fenomeno del cambiamento climatico. Tra questi, il Protocollo di Kyoto, firmato
nel 1997, rappresenta indubbiamente un risultato molto importante che cerca di
operare una correzione di rotta a modalità di gestione e sfruttamento delle
risorse terrestri non sostenibili nel lungo periodo, in particolare definendo limiti
giuridicamente vincolanti per le emissioni di gas serra.
Storicamente tematiche ambientali di questo tipo sono state affrontate dai
governi introducendo vincoli, modalità di monitoraggio, meccanismi di
controllo ed ispezione sulle emissioni in atmosfera degli impianti o siti
inquinanti. E’ in genere prevalso un approccio di tipo command and control: si
fissavano regole per la riduzione dell’inquinamento, destinate a settori d’attività
e/o tipologie di emissioni ben specifiche, per poi strutturare le procedure per il
controllo ed infine l’applicazione di sanzioni agli operatori non in regola. La
novità principale introdotta dal Protocollo di Kyoto è l’approccio differente
definito cap and trade, in cui gli operatori più virtuosi, che saranno in grado di
ridurre le emissioni al di sotto del livello predefinito, avranno la possibilità di
cedere sul mercato le quote corrispondenti a riduzioni di emissioni al di sotto dei
suddetti livelli. In tal modo, le imprese la cui struttura dei costi rende
economicamente conveniente ridurre le emissioni inquinanti hanno l’opportunità
di vendere i permessi di inquinamento alle imprese che, invece, hanno costi
maggiori di disinquinamento. Sulla base di tale approccio si basano i cosiddetti
meccanismi flessibili, ossia strumenti innovativi di adempimento orientati al
mercato e tesi a contenere i costi di abbattimento delle emissioni, previsti dallo
stesso Protocollo.
In questo quadro, è interessante ed attuale studiare le modalità applicative di tali
strumenti a livello nazionale e le potenziali implicazioni sui settori interessati.
Obiettivo della tesi, dunque, è spiegare il funzionamento dei meccanismi
flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto e del relativo commercio, cercando di
capire se siano efficaci o meno nel raggiungimento degli obiettivi fissati e
2
illustrando l’applicazione potenziale e reale di tale sistema nell’Unione Europea
ed, in particolare, in Italia.
La tesi è strutturata come segue: il prossimo capitolo rappresenta una sorta di
inquadramento alla questione del cambiamento climatico a cui il sistema dei
meccanismi flessibili cerca di fornire soluzione ed offre al lettore alcune
informazioni necessarie per poter comprendere la dimensione del problema, in
particolare fornendo un’analisi accurata degli aspetti rilevanti del Protocollo di
Kyoto e di come l’Unione Europea risponda agli obiettivi vincolanti stabiliti nel
medesimo Protocollo. Il terzo capitolo, si occupa di spiegare che tra gli
strumenti previsti dal Protocollo di Kyoto per raggiungere gli obiettivi di
riduzione delle emissioni, esistono i meccanismi flessibili che rientrano nella
categoria del sistema dei permessi trasferibili, uno degli strumenti che
l’economia dell’ambiente possiede per realizzare il controllo dell’inquinamento.
Nel quarto capitolo, invece, si illustrano i dettagli con cui il sistema dei permessi
trasferibili viene applicato nel Protocollo di Kyoto, facendo particolare
attenzione al sistema europeo di Emissions Trading. Il quinto capitolo analizza
la situazione dell’Italia, in modo da poter comprendere come il nostro Paese e le
aziende interessate (in particolare quelle del settore energetico e, per esse,
l’Enel) stanno tentando di implementare il Protocollo di Kyoto e il relativo
commercio europeo di Emissions Trading.
CAPITOLO 2:
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO, IL PROTOCOLLO DI KYOTO
E LA POLITICA AMBIENTALE DELL’UE
Il Protocollo di Kyoto con l’introduzione di un meccanismo di scambio di quote
di emissione rappresenta il documento legislativo più incisivo per combattere il
3
problema del cambiamento climatico. Tuttavia, per poter capire il meccanismo
del commercio delle emissioni alla base di tale documento, occorre, prima di
tutto, analizzare il problema ambientale a cui il suddetto meccanismo cerca di
fornire un’adeguata soluzione, per poi concentrarci su come l’Unione Europea
risponda agli obiettivi fissati a Kyoto, in modo da poter comprendere meglio se
il meccanismo dello scambio delle quote di emissione abbia avuto successo tra
le priorità politiche europee e se sia o non sia efficace per risolvere il problema
del mutamento climatico.
2.1 Il problema ambientale: il cambiamento climatico, le emissioni di CO
2
,
l’effetto serra, la necessità di ridurre le emissioni
E’ ormai dimostrato che il cambiamento climatico è una realtà. Sebbene le
variazioni di clima possano verificarsi naturalmente, è chiaro che l'attività
umana sta generando un aumento delle concentrazioni di gas serra
nell'atmosfera. La comunità scientifica è ora fermamente convinta che ciò
induce un aumento delle temperature terrestri con serie conseguenze per la
stabilità e l'equilibrio del clima. A chiara riprova del problema vi sono i seguenti
elementi, classificati nelle relazioni di valutazione del Gruppo intergovernativo
di esperti sui cambiamenti del clima (IPCC):
¾ nel corso degli ultimi 100 anni la temperatura media in Europa è
aumentata di 0,8° circa;
¾ l'ultimo decennio è stato il più caldo in assoluto e il 1998 l'anno più caldo;
¾ mentre in Europa settentrionale piove sempre di più, in Europa
meridionale piove sempre meno.
Le attuali previsioni suggeriscono che il cambiamento climatico indurrà un
aumento della temperatura tra 1 e 6 gradi centigradi entro il 2100, con
conseguenti innalzamenti del livello del mare fino a 90 cm e notevoli modifiche
4
dei modelli climatici, con più frequenti siccità, inondazioni, ondate di freddo e
forti tempeste (IPCC 2000). In Europa, le regioni settentrionali diventeranno più
calde e più umide e registreranno sempre più inondazioni e violente tempeste,
mentre le aree meridionali andranno incontro a sempre maggior siccità, con
notevoli conseguenze per l'agricoltura, la silvicoltura, le risorse idriche e il
turismo (Commissione europea 2000a).
Causa di questi possibili ma non auspicabili effetti sull’ambiente e sulla società
sono i cosiddetti “gas serra”. Con tale termine si definiscono quei gas che
influenzano il bilancio radiattivo (delle radiazioni) dell’atmosfera e modificano
gli equilibri climatici del pianeta. Generalmente essi vengono divisi in due
gruppi principali: quelli “radiattivamente attivi”, che modificano il clima
attraverso il loro effetto diretto sull’equilibrio energetico della Terra e quelli
“chimicamente attivi” che influenzano il clima indirettamente, reagendo
chimicamente con altri componenti dell’atmosfera e producendo gas
radiattivamente attivi. Al primo gruppo appartengono l’anidride carbonica,
l’ozono, il metano, il protossido d’azoto, i fluoroclorocarburi. Al secondo
gruppo appartengono il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto, i composti
organici volatili (COV) ed il biossido di zolfo. I composti organici volatili sono
sostanze organiche che, esposte all’aria, abbandonano lo stato liquido o solido in
cui si trovano e passano allo stato gassoso e concorrono alla produzione dello
smog fotochimico e all’assottigliamento della fascia d’ozono. Esempi di
composti organici volatili sono l’acetone, l’alcol etilico e metilico, il benzene.
Con il termine “effetto serra”, invece, si intende l’aumento del riscaldamento
della superficie della terra e degli strati bassi dell’atmosfera, derivante
dall’aumento delle concentrazioni di "gas serra" i quali, agendo come i pannelli
di vetro di una serra, consentono l’ingresso del calore ma ne impediscono
l’uscita.
La principale causa dell'aumento delle emissioni dei gas serra è la combustione
5
di combustibili fossili per automobili, automezzi pesanti, aeroplani, centrali
elettriche, sistemi di riscaldamento domestico, i quali rappresentano il principale
mezzo di produzione di energia dei Paesi industrializzati. L’energia, inoltre, è
essenziale per la crescita economica di cui hanno un disperato bisogno i Paesi in
via di sviluppo. La deforestazione e le modifiche dell'assetto territoriale sono
ulteriori importanti fattori che contribuiscono al rilascio di CO
2
nell'atmosfera. È
viceversa possibile ridurre la concentrazione di CO
2
nell'atmosfera mediante
tecniche di isolamento geologico e catturando il carbonio nella biomassa
(foreste) e nel suolo mediante la modifica dei modelli e delle pratiche di utilizzo
del territorio. Dunque, la CO
2
è probabilmente il più importante dei gas serra, in
quanto responsabile di circa il 60% dell’effetto serra provocato dall’uomo
(Turner, Pearce e Bateman 1996). Tra le altre fonti di gas serra vi sono le
emissioni di metano del bestiame, gli ossidi di azoto dei terreni agricoli, le
emissioni di metano generate dai rifiuti in discarica e le emissioni di gas
fluorurati dei processi di produzione. L'effetto dei gas serra può ritardare
ulteriormente il risanamento dello strato di ozono, che a sua volta influenza il
clima mondiale.
Un aspetto fondamentale del problema del mutamento climatico, e dello stato di
transizione cui esso dà luogo, tuttavia, deriva dal livello di incertezza che lo
circonda, in particolare, dall’incertezza sul tasso di mutamento climatico. E ciò,
perché, indipendentemente dal fatto che un mondo più caldo possa costituire un
beneficio o un danno, un mutamento rapido potrebbe sconvolgere sia le società e
le economie che gli ecosistemi naturali.
L’impatto dannoso sarà probabilmente più acuto nelle regioni che sono già
sottoposte al rischio e che perciò sono particolarmente vulnerabili, per esempio
quelle esposte ai rischi naturali di inondazioni ed erosioni di mari e fiumi, a
severi periodi di siccità, e quelle che si trovano in zone notoriamente colpite da
uragani. La vulnerabilità può essere definita come l’intensità con cui un sistema
6
reagisce negativamente all’insorgere di un evento dannoso, come un
innalzamento del livello dei mari. Reciprocamente, la resilienza di un sistema
rappresenta una misura della sua capacità di assorbire, adattarsi e reagire
all’insorgere di un evento dannoso. La vulnerabilità sarà determinata da fattori
sia ambientali (collocazione, tipo di clima e vegetazione locale, altitudine sul
livello del mare) sia economici (reddito e ricchezza della regione o nazione
interessata e sua capacità tecnologica). E’ tuttavia chiaro che molte regioni
costiere si trovano già ad affrontare i problemi connessi con l’innalzamento del
livello del mare. Questi problemi sono particolarmente gravi nei Paesi in via di
sviluppo dove l’impatto del mutamento climatico si è sovrapposto a un insieme
di carenze strutturali del sistema economico. I problemi posti dai fallimenti del
mercato (inquinamento e impoverimento di risorse) associati a errori e carenze
di intervento (interventi pubblici ridotti e non coordinati in zone costiere) hanno
sottoposto alcune regioni fisicamente vulnerabili a gravi rischi (Turner, Pearce e
Bateman 1996).
L’impatto del danno possibile derivante da un mutamento climatico, e gli effetti
distruttivi di una rapida transizione climatica sarebbero dunque significativi. Ciò
nonostante gli scienziati non possono affermare con certezza di aver percepito
un sicuro segnale dell’effettivo verificarsi del surriscaldamento globale.
L’incertezza stessa costituisce un aspetto cruciale, e la scienza non riesce ancora
ad offrire fatti concreti per quanto riguarda gli impatti futuri. L’aumento della
temperatura in questo secolo è coerente con la teoria del mutamento climatico,
ma non ne costituisce una prova definitiva. I climatologi, tuttavia, concordano
praticamente tutti sul fatto che i gas serra riscalderanno l’atmosfera e l’attività
economica continuerà a provocare l’emissione di tali gas. E’ dunque possibile
affermare che una serie di misure mirate alla riduzione delle emissioni di gas
serra costituisce una priorità politica urgente. Assumendo un approccio politico
precauzionale, ciò che si richiede è una strategia politica preventiva, e non
7
semplicemente di risposta. Questa strategia dovrebbe comportare misure volte
alla riduzione delle emissioni di gas serra, e conseguire una stabilizzazione del
clima a un livello tollerabile e modesto di mutamento della temperatura.
Per implementare l’approccio precauzionale sono necessari accordi
internazionali, accordi che assumono la veste giuridica della Convenzione
Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 e del Protocollo
di Kyoto del 1997; in particolare, quest’ultimo, che viene analizzato più
specificatamente nel paragrafo successivo, contiene numerose novità
concernenti il commercio delle emissioni ed è il documento cardine su cui si
incentra la tesi.
2.2 Il Protocollo di Kyoto e le azioni previste
La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
(Convenzione UNFCCC), approvata a New York il 9 maggio 1992, costituisce il
primo trattato internazionale vincolante riferito specificatamente ai cambiamenti
climatici mentre il Protocollo di Kyoto, adottato l’11 dicembre 1997,
rappresenta lo strumento attuativo della Convenzione e il primo accordo
multilaterale volto a fissare obiettivi specifici di riduzione delle emissioni per i
Paesi industrializzati e quelli ad economia di transizione (i Paesi dell’Est
europeo).
L’obiettivo generale incluso nelle pagine del Protocollo è quello di lottare contro
i cambiamenti climatici con un'azione internazionale mirante a ridurre le
emissioni di taluni gas ad effetto serra responsabili del riscaldamento del
pianeta. Il Protocollo di Kyoto concerne le emissioni di sei gas ad effetto serra
quali il biossido di carbonio (CO
2
), il metano (CH
4
), il protossido di azoto
(N
2
O), gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC), l’esafluoro di
zolfo (SF
6
) e rappresenta un passo avanti importante nella lotta contro il
8
riscaldamento planetario poiché contiene obiettivi vincolanti e quantificati di
limitazione e riduzione dei gas ad effetto serra. Globalmente, i Paesi elencati
nell'Allegato I della Convenzione quadro (Paesi industrializzati e Paesi ad
economia in transizione) si impegnano a ridurre le loro emissioni annue di gas
ad effetto serra di almeno il 5,2% rispetto ai livelli del 1990 nel periodo 2008-
2012 e ciò comporta, in particolare, per l’Unione Europea una riduzione delle
emissioni dell’8% rispetto ai livelli del 1990 sempre entro il periodo 2008-
2012
1
.
Per raggiungere questi obiettivi, il Protocollo propone una serie di
provvedimenti volti a rafforzare o istituire politiche nazionali di riduzione delle
emissioni (miglioramento dell'efficienza energetica, promozione di forme di
agricoltura sostenibili, sviluppo di fonti di energia rinnovabili) e volti ad una
maggiore cooperazione con le altre parti contraenti (scambi di esperienze o di
informazioni, coordinamento delle politiche nazionali a scopo di efficienza
attraverso meccanismi di cooperazione, quali i diritti di emissione, l'attuazione
congiunta e il meccanismo di sviluppo pulito, i quali saranno analizzati
successivamente in modo più dettagliato).
Il Protocollo contiene due criteri necessari affinché l’accordo entri in vigore.
Primo, almeno 55 partecipanti alla Convenzione sul Clima devono ratificare,
accettare, approvare o accedere al Protocollo. Secondo, tra questi vi devono
essere dei partecipanti inclusi nella lista dell’Allegato I del Protocollo (Paesi
industrializzati e ad economia in transizione), che complessivamente siano
responsabili del 55 per cento circa delle emissioni totali di anidride carbonica
emessa nel 1990. Questi requisiti sono stati soddisfatti con la ratifica da parte
della Russia avvenuta il 4 novembre 2004, che ha consentito al Protocollo di
Kyoto di entrare in vigore dal 16 febbraio 2005; a partire da questa data esso
1
All’interno dell’obiettivo dell’Unione Europea si pone l’obiettivo italiano di una riduzione del 6,5% delle
emissioni rispetto ai livelli del 1990, come si vedrà in seguito.
9
diventa un trattato internazionale di cui è obbligatorio il rispetto. Ad oggi, il
Protocollo è stato ratificato da ben 141 Paesi mentre tra i Paesi industrializzati
sono 4 quelli che non hanno ancora ratificato: Liechtenstein e Monaco che
producono un basso quantitativo di emissioni, l’Australia responsabile del 2,1%
e gli USA che con il 36,1% rappresentano un quarto delle emissioni globali.
E’ stato scritto tanto sui possibili impatti economici del Protocollo di Kyoto. Gli
economisti di ogni tendenza hanno usato sofisticati modelli per proiettare i costi
dell’attuazione in rapporto ai diversi Paesi e settori imprenditoriali e l’impatto di
queste misure su terzi. Molto spesso, i risultati tendevano a riflettere il punto di
vista iniziale dell’autore o dello sponsor. Mentre il Protocollo si è avvicinato a
trasformarsi in una realtà pratica ed è stato valutato l’impatto del ritiro degli
Stati Uniti da Kyoto, le ricerche svolte dal Gruppo intergovernativo di esperti
sui cambiamenti del clima nel 2001 hanno teso a basarsi su misure e proposte
politiche reali nonché su tecnologie accessibili. Le conclusioni indicano che per
la maggior parte dei Paesi raggiungere il proprio obiettivo presuppone costi
bassi, anche senza fare ricorso ai tre meccanismi flessibili di Kyoto (Attuazione
Congiunta, Meccanismo di Sviluppo Pulito e Commercio delle Emissioni) o ai
“serbatoi di carbonio” (sinks). La ricerca e i dati del nascente mercato
internazionale del carbonio prevedono che i costi della riduzione delle emissioni
saranno compresi tra i 3$ e i 20$ per tonnellata di anidride carbonica. Per tutti i
settori, tranne quelli a maggior intensità di energia, questa cifra raramente
rappresenta oltre il 3-5% dei costi energetici.
Il Terzo Rapporto redatto dalla Commissione Intergovernativa sul Cambiamento
Climatico (IPCC) delle Nazioni Unite (NU) suggerisce che l’impatto di Kyoto
sul prodotto interno lordo (PIL) dell’economia della maggior parte dei Paesi
industrializzati occidentali nel 2010 sarà inferiore all’1% senza il commercio
delle emissioni. Con il commercio realizzato soltanto tra gli Stati membri della
OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) il costo
10
scenderà a meno dello 0,5%, e nei singoli Paesi scenderà tra lo 0,1% e l’1,1%.
Questa cifra rappresenta una “perdita” annuale nel PIL previsto per il 2010 che
varia tra 0,1 e 0,01%. Infine, con il commercio delle emissioni la perdita del
PNL nei paesi OCSE (che comprende i principali paesi industrializzati) si
troverebbe al di sotto dello 0,2% (IPCC 2001). Per l’Unione Europea, questo
significherebbe che la crescita assoluta dell’economia dal 1995 al 2010 potrebbe
essere del 21,9% invece del previsto 22,0%. La differenza sarebbe impercettibile
e passerebbe in secondo piano rispetto agli altri fattori economici. Il Giappone
potrebbe sperimentare una crescita del PIL fino all’1% come risultato degli
incentivi di Kyoto per l’innovazione e l’efficienza dell’energia. Tutto ciò avrà
degli effetti positivi secondari sull’economia asiatica ed europea. Per i Paesi la
cui economia è in transizione, mettere in atto il Protocollo di Kyoto potrebbe
portare ad un’ulteriore crescita del PNL di diversi punti percentuali.
Nell’insieme, la ratifica e l’attuazione veloci potrebbero apportare grandi
benefici e costi minori.
La ricerca indipendente sull’impatto in termini di competitività derivante
dall’accettazione del Protocollo da parte dell’Unione Europea e del Giappone in
assenza degli Stati Uniti ha portato a conclusioni simili. L’effetto economico
dell’attuazione sarà irrilevante e in alcuni casi potrà essere perfino benefico. Ci
si aspetta che l’Unione Europea raggiunga l’85-95% dell’obiettivo di Kyoto
senza che questo influisca sulla competitività (Harmelink, Philipsen, De Jager e
Blok 2001). In Giappone, molti settori imprenditoriali, incluso quello dei
macchinari, così come altre produzioni e servizi industriali, noteranno come
risultato di Kyoto un valore aggiunto extra e l’incremento delle esportazioni.
La maggior parte degli studi - compresi quelli di cui si è parlato in precedenza -
non prendono in considerazione una quantità di benefici secondari risultanti dal
raggiungere gli obiettivi di Kyoto. E’ probabile che questi siano significativi,
specialmente per quei Paesi e quelle imprese che agiscono in fretta. Questi
11
benefici addizionali includono (WWF 2004a):
¾ l’accesso al nuovo mercato internazionale del carbonio, con un valore che
si stima superiore ai 30 miliardi di dollari, e la partecipazione al
Meccanismo di Sviluppo Pulito che potrebbe valere tra i 5 e i 17 miliardi
di dollari all’anno entro il 2012;
¾ l’accesso a nuovi mercati, in particolar modo quelli delle risorse e delle
tecnologie di energia sostenibile e dei servizi energetici. Il World Energy
Assessment dell’UNEP e dell’UNDP ha previsto che il mercato globale
per l’energia rinnovabile da solo raggiungerà tra i 40 e i 78 miliardi di
dollari all’anno entro il 2010 (UNDP 2000);
¾ l’opportunità di diventare leader nel campo della tecnologia e di guidare
le future tendenze di produzione;
¾ i guadagni potenzialmente significativi della produttività con
miglioramenti dell’efficienza nell’uso dell’energia e di altre risorse.
L’esperienza tratta da altri programmi di prevenzione dell’inquinamento
indica che i Paesi e i settori che adottano subito delle misure redditizie
hanno dei vantaggi significativi nella produttività del lavoro e delle risorse
in generale;
¾ i benefici economici, stimati in miliardi di dollari, derivanti dalla
riduzione dei livelli di inquinamento dell’aria e dal minor impatto delle
miniere e dei sondaggi per la ricerca di combustibili fossili;
¾ i benefici derivanti da una riduzione della domanda di energia e da
rifornimenti più diversificati;
¾ l’eliminazione dei costi associati ai danni causati dal cambiamento
climatico. E’ difficile quantificare i costi con certezza, ma i dati elaborati
dalle assicurazioni sulla base dei recenti disastri per cause climatiche e da
studi sull’impatto, suggeriscono che il costo dei danni ammonta già a
decine o centinaia di miliardi di dollari all’anno.
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Passando ad analizzare le previsioni scientifiche per il futuro, si può verificare
che, se si mantenesse anche in futuro l’attuale andamento delle emissioni di gas
serra, si avrebbe una crescita complessiva delle emissioni di circa il 20%
(Commissione europea 2001a). Di fronte a queste previsioni, la misura decisa a
Kyoto, di una riduzione complessiva del 5,2%, rappresenta un risultato tutt’altro
che trascurabile, perché significa che tutti questi Paesi dovranno in realtà
procedere ad un taglio delle loro emissioni tendenziali di circa il 25%. Va
sottolineato, tuttavia, che gli obiettivi di riduzione definiti dal Protocollo di
Kyoto, anche se rispettati, non sono sufficienti, comunque, a determinare una
situazione di emissione “sostenibile”: condizione necessaria perché ciò avvenga
è infatti che si possa conseguire una stabilizzazione delle concentrazioni di gas
serra. E’ dunque necessario prepararsi al cambiamento climatico, in quanto, il
lasso di tempo che intercorre fra la riduzione delle emissioni di gas serra e
l'effettiva riduzione delle concentrazioni è eccessivamente lungo. Dagli studi
emergono già una serie di aree problematiche, tra cui ad esempio:
¾ sistemi ed infrastrutture di trasporto ed energia, che dovranno resistere a
condizioni meteorologiche estreme;
¾ l'urbanistica dovrà favorire lo sviluppo di aree verdi nelle città ed
incoraggiare l'uso di materiali edili che contribuiscano a rendere le città
più fresche;
¾ le pratiche agricole e di utilizzo del territorio dovranno adattarsi a modelli
climatici diversi;
¾ la sanità pubblica dovrà combattere malattie come i disturbi gastrici, la cui
gamma è destinata ad aumentare a causa del clima più umido e caldo;
¾ i servizi di emergenza dovranno adattarsi e modernizzarsi con attrezzature
e procedure adeguate e produrre stime realistiche dei potenziali rischi del
cambiamento climatico.
Le politiche di adeguamento al mutamento climatico spettano in prima istanza ai
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singoli Stati e alle autorità regionali locali. L’Unione Europea può sostenerne
l'opera e il sesto programma d’azione ambientale, oggetto di studio del prossimo
paragrafo, prevede alcune azioni volte a limitare i danni del prospettato
cambiamento climatico, quali:
• riesame delle politiche comunitarie, soprattutto in materia di coesione, per
garantire che l'adeguamento alle conseguenze del cambiamento climatico
sia debitamente considerato nelle decisioni di investimento;
• sviluppo di strumenti di modellazione e determinazione del clima
regionale per elaborare misure di adeguamento regionali e favorire la
sensibilizzazione di cittadini e imprese.
2.3 La politica ambientale dell’Unione Europea e il Protocollo di Kyoto
Dopo aver esaminato gli obiettivi fissati, le misure previste e i possibili impatti
economici del Protocollo di Kyoto, che, come già detto, contiene le novità
inerenti il commercio delle emissioni oggetto del nostro studio, è arrivato il
momento di focalizzare l’attenzione sulla politica ambientale dell’Unione
Europea, per capire come la stessa Unione risponde agli obiettivi vincolanti
stabiliti a Kyoto.
2.3.1 L’Unione Europea e l’ambiente
In passato l’ambiente era considerato un tema di importanza secondaria,
appannaggio degli amanti della natura. Questa situazione è ora radicalmente
mutata. Infatti, negli ultimi decenni è diventato chiaro che il pianeta Terra è in
pericolo, a causa delle attività umane che inquinano l’aria, l’acqua, consumano
le risorse naturali (legna, pesci), distruggono l’habitat di animali e uccelli,
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