6
La seconda parte s’incentra sui processi di socializzazione e sulle espressioni
del disagio adolescenziale, tematiche che, oltre ad essere proprie di chi ha lavorato
tanti anni in ambiti problematici, sono drammaticamente attuali. Si ritiene quindi
che vadano indagate ed affrontate, avvalendosi di ricerche e studi in merito.
Nella terza parte viene presentata la ricerca da me condotta, per la quale si è
provveduto alla costruzione di un questionario, formulato scegliendo cinque aree
tematiche: “i valori ed il territorio”, “i comportamenti”, “la scuola”, “il tempo
libero”, “il rapporto con gli adulti ed in particolare con la famiglia” ed un’ultima
analisi che ricopre “le aspettative ed il contesto familiare”.
Il questionario è stato testato scegliendo un campione bilanciato di 31
studenti, sul totale di 630 (quindi circa il 5%), misurandone la difficoltà di
percezione delle domande e la bontà delle risposte, rispetto al tempo messo a
disposizione. Successivamente, nella stessa giornata ed alla stessa ora, è stato
proposto a tutti gli studenti dell’Istituto Agrario; lo svolgimento è stato effettuato in
presenza dei professori e del somministratore, al fine di evitare le distorsioni
derivanti dall’auto-somministrazione.
Gli studenti presenti il giorno della rilevazione sono stati 539 (l’85,55% degli
studenti frequentanti l’Istituto Agrario San Michele all’Adige), compresi nella
fascia d’età 14-19 anni. Utilizzando lo strumento del questionario, si è proceduto
all’esposizione di dati e tabelle con analisi dei dati. Per facilitare la comprensione
degli strumenti statistici utilizzati e le caratteristiche, è stata data la descrizione
delle analisi effettuate. Indagando la popolazione studentesca, la conclusione della
ricerca propone un confronto con la realtà indagata dal lavoro sulla cultura della
legalità, effettuato nel 2004 in tre Istituti di Scuola Superiore trentini dal centro
interuniversitario Transcrime.
Nell’ultima parte viene affrontato il tema della prevenzione, in quanto si è
ritenuto opportuno, dopo aver esposto aree tematiche riguardanti condotte che
possono mettere in pericolo, a breve ed a lungo termine, il benessere fisico,
psicologico e sociale degli adolescenti, esporre modalità di interventi efficaci,
basati sia sulla prevenzione che sui fattori di protezione.
7
Capitolo 1
Adolescenti ed interazioni con il mondo sociale
1.1. IDENTITÀ E COMPITI DI SVILUPPO
L’adolescenza non è un percorso univoco, sostanzialmente identico nel tempo
e nello spazio, vale a dire nei diversi periodi storici e nelle differenti culture, perché
riconducibile alla maturazione fisiologica ed ai problemi che da essa derivano
(Koops, 1996).
Questa nuova visione è un risultato diverso di concepire l’intero sviluppo
umano e gli studi specifici sull’adolescenza. Lo sviluppo umano va infatti visto
nella prospettiva dell’intero ciclo di vita: il cambiamento e lo sviluppo non sono
limitati ad un periodo di stabilità, rappresentato dall’età adulta, ed uno di
involuzione, costituito dalla vecchiaia. Oggi si è consapevoli che non solo il
cambiamento, ma anche lo sviluppo riguardano tutta l’esistenza, dal momento che
le funzioni psichiche subiscono dei mutamenti evolutivi incessanti lungo tutto il
corso della vita (Baltes e Reese, 1986; Oliverio, 2003).
L’adolescenza è quella fase del ciclo della vita umano in cui si verifica la
transizione dallo stato di bambino a quello di adulto.
1
Come tale, essa copre un
periodo piuttosto lungo, mutevole da individuo ad individuo e da cultura a cultura,
in cui a fronte delle numerose trasformazioni fisico-corporee si assiste a profondi
cambiamenti psicologici, che investono le capacità cognitive, la sfera degli affetti e
le competenze sociali della persona.
1
Il termine “adolescenza” deriva dal latino adolescentia, con cui nell’antica Roma si indicava il
periodo di vita compreso tra diciassette e trent’anni. L’etimologia è quella del verbo latino adolesco,
che significa “crescere” e il cui participio è adultum. Il verbo adolesco, a sua volta, è formato dal
rafforzativo ad e dal verbo alesco “cominciare a crescere”, “svilupparsi”. La psicologia ha preso in
prestito tale termine, ma il modo con cui viene usato e le modalità con cui diversi periodi di vita
vengono caratterizzati hanno subito e subiscono continue modifiche. Seguendo Palmonari (a cura di)
(1997), attualmente con questo termine si fa riferimento, in generale, a quella fase del ciclo di vita
umano che si estende tra i quattordici ed i diciotto/diciannove anni.
8
La nota e condivisa definizione psicologica di adolescenza come fase di
transizione, di passaggio, non deve tuttavia comportare una svalutazione del
contributo sociale e culturale da essa rappresentato.
Il periodo di vita vissuto dagli adolescenti è infatti un preciso momento
evolutivo con caratteristiche specifiche che lo rendono, pur nella continuità data
dal processo di costruzione dell’identità, fase o stadio autonomo.
Gli adolescenti sono persone in grado di partecipare attivamente alla vita del
mondo in cui sono parte, a meno che tale mondo non metta in atto delle iniziative
finalizzate ad emarginarli e ad escluderli; in particolare sono chiamati ad affrontare
i problemi derivanti dal loro stesso sviluppo (sia biologico e fisico, sia psicologico
e sociale), nonché l’esigenza di acquisire gli strumenti per entrare a pieno titolo
nella vita adulta (Palmonari, 1997).
Se è vero quindi che tutti gli adolescenti, per diventare adulti, devono
affrontare una molteplicità di compiti di sviluppo
2
investendovi energie elevate, è
altrettanto vero che tali compiti non costituiscono delle invarianti, ma risultano dal
rapporto tra l’individuo ed il suo ambiente sociale e culturale (Cattelino e Bonino,
1999).
Saranno così delineati diversamente i compiti che dovrà affrontare
l’adolescente proveniente da una famiglia iperprotettiva e socialmente isolata, da
quelli che vedranno impegnato il ragazzo abituato fin da bambino ad essere
autonomo e a costruire legami sociali ed affettivi extrafamiliari. L’adolescenza si
configura quindi come uno stadio del processo di crescita in cui il soggetto è
chiamato ad affrontare con impegno alcuni compiti evolutivi, il cui esito sarà
funzione di diversi fattori, per esempio la storia personale dell’individuo con le
risorse di cui dispone al momento dell’ingresso in adolescenza, le richieste che gli
provengono dall’ambiente e dalla cultura in cui è cresciuto e si è formato, le
2
Un compito di sviluppo è un compito che si presenta in un determinato periodo della vita di un
individuo e la cui buona risoluzione conduce alla felicità ed al successo nell’affrontare i problemi
successivi, mentre il fallimento di fronte ad esso conduce all’infelicità, alla disapprovazione da parte
della società ed a difficoltà di fronte ai compiti che si presentano in seguito (Havighurst, R., 1952,
“Development Task and Education”, Davis McKay, New York, p.2).
9
reazioni di questo stesso contesto culturale: famiglia, scuola, gruppo dei pari.
(Gonfalonieri e Grazzani Gavazzi, 2002).
Gli autori che si sono riferiti a queste premesse, sono da un lato Erikson E.H.
(1982) e Marcia J.E. (1966; 1980), autori che hanno contribuito a definire il tema
della costruzione dell’identità in adolescenza e che hanno proposto modelli
particolarmente interessanti dal punto di vista della psicologia dello sviluppo;
dall’altro lato, Vygotskij
(1934), Bruner (1990) e Cole (1996) che, pur non avendo
fatto dell’adolescenza un tema di ricerca privilegiato, hanno tuttavia fornito gli
strumenti metateorici per accostarvisi criticamente.
3
Erik H. Erikson (1982) ha parlato dello sviluppo come “ciclo di vita” (life span
developmental psychology) costellato di eventi critici, dove la fase adolescenziale
rappresenta uno snodo cruciale.
L’autore non presenta più una visione strettamente psicosessuale dello
sviluppo, come poteva essere quella offerta da Sigmund Freud. L’orizzonte al cui
interno egli colloca il suo modello evolutivo è infatti psicosociale, nel tentativo di
comprendere non solo le dimensioni psichiche dello sviluppo della persona, ma
anche quelle sociali e culturali. Ne deriva che i processi biologici, psichici e sociali
sono ugualmente compresenti e rilevanti nell’indirizzare lo sviluppo dell’individuo.
Un carattere fondamentale del modello di Erikson è quello del principio
dell’epigenesi, per cui nell’organismo sono presenti delle potenzialità che con il
passare del tempo e le esperienze vissute diventano attuali, fornendo un carattere di
dinamicità, continuità e ciclicità allo sviluppo (Gonfalonieri e Grazzani Gavazzi;
2002).
3
A Vygotskij si deve il concetto di “zona di sviluppo prossimale” (lo spazio d’intervento
dell’adulto per accrescere le competenze del bambino) e l’idea che lo sviluppo di capacità naturali è
in parte funzione dei cosiddetti “amplificatori culturali”, ossia gli strumenti che la cultura mette al
servizio della mente (Vygotskij, L.S.,1934, “Pensiero e linguaggio”, Laterza, Bari, 1990).
Il contributo dell’ultimo Bruner è rintracciabile nel concetto di “conoscenza” come ricerca e
costruzione condivisa del significato, grazie al procedere complementare del pensiero logico-
scientifico e di quello narrativo (Bruner J.S., 1998, “Narrative and Metanarrative in the
Costruction of the Self”, in Ferrari M., Sternberg R. J. (eds.) Self Awareness: Its Nature and
Development, The Guilford Press, New York).
Cole ha fatto dei contesti dell’apprendimento il luogo della propria ricerca, sviluppando idee che
erano in nuce nei suoi primi lavori degli anni Settanta riguardanti capacità mentali di soggetti
appartenenti a popolazioni non occidentali (Cole M., 1996, “Cultural Psychology”, Belknap,
Cambridge, London).
10
Il processo di formazione di identità è una configurazione che va evolvendosi e
che gradualmente tende ad integrare tra loro i dati costituzionali, i bisogni libidici
incompatibili, le capacità privilegiate, le identificazioni più significative, le difese
più stabili, le sublimazioni riuscite e i ruoli più resistenti (Erikson, 1982)
4
.
I cambiamenti fisici che intervengono dall’età preadolescenziale
all’adolescenza sono associati alle esperienze emozionali ed impongono la ricerca
di nuovi equilibri nei rapporti con il mondo e con il proprio Sé. L’individuo proprio
in virtù di questo processo, viene trattato dalle persone con cui è abitualmente in
contatto e anche dagli estranei, in modo diverso da come era trattato da bambino.
Le richieste che gli sono rivolte si modificano, ci si aspetta da lui o da lei un
comportamento da adulto, ma contemporaneamente lo si continua a considerare
non autonomo, non in grado di prendere da solo certe decisioni rilevanti per il suo
destino (bere alcool, fumare, uscire la sera con i coetanei, scegliere l’orientamento
scolastico ecc…).
In rapporto a questo mutamento l’adolescente modifica il proprio
atteggiamento verso se stesso ed il mondo circostante. Il primo indice conflittuale è
che l’adolescente non accetta più di essere totalmente dipendente dalla famiglia e
dalle varie forme di sostegno sociale – affettivo, fornito allo stesso fino a quel
momento.
L’acquisizione, anche parziale, da parte dell’adolescente dell’autonomia
permette di intraprendere nuove attività e di adottare stili di condotta diversi,
collegati a nuove modalità di mettersi in rapporto con gli altri. I cambiamenti che si
verificano mettono in discussione il sistema di rappresentazioni e di schemi che
hanno regolato fino a quel momento le relazioni dell’adolescente con il proprio
corpo, con altri individui e gruppi, con attività, oggetti ed istituzioni sociali.
4
Erikson usò per la prima volta il termine “Identità dell’Io” (Ego-Identity), nell’ambito del suo lavoro
clinico, per descrivere i disturbi di veterani di guerra che mostravano sintomi di perdita del sentimento di
essere se stessi (sameness) e di continuità della propria esistenza.
L’autore non ha approfondito le modalità in cui il rapporto con l’altro influenza lo sviluppo dell’identità.
Precisa soltanto che si tratta di un processo generazionale: i genitori devono fornire un quadro ben
strutturato di idee (ideological framework) ai figli adolescenti, se non altro al fine di dare loro una struttura
con cui confrontarsi, al limite ribellarsi, per forgiare i propri valori.
11
L’adolescente quindi si trova di fronte a molte incertezze, anche immaginare
il proprio futuro e prepararsi ad affrontarlo può risultare particolarmente difficile,
allo stesso modo il giudizio familiare diventa una componente critica.
In momenti di questo tipo, in cui è in atto una vera e propria riorganizzazione
del Sé, la specificità di un sistema sociale offre alla persona la possibilità di
trovare soluzioni adeguate (Palmonari, 1997).
L’organizzazione della vita sociale di tutti i giovani in gruppi di età, tipica
della società odierna, diviene decisiva (Sherif, 1984).
L’adolescente essendo
costantemente in contatto con tanti coetanei che condividono gli stessi problemi (a
scuola, sul lavoro, nel tempo libero), rafforza ed estende le proprie relazioni con il
gruppo di pari, così da farle diventare più frequenti, intense, significative.
La riorganizzazione del sistema del Sé si verifica grazie a questa fitta rete di
relazioni e di scambi in cui il soggetto, consapevole almeno in parte, del
cambiamento che lo concerne, verifica il proprio valore e riflette su se stesso.
In questo processo gioca un ruolo importante anche l’acquisizione o meno, da
parte dell’adolescente della capacità di ragionare in termini formali, o ipotetico-
deduttivi (Piaget, Inhelder;1955). Se il soggetto è in grado di ragionare su se stesso
in termini astratti, cercherà una rappresentazione di Sé molto coerente da un punto
di vista logico e potrà anche considerare la propria immagine attuale come una tra
le varie alternative possibili: “le altre persone possono vedermi in un altro modo;
in altre circostanze avrei potuto essere del tutto diverso da quello che sono…”, ecc.
(Palmonari, 1997, p.46).
Piaget sostiene che fra i 7-8 anni e gli 11-12 anni si costituisce una logica delle
azioni reversibili grazie alla costruzione di un certo numero di strutture stabili (nel
tempo) e coerenti (impiegate in modo appropriato su contenuti diversi); tali
strutture sono il sistema di classificazione e di ordinamento secondo i criteri di
seriazione. La caratteristica dell’adolescenza secondo Piaget è l’inserimento
dell’individuo nella società degli adulti e non nella pubertà. Si può anche ipotizzare
che la maturazione delle strutture nervose determini lo sviluppo delle strutture
formali. Ma Piaget sostiene soltanto che “la maturazione del sistema nervoso si
limita a determinare l’insieme delle possibilità e dei vincoli caratteristici di un
12
livello cognitivo dato ed un certo ambiente sociale è indispensabile per
l’attuazione di tali possibilità”. (Piaget e Inhelder, 1955, p. 336).
D’altronde, l’osservazione di una stretta convergenza fra certe risposte dei
soggetti e certi insegnamenti scolastici, fa chiedere a Piaget se le manifestazioni del
pensiero formale non siano semplicemente imposte dal gruppo sociale grazie
all’educazione familiare e scolastica. Ma a questa domanda sociologica estrema
(così si esprime Piaget: cfr. ibidem, p.337) la risposta è che l’ambiente sociale
agisce sui cervelli individuali soltanto se questi ultimi sono in grado di assimilare
gli apporti dell’ambiente; il che fa affermare a Piaget la circolarità fra maturazione
e società; argomento retorico usato sistematicamente, per evitare il problema della
casualità specifica delle dinamiche sociali sugli strumenti cognitivi (Carugati,
1983).
Piaget trae due conseguenze da queste considerazioni. La prima è che le
strutture formali sono concepite non come forme innate a priori e neppure come
rappresentazioni collettive (cfr. Durkheim, 1947) esistenti completamente al di
fuori e al di sopra degli individui, ma come forme di equilibrio che si impongono a
poco a poco al sistema di scambi tra gli individui stessi. La seconda conseguenza è
che tra sistema nervoso e società si situa l’attività individuale, cioè l’insieme delle
esperienze e degli esercizi fatti dall’individuo per adattarsi simultaneamente al
mondo fisico e sociale. Se le strutture formali sono leggi generali di equilibrio e se
esiste un’attività funzionale caratteristica dell’individuo, bisogna aspettarsi che
l’adolescenza presenti una serie di manifestazioni spontanee che traducono la
costruzione delle strutture formali in un mondo vissuto reale, tale che assicuri (nel
corso delle azioni quotidiane e nella vita stessa dei soggetti) il loro inserimento
nella vita sociale degli adulti.
Non tutti gli adolescenti raggiungono pienamente lo stadio del pensiero
formale. Alcuni autori sostengono che lo stadio finale dello sviluppo
dell’intelligenza di cui parlava Piaget è in realtà seguito da quello della “logica
dialettica” (Riegel,1973) in cui le contraddizioni del pensiero sono considerate non
solo accettabili, ma essenziali, dal momento che la natura del mondo e della mente
è essenzialmente contraddittoria (Lutte,1987; Van der Werff,1990).
13
L’adolescenza si conclude quando l’individuo è in grado di stabilire rapporti
stabili e significativi con se stesso, con i gruppi di riferimento più prossimi e con il
proprio ambiente di vita più ampio. Detta considerazione è fondata sul carattere
attivo del rapporto Sé-altri-mondo (Mead,1934) ed indica che nel corso
dell’adolescenza accadono avvenimenti che obbligano l’individuo a comportarsi e
a definirsi in rapporto sia con l’ambiente in cui è inserito, sia con i gruppi di cui è
membro, sia con le proprie trasformazioni.
E’ possibile anche sostenere che ci sono modi diversi di vivere l’adolescenza e
che lo stesso soggetto che cresce è parte attiva, costruttiva, della propria
evoluzione, l’adolescenza non è descrivibile in modo unitario, ma presenta grandi
differenze individuali di percorso, pur caratterizzandosi sempre più, nella società
occidentale, come un periodo di sospensione sociale, nel quale i ragazzi e le
ragazze sono sessualmente e cognitivamente adulti, ma non partecipano ancora alla
vita adulta (Zazzo, 1966).
Come già aveva evidenziato l’antropologa Margaret Mead nel 1928,
l’adolescenza non esiste nelle società primitive, caratterizzate da semplicità
dell’organizzazione sociale, stabilità nel tempo, norme morali immutabili ed
indiscusse. In tali culture la pubertà segna il passaggio, spesso ritualmente marcato,
dall’infanzia all’età adulta e l’ingresso ufficiale nella vita lavorativa e
matrimoniale. L’adolescenza si presenta invece nelle società occidentali come
un’età di transizione sempre più lunga, poiché si diventa grandi in un contesto
sociale articolato e complesso, nel quale l’ingresso nell’età adulta è sempre più
posticipato nel tempo e non esistono norme e valori univoci. Le maggiori
opportunità che le società occidentali offrono, in termini di libertà individuale e di
realizzazioni personali, unite alla mancanza di punti di riferimento chiari e certi,
rendono da un lato più problematica quest’età sospesa, nella quale non si realizza
ancora una vera partecipazione sociale, ma consentono dall’altro l’elaborazione di
valori e progetti personali. Oggi, ancora di più che in passato, tale età si configura
come un periodo ricco di opportunità, sfide e rischi; ad una maggiore libertà
individuale ed a maggiori risorse sociali si contrappone una rapida modificazione
14
di modelli, valori, stili di vita, ruoli familiari e professionali, la quale richiede
maggiore autonomia e maggiori capacità decisionali (Caprara e Fonzi, 2000).
Il libro Siddharta di Hermann Hesse può essere considerato un resoconto
prototipico delle vicende adolescenziali, l’età adolescenziale, utilizzando la
metafora di Siddharta, può essere vista come la traversata di un grande fiume
impetuoso. Sarà attraversato in modo diverso: da chi ha sperimentato la
navigazione e da chi è assolutamente privo di esperienza.
In tutte le adolescenze, gli attori, devono affrontare una gran mole di problemi:
capita ad alcuni che essi siano distribuiti lungo il percorso e possano essere
affrontati uno dopo l’altro con una buona probabilità di riuscita. Capita a molti
altri, invece che essi si presentino complessi, più o meno aggrovigliati in modo
assurdo, tali da rendere difficile, a volte quasi impossibile, la risoluzione di essi. I
problemi, del resto, non sono entità fatali ed incomprensibili che capitano a caso.
Sono sempre in rapporto con il contesto culturale e sociale in cui l’adolescente
vive, con le relazioni che egli ha con il suo ambiente più prossimo, con la sua storia
personale (Palmonari, 1993).
Nel percorso adolescenziale, non si è mai soli, ma si è sempre in compagnia di
altre figure significative: genitori, insegnanti, coetanei, che possono offrire
all’adolescente una guida sicura e comprensiva. In altri casi invece l’adolescente
viene sottoposto a richieste incomprensibili per valorizzare il senso del suo
impegno, od al limite gli vengono date indicazioni frammentate e contraddittorie
che aggiungono confusione alla mancanza di esperienza. Questo vuol dire che in
molte occasioni, l’adolescente si sente veramente solo e distante da tutti: in quei
momenti egli avverte di non potersi fidare di nessuno, di dover dirigere da solo il
proprio cammino. Tutti fanno, in momenti più o meno lunghi, questa esperienza: è
augurabile che essa non sia quella più importante o, all’estremo, quella che
contrassegna tutta l’adolescenza (Palmonari, 1997).
Nell’ambito di una concezione sistemica, interazionista e costruttivista, alcuni
autori hanno in particolare definito lo sviluppo come “azione nel contesto”, proprio
per sottolineare l’importanza dell’operato dell’individuo, che interagisce con un
contesto che gli offre allo stesso tempo limiti e restrizioni, opportunità e risorse
15
(Silbereisen, Eyferth, Rudinger, 1986; Silbereisen, Noack, 1988; Silbereisen, Todt,
1994). Gli individui, secondo una concezione che sempre più è presente nella
psicologia contemporanea, sono considerati non come “meri organismi reattivi,
plasmati dagli eventi ambientali o mossi da disposizioni innate. Sono piuttosto
oggetti attivi in grado di auto organizzarsi, auto regolarsi e riflettere su se
stessi…: la capacità di esercitare ampie forme di controllo sui processi di
pensiero, sulle motivazioni, sull’affettività, sull’azione, consente loro di essere
artefici attivi del proprio ambiente, e non semplici “prodotti”; consente perciò di
influenzare la natura ed il corso della propria esistenza” (Bandura, 2000, p.32).
L’azione fa riferimento ad un sistema del Sé capace di integrare e coordinare le
proprie funzioni nel rapporto con il mondo, allo scopo di costruire una relazione
ottimale, di dare significato alla propria esperienza e di garantire il senso della
propria unità e continuità.
16
1.2. LA FAMIGLIA ED IL CONTESTO SOCIALE
Il compito di sviluppo che caratterizza l’adolescente in relazione alla famiglia
d’origine e più specificatamente, ai genitori, è in sintesi quello di emancipazione da
essi per il raggiungimento di una sempre più completa autonomia ed indipendenza.
Tale percorso si inserisce nel tessuto familiare esistente, nella storia familiare che
con l’adolescenza del figlio è chiamata a scrivere un nuovo capitolo che comporterà
mutamenti a carico della famiglia, intesa come sistema
5
sensibile agli accadimenti
riguardanti uno dei suoi membri e suscettibile di cambiamenti anche profondi a
seguito di tali accadimenti.
Dinamiche fondamentali per avviare e concretizzare il processo di
emancipazione (che conosce in questa fase il suo acme, ma che è stato avviato nelle
fasi precedenti) sono quelle di individuazione e separazione
6
. L’adolescente inizia a
percepirsi come differente dalle figure genitoriali, avvia un processo
d’identificazione forte che lo porta a prendere le distanze dalle identificazioni
precedenti (sostanzialmente di tipo genitoriale), per cercare altrove figure
identificatorie che lo aiutino a costruirsi un’identità propria, individuata anche a
partire dall’eredità genitoriale, ma ricomposta sulla base delle esperienze
significative vissute autonomamente.
Per avviare tale processo, è necessario separarsi da chi fino ad oggi ha di fatto
occupato, insieme a lui, la scena familiare, attivando movimenti di allontanamento
(psichico e fisico) dai genitori, rinegoziando routine ed abitudini consolidate
nell’infanzia, ed in parte ancora valide nella preadolescenza, modificando ruoli e
5
Significativi in questa direzione sono gli studi condotti, in ambito psicosociale, sulla famiglia,
sullo stretto intreccio che la caratterizza e alla cui luce vengono letti gli eventi critici che la
coinvolgono nelle diverse fasi del suo ciclo di vita (cfr. fra gli altri gli studi di Scabini E. ,1995;
Scabini E. e Cigoli V., 2000).
6
Su tale tema Pietropolli Charmet parla, più che di separazione di “ricontrattazione”, in quanto in
realtà non si avrebbe a che fare con effettive perdite o lutti da elaborare: quello in atto sarebbe un
processo di ricontrattazione del potere attraverso cui “le due generazioni si fronteggiano a volte
anche minacciosamente alla ricerca di una soluzione che concili le funzioni educative dei genitori
con il bisogno di indipendenza culturale dei figli adolescenti” (2000, p. 87).
17
mansioni ancorate a modalità infantili non più funzionali all’adolescente che sta
cercando di transitare all’età adulta (Confalonieri e Grazzani Gavazzi, 2002).
Quello compiuto dall’adolescente è allora un processo di separazione
psicologica rispetto all’ambiente familiare e di ridefinizione più autonoma della sua
personalità (Tonolo, 1999). Nelle ricerche condotte sugli adolescenti e famiglia,
Gecas e Seff (1990) sottolineano il cambiamento di paradigma avvenuto
nell’ultimo decennio, che ha spostato il focus dell’analisi dallo sviluppo individuale
a quello dei contesti sociali in cui lo sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo
dell’adolescente ha luogo.
Secondo l’approccio dello sviluppo, la famiglia viene considerata come una
forma particolare di piccolo gruppo, caratterizzato da una specifica storia passata e
da aspettative di vita futura, capace di cambiamento ed adattamento attivo in
relazione a stimoli provenienti sia dal contesto sociale che dal proprio interno.
Concetto centrale di questo approccio è quello di ciclo di vita familiare, di cui sono
elementi costitutivi la nozione del passare del tempo, l’idea di fasi o stadi di
sviluppo attraverso cui deve passare la famiglia e l’idea di compito di sviluppo
(ripresa da Havighurst, 1953 ed in questo caso applicata a livello familiare).
L’adolescenza di un membro della famiglia mette alla prova le capacità
dell’intera organizzazione familiare di adattarsi, mutando spesso in modo veloce le
forme di relazione fra i componenti. Ai diversi livelli, il compito comune alle
generazioni in questa fase del ciclo della vita familiare è quello di progredire verso
una sempre maggiore differenziazione e una sempre più profonda individuazione,
adeguando a questo fine i tipi di legami che le uniscono (Carrà e Marta, 1995).
In questa ottica, va tenuto presente che il processo di separazione interessa
entrambi i versanti, riguarda cioè non solo l’adolescente, ma anche i genitori
(aspetto quest’ultimo meno indagato: cfr. Bonini e Zani, 1991: anch’essi infatti
devono “separarsi” dai figli, accettare che diventino adulti ed aiutarli nel loro
processo di emancipazione).
Il modo in cui i genitori vivono questo distacco è destinato ad avere effetti
rilevanti sull’andamento del processo di crescita e di autonomia dei figli stessi.
18
La qualità delle relazioni familiari è cruciale nel determinare la competenza e
la fiducia con cui gli adolescenti affrontano il periodo di transizione dall’infanzia
all’età adulta. Tali relazioni influenzano le modalità con cui i giovani negoziano i
principali compiti dell’adolescenza, la misura in cui si trovano coinvolti nei
problemi comportamentali, generalmente associati, a questo periodo e l’abilità di
stabilire relazioni intime significative e durature.
Gli aspetti della famiglia che sembrano particolarmente importanti sono
l’incoraggiamento dell’autonomia e dell’indipendenza dei figli, il grado di controllo
desiderato dai genitori, la quantità ed i tipi di conflitto tra i membri, la forza dei
legami familiari, il sostegno disponibile agli adolescenti. I vari modelli di
funzionamento familiare più noti (cfr. Olson, Sprenkle e Russel, 1979; Beavers e
Voller, 1983; Epstein, Bishop e Baldwin, 1982), al di là delle inevitabili differenze,
sono concordi nell’indicare le dimensioni basilari per un “buon funzionamento”
della famiglia normale, che sia di aiuto allo sviluppo degli adolescenti: in
particolare si è sottolineato l’importanza che la famiglia fornisca livelli moderati di
coesione e livelli moderati di flessibilità circa i ruoli e le regole, che permetta il
progressivo svincolamento dei figli e realizzi forme chiare e dirette di
comunicazione.
Sottolineano due autori Noller e Callan, “gli adolescenti non rompono i
rapporti con la famiglia, ma piuttosto negoziano nuovi ruoli e relazioni che sono
più egualitari e più reciproci” (1991, p. 23).
Il processo di emancipazione non è lineare, anzi è tortuoso, complicato, anche
perché carico di ambivalenze; proprio per questo può dare luogo a comportamenti
contradditori tipici dell’adolescente, con fughe in avanti e frequenti regressioni
(Palmonari, 1997). A volte l’indipendenza è considerata lo scopo fondamentale da
raggiungere a tutti i costi ed il prima possibile; altre volte è una prospettiva che
incute paura e per questo rimandata nel tempo; si desiderano e si reclamano i
privilegi dell’età adulta, ma si tenta anche di sfuggire alle responsabilità connesse a
tale status; l’adolescente non sopporta l’interessamento dei genitori, percepito come
invadente ed intrusivo, poi si lamenta perché nessuno sembra prendersi cura di lui.
19
Come molte ricerche hanno evidenziato, il passaggio verso la condizione
adulta appare sempre più caratterizzato da una posticipazione di quasi tutti gli
eventi life-markers e dalla diffusione di un modello che prevede per i giovani un
periodo di “moratoria” e, più in generale, una sostanziale reversibilità delle proprie
scelte di vita (Garelli, 1984; Cavalli e De Lillo,1993; Galland, 1986; Cavalli e
Galland, 1996; Donati e Colozzi, 1997; Scabini e Rossi, 1997; Palomba, 1999); in
particolare si assiste ad un consistente aumento dell’età in cui avvengono
matrimonio e nascita del primo figlio (De Sandre, Ongaro, Rettaroli, Savini; 1997 e
De Sandre, Pinelli, Santini; 1999).
In Italia, tale modello ha assunto caratteri del tutto peculiari in quanto la
posticipazione del matrimonio non si è tradotta, come nei paesi nord-europei, in un
aumento delle convivenze more-uxorio e delle single-ness, ma in un protrarsi della
permanenza dei giovani nella famiglia d’origine.
Questo fenomeno rilevato fin dalle prime ricerche Iard (Cavalli e De Lillo,
1988; 1993) è quindi diventato, proprio per la sua consistenza demografica e per il
rilievo sociologico assunto, uno dei temi principali nello studio delle giovani
generazioni.
Esistono diversi fattori ai quali si è fatto riferimento per spiegare
l’affermazione di tale modello. Alcuni di essi attengono a mutamenti di tipo
economico-strutturale, altri pongono invece l’accento sui mutamenti di tipo
culturale, sia per quanto riguarda i modelli dell’identità individuale, sia per quanto
riguarda le relazioni tra generi e generazioni all’interno delle famiglie.
Per quanto riguarda i mutamenti degli scenari economici, gli ultimi decenni
hanno visto una crescente scolarizzazione e una conseguente posticipazione dell’età
a cui si accede al mercato del lavoro; a questi mutamenti che rimandano sia alle
trasformazioni del sistema socio-economico, sia all’affermazione di specifiche
strategie familiari (Gambetta, 1990; IRES 1996; Cavalli e Facchini, 2001), si è
aggiunta, negli ultimi anni, una crescente precarizzazione del mercato del lavoro,
specie per le giovani generazioni.