce ad
Eisenman il metodo di ricerca che sviluppa nella sua tesi di dottorato.
La forma generica, nella trasformazione in forma specifica, non dissolve tutte le sue potenzialità
e intelligibilità, allo stesso tempo la forma specifica stessa manifesta sempre il suo antecedente
generico.
La forma generica, vedremo fin dal primo capitolo, è per Eisenman l’antecedente di tutto, la
base per lo sviluppo di una chiarezza necessaria alla comprensione dell’architettura.
A seguito della definizione di una gerarchia architettonica, vedremo che per Eisenman è
importante la possibilità di postulare una grammatica formale, che ha come vincolo il controllo
di ogni sviluppo della forma definito da movimenti che essa stesa suggerisce.
Analizzeremo alcuni architetti, che in un primo momento sembrerebbero non essere in relazione
l’uno all’altro, ma che invece per Eisenman hanno prodotto almeno un’opera in cui si pone in
primo piano il processo formale più che la funzione o la struttura dell’oggetto stesso.
La sua opera nel ricercare così un nuovo linguaggio architettonico si pone sullo stesso piano
di altre ricerche teoriche del primo Novecento.
La tesi di Eisenman diviene quindi tappa fondamentale nel liberare la forma da qualsiasi
storicismo o significato, dall’uso funzionale o estetico, piuttosto quanto metterla al primo posto
nella definizione di una nuova teoria che vedremo essere definita dallo stesso autore “aperta”.
Da una prima analisi dell’opera, passeremo poi all’applicazione dei suoi principi in alcune
sue prime realizzazioni, che vedremo essere parte di quella che lui definisce “cardboard
architecture”, ovvero architettura di cartone. L’uso del modello diviene fondamentale per la
formazione di Eisenman, che ne sottolinea l’importanza rispetto all’oggetto costruito finale.
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Il modello di cartone, bianco, puro, privo di ogni tipo di decorazione, permette di concepire
al meglio la purezza della forma, e di concentrarsi quindi sulla logica sottesa ad essa. Non
solo il modello, anche i disegni, soprattutto quelli assonometrici, permettono di comprendere al
meglio l’architettura. Vedremo che il suo ciclo “Houses” usa quegli stessi sistemi formali studiati
nella sua tesi di dottorato, e si inserisce in quella che abbiamo definito cardboard architecture.
Le case che inizia a progettare risulteranno poco praticabili a livello funzionale, ma cariche
di significato. Gli edifici sono infatti soggetti a meccanismi di trasformazioni, come slittamenti,
rotazioni, incastri, che generano nell’osservatore un pensiero volto alla comprensione della
struttura sottesa alla forma stessa. Da qui deriva l’interesse per Eisenman di incentrare la sua
attenzione alla ricerca di un nuovo modello linguistico per l’architettura, realizzando tramite i
suoi progetti esercitazioni e formalismi carichi di semantica.
Le prime case che realizza per il ciclo “Houses” sono un esempio di applicazione di questi
concetti.
House I pone un’alternativa alle concezioni già esistenti nella tradizione architettonica per
quanto riguarda l’organizzazione spaziale. Il primo tentativo è quello di trovare una relazione
tra la forma e lo spazio, in modo tale da farli coesistere e generare un insieme di relazioni
formali. House I è quindi una prova per concepire e comprendere lo spazio in maniera logica,
indipendentemente dalla sua funzione o dal suo significato. Inoltre, l’osservatore non dovrà
far richiamo a nessuna sua conoscenza: non c’è bisogno di nessuna percezione soggettiva
per concepire lo spazio. La struttura profonda della casa, insieme alla realtà fisica in cui si
inserisce, ha la potenzialità di rendere percepibile un nuovo livello di informazioni.
Allo stesso modo anche House II interpreta le sue ideologie sul tema della forma.
La casa può essere definita come uno dei suoi primi successi, della quale lo stesso Eisenman ne
è consapevole. L’obiettivo primario di questo secondo elemento della serie è quello di ricreare
la sequenza di alberi, assenti sul sito. Per fare ciò Eisenman usa un sistema di colonne e muri
che generano una duplice percezione della casa: l’apertura verso l’esterno e la chiusura verso
l’interno.
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IMAN ANSARI, Intervista del 26 Aprile 2013 a Peter Eisenman
La cosa più bizzarra ma anche la più significativa è la presenza di un duplice sistema strutturale,
di muri e di colonne, che fa si che uno dei due risulti ridondante rispetto alle reali necessità
della casa. In questa ridondanza di elementi, viene creato un sistema di segni architettonici,
in cui ognuno di essi rappresenta la mancanza stessa di funzione. Il vero successo della casa
è confermato nel momento in cui una foto dell’edificio viene scambiata per il modello della
stessa
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Ritornando allo sviluppo della sua tesi di dottorato, una volta descritti i nuovi sistemi formali
e applicate le trasformazioni ad alcune delle più importanti opere di quegli anni, con la sua
teoria Eisenman si distacca dagli approcci tradizionali di quel periodo, che definisce chiusi
e che mirano alla sola presentazione di nuovi principi, senza davvero scrivere di una nuova
metodologia utile alla comprensione dell’architettura.
La teoria presentata da Eisenman diventa quindi “teoria aperta”, ovvero applicabile anche
ad altre opere successive alle sue. L’opera non va letta quindi come quella di Vitruvio, “I dieci
libri dell’architettura”, né come quella di Alberti, il “De Re Aedificatoria”, che mirano alla
sola estrapolazione di un principio concettuale, con ricerche limitate e specifiche. Piuttosto
il suo obiettivo, e secondo lui anche quello di un critico contemporaneo, è “imprimere un
ordine all’architettura, un punto di riferimento dal quale possa evolvere una comprensione
dell’opera”
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PETER EISENMAN, “La base formale dell’architettura moderna”, Edizione 2009 Pendragon, cit. p.296
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“LA BASE FORMALE DELL’ARCHITETTURA MODERNA”
La tesi di dottorato “La base formale dell’architettura moderna” viene scritta dall’architetto Peter
Eisenman tra il 1961 e il 1963, con l’obiettivo di ridare alla forma una posizione di primato
nel panorama architettonico di quegli anni.
Eisenman sottolinea l’importanza del processo architettonico più che seguire un rigido sistema
nell’approccio. Negli stili precedenti all’era in cui si sviluppa il suo pensiero, gli elementi per
la progettazione e il processo stesso erano completamente distaccati l’uno dall’altro. Quello
che cerca di fare con il suo movimento è proprio unire i due concetti, e più in particolare
eliminare tutto quello che non è funzionale alla comprensione dell’architettura.
Egli prova così a stabilire una teoria generale della forma che può avere validità universale,
indipendentemente dalle tradizioni storiche, morali o umane. I problemi sulla forma saranno
risolti con l’uso di una grammatica di elementi architettonici basati su una logica della sintassi
in cui tutte le forme sono variazioni di una generica antecedente. In questo modo l’architettura
sarà valutata in termini legati al linguaggio: la sintassi diviene l’insieme delle regole di base
che fornisce la direzione per una distorsione della forma generica (definita come volume,
superficie, massa e movimento).
Eisenman ci dice quindi che “la forma nel suo stato generico fornisce il riferimento concettuale
per tutte le manifestazioni fisiche della forma specifica”
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, destinata quindi a stabilire un
linguaggio formale universale indipendentemente dallo stile.
L’architettura per poter arrivare al destinatario in maniera chiara e precisa ha bisogno di un
ordine formale, che va ricercato nella corretta comprensione e analisi dei seguenti elementi:
la forma, l’intenzione o concetto, la funzione, la struttura e la tecnologia. Tali elementi si
inseriscono in un contesto storico confusionario e caratterizzato dalla presenza di diversi ideali
e approcci, che non permettono di avere una metodologia unitaria e chiara.
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PETER EISENMAN, “La base formale dell’architettura moderna”, Edizione 2009 Pendragon
Una certa forma, per esempio, non sempre ha la possibilità di ospitare una certa funzione
e allo stesso modo una funzione può apparire in base al soggetto che la analizza in diversi
modi, per esempio pratica o simbolica. È per questo che bisogna identificare un chiaro ordine
architettonico che ci permette di formulare la soluzione di tali problemi.
Eisenman cerca di dare risposta a questi ultimi, presentando una nuova gerarchia architettonica,
che si basa sul concetto primario di forma, e successivamente di intenzione, funzione, struttura
e tecnica.
Partendo quindi dal concetto di forma, che ci permetterà poi di definire i successivi elementi,
Eisenman ci dice che si divide in generica e specifica. La prima è la forma intesa in senso
platonico, mentre la seconda è una configurazione della precedente, che si modifica in base
al contesto in cui si inserisce, e quindi in base ad un’intenzione ben precisa.
La forma generica è quindi il primo elemento della gerarchia, e si rapporta di conseguenza al
concetto di funzione. Questa però è strettamente connessa alla forma specifica: per esempio,
per una stessa funzione esiste più di una forma specifica.
La forma specifica, essendo quindi derivata da quella generica, si definisce secondo i due
elementi di intenzione e funzione, che sono quindi i successivi nella gerarchia architettonica,
prima della struttura e della tecnologia.
La forma si rapporta infine con la struttura e di conseguenza con la tecnologia.
La struttura è ciò che costituisce le ossa di un edificio, e che permette quindi di attuare
nella pratica della realtà fisica, l’intenzione e la funzione. La tecnologia costituisce invece i
collegamenti dell’edificio, ovvero in senso pratico gli impianti e tutto ciò che permette di farlo
funzionare.
La struttura fino a che non viene applicata alla forma specifica e quindi ad un’intenzione o ad
una funzione, avrà l’obbligo di seguire solo regole assolute necessarie al suo funzionamento.
Nel momento in cui si determina la funzione interna degli spazi, la struttura si organizzerà di
conseguenza anche in base al materiale. La tecnologia ha invece a che fare con gli aspetti
specifici dell’edificio, di conseguenza relazionandosi con lo specifico piuttosto che con il
generico, occupa il posto più basso del nuovo ordine imposto da Eisenman.