1
Introduzione
Oggi, nel XXI secolo, si fa frequentemente riferimento a fattori pregnanti la quotidianità
degli individui (e delle società in cui questi si riuniscono), quali la bramata parità dei
sessi, ma, ancor prima, ai costrutti della Maschilità e della Femminilità (i cui articoli
determinativi, usati al singolare, appaiono voler sottolineare l’assoluta unicità dei
modelli): due mondi spesso dipinti, da un vasto numero di società e durante altalenanti
momenti storici, come rappresentanti i due estremi di un continuum, che vede spesso il
concepimento come unico (seppur fondamentale) punto di incontro (cfr. MacCormack,
Strathern 1995). Questa visione del reale polarizzata sembra trarre le proprie fondamenta
da un ipervalutato dimorfismo naturale, che diviene, quindi, il concetto-guida che
condurrà il singolo nel percorso di lettura del mondo (sociale) esperito (facilitando,
inoltre, un’ambiguità concettuale e ideologica che investe, spesso, i concetti di “genere” e
“sesso biologico”). Tale visione viene, inoltre, ulteriormente supportata dalla diffusa
tendenza a prendere le teorie deterministe come punto di riferimento: queste, infatti,
sollecitano l’individuo a percepire le differenze colte durante un processo di raffronto tra
l’uomo e la donna come necessariamente determinate da una predisposizione biologica,
che difficilmente può esser mutata (cfr. Benoit-Browaeys, Vidal 2006). Quest’ultima
spiega anche l’inclinazione a rilevare come atipiche e spaventose tutte quelle personalità
che divergono (su diversi fronti) dai classici modelli predeterminati, che vengono così
sottoposte a un processo, più o meno rigido, di degradazione (cfr. Rinaldi 2012).
Tuttavia, nonostante permanga l’inclinazione a concepire come assiomi inconfutabili le
verità scientifiche (non tenendo conto, dunque, dell’enorme influenza che l’uomo ha su di
esse, né dell’enorme dinamismo che caratterizza le teorie scientifiche), si registra, oggi,
una maggiore consapevolezza di quanto la società di riferimento vada ad influenzare la
vita di un individuo comunque già predisposto biologicamente (cfr. Benoit-Browaeys,
Vidal 2006): così, i maschi risulteranno naturalmente capaci di padroneggiare il mondo
tecnico-scientifico, sicuri e meno inclini all’autocontrollo; le femmine, di contro, si
riveleranno biologicamente predisposte a sviluppare le innate capacità e competenze
umanistico-sociali, e maggiormente inclini a manifestare una più profonda attenzione
rivolta al proprio “apparire”, tramite un più accurato vestiario e ornamento.
Ma basta assumere una prospettiva transculturale per rendersi conto di quanto mutevoli
2
siano i valori e le rappresentazioni legati ai modelli vigenti di femminilità e maschilità: per
limitarsi a un esempio ormai classico, presso i Ciambuli le donne apparivano sicure e
solitamente indossavano abiti “spartani” mentre gli uomini si mostravano timidi e attenti a
mettere in mostra un vestiario accurato e acconciature elaborate (Mead 1989 cit. in Busoni
2009: 4).
Questo sollecita, inoltre, la necessità di chiarire come, quando si fa riferimento a categorie
quali natura/cultura, in realtà non si parla mai di fattori naturali e culturali oggettivi quanto
piuttosto «di concezioni culturali di natura e di cultura»: «natura e cultura, in quanto
simboli, sono artefatti della cultura e del pensiero umano» (Ortner, Whitehead 2000: 319).
È questo, infatti, il punto di vista necessario affinché l’individuo possa acquisire una più
profonda consapevolezza di ciò che lo abita e dell’ambiente in cui vive. In linea con
questa concezione, risulta lo sguardo assunto da Elena Gianini Belotti nell’accurata e
precoce analisi, rispetto al panorama italiano, rivolta al mondo infantile, Dalla parte delle
bambine, lavoro finalizzato ad una migliore (e maggiore) acquisizione della
consapevolezza di quanto risulti pregnante, seppur invisibile, l’influenza dell’ambiente nel
processo identitario, e, in particolare, nel processo di strutturazione dell’identità di genere
(cfr. Gianini Belotti 1976). Da questa analisi, infatti, emergeranno fattori innovativi e
disturbanti, che tenderanno a far oscillare i rigidi assiomi regolatori delle differenze di
genere (e, con queste, delle identità), sollecitando, così, un’elaborazione pedagogica che
produrrà l’introduzione di una «pedagogia delle differenze» e di una migliore
valorizzazione della pluralità delle individualità (Gamberi, Maio, Selmi 2012: 10). È
proprio durante l’infanzia, infatti, che l’individuo pone le fondamenta della propria
identità, acquisendo le informazioni necessarie dall’ambiente di riferimento e dagli input
da questo fornitogli. Tuttavia, il processo di consolidamento e/o riorganizzazione di queste
informazioni avverrà soltanto nel periodo adolescenziale, quando l’individuo diverrà
estremamente sensibile all’influenza sociale (sulla quale baserà buona parte della
percezione di sé) (cfr. Santrock 2008).
È questa la fase in cui l’individuo struttura la propria identità, in stretta connessione con
una corporeità sessuata che comincia a manifestarsi con sempre maggiore chiarezza e
andrà a sollecitare frequentemente, nella nostra società, una maggiore aderenza alla
rappresentazione socialmente prevista per il sesso di riferimento, non dando spesso spazio
all’espressione individuale. Inoltre, l’adolescente tenderà ad assumere soventemente un
pensiero di tipo introspettivo, che lo renderà consapevole delle proprie capacità e dei
propri limiti anche in relazione alle influenze del contesto e alla sue capacità di accettare o
3
reprimere inclinazioni divergenti reputate socialmente pericolose. L’identità di genere
risulta, infatti, un forte strumento tramite cui strutturare l’assetto socio-politico, instillando
le cosiddette aspettative di genere: queste influenzeranno, espressamente o tacitamente,
ogni scelta che l’individuo sarà portato a fare nell’arco della sua vita (comprese le scelte
scolastiche e lavorative).
All’interno di questo scenario, difficilmente troveranno spazio le figure che non
riusciranno a riconoscersi nel modello prestabilito. Altrettanto difficile risulterà, per la
maggior parte degli individui, l’attuazione di un’ideale libertà espressiva nonostante,
spesso, gli individui tendano a percepirsi egualmente liberi.
Questo lavoro intende essere un contributo a demistificare quella rigida dicotomia di
genere che condiziona la vita dell’individuo e della società, tramite un’analisi finalizzata,
da un lato, ad esplicitare l’interconnessione tra fattori in apparenza estranei e i modelli di
genere vigenti; dall’altro, a dare una maggiore visibilità alle pluralità dell’individuo,
riducendo così la repressione e la denigrazione che possono essere esercitate quando ci si
discosta dal modello dominante. In linea con questi obiettivi, è stato condotto uno studio
con dei soggetti adolescenti, volto ad analizzare la percezione del sé da loro manifestata e
il loro livello di consapevolezza riguardante il processo di costruzione dell’identità di
genere.
4
Capitolo I
Tra sesso e genere
Come precedentemente accennato, ogni qualvolta si parli di femminile e maschile si ha la
tendenza ad intrecciare aspetti biologici e comportamentali, minimizzando le differenze
che intercorrono e considerandoli necessariamente interconnessi. Proprio a causa di ciò, si
ritiene è opportuno approfondire ciò che s’intende con “sesso biologico”, ciò che s’intende
con “genere” e gli aspetti ad essi connessi, precisando che il dibattito al riguardo è ancora
aperto.
1.1 Tra ormoni e cromosomi: ciò che ignoriamo della differenza sessuale
Negli ultimi due secoli, la storia della medicina è stata caratterizzata dalla ricerca di un
supporto biologico cui poter ancorare una spiegazione riguardante le differenze tra i due
sessi (Benoit-Browaeys, Vidal 2006); tuttavia sin dagli albori delle più antiche discipline
scientifiche la comunità scientifica ha cercato di individuare degli elementi che potessero
spiegare la distinzione tra esemplari femmina ed esemplari maschio. Nonostante, infatti,
nella società pre-illuministica vigesse un modello monosessuale
1
(in cui il sesso veniva
visto come “epifenomeno”, al contrario di ciò che oggi chiameremmo “genere” che veniva
considerato “reale”, e in cui i suddetti aspetti erano legati esplicitamente, evitando così la
semplicistica soluzione facente riferimento solo alla biologia), il XVIII secolo vede un
mutamento generale nell’interpretazione del (corpo) femminile e di quello maschile: lo
sguardo si sposta infatti sulla corporeità, che è una corporeità nuova, le cui fondamenta si
basano su «le opposizioni e i contrasti tra la femmina e il maschio» evidenti sin dal
principio (Laqueur 1992: 14; corsivo mio)
2
. Tuttavia non basta questa nuova impostazione
1
«Essere un uomo o una donna significava possedere un ruolo sociale, un posto nella società, e non essere
organicamente l’uno o l’altro dei due sessi incommensurabili.» (Laqueur 1992:14).
2
S’intende qui far riferimento a evidenti differenze, quali la funzione procreatrice della femmina (come
sottolinea Laqueur: “la femmina partorisce, il maschio no”) o i differenti aspetti dei genitali femminili
rispetto a quelli maschili. Si ricorda, in particolare, come i genitali femminili, per migliaia d’anni, venissero
5
scientifica a spiegare tale reinterpretazione che i corpi, e la biologia settecentesca,
subirono: questa risulta essere, infatti, anche l’esito di processi storici, sociali e politici.
Sembrava quindi che la biologia e l’esperienza sessuale rispecchiassero la realtà esperita
(su cui andava a poggiare l’ordine sociale, secondo la concezione dell’epoca) (Laqueur
1992).
Nel XIX secolo, la ricerca delle differenze cerebrali tra i sessi (che implicava la
misurazione fisica del cranio e del cervello) costituiva un criterio fondamentale. Proprio in
quegli anni, il neuroanatomista francese Paul Broca condusse una ricerca improntata sulla
misurazione dell’encefalo di cadaveri, confrontando il cervello di uomini e di donne. Al
termine di questa ricerca, Broca giunse alla conclusione che il cervello femminile pesasse
in media 181 grammi in meno rispetto a quello maschile, e che a questo fosse legata
l’inferiorità fisica ed intellettuale della femmina (rifiutandosi di rivedere i suoi risultati, pur
consapevole del collegamento tra corporatura minuta e volume cerebrale
3
) (Broca 1861 cit.
in Benoit-Browaeys, Vidal 2006: 18-19). Con l’ampliamento delle scienze e
l’approfondirsi delle discipline, molte di queste si sono mobilitate per trovare una risposta
a tale quesito: la biologia molecolare, la genetica, le neuroscienze e altre discipline si
occuparono, tra le altre cose, di rintracciare un elemento che, preso unicamente, potesse
spiegare la differenziazione sessuale degli esseri viventi in generale, ma più specificamente
dell’essere umano. In prima istanza venne individuato come elemento differenziante i due
sessi il fattore dei cromosomi sessuali (o eterosomi): gli eterosomi sono, infatti, individuati
come i cromosomi
4
che contengono i programmi genetici che regolano il processo di
determinazione del sesso di un essere vivente (Barnes, Curtis 2010). In particolare i
mammiferi, avendo quasi sempre organismo diploide, presentano una coppia di questi
cromosomi, che sarà differenziata a seconda che si trovi in un organismo maschile o in un
ritenuti “genitali maschili ribaltati”. Tale teoria fu ampiamente diffusa dal modello di Galeno che, nel II
secolo, si spese per dimostrare come i genitali femminili fossero eguali a quelli maschili, se non per una
mancanza di “calore vitale” (che rende perfetti gli organi maschili) e a tale mancanza attribuisce il motivo di
una strutturazione interna di organi evidenti nel maschio (Foucault 1976; Laqueur 1992: 7-8,14). Tale visione
della donna come, citando Aristotele, “mas occasionatus” (letteralmente “uomo mancato”, essere
“mancante”, e quindi imperfetto) permarrà per molti secoli e fungerà da base per lo sviluppo delle prime
teorizzazioni psicoanalitiche riguardanti lo sviluppo pulsionale nell’infante (cfr. Freud e Jacobson). È
interessante, e di segno del tutto opposto, la concezione presente presso i Sambia della Nuova Guinea: il
corpo femminile sembra avere in sé i propri elementi di sviluppo; il corpo maschile, avendo essenza diversa
da quello femminile, viene considerato come «risultato parziale e incerto della natura - qualcosa che debba
essere aiutato a sviluppare le sue caratteristiche di maschilità» (Laqueur 1992; Busoni 2009: 48).
3
Oggi molteplici rapporti delle autopsie dimostrano chiaramente come non esista un rapporto tra peso del
cervello e capacità intellettuali (basti pensare al modesto peso di 1.212 grammi del cervello di Einstein,
contro i 1.350 grammi di un cervello umano medio). Nonostante questo, il dibattito non può ancora dirsi
chiuso (Vidal, Benoit-Browaeys 2006).
4
Si ricorda che con il termine cromosoma si fa riferimento all’unità strutturale in cui il DNA si organizza
all’interno delle cellule (Curtis, Barnes 2010).
6
organismo femminile: infatti, la femmina presenterà una coppia di cromosomi sessuali
uguali (definiti per convenzione X) e verrà quindi indicata con la coppia XX; i maschi
presenteranno invece una coppia costituita da un cromosoma sessuale X (come quello della
femmina) ed un cromosoma sessuale Y (inizialmente ritenuto come il responsabile di tutte
quelle che vengono individuate come caratteristiche maschili), e saranno indicati con la
coppia XY (a differenza di altre specie animali, dove sarà il maschio ad esser portatore di
una coppia di cromosomi strutturalmente uguali) (Benoit-Browaeys, Vidal 2006:44;
Barnes, Curtis 2010).
Dopo questa prima fase, tale processo di differenziazione prosegue al livello ormonale:
infatti, se è presente un cromosoma y, la secrezione ormonale delle gonadi
5
maschili
determinerà (nella maggioranza dei casi)
6
lo sviluppo di un fenotipo e di caratteri sessuali
maschili; nel caso in cui saranno presenti due cromosomi x, la secrezione di ormoni da
parte delle gonadi femminili porterà allo sviluppo di un fenotipo e di caratteri sessuali
femminili (ad eccezione dei casi in cui un individuo con cromosomi xx, presenterà
fenotipo e caratteri sessuali maschili
7
). Infatti le gonadi non producono solo cellule
spermatiche e cellule uovo, ma producono e liberano anche ormoni: le due classi principali
di ormoni gonadici sono gli androgeni (il più comune dei quali è il testosterone) e gli
estrogeni (il più comune dei quali è l’estradiolo) (Pinel 2007). In particolare, generalmente,
le ovaie producono una quantità maggiore di estrogeni rispetto a quella di androgeni e,
viceversa, i testicoli producono una quantità superiore di androgeni piuttosto che di
estrogeni: questo ha fatto sì che si iniziasse a ritenere, erroneamente, l’estrogeno come
“ormone sessuale femminile” e l’androgeno come “ormone sessuale maschile”
8
, facilitando
5
Si ritiene fondamentale sottolineare come tutte le gonadi primordiali posseggano una corteccia esterna che
può trasformarsi in ovaio, e una parte centrale interna (o midollare) che può trasformarsi in testicolo. Il loro
sviluppo in un senso o nell’altro è regolato dalla presenza (o assenza) di una proteina chiamata antigene H-Y
(prodotta dal cromosoma Y e individuata da Haqq. et al. nel 1994): la presenza di tale proteina, infatti,
sollecita la midollare di ogni gonade a crescere e svilupparsi in testicolo. Non è stato identificato, inoltre, un
corrispettivo femminile dell’antigene H-Y (la gonade sembra quindi essere sollecitata a svilupparsi in ovaio,
nel caso in cui manchi tale proteina) (Pinel 2007: 362-363).
6
S’intende, in particolare, far riferimento agli episodi di “A.I.S.” (ovvero “Sindrome da Insensibilità agli
Androgeni”, o “Sindrome di Morris”): tale sindrome deriva da una mancanza dei recettori per gli androgeni,
manifestata dall’organismo, che causa il rilascio di androgeni in una quantità prevista per un organismo
maschile. Il corpo, tuttavia, non disponendo dei ricettori necessari, non risponde al rilascio di androgeni,
favorendo uno sviluppo tipicamente femminile (Morris 1953; Pinel 2007).
7
Anche noto come “Sindrome del maschio XX” (o sindrome di "de la Chapelle"). Questa sindrome si
presenta quando uno spermatozoo con cromosoma X portatore di una porzione di SRY (che avrà incorporato
in una fase antecedente), arriverà a fecondare (De La Chapelle et al. 1964). I maschi 46, XX potranno
manifestare genitali ambigui fin dalla nascita o, al contrario, prender coscienza della propria sindrome in
seguito ad esami finalizzati ad individuare cause genetiche di infertilità (Jian-Hong, Tian-Hua 2004: 165-
167).
8
Tale credenza tende a rimanere viva, nonostante il mondo scientifico abbia ormai assodato che il cervello
del maschio venga mascolinizzato dall’estradiolo derivato dall’aromatizzazione del testosterone perinatale e
7
la credenza che gli estrogeni producano femminilità e che agli androgeni sia dovuta
mascolinità (agevolando la traslazione di tale concetto su un livello differente e dando così
luogo alla falsa credenza che ritiene l’omosessualità come causata da una disfunzione
ormonale
9
) (Pinel 2007).
Molte delle ricerche biologiche più note, quindi, sono sempre andate alla ricerca del fattore
decisivo fondante il sesso maschile (come gli eterocromosomi sessuali “X” e “Y”, a cui si
è già accennato; i geni ZFY e SRY
10
; la molecola TDF
11
), sottolineando ancora una volta
la non-necessità di indagare la formazione del sesso femminile
12
: fino agli anni ’90, la
credenza che per diventare maschi fosse necessario possedere “qualcosa in più” (cioè il
cromosoma Y, indicato come il carattere dominante) si imponeva sul panorama scientifico
e popolare; ancora una volta, quindi, il sesso femminile veniva considerato come “sesso
per difetto”, generato dall’assenza del cromosoma Y. A tal proposito, nel 1950, il
ricercatore francese A. Jost dimostrò come, somministrando delle quantità di testosterone
in embrioni di alcuni esemplari di topo, si potesse osservare un’evoluzione dei suddetti
verso il sesso maschile, indipendentemente dalla loro costituzione cromosomica. Tali studi
supportavano l’idea che il sesso femminile fosse un sesso basilare (quindi “primitivo”) su
cui fosse possibile impiantare quello maschile attraverso la somministrazione di ormoni
(Jost et al. 1873 cit. in Benoit-Browaeys, Vidal 2006: 44). La percezione del sesso
che, nelle femmine, l’estrogeno in questione non mascolinizzi il feto grazie, ad esempio, all’alfafetoproteina
(come nel caso del ratto). Nel caso dell’uomo, l’estradiolo ha effetti mascolinizzanti simili a quelli del
testosterone e i feti femminili sono protetti da tali effetti dalla barriera placentare (inerme, tuttavia, agli
estrogeni sintetici, i quali provocheranno nel feto la manifestazione di caratteristiche maschili) (Pinel 2007:
366-367).
9
Tale teoria fu, in passato, sostenuta da diverse ricerche, un esempio delle quali può essere uno studio
effettuato nel 1977 che aveva indicato una correlazione tra omosessualità femminile e una quota anormale di
testosterone plasmatico (Chase, Gartrell , Loriaux 1977). Tuttavia, moderne ricerche hanno ampiamente
dimostrato quanto non esista una correlazione dimostrabile tra orientamento sessuale e squilibrio ormonale.
Uno dei più noti studi che gettò le basi per una teoria che contrastasse la suddetta, fu quello portato avanti da
William H. Perloff, il quale, trovandosi a curare molti casi di persone manifestanti squilibri ormonali,
constatò che nessuno dei soggetti manifestava tendenze omosessuali e che alcuni omosessuali, al contrario,
godevano di un perfetto equilibrio ormonale (Perloff 1949).
10
Il gene SRY (sex determining region Y, anche conosciuto come gene della mascolinità) è un gene locato sul
cromosoma Y e deputato alla codifica del TDF (fattore di determinazione del testicolo) (Goodfellow, Lovell-
Badge 1993). Per lungo tempo tale gene è stato ritenuto l’unico responsabile della determinazione del sesso
(http://ghr.nlm.nih.gov/gene/SRY). Oggi si ritiene che questo gene sia implicato nell’evoluzione delle gonadi
in testicoli, ma non è più ritenuto necessario affinché i genitali maschili si sviluppino: sono, infatti, stati
osservati casi di uomini privi di SRY che non hanno sviluppato alcun tipo di ambiguità genitale (Benoit-
Browaeys, Vidal 2006).
11
Il TDF (Testis determining factor, fattore di determinazione testicolare) è un gene presente nel cromosoma
sessuale Y che determina la comparsa delle gonadi maschili e che regola la produzione del testosterone. Per
ulteriori approfondimenti si rimanda al seguente sito web:
http://www.embryology.ch/anglais/ugenital/molec02.html.
12
Tale tendenza ha, comunque, radici antiche: è possibile vedere, infatti, come si sia dovuto aspettare il 1759
perché venisse illustrato uno schermo femminile particolareggiato, all’interno di un libro di anatomia. Fino a
quel momento il corpo umano era sempre stato visto come corpo universale e tale era considerata la sua
struttura (che, ovviamente, era una struttura maschile) (Laqueur 1992).
8
femminile come “sesso per difetto” ha per anni condizionato la ricerca (soprattutto nel
campo dell’embriologia). Tuttavia, oggi, più attuali ricerche in biologia e biologia
molecolare tendono ad approfondire l’argomento utilizzando approcci differenti e livelli di
analisi diversi: queste, infatti, non inducono più a pensare che le differenze tra individui
siano riconducibili a sole due differenti categorie; inoltre, evidenziano come la
differenziazione fisiologica si collochi su diversi livelli (abbandonando quindi l’idea di un
elemento fondatore del sesso) e viene messo in dubbio che la differenziazione degli organi
sessuali proceda a partire dallo sviluppo delle gonadi (Fonton, Peyre, Wiels 1991 cit. in
Busoni 2009: 44-45).
Nonostante questo, permangono tutt’oggi nel pensiero collettivo elementi propri di teorie,
quali quelle deterministe
13
, che tendono ad amplificare la percezione delle differenze tra i
due sessi in questione: si tende, infatti, a presumere che tali dissimili atteggiamenti,
comportamenti, pensieri siano stati “programmati” fisiologicamente secondo ragione e
necessità, al fine, quindi, di favorire, tra l’altro, una divisione dei compiti ed una buona
organizzazione sociale (in pieno accordo, quindi, con il concetto di eteronormatività
14
).
Secondo queste teorie, fortemente incoraggiate dai media e da psicologi dalla dubbia
eticità
15
, i neuroni, le connessioni cerebrali e il maggiore sviluppo di precise aree cerebrali
possono spiegare interamente le divergenze sopracitate: secondo questi autori, le donne
sono naturalmente portate a parlare più dei compagni e gli uomini sono biologicamente
13
Tali teorie si basano sul concetto che nulla in natura avvenga in conformità a un principio di casualità, ma
che, al contrario, tutti i fenomeni possano essere spiegati fisicamente sulla base del principio di causalità
(tutti i fenomeni sono, infatti, necessariamente connessi da tale principio) (V oce Determinismo in Nicola
Ubaldo, Atlante illustrato di filosofia, Firenze, Giunti Editore, 2000, pp. 86-7).
14
Con tale termine si fa riferimento all’istituzionalizzazione dell’eterosessualità, che diviene quindi lo
standard normativo delle relazioni sociali e sessuali legittime (secondo le aspettative culturali, ovviamente)
(Rinaldi 2012: 102).
15
Si intende, in particolare, far riferimento ad autori quali i coniugi Pease, noti per “Why men don’t listen
and women can’t read maps” (trad. it. “Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si
fermano mai a chiedere?”) o per “Why Men Want Sex and Women Need Love” (trad. it. “Perché gli uomini
sono fissati con il sesso… e le donne sognano l’amore?”). Basta fare un giro in rete, per prender atto del
successo che riscuotono tali autori e del modo in cui questi libri arrivino ai lettori. Facendo riferimento al
primo libro nominato, ad esempio, si cita la recensione di una lettrice: «Un libro regalatomi a Natale da
un'amica, che voleva farmi un regalo spiritoso. Infatti il titolo del libro fa pensare più a un libro divertente,
adatto per i momenti di relax e invece... il libro parla di tutt'altro. E' uno studio alquanto serio sull'influenza
del patrimonio genetico coltivato nel corso di migliaia di anni, da quando l'uomo faceva il cacciatore e la
donna accudiva alla propria caverna. Vengono mostrate, sia per gli uomini che per le donne, le aree del
cervello coinvolte nelle più basilari azioni quotidiane» e ancora «Il libro permette di capire meglio
determinati comportamenti considerati "dell'altra sponda", basandosi su considerazioni scientifiche e non
puramente culturali.»
(http://www.pausalibro.it/modules/myReviews/viewcat.php?cid=5&min=80&orderby=titleA&show=5).
I coniugi Pease vengono, per l’appunto, descritti più volte come: «due psicoterapeuti australiani esperti di
comunicazione e linguaggio del corpo. Sono diventati famosi in patria con lezioni, seminari e trasmissioni
televisive, e i loro libri sono straordinari bestseller internazionali: tradotti in trentasei lingue, hanno venduto
oltre venti milioni di copie in tutto il mondo» (http://cervelloipu.blogspot.it/2011/12/perche-gli-uomini-
perche-le-donne.html). Importante sottolineare l’ampia diffusione e successo che questi testi hanno riscosso.