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A tal proposito ho analizzando i passaggi fondamentali per sviluppare una
campagna pubblicitaria creativa e le varie componenti di un messaggio
pubblicitario avvalendomi dell’aiuto di un creativo il quale ha gentilmente
messo a mia disposizione alcuni suoi lavori.
Nel terzo capitolo ho analizzato il brand name e la sua potenza nei processi
di comunicazione e nell’architettura della marca.
Ho riportato alcuni esempi del significato di alcuni nomi di marca, ho
ripercorso l’iter della sua costruzione e confrontato le metodologie utilizzate
nelle principali agenzie. Infine ho voluto riportare degli esempi di aziende di
successo che hanno fatto dei loro brand delle vere leggende.
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CAPITOLO 1.
LE TEORIE SULLA PERSUASIONE DEGLI ATTEGGIAMENTI E
DEL COMPORTAMENTO SOCIALE
1.1 La persuasione negli atteggiamenti e comportamenti
Comunicando ci scambiamo informazioni riferite a fatti verificabili e
informazioni che riguardano opinioni, convincimenti, pregiudizi, credenze
fortemente soggettivi. Queste affermazioni possono essere trattate secondo
le categorie giusto/sbagliato, piuttosto che secondo quelle vero/falso. Si
può cercare di far coincidere “giusto” con “vero” presentando evidenze che
supportano le affermazioni.
Quando l’informazione che scambiamo non è riferibile a fatti oggettivi e ha
un’esplicita intenzione persuasiva, dobbiamo proporre interpretazioni
invece che evidenze, e dobbiamo formularle in modo tale che siano
condivisibili da soggettività diverse dalla nostra. A questa scelta di
delicatezza non c’è alternativa: se non abbiamo il potere necessario per
obbligare qualcuno a condividere un’opinione o a fare qualcosa, non ci
resta che rinunciare a priori, oppure provare a convincerlo. Se rinunciare a
ciò che per noi è giusto ci pare impossibile, allora la strada della
persuasione è l’unica praticabile. Ma per convincere qualcuno a decidere di
fare qualcosa dobbiamo prima intervenire sulle opinioni che lui ha a
proposito dell’avere quell’opinione che vorremmo condividesse, del fare
quella cosa che vorremmo facesse.
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In sostanza, possiamo dire che la comunicazione persuasiva orienta
opinioni e scelte che il destinatario resta libero di fare autonomamente.
Presenta, da questo punto di vista, un aspetto paradossale, già segnalato da
Aristotele: “si ottiene il massimo della presa quando si adottano le linee di
ragionamento che l’interlocutore è più incline ad accettare e quando si fa
appello alle motivazioni che più gli stanno a cuore”
1
. Sostenere una linea di
ragionamento significa argomentare, impiegando testimonianze o evidenze,
strutture verbali o concettuali che possano far presa sul destinatario in
chiave razionale o emozionale. Le tecniche della comunicazione persuasiva
sono antiche: si chiamano retorica. Il ragionamento sul come e il perché chi
sviluppa un’argomentazione persuasiva può generare convincimenti che
portano ad agire è stato spesso ripreso dai filosofi. Nel Novecento gli
psicologi si sono occupati di persuasione a partire da un punto di vista
differente: hanno cercato di capire in che cosa consiste un cambiamento di
atteggiamento, e qual è la dinamica che lo guida.
1
A. Testa, “La pubblicità. Suscitare emozioni per accendere desideri”, Il Mulino, seconda
edizione, 2004
8
1.2 La natura degli atteggiamenti
Il concetto di atteggiamento è stato per lungo tempo di grande importanza
nei tentativi di spiegare il comportamento sociale dell’uomo. Tuttavia
questo è un concetto astratto, privo di un significato o di una definizione
che sia assoluta e corretta. Si possono trovare molte definizioni degli
atteggiamenti, ma quella che viene più largamente usata è quella fornita da
Allport [1945] che definisce l’atteggiamento come “uno stato mentale di
prontezza, organizzato grazie all’esperienza, che esercita un’influenza
direttiva o dinamica sulle risposte dell’individuo a tutti gli oggetti e
situazioni con cui è in relazione”. Allo stesso modo, Krech e Crutchfield
[1948] definiscono gli atteggiamenti come “un’organizzazione permanente
di processi motivazionali, emotivi, percettivi e cognitivi riguardo ad alcuni
aspetti del mondo dell’individuo”
2
.
Entrambe queste definizioni stabiliscono o implicano le seguenti
caratteristiche fondamentali degli atteggiamenti:
1. Si riferiscono a persone o oggetti che fanno parte dell’ambiente
dell’individuo.
2. Formano una parte del modo in cui l’ individuo percepisce e reagisce al
suo ambiente. Incidono sui modi con cui attingiamo informazioni
dall’ambiente e di conseguenza influenzano la percezione delle mete
che vogliamo raggiungere; in questo senso hanno un carattere
motivazionale.
3. Vengono appresi e sono relativamente duraturi. Possono mutare, ma di
solito ciò avviene piuttosto lentamente.
4. Implicano valutazioni e sentimenti.
2
Keith C. Williams, Psicologia per il marketing, Il Mulino, 1988.
9
Quest’ultimo punto ha condotto molti studiosi a osservare che
l’atteggiamento ha due componenti fondamentali: le convinzioni personali
(belief), la probabilità cioè con cui un individuo si aspetta che una data
informazione sia vera; e i valori che sono determinati da tutto ciò che una
società considera buono o cattivo. Questa relazione è stata espressa in
questo modo:
Atteggiamento = Convinzione Personale x Valore
Altri ricercatori hanno aggiunto una terza componente, cioè l’intenzione di
agire, ed hanno preso in esame tre componenti come caratterizzanti gli
atteggiamenti:
1. La componente cognitiva o di conoscenza, che si riferisce alla
convinzione che una data affermazione sia vera o falsa.
2. La componente affettiva o emotiva che coinvolge sentimenti positivi o
negativi.
3. La componente conativa o di “tendenza di comportamento” che si
traduce nella tendenza a comportarsi in un determinato modo.
Nel prendere in esame il concetto di atteggiamento è anche importante
capire le ragioni per cui la gente ha particolari atteggiamenti. D. Katz
[1960]
3
ha identificato quattro funzioni che costituiscono la base
motivazionale degli atteggiamenti:
3
Keith C. Williams, Psicologia per il marketing, Il Mulino, 1988, op. cit.
10
1. La funzione strumentale o adattiva. Essa dirige la gente verso gli oggetti
gratificanti e la allontana da quelli non desiderabili.
2. La funzione di difesa dell’io. Permette alla gente di difendersi dal dover
riconoscere le proprie mancanze.
3. La funzione di espressione del valore. Essa permette alla gente di
realizzare un’espressione di sé sulla base dei valori che vive come
fondamentali.
4. La funzione cognitiva. Rappresenta la componente cognitiva degli
atteggiamenti che dà coerenza e direzione all’esperienza.
Tenuto conto delle componenti e delle funzioni sopra menzionate, si può
constatare che ciò che caratterizza gli atteggiamenti è la loro molteplicità; è
difficile cioè fare una distinzione tra le componenti individuali e le funzioni
più generali svolte da un qualsiasi atteggiamento particolare.
11
1.3 Gli atteggiamenti ed il comportamento
Nel paragrafo precedente si è suggerito che il comportamento deriva
dall’avere determinati atteggiamenti. Il problema, comunque, è che il
comportamento in realtà può determinare e determina gli atteggiamenti,
ragion per cui la relazione reciproca deve essere considerata come
interattiva
4
:
Atteggiamenti Comportamento
Gli atteggiamenti non sono gli unici fattori determinanti. Ancora una volta,
ci sono molte variabili che possono incidere sul ruolo giocato dagli
atteggiamenti nel determinar un comportamento. Ecco qui di seguito
alcune di queste variabili:
1. La forza dell’atteggiamento. Più forte è l’atteggiamento, e maggiore sarà
il grado con cui si può prevedere un determinato comportamento.
2. L’esistenza di altri atteggiamenti. Atteggiamenti piuttosto forti possono
inibire o interferire con l’espressione di comportamenti dovuti ad
atteggiamenti più deboli.
3. L’abilità di rispondere ad un atteggiamento. Doob [1947] sostiene che,
essendo gli atteggiamenti delle predisposizioni apprese a rispondere, noi
dobbiamo, quando acquisiamo un atteggiamento, apprendere anche le
risposte da dare a quell’atteggiamento.
4. I fattori situazionali costituiti dalle variabili dell’ambiente sociale. Belk
[1975] ne ha identificati cinque.
a) L’ambiente fisico,in cui si verifica il comportamento.
4
Keith C. Williams, Psicologia per il marketing, Il Mulino, 1988, op. cit.
12
b) L’ambiente sociale, comprese le altre persone presenti nella
situazione.
c) La prospettiva temporale, includendovi la stagione e il momento
della giornata.
d) La definizione del compito, che è il modo in cui la persona
percepisce il compito.
e) Stati antecedenti, che sono le circostanze fortuite e contingenti
come lo stato d’animo dei consumatori e il denaro a disposizione.
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1.4 Misurare gli atteggiamenti
Dal momento che gli atteggiamenti sono costrutti ipotetici, essi non sono
direttamente osservabili e la loro forza e direzione può solo essere inferita.
Anche così, è necessario qualche tentativo per quantificare gli
atteggiamenti, se vogliamo confrontare sia individui che gruppi e accertare
di conseguenza possibili cambiamenti di comportamento negli individui
quando in essi avviene un mutamento di atteggiamento. E’ ovviamente
assai importante per l’uomo di marketing essere capace di determinare
l’effetto sugli atteggiamenti, ad esempio, delle comunicazioni pubblicitarie
e delle vendite promozionali, ma è di solito estremamente difficile la
misurazione delle espressioni di uno specifico atteggiamento nei termini
dei comportamenti generati da quello specifico atteggiamento.
Di conseguenza, le tecniche di misurazione degli atteggiamenti si
concentrano su tutto ciò che gli individui descrivono come i loro
“sentimenti” verso l’oggetto nei cui confronti hanno quei dati
atteggiamenti
5
. L’approccio più usato per la misurazione degli
atteggiamenti è stato quello delle scale di atteggiamento. Esse consistono in
insiemi di frasi o parole con cui si esprime un item di atteggiamento, la
descrizione cioè di una data presa di posizione nei confronti di un
problema, presa di posizione che si ritiene connessa ad un dato
atteggiamento. Di solito si cerca di misurare la valenza, cioè il grado di
sentimento positivo o negativo di un atteggiamento. Qui di seguito sono
riportate le tecniche di misurazione più conosciute basate su scale di
atteggiamento.
5
1982, Motivazione e personalità, Roma, Armando, seconda edizione
14
1.4.1. La scala di Thurstone
Questo metodo, realizzato da Thurstone e Chave [1929], richiede la
raccolta di quante più affermazioni possibili sul problema nei confronti del
quale vanno misurati gli atteggiamenti. Queste affermazioni devono essere
semplici e non ambigue e devono essere in grado di discriminare i diversi
atteggiamenti che la gente può avere nei confronti di quel determinato
problema. Nella fase successiva si chiede ad un ampio numero di persone,
preferibilmente più di cento, di ordinare le frasi in undici gruppetti che
rappresentano una scala che va dall’atteggiamento più favorevole a quello
più sfavorevole nei confronti di quel dato problema. Si chiede ai giudici di
non esprimere i loro atteggiamenti personali, ma di essere più obiettivi
possibile nell’indicare il grado in cui la frase è sfavorevole o favorevole nei
confronti del problema in questione. A ciascuna affermazione viene così
assegnato un valore che indica il grado con cui rappresenta un
atteggiamento favorevole o sfavorevole. Viene poi scelto un limitato
numero di affermazioni, possibilmente venti, sulle quali i giudici si trovano
d’accordo e i cui valori scalari si collocano approssimativamente a
intervalli uguali:sono esse che formano la scala di atteggiamento . Ai
soggetti vengono presentate in ordine casuale questa ventina di
affermazioni che sono state scelte e viene chiesto loro di indicare con quali
sono d’accordo. Controllando i valori numerici prefissati e attribuiti dai
giudici a ciascuna frase utilizzata, si ottiene una misura degli atteggiamenti
di ciascun soggetto.
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Valori scalari Affermazioni
0,5 Penso che la Chiesa sia la più grande istituzione per l’elevazione
morale del mondo.
2,4 Penso che la Chiesa stia tentando di adattarsi al mondo scientifico
e meriti sostegno.
5,2 Non sono né a favore né contrario alla Chiesa, ma non credo che
l’andare in Chiesa danneggi qualcuno.
8,0 Mi pare che la Chiesa sia meschina, sempre occupata a fare delle
questioni su cose di pochissima importanza.
11,0 Per la Chiesa non provo altro che disprezzo.
I valori scalari rappresentano il grado di atteggiamento positivo o negativo
verso la Chiesa, 1 è il valore dato dall’atteggiamento più favorevole, 11 a
quello meno favorevole e 6 ad un atteggiamento neutrale. Perciò si
potrebbe concludere che un individuo in accordo con frasi di punteggio
medio pari a 5,2 abbia un atteggiamento un po’ favorevole verso la Chiesa.
La scala di Thurstone offre il vantaggio di attribuire alle frasi dei valori
numerici basati sul consenso dei giudici accertato precedentemente all’uso
effettivo della scala. Questi valori sono perciò basati sulle percezioni
sociali della società in cui avviene il controllo. Bisogna tener presente,
comunque, che la scala ha a che fare con intervalli solo in apparenza simili,
che possono essere uguali come possono non esserlo. Ancora una volta,
l’uso di un continuum di 11 unità è arbitrario così che, ad esempio, un
punteggio di quattro non è necessariamente il doppio di un punteggio di
due. Un altro problema è che la costruzione della scala è complicata e
lunga; inoltre, anche se i suoi risultati si sono dimostrati attendibili, non
viene più molto usata.