7equiprobabilità. Se egli accetta di partecipare al gioco e si verificherà
l’evento negativo, perde 10000 euro, egli proverà rammarico per la scelta
effettuata, ma anche se non dovesse accettare di partecipare al gioco e si
verificasse l’evento positivo, aver perso l’occasione di vincere 10000 euro gli
genera rammarico. La teoria dell’avversione al disappunto afferma che un
soggetto con una modesta avversione al rischio e con una modesta
avversione al disappunto, in presenza di un eccesso di rendimento del 5-6
per cento, investirà una quota nel titolo rischioso molto minore rispetto a
quella teorizzata dalla teoria tradizionale e cosa interessante tale quota è
compatibile con i dati osservati. La presenza di avversione al disappunto
riesce a spiegare il fatto che gli investitori acquistino una quota molto
minore di titoli rischiosi rispetto a quella ipotizzata dalla teoria
tradizionale.
Per mostrare tale risultato si è strutturata la tesi nel modo seguente.
Nel primo capitolo si effettua una veloce carrellata delle più importanti
critiche alla teoria tradizionale che hanno spinto alcuni economisti ad
indirizzare le loro ricerche in ambiti non tradizionali .
Nel secondo capitolo si espone la Teoria dei prospetti (1979) di Kahnemann
e Tversky teoria, che può essere considerata la vera e propria fondatrice
della behavioral finance .
Nel terzo capitolo si espone la teoria dell’avversione al disappunto di Gul.
Tale teoria costituisce a nostro avviso una evoluzione su base assiomatica
della teoria dei prospetti. Si noti inoltre che la stessa teoria dell’utilità
attesa viene contemplata in essa come caso speciale.
Nel quarto capitolo viene affrontato il tema dell’avversione al rischio di un
soggetto, sia per la finanza tradizionale che per la finanza comportamentale,
mostrando come in molti casi queste teorie non siano estremamente distanti
tra loro.
Nel quinto capitolo viene affrontata la questione della scelta di portafoglio
ottimale sia nell’ambito della teoria dell’utilità attesa che nell’ambito della
teoria dell’avversione al disappunto, si mostrerà come la quota investita in
titoli rischiosi differisca notevolmente nelle due teorie.
8Nel sesto capitolo viene introdotto il tema del paradosso del premio
azionario affrontato per la prima volta nel 1985 da Mehra e Prescott.
L’intento è quello di mostrare come mentre la teoria tradizionale fallisce
nella sua spiegazione, la finanza comportamentale ne fornisce una
spiegazione esauriente.
Nel settimo capitolo viene presentata una applicazione pratica in cui si
mostra come varia la quota investita seguendo la teoria tradizionale e quella
dell’avversione al disappunto.
91. La teoria tradizionale della scelta in
condizioni di incertezza
La teoria dell’utilità attesa ha dominato le decisioni in condizioni di
incertezza per lungo tempo, essa è generalmente accettata come un modello
normativo di scelta razionale, per cui gli agenti razionali vogliono ubbidire
agli assiomi di questa teoria (gli assiomi sono riportati in appendice).
L’applicazione della teoria dell’utilità attesa alle scelte tra prospetti
1
è
basata sui seguenti principi:
1) l’aspettativa: )(.....)(),;......;,(
1111 nnnn
xupxuppxpxU tale formula indica
che l’utilità attesa dei risultati di un prospetto ha forma additiva e ciò è
assicurato dal rispetto dell’assioma di indipendenza.
2) Integrazione fra attività: un prospetto è accettabile se l’utilità risultante
dall’integrazione del prospetto ),;......;,(
11 nn
pxpx con una singola posizione
attiva w eccede l’utilità di questa singola attività :
)(),;......;,(
11
wupxwpxwU
nn
! ciò implica che il dominio della funzione di
utilità è sugli stati finali piuttosto che sui guadagni e sulle perdite, in altre
parole ciò che conta è la ricchezza finale non le sue variazioni.
3) Avversione al rischio: la funzione di utilità è concava, ciò implica che il
soggetto sia avverso al rischio e quindi preferisce un prospetto certo ad
ogni prospetto rischioso il cui valore atteso sia pari al prospetto certo.
1
Un prospetto
nn
pxpx ,;.....;,
11
è un contratto che da come risultato
i
x con probabilità
i
p dove
1.....
21
n
ppp .
10
1.2. Assiomi di indipendenza e continuità
Affinché la teoria dell’utilità attesa possa essere applicata occorre che le
preferenze degli individui rispettino determinati assiomi, ma sia l’assioma
di continuità e soprattutto quello di indipendenza creano molti dubbi sulla
loro validità .
L’assioma della continuità :
per ogni r e p esiste un ǂ contenuto nell’insieme [0,1] tale che
r ~
pm
GDGD $$ )1( .
ovvero le preferenze sono continue, per mostrare tale risultato supponiamo
che r sia una distribuzione degenere che assegna probabilità 1 alla
conseguenza x, (r =
x
G ). L’individuo dovrà scegliere fra:
ottenere una data conseguenza con certezza,
x
G oppure può avere una
distribuzione di probabilità
pm
GDGD $$ )1( che ha come esiti
pm
oppureGG , .
Vogliamo che il soggetto indichi la probabilità che lo renda indifferente tra
queste due alternative, questo assioma asserisce che è sempre possibile
trovare una probabilità ǂ che renda l’individuo indifferente tra la
distribuzione e l’evento certo x .
Questo ǂ è l’utilità di x con ǂ = U(x), x è l’equivalente di certezza di
pm
GDGD $$ )1( ossia è la conseguenza che se ricevuta con certezza è
ritenuta equivalente alla distribuzione, ha quindi la stessa utilità.
Esempio. Supponiamo che la conseguenza migliore (m) sia quella di ottenere
1000 euro. La relativa distribuzione che assegna tale conseguenza sia
1000
m
G , la conseguenza peggiore (p) sia 0 e quindi
0
GG
p
. L’individuo
dovrà indicare la probabilità ǂ che lo rende indifferente tra l’avere 250
x
G
cioè 250 euro con certezza o partecipare a una lotteria in cui può avere 1000
euro con probabilità ǂ e 0 euro con probabilità 1- ǂ . In termini di utilità
dovrò indicare l’ǂ tale che U(250) = ǂU(1000) + (1- ǂ)U(0), siccome ǂ è una
11
probabilità possiamo scrivere U(1000) = 1 e U(0) = 0, sostituendo tali valori
nell’espressione abbiamo U(250) = ǂ se ǂ=0,5 avremo U(250) =
0,5U(1000)+0,5U(0) . L’individuo considera equivalente avere 250 con
certezza o partecipare ad una lotteria in cui può avere in media e non con
certezza il seguente valore atteso E(x) = 0,5*1000+0,5*0 = 500. La funzione
di utilità ǂ = U(x) oltre alle preferenze riflette anche la propensione
individuale al rischio. Supponiamo che un altro individuo consideri 125 euro
ottenuti con certezza equivalenti alla partecipazione al gioco precedente 125
ѝ 0.5 Ő 1000 Ҷ 0.5 Ő 0. L’individuo ritiene equivalente partecipare ad un gioco
il cui valore atteso è 500 o avere con certezza 125 euro, egli è quindi più
avverso al rischio dell’individuo di prima.
Graficamente una maggiore avversione al rischio si traduce in una funzione
di utilità con concavità maggiore. Il seguente grafico mette a confronto le
funzioni di utilità e come ci aspettavamo la funzione di utilità del primo
soggetto (quella in rosso) è meno concava di quella del secondo (quella in
marrone).
Assioma di indipendenza :
la distribuzione p è considerata indifferente rispetto alla distribuzione q
(cioè p ~ q) se e solo se : rp $$ )1( DD ~ rq $$ )1( DD
12
dove ǂ appartiene all’insieme [0,1] e r è una distribuzione qualsiasi.
Questo assioma è fondamentale per la formulazione dell’utilità attesa che
necessita che le utilità delle singole conseguenze siano ponderate con le
rispettive probabilità e sommate. L’operazione di somma è possibile solo se
le U(x) sono tra loro indipendenti, questo assioma dice proprio questo;
infatti ciascun lato di questa relazione può essere interpretato come una
particolare distribuzione di probabilità in cui con probabilità ǂ si riceve p (o
q) e con probabilità residua si ottiene r. Supponiamo che l’individuo debba
scegliere tra queste due distribuzioni rp $$ )1( DD e rq $$ )1( DD . La
differenza fra queste due distribuzioni riguarda solo la prima parte (p e q) ,
perciò l’indifferenza tra queste due distribuzioni è equivalente
all’indifferenza tra p e q quindi se per l’individuo p è indifferente rispetto a q
allora se in una distribuzione compare p come conseguenza possiamo
sostituirlo con q ottenendo un'altra distribuzione che è ritenuta equivalente
a quella di partenza.
Supponiamo che le distribuzioni abbiano solo due conseguenze c1 e c2 . Se p
e q sono valutate allo stesso modo dal consumatore abbiamo:
se r è un’altra distribuzione definita in modo analogo, allora per l’assioma di
indipendenza le due distribuzioni che si ottengono combinando p e r da una
parte e q e r dall’altra sono anch’esse indifferenti.
Il postulato di indipendenza garantisce inoltre che le curve di indifferenza
siano delle rette parallele.
Facciamo un esempio. Supponiamo che vi siano solo tre conseguenze si ha:
13
Poiché ,possiamo scrivere l’equazione di una curva di
indifferenza :
Da cui:
Le curve di indifferenza sono delle rette perché dall’assioma di indipendenza
ogni distribuzione che si trova sul segmento che congiunge p con q deve
essere ritenuta indifferente.
1.3. Critiche agli assiomi di continuità e di
indipendenza
Naturalmente la teoria dell’utilità attesa è valida solo se sono validi gli
assiomi ad essa sottostanti. I due assiomi di continuità e di indipendenza
creano però molti dubbi sulla loro validità, vediamone più in dettaglio i
motivi.
14
L’assioma della continuità assume che variando le probabilità, le preferenze
sulle distribuzioni mutano in modo continuo. Consideriamo tre distribuzioni:
-la prima dà con certezza 1000 euro (
1
G )
- la seconda dà con certezza 100 euro (
1,0
G )
- la terza dà con certezza zero euro (
0
G )
Questo assioma afferma che è sempre possibile combinare la prima e la
terza distribuzione in modo che il soggetto sia indifferente tra l’alternativa
risultante e la seconda distribuzione, questa combinazione dipenderà anche
dall’atteggiamento che ogni individuo ha nei confronti del rischio.
Supponiamo che sia :
1,0
G ~
01
7,03,0 GG $$ o meglio per questo soggetto è
indifferente ricevere 100 euro con certezza o partecipare ad una lotteria in
cui può ricevere 1000 euro con una probabilità del 30 per cento oppure zero
con una probabilità del 70 per cento, ma se
0
G comportasse con certezza la
distruzione di tutto il nostro patrimonio, forse non saremmo più in grado di
indicare una probabilità che combinando
10
,GG sia indifferente a
1,0
G . Ma è
anche vero che potremmo attribuire a
0
G una probabilità talmente bassa, ad
esempio un miliardesimo, rendendo tale probabilità trascurabile, se ciò fosse
possibile l’assioma di continuità risulterebbe valido.
L’assioma di indipendenza suscita maggiori perplessità, esso afferma che se
p è preferito a q allora anche $$ )1( DD p r è preferito a
rq $$ )1( DD dove r è una distribuzione qualsiasi. Ma questo assioma
viene spesso violato come è mostrato nel paradosso di Allais.
1.3.1. Il paradosso di Allais.
L’individuo deve effettuare una doppia scelta; la prima è tra un milione di
euro con certezza e una distribuzione di probabilità con tre esiti : dà cinque
milioni di euro con una probabilità dello 0,1, dà un milione di euro con una
probabilità dello 0,89 oppure può dare zero con una probabilità dello 0,01.
La seconda scelta è tra una distribuzione di probabilità in cui si può avere
un milione con una probabilità dello 0,11 oppure zero con una probabilità
15
dello 0,89, l’altra distribuzione dà con una probabilità dello 0,1 cinque
milioni oppure zero con una probabilità dello 0,9. Riscriviamo le varie
alternative nel seguente modo:
a)
1
G b) 01,00189,051,0 $$$
c) 89,0011,01 $$ d) 9,001,05 $$
i soggetti a cui sono state sottoposte tali scelte hanno preferito per la
maggiore l’alternativa a rispetto alla b e l’alternativa d rispetto alla c. In
questo modo l’assioma di indipendenza risulta violato, infatti se riscriviamo
le alternative nel seguente modo abbiamo:
a)
11
89,011,0 GG $$
b)
105
89,0)11/111/10(11,0 GGG $$$$
c)
01
89,011,0 GG $$
d)
005
89,0)11/111/10(11,0 GGG $$$
l’assioma di indipendenza implica che se l’alternativa a è preferita alla b
allora la c deve essere preferito alla d in quanto hanno la prima parte in
comune, la scelta tra a e b dipende soltanto dalla scelta fra
1
G
e
05
11/111/10 GG $$
. Se si preferisce la distribuzione a alla b ciò equivale a
preferire
1
G
a
05
11/111/10 GG $$
, questa scelta si ripresenta alla seconda
riga quindi la preferenza di a rispetto a b implica la preferenza di c rispetto
a d, ma se cade l’assioma di indipendenza viene meno la possibilità di
rappresentare le preferenze attraverso funzioni che sono lineari nelle
probabilità che è la forma dell’utilità attesa.
Un'altra rappresentazione del paradosso di Allais è la seguente:
16
Se poniamo i tre premi come esiti di una distribuzione di probabilità,
5,1,0
321
xxx , allora le distribuzioni possono essere rappresentate come
vettori ),,(
321
ppp nel triangolo di Machina: a = ( 0 1 0 ), b = (0.01 0.89 0.1 ),
c = (0.89 0.11 0 ), d = ( 0.9 0 0.1 ).
Le quattro distribuzioni sono rappresentate nella seguente figura:
Si noti che se a viene preferito a b (come nella figura), allora per il postulato
di indipendenza c è preferito a d (come si vede nella figura). Una
dimostrazione formale è la seguente :
17
Il paradosso di Allais ci dice una cosa importantissima: i soggetti nella
realtà effettuano scelte violando l’assioma di indipendenza ciò ha come
conseguenza che la funzione di utilità attesa non può più essere espressa in
forma additiva e quindi la teoria dell’utilità attesa non è più valida.
1.4. L’ipotesi di efficienza dei mercati finanziari
Un altro fattore di aspra critica alla teoria tradizionale sono le ipotesi dei
mercati efficienti (IME) che hanno occupato la posizione centrale in finanza
negli ultimi 30 anni. Secondo la teoria tradizionale i prezzi delle azioni nei
mercati finanziari devono eguagliarsi ai loro valori fondamentali, perché
tutti gli investitori sono razionali, o in quanto l’arbitraggio elimina le
anomalie nei prezzi.
Secondo la teoria tradizionale un investitore medio non può sperare di
battere il mercato in modo consistente, le ampie risorse che gli investitori
destinano all’analisi e alla negoziazione dei titoli sono sprecate, la migliore
strategia è la strategia passiva “buy&hold”, ossia comprare e detenere
passivamente il portafoglio di mercato.
18
1.4.1. I fondamenti teorici dell’IME
I fondamenti teorici delle ipotesi dei mercati efficienti si basano su tre
assunzioni progressivamente più deboli. Innanzitutto, si assume che gli
investitori siano “razionali”, nel senso che valutano i titoli razionalmente, in
questo caso i mercati sono efficienti per definizione. Se questa prima ipotesi
non è verificata, ossia se alcuni investitori non sono razionali si ipotizza che
le loro negoziazioni svolte in modo casuale si cancellino l’una con l’altra
senza influenzare i prezzi. Infine introducendo la possibilità che i
comportamenti non razionali siano simili e muovano nella stessa direzione,
la teoria tradizionale introduce il ruolo degli arbitraggisti, questi ultimi
comportandosi in modo razionale, sarebbero in grado di rimuovere l’impatto
sui prezzi generato dal comportamento degli agenti non razionali. La
competizione tra gli arbitraggisti per conseguire maggiori profitti assicura il
rapido aggiustamento dei prezzi ai loro valori fondamentali e i mercati,
quindi, sono ancora efficienti.
1.4.2. Tre forme di efficienza
Ci sono tre forme di efficienza la prima, la cosiddetta “weak form
efficiency”(debole forma di efficienza), ha l’insieme informativo rilevante
costituito dai prezzi e dai rendimenti passati. I prezzi riflettono tutte e solo
le informazioni che si possono estrapolare dall’andamento passato dei
prezzi. Secondo tale forma debole delle IME è impossibile realizzare profitti
superiori aggiustati al rischio basandosi sulla conoscenza dei prezzi e dei
rendimenti passati. Sotto l’assunzione di neutralità al rischio, questa
versione delle IME è riconducibile alle ipotesi di random walks, ovvero i
rendimenti dei titoli sono del tutto “imprevedibili”, non è possibile fare
predizioni basandosi sui rendimenti passati (Fama, 1965).
La seconda forma di efficienza, “the semi-strong form”,( forma di efficienza
semi-forte) afferma che tutte le informazioni pubbliche disponibili sono
19
completamente riflesse nei prezzi azionari. Di conseguenza, gli investitori
non possono conseguire rendimenti superiori aggiustati al rischio
utilizzando strategie di compravendita basate sull’informazione
pubblicamente disponibile, perché non appena l’informazione diventa
pubblica, essa viene immediatamente incorporata nei prezzi; un investitore
non può, quindi, guadagnare sfruttando questo tipo di informazione per
prevedere i returns futuri dei titoli.
La terza forma di efficienza, “the strong form”(forma di efficienza forte) per
la quale i prezzi riflettono anche le informazioni di tipo privato, che non
sono disponibili a tutti, afferma che anche questi ultimi profitti, conseguibili
con il trading sull’informazione privata, sono impossibili perché anche
l’informazione degli insiders (direttori di società, funzionari di rilievo, grossi
azionisti) trapela, si espande rapidamente, ed è incorporata quasi
immediatamente nei prezzi per essere corretti.
1.4.3. Critiche all’efficienza dei mercati
Nell’ambito della teoria dei mercati finanziari il passaggio da una visione
lineare del mercato, la menzionata ipotesi di mercato efficiente, ad una non
lineare ha iniziato a svilupparsi quando da approfonditi studi sui
rendimenti giornalieri dei titoli compiuti da Fama (1965) iniziarono ad
emergere elementi in contrasto con il paradigma lineare, ossia con l’ipotesi
di random walk (rendimenti distribuiti normalmente e serialmente
indipendenti).
Da tali ricerche si evidenziò una distribuzione leptocurtotica dei rendimenti
(spostamento verso destra del valore medio rispetto alla distribuzione
normale, con frequenze molto più elevate e assumendo “code” più spesse –
fat tails -) e quindi l’impossibilità di interpretare il mercato basandosi sugli
20
assunti del mercato efficiente: cominciarono così a svilupparsi numerose
teorie e strumenti finalizzati allo studio delle dinamiche non lineari del
mercato finanziario, considerato come un sistema dinamico complesso.
Una prima grande critica all’IME riguarda sicuramente l’ipotesi di
razionalità degli operatori. È difficile infatti sostenere la tesi secondo cui le
persone, in generale, e gli investitori, in particolare, siano completamente
“razionali”. L’evidenza su cosa gli investitori fanno in realtà, infatti, rivela
che molti investitori, nel formulare la loro domanda per titoli, reagiscono
all’informazione irrilevante.
Le deviazioni degli investitori dalla massimizzazione della razionalità
economica sono altamente sistematiche e invadenti, quindi gli operatori non
sono razionali ciò indebolisce molto l’ipotesi dei mercati efficienti.
Le critiche teoriche a cui si aggiunge l’evidenza empirica indebolisce
notevolmente l’egemonia delle IME.
Un comune disconoscimento che si ritrova negli articoli finanziari che
riferiscono di “anomalie” è che non è possibile testare direttamente
l’efficienza del mercato, è solo possibile condurre test congiunti (joint test) di
efficienza di mercato e di qualche modello di equilibrio dei prezzi. Alla luce
di questo problema, Fama e French, concludono che “la tendenza verso
l’inversione (reversal) può riflettere rendimenti attesi “time varying”
generati dal comportamento di investitori “razionali” e dalle dinamiche di
comuni variabili guida macroeconomiche. D’altra parte, le inversioni
generate da una componente stazionaria dei prezzi possono riflettere onde di
over-reaction (eccesso di reazione) nel mercato del tipo assunto nei modelli
di mercato inefficiente.
Se la “prevedibilità” dei rendimenti riflette “inefficienza” di mercato o
rendimenti in eccesso “varianti nel tempo” generati dal comportamento di
un investitore “razionale” è, e rimarrà, una questione ancora aperta.