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Introduzione
L’espressione “disabilità” sottolinea il deficit, quello che manca rispetto ad
un’ “abilità”, rispetto, cioè, ad un’idea di “normale”. Ma la normalità esiste?
E cos’è? Queste parole, tratte dal romanzo “Nati due volte” di G. Pontiggia,
sembrano ben rispondere a questa domanda:
“Chi è normale? Nessuno. Quando si è feriti dalla diversità, la prima rea-
zione non è di accettarla, ma di negarla. E lo si fa cominciando a negare la
normalità. La normalità non esiste. Il lessico che la riguarda diventa a un
tratto reticente, ammiccante, vagamente sarcastico. Si usano, nel linguag-
gio orale, i segni di quello scritto: "I normali, tra virgolette". Oppure: "I
cosiddetti normali'".[...] La normalità - sottoposta ad analisi aggressive
non meno che la diversità - rivela incrinature, crepe, deficienze, ritardi fun-
zionali intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il bisogno della
norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora più temibile alla fine-
stra. Si finisce così per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle
cure per sopprimerlo. Non è negando le differenze che lo si combatte, ma
modificando l'immagine della norma.
1
”.
Molto spesso si pensa alla “normalità” come ad un’ uniformità fissa, in cui
non c’è spazio per qualcosa che si distingua da tutto il resto. La norma di-
venta, così, staticità, rigidità. Tutto ciò che appare diverso è visto come a-
nomalia da “curare”, per farla rientrare il più possibile in quell’uniformità,
oppure come un vero e proprio “nemico” da discriminare, combattere, ne-
gare. Nella storia dell’uomo, molto cammino è stato fatto, e certamente
molto dovrà essere ancora fatto, per accettare e rispettare le “differenze”, di
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Pontiggia G., Nati due volte, Mondadori, Milano, 2000.
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qualsiasi natura esse siano (di razza, di status sociale, culturali, di status e-
conomico, ecc.). Si può dire che proprio accettando, riconoscendo ed enfa-
tizzando le diversità progressivamente si modifica l’immagine della norma-
lità: da uniformità fissa sta diventando, così, pluralità di differenze.
Sulla scia di questa evoluzione di pensiero, anche il concetto di “disabilità”
sembra dover lasciare il posto ad un’altra espressione.
Disabilità sottolinea, in un’accezione negativa, che qualcosa non va, non
funziona, non è perfetta, pone l’attenzione solo e soltanto su ciò che manca
per “essere normali”. Disabilità è quella parola che, nella maggioranza delle
volte, fa pensare all’uomo in carrozzina che non riesce a salire sul marcia-
piedi, all'adolescente con ritardo mentale che non riesce a inserirsi a scuola,
alla bambina affetta da sindrome di down presa in giro dai compagni di
classe per il suo modo di porsi. Insomma, fa fermare il nostro sguardo solo
al deficit e oscura il valore della persona nella sua essenziale umanità.
Molti studiosi oggi propongono, come alternativa, la parola “diversabilità”.
R. Ghezzo
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la definisce come termine positivo e propositivo, e afferma che
“iniziare a usarlo possa aiutare a vedere le persone con deficit in una pro-
spettiva nuova, meno immediata nella constatazione del deficit, meno medi-
ca, più attenta a una storia, a un cammino di acquisizione di abilità”
3
. Del-
la stessa idea è anche Claudio Imprudente
4
, presidente del Centro Docu-
mentazione Handicap di Bologna, per il quale “diversabilità” è “… un nuo-
vo biglietto da visita. Il termine disabile è un biglietto da visita che parte
2
Roberto Ghezzo è animatore del Progetto Calamaio, ideato con C. Imprudente, che propone al
mondo della scuola, dell’università, del lavoro, percorsi formativi sulla diversità. È, inoltre, forma-
tore di insegnanti presso il Centro Documentazione Handicap di Bologna e curatore della rivista
HP-Accaparlante. Ha collaborato nella stesura di vari articoli e libri sul mondo della disabilità.
3
Ghezzo R., Diversabilità, in "L'integrazione scolastica e sociale", vol.1 n. 3, 2002.
4
Claudio Imprudente e’, nell’ordine: uno dei fondatori di Maranà-tha, una comunità di famiglie
che accoglie bambini in affido, persone con disagi psichici e sociali, donne sole con bimbi; pre-
sidente del Centro Documentazione Handicap di Bologna; direttore della rivista “HP- Accapar-
lante”; animatore e ideatore del “Progetto Calamaio”. È, inoltre, autore del libro autobiografi-
co “Una vita imprudente”, nel quale racconta la sua storia di persona, affetta da tetraparesi
spastica, che ha saputo fare della sua disabilità una risorsa.
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già male. E' come se uno bussasse alla porta e vi dicesse: "Buongiorno: so-
no una persona non abile". Il biglietto da visita deve cambiare: bisogna
sottolineare le abilità e non le disabilità”
5
.
Soltanto concependo la disabilità in questa nuova luce si può comprendere
l'importanza, per la persona disabile, di poter organizzare al meglio la pro-
pria vita, di progettarla a partire dalle risorse di cui dispone. A tale scopo, la
Legge 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali”), all'art. 14, prevede che, affinché si ottenga la
piena integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare della persona
disabile, i singoli interventi di integrazione siano tra loro coordinati, attra-
verso la realizzazione di progetti individuali e personalizzati, predisposti
dal Comune, d'intesa con la ASL.
Il progetto, così come definito dalla legge 328, è uno strumento innovativo
che guarda alla persona con disabilità non più come ad un semplice utente
di singoli servizi, ma come ad una persona con le sue esigenze e le sue po-
tenzialità da alimentare e promuovere.
Ho avuto modo, nella mia esperienza di studentessa del corso di laurea in
Servizio Sociale, di poter effettuare delle esperienze formative nel campo
della disabilità. Proprio in queste occasioni ho potuto osservare da vicino il
lavoro dell'assistente sociale in quest’area d'intervento dalle molteplici sfac-
cettature. Con la legge 328 nel campo dell'assistenza sociale vengono intro-
dotte numerose innovazioni, le quali, attualmente, non sono pienamente ap-
plicate a livello nazionale: tra questi il progetto di vita su’ citato, che po-
trebbe garantire, se applicato, il pieno rispetto e una migliore promozione
dei diritti delle persone disabili. Questo interesse ha, poi, portato a docu-
mentarmi più approfonditamente sul mondo della “disabilità/diversabilità” e
ad impegnarmi nella stesura di questo elaborato.
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Imprudente C., Una vita imprudente. Percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia, Erickson,
Trento, 2003.
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La tesi, che qui presento, è articolata in quattro capitoli.
Nel primo (“Da disabilità a diversabilità”) verrà trattata l'evoluzione del
concetto di disabilità nel corso dell'ultimo secolo. Si porrà attenzione alle
classificazioni che l'Organizzazione Mondiale della Sanità
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ha elaborato a
riguardo negli ultimi decenni (ICDH, ICF), le quali hanno contribuito a svi-
luppare una nuovo modo di approcciarsi alla persona disabile. In seguito si
illustrerà un nuovo strumento di tutela: la Convenzione Onu sui diritti delle
persone con disabilità.
Nel secondo capitolo (“Il progetto individualizzato per la persona disabile”)
si illustrerà una rassegna delle normative nazionali più importanti in tema di
disabilità e integrazione socio-sanitaria. L’attenzione si focalizzerà, in parti-
colare, sulla Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate, la Legge 104/1992 e sull’articolo 14 della Leg-
ge 328/2000.
Nel terzo capitolo (“Un progetto di vita per la persona disabile”) si tratterà
l’importanza del Progetto Individualizzato nella vita della persona diversa-
bile e se ne esporranno le caratteristiche salienti. Si proveranno a delineare
delle ipotesi per una sua elaborazione, trattando della strategia del lavoro di
rete tra i servizi e con la persona. Da un lato si focalizzerà l’attenzione sulla
funzione di case management che può essere svolta dall’assistente sociale;
dall’altra si tratterà del ruolo dell’esperto guida nel lavoro di rete con la per-
sona.
Nel quarto capitolo (“La campagna nazionale di Anffas Onlus”) si tratterà
dell'impegno di Anffas, Associazione Nazionale di famiglie di disabili intel-
lettivi e relazionali, da anni attiva, a livello nazionale, nell'assistenza sociale
e socio-sanitaria, nella ricerca scientifica e nella tutela dei diritti delle per-
6
L'OMS è un'agenzia dell'ONU specializzata per la salute, fondata nel 1946 ed entrata in vigore nel
1948, oggi con sede a Ginevra. L'agenzia ha come scopo il raggiungimento da parte di tutte le po-
polazioni di un livello più alto di salute, intesa come completo benessere fisico, mentale e sociale
e non soltanto come assenza di malattia o infermità. Attualmente l'OMS è governata da 193 Stati
membri, attraverso l'Assemblea Mondiale della Sanità, della quale fanno parte i rappresentanti
dei Ministeri della Sanità di ogni Stato membro.
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sone disabilità. In particolare, si parlerà della campagna informativa
sull'applicazione dell'art.14 della legge 328/2000, di cui l'Associazione è
promotrice, per poi trattare, brevemente, delle attività svolte dalla sede pe-
scarese di Anffas.
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Capitolo 1
DA DISABILITA’ A DIVERSABILITA’
1.1 Evoluzione del concetto di disabilità a livello internazionale: le clas-
sificazioni OMS
Definire la disabilità può sembrare qualcosa di immediato e semplice. In re-
altà si tratta di un concetto difficile da inquadrare, poiché il rischio è sempre
quello di non rappresentare a sufficienza la complessità del problema e ri-
durlo ad una questione puramente specialistica.
Lo sforzo che si deve fare è quello di non ridurre la disabilità ad una catego-
ria, non può voler dire solo deficit fisico-mentale o al contrario difficoltà
nell’integrazione sociale, per fare un esempio. Negli ultimi sessant’anni cir-
ca, si è assistito ad un’evoluzione delle definizioni di disabilità a livello in-
ternazionale: da classificazioni e standards basati sul modello medico si è
passati a quelli incentrati sul modello biopsicosociale.
Dal diciottesimo secolo, fino ad alcuni anni fa, il punto di vista adottato per
comprendere e spiegare la disabilità era, esclusivamente, quello del modello
medico. Tale modello si concentra esclusivamente sui deficit fisici, non
considerando gli altri aspetti, eventualmente problematici, della vita di una
persona: le persone con disabilità sono considerate malate, invalide. Di con-
seguenza l’unico trattamento possibile viene considerato il trattamento sani-
tario per la guarigione fisica.
Contrapposto a questo approccio è, invece, il modello biopsicosociale, il
quale considera la persona nella sua globalità, vale a dire nell’ “interscam-
bio attivo tra dimensione corporea, dimensione psichica e dimensione so-