2
CAPITOLO 1
LA STORIA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA ARBITRI
1. I PRIMI PASSI DELL’ASSOCIAZIONE
1.1 ERA L’ITALIA DI GIOLITTI
Il nuovo secolo era entrato nella storia dell’uomo da più di dieci anni, la “belle époque” stava
spensieratamente consumando le sue ultime ed ingenue illusioni, Guglielmo Marconi aveva appena
inventato il “telegrafo senza fili”ed il mondo si lasciava trascinare incredulo e meravigliato dietro
quei “mostri tecnologici” che erano la locomotiva e l’automobile, l’illuminazione a gas ed il tram a
cavalli erano ormai quasi completamente ed irreversibilmente “fulminati” dalla elettricità ed il
melodramma si popolava di pallide e tragiche eroine pucciniane. Quello italiano era un popolo
giovanissimo, appena quarantenne, che il “Grande padre” Giovanni Giolitti, ormai al suo quarto
governo, cercò di far diventare anche guerriero confezionandogli la sua prima guerra “nazionale”
dal giorno dell’Unità territoriale muovendo alla conquista della terra del colonnello Gheddafi o
meglio del suo “nonno turco” Enver Bey, che prima di arrendersi ( il che, in effetti, non avvenne
mai ) fece vedere i “sorci verdi” al nostro baldo corpo di spedizione. Sua Santità Pio X, che come i
suoi immediati predecessori si era sdegnosamente autoconsegnato in Vaticano a suffragio della
“scomunica” che aveva colpito i protagonisti della presa di Roma, benedisse tuttavia la conquista
della Libia, considerata come una rivincita della Croce sulla Mezzaluna (la Libia era allora sotto la
dominazione turca ). Benito Mussolini che di lì a poco sarebbe diventato direttore dell’”Avanti!”, si
professò, lui che un quarto di secolo dopo avrebbe “fondato l’Impero”, un feroce anti-interventista,
al punto che, con il “repubblicano” Pietro Nenni, sobillando l’ala più estremista della
“Confederazione del lavoro”, inscenò una clamorosa protesta, tentando di bloccare in Romagna le
tradotte militari facendo svellere dai suoi proletari parecchi tratti di binario, con il risultato però che
fu messo in ceppi insieme con il suo amico “repubblicano”. Probabilmente furono proprio le sbarre
che indussero Mussolini a maturare congrue resipiscenze, se quattro anni dopo, allo scoppio della
prima guerra mondiale, egli propugnò il più intransigente interventismo, a dimostrazione che gli
italiani, confermando robustissime doti di recupero, sanno sempre cambiare idea al
momento…meno opportuno. Al contrario, Gabriele D’Annunzio, il vate più “à la page” di quei
tempi, dimostrò una coerenza esemplare,, interventista fu ed interventista rimase, probabilmente
perché le guerre gli erano una sublime fonte di ispirazione. Sicchè il giorno ( 5 novembre 1911 ) in
cui il corpo di spedizione italiano issò, da trionfatore, il tricolore sabaudo in cima allo sperone
fortificato di “Suk el Turk” in quel di Tripoli non si lasciò sfuggire l’occasione per
“immaginificare” a rime più o meno baciate e per sciogliere il inevitabile inno alla “gloriosa gesta
d’oltre mare”. In quella Italia così crepuscolarmente giolittiniana, si parlava già di Giovanni Agnelli
e della “giovinetta” FIAT. Si cominciava a parlare, anche se ancora timidamente , pure di sport, un
fenomeno nato come movimento di élite, ma che doveva fatalmente trasformarsi nel più grande
movimento di massa che la storia dell’uomo ricordi. In quel momento, però, taluni strati della
borghesia medio-alta, naturalmente i più retrivi e conservatori, scorgevano nella pratica sportiva una
testimonianza aperta ed inconfutabile di quell’anelito al “modernismo” contro il quale persino Sua
Santità si era accoratamente scagliata con l’Encicla Pascendi ( 8 settembre 1907 ) con la quale, in
verità, non arringò prese di posizione né contro lo sport né contro i suoi cultori.
3
1.2 L’ARBITRO GIORNALISTA
Nel mondo sportivo di allora, il calcio faticava non poco a farsi largo ( la Federazione era appena
adolescente essendo stata fondata nel 1898 ) anche perché la moderna Olimpiade non lo aveva,
almeno nelle sue prime edizioni, compreso nel novero delle sue discipline sportive. La stampa, poi,
non stravedeva di certo per quella che, con molto distacco, essa chiamava “palla al calcio”.
La“Gazzetta dello sport”, il solo foglio “non politico” di quei tempi, che si occupava appunto
soltanto di sport, usciva due volte alla settimana, il lunedì ed il venerdì, e dedicava al gioco del
calcio uno spazio irrisorio. Fu solo verso il 1906, quando gli sportivi cominciarono a dedicare al
calcio un po’ più del loro tempo libero, che la “rosea” ebbe l’ardire di inserire nella rubrica dedicata
agli “sport atletici” una colonna riservata alla “palla al calcio”. C’era un misto di rispetto , è vero,
ma anche di commiserazione, di superiorità, di “snobismo”, verso coloro che praticavano quel buffo
divertimento di tirare i calci a una palla, nonostante fior di professionisti, di studenti, di impiegati la
domenica si dilettassero nel far mostra di sé sui campetti di periferia, appena recintati da uno spago
tirato lì alla buona, pochi minuti prima di dare l’inizio ad una partita. Il ciclismo* e soprattutto
l’atletica leggera erano gratificati di maggiore attenzione occupando quasi totalmente la prima
pagina della gazzetta. Della famosa “cento chilometri” la massacrante gara di marcia, che vedeva
vittorioso sempre uno straniero, si parlava con anticipo di mesi e mesi sulla sua effettuazione. Al
campionato di calcio si dedicava non più di mezza colonna il venerdì prima delle gare, e poco più di
mezza al lunedì per i risultati. Nessuno a quei tempi avrebbe immaginato che, oltre mezzo secolo
dopo la Gazzetta dello sport sarebbe diventato il giornale italiano più diffuso solo, o quasi, alla
grande popolarità del gioco del calcio. Fu un ex-arbitro di calcio, divenuto poi il “principe del
giornalismo sportivo”, l’indimenticabile Emilio Colombo, ad incrementare sulla “rosea” l’interesse
per il “football” chiedendo ed ottenendo che lo spazio dedicato al calcio fosse aumentato. Lo stile
elegante e fiorito di Emilio Colombo fece colpo sul pubblico e di calcio si incominciò a parlare
persino nei salotti più sofisticati e recalcitranti della intelligenza nazionale. Il giornalismo sportivo
cominciò a diventare sia pure timidamente una sorta di scuola, il numero dei cronisti sportivi ebbe
un certo incremento anche se i giornali politici continuarono ad ignorare il fenomeno calcistico al
punto che una partita fra l’Inter e la Juventus venne tramandata con questo titoletto “ Internazionale
b. Juventus” ( e basta! ) e con questo brillantissimo pezzo sportivo “ Ieri si svolse l’annunciato
incontro tra azzurro e neri e i torinesi. Il match fu accanitissimo”.
* ( anche se il giro d’Italia non era ancora stato inventato)
4
1.3 TRE GRANDI EVENTI
L’ inizio degli anni ’10 fece iniziare tre eventi di capitale importanza nella storia del nostro calcio,
eventi che contribuirono e non poco ad estendere la sua popolarità e soprattutto ad evolvere le sue
strutture, che in verità si reggevano su schemi molto approssimativi semplicistici. Basti pensare che
la federazione che era sorta nel 1898 non era ancora riuscita a darsi uno statuto ( se ne darà uno nel
settembre 1909 ), né a fornirsi delle più elementari attrezzature organizzative nonostante il
campionato fosse ormai giunto alla sua decima edizione e nonostante attorno ai campi di gioco e
sugli spalti il pubblico accorresse sempre più numeroso ed anche sempre più irrequieto ed esigente.
I tre eventi furono in ordine cronologico: l’istituzione della squadra nazionale nel 1910, la
fondazione dell’ Associazione Italiana Arbitri nel 1911 e l’avvento di Antonio Pozzo alla guida
della squadra azzurra nel 1912, la quale proprio in quell’anno avrebbe partecipato per la prima volta
ai Giochi Olimpici ( quelli della quinta Olimpiade ) di Stoccolma. La nascita della nazionale non fu
un parto molto facile per via delle solite incertezze, i soliti timori, la solita mancanza di grinta da
parte dei nostri dirigenti federali. Tuttavia l’evento era ineluttabile. Il calcio italiano con il passar
degli anni era giunto a posizioni di un certo rilievo, la sua popolarità era in crescendo , le squadre di
casa nostra avevano assunto una certa consistenza, insomma, si poteva veramente cominciare a
tentare qualche rapporto internazionale, sia pure a titolo di esperimento, senza per questo avere
l’intenzione di seguitarlo per il futuro. Superati pregiudizi e paure, la decisione di istituire la
squadra nazionale fu presa con molto entusiasmo e per lanciarla subito nell’agone internazionale fu
proposta una partita amichevole contro la Francia. Naturalmente per questa nascita, il concorso e
l’esortazione della stampa furono determinanti: “ La formazione di una squadra nazionale che
sappia difendere degnamente i colori dell’Italia è una necessità alla quale non si può e non si deve
rinunciare!”. Questo scrissero i giornali, sicchè il 17 gennaio del 1910 una commissione di tecnici si
riunì per la selezione, la preparazione e la scelta della formazione definitiva.
5
1.4 LA NAZIONALE…ARBITRALE
I nomi di questi cinque tecnici erano quelli di Umberto Meazza*, Alberto Crivelli, Gianni
Camperio, Giuseppe Gama e Paolo Recalcati. Chi fossero costoro è subito detto: erano tutti e
cinque arbitri! Sicchè la loro commissione fu definita “arbitrale” e non “tecnica”. Umberto Meazza,
che di essa era una sorta di “primus inter pares”, era il fischietto principe di quei tempi e qualche
mese dopo doveva diventare addirittura primo Presidente Dell’Associazione Italiana Arbitri. Era
stato giocatore e capitano prima della Mediolanum e poi nella U.S.Milanese. Allora esisteva una
norma secondo la quale chi era stato capitano di una squadra diventava automaticamente arbitro e
così Umberto Meazza cominciò ad arbitrare nel 1899. Signore di bell’aspetto, elegantissimo, si
diceva di lui che assomigliasse come una goccia d’acqua a Giacomo Puccini, che in quei tempi
andava riempiendo sfera e stratosfera di armonie niente affatto recondite, ma anzi così sublimi da
stipare sino all’inverosimile tutti i più grandi teatri del mondo, cosi come Pelè e Maradona in tempi
diversi hanno riempito e riempiono tutti i più grandi stadi del mondo. Tornando alla commissione
arbitrale, a qualcuno, questa onnipresenza di personaggi arbitrali in ogni settore ed ad ogni angolo
della vita calcistica italiana, potrebbe far sorgere il sospetto di una certa pervicace invadenza da
parte di questa benemerita categoria, una invadenza sottile, discreta, ma irresistibile, incontenibile,
da loggia massonica, da società segreta come qualche fantasioso commentatore anche oggi ama
scrivere. La realtà era ed è un’altra, sin da allora, la funzione di arbitro veniva esercitata da gente
particolarmente istruita, selezionata sia sul piano culturale, che su quello della personalità e della
dirittura morale. Non va nemmeno dimenticato che le fortune, il prestigio, i trionfi della nostra
Federcalcio sono in gran parti legati al contributo di dirigenti di estrazione arbitrale, Giovanni
Mauro, Ottorino Barassi, Saverio Giulini, Artemio Franchi, Romolo Ronzio, Giulio Campanati,
Renzo Righetti… provenivano dal mondo arbitrale. La puntualità, la preparazione, il grande senso
di responsabilità, il rigore morale, la costante applicazione, l’abitudine alla riflessione, il grande
senso di equilibrio, il duro collaudo delle situazioni spesso scabrose e complesse hanno costruito
nell’arbitro un prototipo di dirigente di primissima qualità. Non per nulla Mauro, Franchi, Barassi
sono stati per lunghi anni vicepresidenti “ascoltatissimi ed in fluentissimi” della F.I.F.A. e se una
morte prematura non avesse sottratto il compianto Artemio Franchi all’affetto di tutti noi,
certamente il calcio italiano avrebbe avuto presto in lui il primo presidente della F.I.F.A. di
nazionalità italiana. Investita di così delicata e storica mansione, cioè quella di guidare la prima
nazionale azzurra ( in verità all’inizio fu scelta la maglia bianca ), la commissione formata dai
cinque arbitri si mise alacremente subito al lavoro e laprima riunione, quella del 17 gennaio del
1910, servì a tracciare un piano di massima che la doveva impegnare per ben quattro mesi prima di
una decisione definitiva. Ritrattò di trovare ventidue giocatori fra cui scegliere gli undici definitivi,
quelli titolari. Ma ecco come la gazzetta dello sport seguì ( polemizzando ) il lavoro di quel
coraggioso “pentagono arbitrale”: “ La commissione arbitrale propone per la squadra nazionale le
seguenti due squadre e le loro supplenti. Esse giocheranno due partite in seguito alle quali la
commissione arbitrale procederà alla scelta definitiva degli undici giocatori che dovranno formare
la squadra nazionale. Prima squadra: De Simoni, Binaschi, Calì, Ara, Milano, Leone, Contadini,
Rizzi, Cevenini, Baiocchi, Lana. Seconda squadra: Pennano, Goccione, Varisco, Trerè, Fossati,
Colombo, Borce, Zuffi, Berardo, Rampini, Corona. Non condividiamo i criteri sui quali si è basata
la commissione arbitrale per la formazione dell’undici nazionale, avremmo preferito che si
formassero due squadre, delle quali una sola, e cioè la migliore, così come sarebbe stata formata,
avrebbe dovuto presentarsi contro gli stranieri”.
* Umberto Meazza – uno dei fondatori dell’A.I.A. e suo primo Presidente. Al suo nome è dedicata la Sezione Arbitri di Milano
6
1.5 ESORDIO VITTORIOSO
Arrivo finalmente il fatidico 15 maggio, sul terreno dell’Arena di Milano, i cui spalti erano stipati di
spettatori entusiasti, l’Italia e la Francia scesero in campo. L’arbitro fu l’inglese Goodley, sul quale
è proprio il caso di spendere qualche parola, perché questo signor Googley era, si, un inglese, ma da
tempo trapiantato in Italia e stipendiato dalla Juventus proprio in qualità di arbitro perché allora i
direttori di gara non dipendevano dalla Federazione, come ora, ma erano tesserati dalle stesse
società che se li scambiavano per dirigere le partite. Arbitro, dunque, inglese, ma residente in Italia,
ma il sul suo “fair play” e dirittura morale nessuno osava esprimere il minimo dubbio. Venne,
quindi, accettato in pieno e senza discussioni anche dai dirigenti transalpini. Per la cronaca, miste
Googley doveva entrare a far parte, di li a poco, di una delle tante commissioni tecniche che si
succedettero alla guida della nostra nazionale restandovi per un discreto lasso di tempo. L’esordio
azzurro si concluse con un autentico trionfo, il milanista Lana ci mandò subito in vantaggio dopo
tredici minuti con un bellissimo gol, che doveva diventare il primo della lunghissima aurea serie
della Nazionale. Vincemmo sei a due e la vittoria contribuì non poco a rendere ancora più popolare
la “palla al calcio” nel nostro paese. Undici giorni dopo andammo però a sostenere a Budapest la
nostra prima trasferta e gli entusiasmi di Milano subirono purtroppo una raffreddata spaventosa.
Una catastrofe, fummo battuti per sei ad uno con la conseguenza che la commissione arbitrale, che
aveva guidato la nazionale anche in questa circostanza, fu congruamente rivoluzionata, per se il
Grande Umberto Meazza conservò il suo posto insieme al fido Camperi, ma fiancheggiato stavolta
da altri due gentiluomini, i signori Livio e Zeni, che erano degli illustri sconosciuti e che tali
rimasero, perché la loro nomina durò sino alla nuova sconfitta e cioè lo spazio di un mattino.
7
1.6 IL FATIDICO 27 AGOSTO 1911
La notizia ufficiale della batosta di Budapest, arrivò, potenza delle comunicazione di quei tempi,
soltanto due giorni dopo e contro i fortissimi magiari esordì una nostra giovanissima promessa, il
sedicenne terzino De Vecchi del Milan, che nella ripresa sostituì valorosamente il centravanti
Cevenini iniziando così una carriera formidabile che gli valse il superbo e meritato appellativo di
“Figlio di Dio”. In quella circostanza De Vecchi portava ancora i calzoni corti e la sera al pranzo
ufficiale, un inserviente, scambiandolo per un giovane intruso, per poco non lo sbattè fuori
dall’albergo. La necessità di organizzarsi e di riunirsi in associazione non fu immediatamente
avvertita dagli arbitri di quel tempo, innanzi tutto perché si trattava di un manipolo non molto
numeroso, in secondo luogo perché alla loro tutela provvedevano, come si è detto, le società, in
terzo luogo perché la Federazione, che allora si chiamava F.I.F.*, non si era ancora data uno statuto.
Il che avvenne nel 1909. Esso dava una certa organicità e razionalità alla vita calcistica
nazionale:innanzi tutto si cambiò (italianizzandola)la denominazione:la F.I.F diventò
F.I.G.C.(Federazione Italiana Giuoco Calcio),poi vennero creati i Comitati Regionali, prima
organizzazione periferica che dette un notevole impulso alla propaganda e alla diffusione su scala
nazionale del calcio; inoltre si dava un assetto stabile al campionato diviso in federale e italiano con
girone doppio per quello maggiore. Inoltre venne istituita quella Commissione arbitrale tra i cui
compiti, come abbiamo visto, c’era quello preminente di guidare la costituenda squadra nazionale.
Sul piano delle discussioni e delle ambizioni non furono tempi idilliaci nemmeno quelli. Le
discussioni erano sempre accanite, ribollivano di idee. Sorgevano contrasti, anche profondi, fra le
tendenze rappresentate dai tre centri maggiori Torino, Milano, Genova. Un Movimento per rendere
permanente la sede milanese dove la Federazione si era trasferita nel 1905 da Torino, provocò la
forte reazione delle società piemontesi, che ebbero la meglio sicchè la sede fu trasferita di nuovo
all’ombra della Mole Antonelliana e a segretario venne eletto un personaggio il cui ricordo e le cui
imprese resteranno indelebili e imperituri nella storia del calcio italiano: Vittorio Pozzo. Ma chi era
questo signore allora conosciuto ai più e sulle cui spalle gravava quasi tutto il peso della giovane
Federazione, poiché il presidente, il marchese Ferrero di Ventimiglia, avendo forti interessi in
campo ippico,non è che dedicasse molto del suo prezioso tempo ai problemi del calcio. Vittorio
Pozzo era un giovane ragioniere di Torino, socio fondatore della società calcistica cittadina che
portava i colori granata e che in precedenza, da studente, aveva fatto parte anche della squadra del
ginnasio”Cavour” e dell’istituto tecnico dello stesso nome. Pozzo aggiunse la carica di segretario
federale più per passione che per altro, teneva in casa sua uffici e archivio, la corrispondenza la
sbrigava scrivendo lettere a mano, perché la Federazione non poteva disporre neppure di una
macchina da scrivere. Il “ragioniere” aveva vissuto molto fuori dell’Italia , in Svizzera e in Francia,
aveva giocato anche nelle riserve del “Grasshopper” e un incidente lo aveva costretto a troncare la
sua carriera sul campo. Toccò proprio a Vittorio Pozzo risolvere il mezzo caos in cui era caduta la
guida tecnica dalla Nazionale con le sue ricorrenti pletoriche e labirintiche commissioni tecniche
alcune delle quali composte addirittura da tredici membri, per cui più che la scaramanzia potè la
confusione. L’ultima di queste commissioni non entrò nemmeno in funzione, perché il presidente
federale, appunto il marchese Ferrero di Ventimiglia, visto che le Olimpiadi di Stoccolma battevano
alle porte chiese al suo segretario di fare anche il commissario tecnico. In quegli anni, che parecchi
storici definiscono, molto bonariamente, storici, si viveva invece molto sulla improvvisazione ed
anche su un certo pressappochismo, il che non si addiceva molto alla mentalità meticolosa e
rigorosa dell’ambiente arbitrale, il quale per il cumulo di validissime ragioni, ritenne ormai maturo
il momento per la costituzione di categoria. Cosicché il 27 agosto 1911, una loro assemblea si riunì
in una sala appartata di un famoso ristorante di Milano, L’Orologio, oggi scomparso, per dar vita
all’”Associazione Italiana Arbitri” ( A.I.A. ).
* ( Federazione Italiana Football)
8
1.7 STORICI IN DISACCORDO
In verità, non tutti gli storici sono in accordo sulla data di fondazione di questa associazione,
qualcuno sostiene addirittura che l’A.I.A. fu fondata l’anno successivo in quel di Bologna, ma
qualche tempo fa una accuratissima e fortunatissima ricerca del C.R.A. lombardo, consegnò alla
redazione della rivista “L’Arbitro” un documento inoppugnabile estrapolato da un articolo di un
giornale dell’epoca “La lettura sportiva” che nel suo numero del 16 dicembre 1911 riportava in
dettaglio lo storico avvenimento della fondazione dell’A.I.A. citando anche i primi due articoli,
quelli più importanti dello statuto, che fu redatto per la circostanza e che erano così concepiti: Art.1:
è costituita in Milano un’Associazione fra gli Arbitri del Gioco del Calcio sotto la denominazione
di:”Associazione Italiana degli Arbitri”. Art.2: L’A.I.A. ha per fini: a) la difesa e la tutela del
decoro e degli interessi dei suoi soci nei limiti della dignità dell’Associazione , b) perfezionamento
dell’arbitraggio, c) la discussione sulla interpretazione del regolamento di gioco in modo da
renderla uniforme per tutti gli arbitri, d) l’istituzione di coloro che volessero iniziarsi all’ufficio
dell’arbitro, e) la spiegazione anche con conferenze pubbliche agli amatori del Gioco del Calcio
delle regole che lo governano. Bisogna dire che questo punto ( e ) è quello che ci trova ancora oggi
particolarmente consenzienti costituendo a nostro parere uno dei più efficaci e deterrenti contro il
fenomeno della violenza, un fenomeno che già allora cominciava a mostrare le sottili radici man
mano che il numero degli spettatori andava facendosi più numeroso sugli spalti e che il cosiddetto
“campanile” si ergeva sempre più in alto verso le sfere dell’insofferenza. Nemmeno allora la vita
degli arbitri era tutta rose e fiori e, d’altra parte, il fatto stesso che venissero tecnicamente e
burocraticamente “amministrati e controllati” dalle società non mancò di immergerli sempre più in
una situazione di disagio. Bisogna anche dire che quell’improvviso spirito associazionistico si
eresse come una forte esigenza etica, come quella di un’assoluta indipendenza dal mondo dei club e
come come quella di una congrua presa di coscienza di fronte all’importanza che la figura
dell’arbitro andava vigorosamente assumendo nel contesto di una partita di calcio.
9
1.8 DOCUMENTO STORICO
A nostro parere, a tagliare la testa al toro di tutte le incertezze e di tutti i dubbi sulla data di nascita
dell’A.I.A. si propone il contenuto di un lungo articolo pubblicato, come abbiamo detto più avanti,
il 16 dicembre 1911 dal giornale “ La Lettura Sportiva” che, come vedremo, fu molto vicino alla
categoria. Ecco il testo integrale di quell’articolo “Dunque è vero! …un gruppo di volenterosi ha
iniziato e sta per svolgere un alacre lavoro per dare all’arbitraggio la serietà che gli conviene, per
tutelare la dignità dell’arbitro, per rendere omogenea l’interpretazione dei regolamenti, per affiatare
giocatori,giudici e pubblico. Benvenuti siano gli ardimentosi che a dispetto di molti santi…di
qualche crumiro, di pochi deficienti, hanno avuto il coraggio di crearsi in Associazione a rischio di
essere cacciati di…leghisti! No, non è una lega quella degli arbitri, se lo mettano bene in testa i
luminari del calcio Italiano! L’A.I.A. è una società di studiosi, di appassionati cultori del gioco,
smaniosi di istruirsi ed elevarsi nell’opinione universale. Aprendo qualunque giornale, là dove si
parla del giuoco del calcio è facile trovare critiche acerbe all’operato dell’arbitro, e se in parte il
cronista parla con il fegato, in parte dice il vero, specie quando si trova davanti a decisioni dubbie,
variamente sancite da diversi giudici di campo. La F.I.G.C., per risolvere questioni tecniche; organo
essenzialmente amministrativo, essa deve tutelare l’andamento normale del giuoco in Italia,
favorirne lo sviluppo, regolare i rapporti fra le società, curare l’esatta osservanza dello statuto
federale. La Commissione Arbitrale può fare molto di più in linea tecnica ma il suo mandato diretto
è quello di risolvere a termini di regolamento le questioni che di volta in volta nascono nello
svolgersi delle partite; e non è lavoro né da poco né facile. Era dunque necessaria un’Associazione
di Arbitri che all’infuori dell’Ente Federale, ma con l’appoggio del medesimo si occupasse dello
studio dei vari regolamenti seguendo da vicino e mettendo in pratica le norme indette dai congressi
interfederali, cercando l’uniformità dell’arbitraggio, formando nuove reclute, sottoponendo le
proprie decisioni ad eventuali congressi nazionali ed internazionali di Arbitri, in collaborazione alla
Commissione Arbitrale Federale”
10
2. NASCITA DELL’A.I.A
2.1 IL PRIMO PRESIDENTE: UMBERTO MEAZZA
Che Questo giornale “La Lettura Sportiva” fosse una sorta di portavoce del mondo arbitrale non è
difficile intuire, anche perché nella sua parte conclusiva, l’articolo che stiamo riproducendo
precisava che “ in una delle sue ultime sedute il consiglio direttivo stabiliva di scegliere il giornale,
Lettura Sportiva, come organo ufficiale dell’Associazione ottenendo dalla direzione un
abbonamento che dovrà farsi a mezzo del segretario dell’Associazione stessa. In ogni numero il
Consiglio Direttivo oltre alle comunicazioni prese e dal Consiglio stesso e dalle riunioni settimanali
dei soci, pubblicherà articoli tecnici interessanti i soci, i giocatori e gli amatori. Avrà poi una
rubrica per rispondere a tutte quelle questioni di indole tecnica che società, soci, arbitri, giocatori
volessero indirizzare alla segreteria dell’A.I.A.”. La nascita dell’A.I.A. non fu come si dice un parto
indolore, scriveva ancora il giornale “Come tutte le istituzioni che nascono, anche l’A.I.A.
incontrerà purtroppo ostacoli di ogni sorta, malcelate diffidenze, rancori personali di malcontenti,
stupide invidie, ma il suo cammino è seguito e la sua consistenza nonpotrà che ingigantire in breve
tempo, come tutte le opere create a fin di bene e per ideali nobilissimi e moderni”. Entrando nel
vivo della cronaca che più ci interessa il giornale continuava: “ L’A.I.A. veniva definitamene
costituita il 27 agosto 1911 con la nomina del suo primo consiglio direttivo composto come
Presidente da Umberto Meazza, il suo Vice fu Giovanni Mauro ( il quale si dimise dopo poche ore e
venne sostituito da Enrico Canfari). La prima seduta avvenne il giorno 29, e deliberò, di scegliere
una delle sale superiori del Ristorante Orologio a propria sede per le riunioni e stabilì che la
corrispondenza dovesse essere indirizzata a domicilio del segretario Emilio Bazzi. Inoltre venne
inviata a tutti gli Arbitri Ufficiali e a tutte le società federate una circolare annunciante la propria
costituzione unendovi una copia del proprio statuto. In forma particolare annunciava poi tale
costituzione alla Presidenza Federale, alla Association Belge des Arbitres, alla Association des
Arbitres de France, alla Referee’s Union d’Angleterre che risposero augurando prospera vita alla
nostra istituzione. Incaricò la ditta Johnson del distintivo sociale, che riuscì veramente artistico e
che già fu distribuito ai soci in regola con i pagamenti”. Qui l’articolo con una sottile punta
polemica, annunciò il primo attrito dell’Associazione nei confronti della Federazione. “Il Consiglio
Direttivo forte del consenso di tutti i suoi soci che si sentivano e si sentono a disagio dovendo
arbitrare nelle condizioni odierne, domandava alla Presidenza Federale che, con l’autorità sua,
indicesse una riunione di arbitri rappresentanti le singole regioni nella quale, sotto la presidenza
della Commissione Arbitrale si dovessero esaminare e discutere il regolamento tecnico federale in
modo da stabilire norme tali che gli arbitri dovessero per l’avvenire uniformemente giudicare e
saper comportarsi nei vari casi di giuoco. L’A.I.A. in tal caso, si sarebbe sobbarcata tutto il lavoro
di preparazione e di organizzazione. La Presidenza Federale non credette di dover accogliere tale
domanda e la nostra Associazione deliberò di continuare ciò nonostante il programma prefissosi e
sta ora organizzando per proprio conto la vagheggiata riunione di Arbitri.
11
2.2 PRIMI ORGANI PERIFERICI
Come si vede, i rapporti tra F.I.G.C. e la neonata A.I.A. non furono propriamente idilliaci e anche
nei decenni successivi gli attriti, anche profondi, non mancarono di certo, sicchè per ben due volte (
nel 1926 e nel 1960 ) l’organizzazione arbitrale perse la sua indipendenza e, la seconda volta, senza
rimedio. Sempre seguendo pedissequamente le informazioni di questo storico articolo, si apprende
che: “ si nominarono nelle varie città dei rappresentanti del Consiglio Direttivo dell’Associazione,
in attesa di poter addivenire alla costituzione dei singoli sottocomitati e a tale carica furono scelti
Marcello Bertinetti per Vercelli, Tonino Scamoni per Torino, Enrico Pasteur per Genova, Vincenzo
Leoni per Bologna, Alberto Masprone per Verona e Floriano Ludwig per Bari. Si stabilì di
completare una statistica del lavoro compiuto dai soci e perciò si invitarono e invitano tutti i soci a
mandare alla segreteria un piccolo cenno di tutte le partite che dovessero arbitrare. Con il giorno 26
ottobre ebbero inizio le riunioni settimanali dei soci, che si susseguono al mercoled’ di ogni
settimana, riunioni nelle quali si discute di questioni tecniche, si risolvono casi dubbi e si sta
compilando un vade-mecum per gli arbitri. In questi giorni per ottemperare ad altro dei disposti
dello statuto, venne aperta l’iscrizione ad un corso teorico per aspiranti arbitr, corso che comincerà
nei primi del venturo mese di gennaio. L’iscrizione completamente gratuita dovrà essere presentata
o mandata al segretario entro la fine del corrente mese o a mezzo di una società o di un socio
dell’A.I.A.” L’A.I.A. nasce dunque il giorno 27 agosto del 1911 e Umberto Meazza fu il suo
primo Presidente.
2.3 QUANDO COMINCIARONO LE DESIGNAZIONI
Tra i compiti dell’A.I.A. ci fu anche quello di scegliere gli arbitri per le partite di campionato, le
famose designazioni, ma sarà interessante sapere che cosa avveniva prima della costituzione
dell’Associazione sul piano di queste scelte. Per quanto riguarda i primi quattro anni di attività
federale ( 1898-1901 ) le notizie sono assai frammentarie, perché la stampa allora era assai avara
per non dire ignara, circa questo argomento. Grazie ad una ricerca accurata, gli arbitri più
frequentemente impegnati in quel quadriennio furono: Adolfo Jourdan, inglese residente a Torino;
De Rote, anche lui straniero e residente a Torino; Weber, socio giocatore dell’Internazionale di
Torino poi dell’F.C. Torinese, residente a Torino; Allison, inglese socio giocatore del Milan,
residente a Milano; Nasi, socio giocatore del F.C. Torinese, residente a Torino; Savage, straniero,
socio giocatore dell’Internazionale di Torino poi dell’F.C. Torinese e, infine dell’F.C. Juventus,
residente a Torino; Ferrero di Ventimiglia, socio giocatore dell’F.C. Torinese, residente a Torino;
Leaver, socio del Genoa, residente a Genova; Nordi, socio giocatore del Milan, residente a Milano.
Furono queste secondo gli approssimativi dati storici che ci sono stati tramandati, le persone che più
frequentemente furono chiamate a dirigere le partite di un campionato che annoverava pochissime
squadre e che quindi, contemplava poche partite. Gli stranieri erano in grande maggioranza, il
sistema di designazione non richiedeva particolari accorgimenti. In tempi disincantati, romantici,
diciamo pure ingenui come quelli dove il calcio mosso da un ossessivo spirito dilettantistico non era
ancora colossale il business dei tempi attuali e dove il principio della lealtà e della correttezza era
particolarmente sentito in tutti, designare un arbitro era la cosa più tranquilla e serena di questo
mondo. Sulla integrità morale dell’arbitro non venivano avanzati dubbi anche se scelto tra i soci di
una società concorrente, il direttivo della Federazione sceglieva e nessuno interferiva. Abbiamo già
segnalato la singolare scelta dell’arbitro di Italia – Francia il giorno del debutto azzurro, il signor
Goodley, che di neutrale aveva soltanto la sua origine inglese, perché viveva da tempo in Italia ed
era accasato a Torino, nel F.C. Juventus. Il compito dei designatori doveva diventare più duro, più
traumatico man mano che l’interesse del calcio andava aumentando, non solo sotto il profilo
campanilistico, ma anche e soprattutto quello finanziario, e ci piace ricordare qui il prezioso lavoro
che responsabili dei massimi organi tecnici del secondo dopoguerra come Giovanni Mauro, Sani,
Campanati…svolsero fra mille insidie, ostacoli, prevenzioni e battaglie. Il problema della scelta e
della designazione degli arbitri all’inizio non era un problema sconvolgente, all’inizio di ogni anno
la Federazione sceglieva dodici arbitri, più tre supplementi, divisi fra le sole città di Milano, Torino
12
e Genova, impegnate nell’attività federale; questi arbitri come abbiamo detto erano soci anche se
giocatori delle società federate. Nel 1905 il sistema di scelta venne modificatola fine di rendervi
partecipi anche le società federate, le quali furono invitate a trasmettere alla Federazione un elenco
di otto nominativi che esse ritenevano validi per operare da arbitri. La Federazione, in un secondo
tempo sceglieva i dodici nominativi più i tre supplenti fra le persone più votate. Nel 1906 il numero
degli arbitri prescelti salì a quindici unità più cinque supplenti, nel 1909 il numero salì a trenta con
due napoletani e l’anno dopo due vercellesi. La costituzione dell’A.I.A. servì anche a nazionalizzare
il settore con l’istituzione dei corsi per aspiranti arbitri e di arbitri stranieri si tornò a parlare negli
anni cinquanta quando Romolo Ronzio, convinto europeista riuscì a varare la politica degli scambi
internazionali che, in verità, durò pochissimo tempo e non ebbe quel successo che il suo celebre
propugnatore auspicava.
2.4 DA UMBERTO MEAZZA A GIOVANNI MAURO
Ad Umberto Meazza succedette Enrico Canfari, al quale venne intestata la sezione di Torino,
Canfari svolse un’infaticabile attività a favore dell’associazione sino a quando il 23 ottobre del
1915, in un’azione di guerra cadde da eroe alla testa dei suoi uomini, sull’Isonzo durante un assalto
ad una postazione nemica. La sua carica venne assunta dal ragioniere Luigi Bosisio, anche lui
giocatore, della Mediolanum e Pioniere Ginnasta, viene ricordato da uno scritto del conte Saverio
Giulini come un tipo dinamicissimo e simpaticissimo, con la sua barbetta incredibilmente candida, e
solerte animatore delle tradizionali Feste Arbitrali della sezione milanese che ebbero inizio nel
1924. La presidenza Bosisio durò fino al 1922 quando gli succedette quello che ancora oggi viene
definito il “grande padre” della storia della classe arbitrale italiana: Giovanni Mauro. Il suo avvento
chiude l’era pionieristica della storia dell’A.I.A. per aprirne un’altra di grande sviluppo,efficienza e
prestigio.
2.5 MAURO, UNA VITA PER IL CALCIO
Il grande sviluppo e la irresistibile popolarità nonché gli incredibili successi che il calcio italiano
ottenne nel periodo intercorrente fra le due guerre mondiali furono soprattutto il prodotto del grande
impegno di quattro formidabili dirigenti che risposero ai nomi di Giovanni Mauro, Ottorino Barassi,
Vittorio Pozzo e Giorgio Vaccaro. Mauro fu un po’ un maestro per gli altri tre, come ebbe a
riconoscere lo stesso Barassi, uomo di cultura e di intelligenza senza pari. Mauro nacque a
Domodossola il 21 luglio del1888, compì gli studi medi presso il liceo “Parini” di Milano sino al
1907, da qui passò all’università di Pavia dove nel 1911 conseguì la laurea in giurisprudenza. Ricco
di un dinamismo eccezionale, riuscì a conciliare il suo notevole impegno professionale con una
grande passione sportiva prima come atleta poi come dirigente. Chiamato alle armi nel 1915,
combattè come ufficiale degli alpini sul fronte montano; nelle drammatiche giornate di Caporetto fu
decorato al valore militare per il brillante comportamento e la valorosa resistenza opposta come
capitano comandante di battaglione a Sella Prevala il 27 ottobre del 1917. Fatto prigioniero degli
austriaci, conobbe più volte il campo di punizione per aver arditamente tentato la fuga, partecipò
anche alla seconda guerra mondiale come tenente colonnello degli alpini sul fronte occidentale e,
successivamente, continuò il servizio sino al 1943 presso il deposito dell’8° Reggimento degli
alpini di Udine. In età ancora giovanissima fu tra i primi giocatori dell’Ausonia e nel 1907 fondò
L’associazione Sportiva Goliardica di Pavia, intesa a diffondere il calcio tra le forze giovanili
studentesche e rappresentò L’Ateneo Torinese ai primi campionati nazionali universitari di Perugia
nel maggio del 1910, conquistando il secondo posto. Giocando nel ruolo di mediano militò nelle file
del Milan, ben presto diventò dirigente, nella Pasqua del 1913 passò all’Internazionale dove prestò
per lunghissimi anni un’opera assidua ed intelligente sia come consigliere che come vicepresidente.
Nel 1911 diventò anche arbitro, fino al 1817 dirigendo ventitré partite internazionali ed
innumerevoli gare della massima serie italiana. Dal 1922 al 1926 fu presidente dell’A.I.A., dal 1926
al 1933 fu presidente del Comitato Italiano Tecnico Arbitrale che sostituì l’A.I.A. disciolta per
volere del partito fascista*. Tornò ad essere presidente della risorta associazione dal 1946 al 1948 di