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1 Introduzione
Il disturbo di panico (DP) con o senza agorafobia è una patologia mentale molto
frequente nella popolazione generale: secondo recenti studi epidemiologici la
prevalenza lifetime del disturbo si aggira intorno al 4,7% (Kessler et al., 2006).
Il decorso del DP risulta estremamente variabile (può essere un decorso cronico,
ricorrente o remittente) (Cassano, 2006); tuttavia in una percentuale elevata di pazienti
il disturbo persiste per anni e può determinare un notevole indebolimento del
funzionamento della persona ed una sostanziale riduzione della qualità della vita.
Come sempre accade nella patologia psichiatrica, anche il disturbo di panico va
interpretato come un disturbo a genesi sostanzialmente multifattoriale, dove i diversi
fattori implicati (fattori genetici, biochimici, ambientali, relazionali) interagiscono tra
loro (Rizzoli & Smeraldi, 1993).
Sono stati effettuati vari tentativi di correlare il DP e la relativa componente
agorafobica con particolari caratteristiche di personalità, partendo da prospettive
diverse e con strumenti di indagine differenti (Cassano & Pancheri, 1999).
La personalità può essere definita come l’insieme delle modalità di comportamento,
di pensiero e di relazionarsi con gli altri inerenti un dato soggetto, su base sia congenita
che acquisita; essa comprende il temperamento, che è il fondo biologico, umorale che
indirizza le condotte del soggetto, e il carattere, il quale si riferisce allo stile di
comportamento, legato non solo a fattori costituzionali ma anche a modalità apprese
(Cassano, 2006).
Questo elaborato si propone di esaminare la letteratura presente rispetto alle possibili
relazioni che sussistono tra i tratti di personalità, disturbi di personalità e disturbi
d’ansia, in particolare il DP. Le principali ipotesi sviluppate in letteratura sul tema di
questa relazione, suggeriscono varie possibilità di legame.
Essenzialmente le caratteristiche personologiche sono state studiate in relazione ai
disturbi d’ansia sotto varie prospettive:
quali fattori di predisposizione,
fenotipi che conseguono al disturbo di asse I,
manifestazioni cliniche a comune genesi ezipatologica,
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fattori con non ben definita relazione causa effetto o di associazione ma da
considerare come influenzanti la prognosi del disturbo di asse I (Brandes &
Bienvenu, 2006).
L’elaborato cercherà di fornire una review della letteratura analizzando validità e
solidità dei risultati proposti dagli studi a sostegno delle ipotesi teoriche degli Autori.
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2 Il Disturbo di Panico
Il disturbo di attacchi di panico, così come definito da Donald Klein nel 1962, è
caratterizzato dalla presenza di brevi e inattesi attacchi di ansia associati a fenomeni
cognitivi, neurovegetativi e comportamentali. Essi sono seguiti da una condizione di
attesa di successivi attacchi e di anticipazione ansiosa che alimenta una serie di
comportamenti di evitamento claustro- e agorafobici e quindi uno stato di dipendenza e
di demoralizzazione (Cassano, 2006).
2.1 Diagnosi categoriale
Secondo la definizione proposta nell’ultima edizione del manuale dell’American
Psychiatric Association (DSM-IV TR) l’attacco di panico è un episodio di intensa
paura o disagio, associato a una serie di sintomi somatici e cognitivi, che è in genere
inaspettato, insorge all’improvviso, ha una durata breve (da pochi minuti a mezz’ora) ed
è accompagnato da un senso di pericolo o catastrofe imminente o urgenza di
allontanarsi (American Psychiatric Association, 2002).
Per la diagnosi è necessaria la presenza di almeno 4 sintomi tra i 13 sintomi seguenti:
palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea o sensazione di soffocamento, sensazione di
asfissia, senso di oppressione o dolore toracico, nausea o disturbi addominali,
sensazione di sbandamento o svenimento oppure capogiri, derealizzazione (sensazione
di irrealtà) o depersonalizzazione (sensazione di essere distaccati da se stessi), paura di
impazzire o di fare qualcosa di incontrollato, paura di morire, paraestesie (sensazioni di
torpore o formicolio), vampate di caldo o sensazione di freddo (American Psychiatric
Association, 2002).
Gli attacchi che soddisfano tutti gli altri criteri ma che sono caratterizzati da meno di
4 sintomi somatici o cognitivi sono definiti attacchi di panico minori o paucisintomatici.
In genere, oltre che per il numero limitato di sintomi, gli attacchi minori si distinguono
da quelli maggiori sopra descritti anche per una intensità ridotta dell’esperienza ansiosa.
Tra i sintomi caratteristici degli attacchi minori sono da ricordare le vertigini, spesso
isolate, le palpitazioni, i sentimenti di irrealtà, le vampate di caldo ed i brividi di freddo
(Cassano & Pancheri, 1999).
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Gli attacchi di panico possono essere distinti in tre categorie, a seconda delle
circostanze in cui si manifestano e della presenza o assenza di fattori scatenanti
(American Psychiatric Association, 2002):
a) attacchi inattesi (non provocati): l’insorgenza dell’attacco è improvvisa e
inaspettata, apparentemente immotivata e non associata a fattori situazionali scatenanti
(il soggetto lo avverte come un fenomeno spontaneo, “a ciel sereno”);
b) attacchi situazionali (provocati): gli attacchi si manifestano pressoché
costantemente quando il soggetto è esposto ad un certo stimolo o situazione o in
previsione dell’esposizione;
c) attacchi sensibili alla situazione: sono simili agli attacchi di panico causati
dalla situazione, ma non sono invariabilmente associati allo stimolo e non si
manifestano necessariamente subito dopo l’esposizione; è possibile infatti che si
verifichino a distanza di un certo tempo dall’inizio dell’esposizione allo stimolo o
situazione.
Inoltre gli attacchi di panico possono essere classificati in diversi sottotipi in base
alla prevalenza di certi sintomi rispetto ad altri (Massana et al., 2001; Briggs, Stretch, &
Brandon, 1993; Lelliott & Bass, 1990):
a) sottotipo con sintomi respiratori
b) sottotipo con sintomi gastrointestinali
c) sottotipo con sintomi cardiaci
d) sottotipo con sintomi pseudoneurologici.
In un dato paziente gli attacchi di panico sono fenomeni psicopatologici omotipici
(si verificano sempre con le stesse modalità nello stesso paziente).Il disturbo di panico
(DP) è caratterizzato da ricorrenti e inaspettati attacchi di panico seguiti, almeno per un
mese, da preoccupazione costante di incorrere in un nuovo attacco o riguardo le
conseguenze che ne possono derivare (ansia anticipatoria) oppure da una
modificazione costante del proprio comportamento correlata agli attacchi (evitamento)
(American Psychiatric Association, 2002).
L’ansia anticipatoria viene quindi definita come “paura della paura” in quanto
legata al timore o ansia di incorrere in un attacco di panico. Essa può essere presente sia
come condizione di base durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane, sia
nel periodo precedente all’esposizione a situazioni fobiche.
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Il DP è spesso accompagnato da agorafobia, la quale consiste nella paura di trovarsi
in spazi aperti (ad esempio in una piazza) o in luoghi affollati o chiusi (come mezzi
pubblici, ascensori, automobili) oppure in situazioni nelle quali può risultare difficile o
imbarazzante allontanarsi o essere soccorsi nel caso in cui si verificasse una crisi
improvvisa (American Psychiatric Association, 2002). Il soggetto tipicamente sviluppa
quindi comportamenti di evitamento rivolti a questi luoghi o situazioni. Alcuni
individui riescono a sopportare le esposizioni ma con intenso disagio e con l’ansia che
si verifichi un attacco di panico. Spesso sono in grado di confrontarsi con la situazione
temuta soltanto in presenza di un accompagnatore.
Per la diagnosi di disturbo di panico, il DSM-IV TR richiede che gli attacchi siano
ricorrenti, inaspettati e che siano seguiti per almeno un mese da uno o più dei seguenti
sintomi: a) preoccupazione persistente di incorrere in un altro attacco di panico; b)
preoccupazione sulle possibili implicazioni o conseguenze degli attacchi; c)
significativo cambiamento del comportamento correlato agli attacchi. Inoltre la
componente agorafobica può essere presente o assente (diagnosi di disturbo di panico
con/senza agorafobia) e gli attacchi non devono essere meglio giustificati dalla presenza
di un altro disturbo mentale, né dagli effetti fisiologici di una sostanza (es.,droga di
abuso), né da una condizione medica generale (es., ipertiroidismo) (American
Psychiatric Association, 2002).
2.2 Epidemiologia
La maggior parte degli studi epidemiologici stima che nella popolazione generale la
prevalenza lifetime del disturbo di panico sia del 4,7%, con un tasso del 2,8% in dodici
mesi (Kessler et al., 2006); per quanto riguarda l’agorafobia, la prevalenza lifetime varia
dallo 0,6% al 6% (Giberti & Rossi, 2005).
Uno studio recente svolto da Kessler e collaboratori su oltre novemila soggetti ha
stimato che la prevalenza lifetime:
− per gli attacchi di panico isolati senza agorafobia è del 22,7%;
− per gli attacchi di panico con agorafobia (ma senza che si sviluppi il disturbo di
panico) è dello 0,8%;
− per il disturbo di panico senza agorafobia è del 3,7%;
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− per il disturbo di panico con agorafobia è dell’1,1% (Kessler et al., 2006).
L’età di esordio si colloca tra i 15 e i 35 anni (in media 25 anni), tuttavia il DP può
insorgere anche nell’infanzia o dopo i 45 anni (American Psychiatric Association,
2002).
Disturbo di panico e agorafobia sono entrambi maggiormente presenti nelle donne:
il DP senza agorafobia viene diagnosticato con una frequenza doppia nel sesso
femminile, mentre per il DP con agorafobia il rapporto maschi/femmine è di 1 : 3
(American Psychiatric Association, 2002).
2.3 Eziopatogenesi
Per quanto riguarda l’eziopatogenesi del DP, sembrano essere coinvolti i sistemi
neurotrasmettitoriali principali (serotoninergico, noradrenergico e GABAergico) e
aree funzionali specifiche: il tronco cerebrale (in particolare il locus coeruleus e il
nucleo del rafe, che sarebbe implicato nello sviluppo dell’attacco di panico), il sistema
limbico (forse alla base dell’ansia anticipatoria) e la corteccia frontale (forse coinvolta
nell’evitamento) (Cassano, 2006).
Sulla base di queste evidenze si sono sviluppati due modelli interpretativi differenti.
Il primo filone (modello omeostatico) vede l’attacco di panico come un fenomeno
legato al malfunzionamento dei sistemi del tronco dell’encefalo che controllano le
funzioni omeostatiche (respirazione, funzione cardiaca e vestibolare). Il secondo filone
(modello dei circuiti della paura) esclude che ci sia un malfunzionamento dei sistemi
omeostatici e propone invece che il panico rappresenti una reazione di paura eccessiva e
immotivata verso generiche e fisiologiche sensazioni corporee; essa è modulata dai
circuiti della paura il cui fulcro è situato nell’amigdala (Bellodi, 2005).
Studi familiari e gemellari indicano una possibile ereditarietà del disturbo. Il rischio
per i parenti di primo grado di un soggetto con DP di contrarre la medesima patologia è
da 4 a 8 volte maggiore rispetto a quello di andare incontro ad altre patologie
psichiatriche (Giberti & Rossi, 2005). In particolare, secondo uno studio familiare
condotto da Crowe e collaboratori, il rischio per i parenti di primo grado risulta essere
intorno al 25%, significativamente superiore al rischio del 2% per i soggetti di controllo
(Crowe, Noyes, Pauls, & Slymen, 1983). Allo stesso modo, la concordanza per il DP
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nei gemelli monozigoti è risultata maggiore che nei dizigoti ( 31%versus 10%)
(Torgersen, 1983).
2.4 Fenomenologia Psicopatologica
L’attacco di panico ha un esordio brusco, avviene in assenza di un reale pericolo e
nel giro di pochi minuti (circa 10) raggiunge il picco di massima intensità.
Successivamente, entro massimo mezz’ora, le manifestazioni cliniche si esauriscono
spontaneamente e si verifica una fase post-critica, caratterizzata da sintomi “simil-
influenzali” quali spossatezza, dolori muscolari, sensazione di “testa confusa” o
“vuota”, sbandamenti, vertigini. Questa fase può durare fino a qualche ora (Cassano &
Pancheri, 1999).
Circa la metà dei pazienti presenta attacchi di panico notturni che si verificano
solitamente nello stadio 2 e 3 del sonno e la cui sintomatologia è sovrapponibile a quella
degli episodi diurni (sintomi somatici e cognitivi) (Albert, Maina, Bergesio, & Bogetto,
2006). Il perpetuarsi degli attacchi notturni può provocare insonnia secondaria alla
paura di avere ulteriori crisi durante il sonno (Cassano, 2006).
Generalmente il paziente ricorda il primo attacco di panico come un’esperienza
alquanto drammatica, che rimane vivida nella sua memoria e lo stesso vale per la
situazione o il luogo in cui si è verificato (Cassano & Pancheri, 1999).
Il timore che gli attacchi possano ripetersi genera nel soggetto una condizione di
aspettativa ansiosa (ansia anticipatoria). Essa è connotata da uno stato di apprensione e
paura e da una serie di sintomi fisici analoghi a quelli dell’attacco di panico, dai quali si
distingue per l’insorgenza graduale, la durata protratta e per la minore fluttuazione
dell’intensità della sintomatologia. Inoltre l’ansia anticipatoria può essere controllata dal
soggetto attraverso rassicurazioni o allontanandosi dalla situazione temuta, mentre
l’attacco di panico sfugge al suo controllo una volta innescato. In alcuni casi l’ansia
anticipatoria può essere talmente persistente che determina uno “stato di allarme”
caratterizzato da preoccupazioni e timore riguardo le conseguenze degli attacchi; questa
condizione è spesso fonte di grave sofferenza e può permanere anche quando gli episodi
critici si sono diradati (Cassano & Pancheri, 1999).