4
non si è mai esaurita, anzi, nel corso del tempo si è ulteriormente rinforzata
sia in direzione di una sempre più attenta consapevolezza della tipologia dei
beni da conservare che nell’ottica di una tutela decentrata e locale. Viene in
tal modo a spiegarsi e a connotarsi di nuovi significati l’istituzione del
Museo Archeologico Provinciale che – sebbene sia nato in ritardo rispetto
alle consimili istituzioni campane- riesce ad avere una forza di penetrazione
sul territorio maggiore e a porsi, sin dal principio, come il baluardo di un
sistema conservativo provinciale che rende molto più comprensibile la
progressiva crescita di una rete di Musei Provinciali (al Museo
Archeologico si sono affiancati: l’area archeologica di Fratte, il Museo
Archeologico della Lucania occidentale, il Museo dell’Agro Nocerino, il
Museo Storico Salernitano, il Museo della Ceramica a Vietri sul Mare, il
Museo Archeologico dell’alta Valle del Sele, nonché la Pinacoteca, il
Centro di Studi Salernitani “Raffaele Guariglia” e la Biblioteca Provinciale)
che costituiscono, in Campania, un caso unico e ricco di potenzialità di
sistema museale provinciale.
5
CAPITOLO 1
Le vicende della Commissione Archeologica per la conservazione dei
monumenti ed oggetti d’antichità e belle arti di Salerno.
1.1 La tutela a Salerno nella prima fase del centralismo ministeriale.
Nella realtà poliedrica e complessa dell’Italia post-unitaria, la Commissione
Archeologica della provincia di Salerno si presenta come una delle più
interessanti iniziative locali di creazione del servizio di salvaguardia dei
beni storico- artistici.
All’indomani dell’unità, infatti, in quasi tutte le regioni e le province si
formarono dei nuclei di studiosi, i quali si volsero indietro per esaminare
“con animo scevro di passione di parte le passate vicende e trarre da esse al
lume della critica un proficuo monito per l’avvenire”.
1
Sorsero, così, le
Deputazioni di Storia patria con carattere regionale e più tardi, varie
Commissioni e Società che restrinsero la loro attività alla provincia o anche
al solo Comune. La società, poi Deputazione Napoletana di Storia Patria,
sorta nel 1876, abbracciò tutte le province dell’ex –regno; ma, fra queste, le
abruzzesi vollero creare nel 1888 una società libera che intitolarono a
Ludovico Antonio Antinori, che fu elevata a rango di Regia Deputazione di
Storia Patria con Regio Decreto 16/01/1910 n° 264; anche la terra di Bari
1
L. Cassese, L’archivio storico della Provincia di Salerno e le vicende della Commissione
Archeologia Salernitana, in “Rassegna Storica Salernitana”, a cura della Società
Salernitana di Storia Patria, Salerno, anno II n. 1 gennaio-marzo XVI 1938, p. 140.
6
creò nel 1894 una Commissione Provinciale di Archeologia e Storia Patria
che in più di un quarantennio di attività ha dato ampi e luminosi risultati.
2
In provincia di Salerno, invece i tentativi di organizzare quello che fu un
glorioso passato, risultarono per molto tempo vani, soprattutto per la
vicinanza del capoluogo a Napoli, che aveva esercitato sin da quando era
stata elevata capitale una forte funzione accentratrice su tutta la regione.
3
Proprio per rivendicare, sul più vasto territorio regionale il suo ruolo di
capoluogo, le ragioni profonde del suo essere città, Salerno decise di dotarsi
di una autonoma struttura provinciale, allo scopo di promuovere le ricerche
di storia patria e la salvaguardia dei reperti del passato.
4
Ma le vicende che determinarono la nascita nel 1873 della Commissione
Archeologica per la conservazione dei monumenti ed oggetti d’antichità e
belle arti di Salerno furono molto travagliate. Esse infatti s’inseriscono in
quel lungo iter che impegnò il nuovo stato unitario per circa 14 anni e che
portò alla nascita del servizio di tutela.
Infatti, come tanti altri problemi legati all’organizzazione dello stato
unitario, anche quello della nascita delle strutture di tutela artistica risentì di
un’unificazione nazionale estremamente tormentata e complessa che
dall’aprile del 1859 al gennaio 1861, attraverso le varie tappe della guerra
austro-piemontese, della formazione dei governi provvisori, dei regimi
commissariali, delle dittature, luogotenenze e governatorati, trasformò la
complessa geografia politica preunitaria della nostra penisola in uno stato
unitario sotto la monarchia sabauda.
5
La nuova classe politica italiana fu
impegnata principalmente da alcuni grandi problemi quali quello
2
L. Cassese, op. cit., p. 141.
3
Persino il primato in campo scientifico di cui Salerno aveva goduto e grazie al quale le fu
conferito il titolo di “hippocratica civitas”, le fu tolto con un decreto sommamente infelice
promulgato da Gioacchino Murat nel 1811 con il quale fu stabilita la chiusura della scuola
medica, a vantaggio dell’Università di Napoli.
4
Tuttavia per la nascita della Società Salernitana di Storia Patria bisognerà attendere fino al
1920, grazie all’opera di Paolo Emilio Bilotti.
5
M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni, Parte prima, Alinea
editrice, Firenze, 1987, p. 91.
7
dell’unificazione reale del paese, dopo quella politica, e quello della
definizione del modello per la struttura amministrativa dello Stato. E fu
proprio intorno a quest’ultimo problema che si catalizzarono le energie del
nuovo parlamento fino al 1865 quando, sotto l’incalzare della questione
sociale del Mezzogiorno e della preoccupazione per il notevole potere
detenuto ancora dalla Chiesa Cattolica, vennero abbandonati i primi progetti
tendenti ad una struttura amministrativa che desse ampio spazio alle
autonomie locali, per abbracciare un modello incentrato sui principi
“dell’accentramento amministrativo e del decentramento burocratico”.
6
Per ciò che riguarda il nostro campo d’indagine, ossia la tutela dei
monumenti, il nuovo stato unitario si limitò a recepire
7
e a far proprio il
ricco ed articolato patrimonio di norme legislative e di strutture non solo
dagli antichi stati preunitari, ma anche dai governi provvisori che dopo
Villafranca si costituirono nell’Italia centrale e meridionale. Tuttavia,
mentre il governo era intento alla risoluzione di alcuni importanti problemi
come il varo di una legge di tutela per le Belle Arti, per la quale bisognerà
attendere ben cinquant’anni (legge Nasi del 12 giugno 1902 n° 185), o della
definizione delle competenze specifiche fra i singoli ministeri
8
e fra questi e
le strutture periferiche, su scala regionale si ebbe la creazione di organismi
molto disomogenei per genesi, struttura ed attribuzioni che tuttavia preparò
6
M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, op. cit., p. 92.
7
Infatti venne emanata la legge 28 giugno 1871 n°286 con la quale si stabilì la validità
delle leggi e dei regolamenti speciali degli ex Stati italiani sulla conservazione dei
monumenti e degli oggetti d’arte.
8
Negli anni che vanno dal compimento dell’unità politica al 1865 si manifestò un
importante processo di catalizzazione attorno al Ministero della P.I. di quelle competenze
che inizialmente erano distribuite in modo variegato fra vari ministeri. Infatti le strutture
operanti nel campo della tutela ereditate dai cessati governi avevano rapporti di dipendenza
con gli organi governativi centrali molto diversi fra loro, basti pensare al regno di Sardegna,
dove esse dipendevano dal Ministero dell’Interno, mentre nell’Italia Centrale dove quasi
tutti gli organismi erano posti alle dipendenze del Ministero della P. I., anche a causa dei
legami strettissimi di tutte queste nuove strutture con le accademie e gli Istituti d’Istruzione
Superiore. E proprio sotto la presidenza del Ministero della P.I. fu istituita nel dicembre
1860 la Consulta di Belle Arti con il compito di consigliarla nelle faccende riguardanti le
arti.
8
il tessuto embrionale per quel servizio di tutela, che a partire dal 1874-1875,
acquisterà una fisionomia e una struttura degne di tal nome.
9
Il decennio 1860-1870 che precede l’opera riformatrice di Ruggiero Bonghi
fu, infatti, caratterizzato da un notevole fermento nelle strutture periferiche,
individuate dal governo come referenti di tutela artistica.
Ma prima di enunciare quelle che furono le caratteristiche degli organismi
periferici, ritengo opportuno ricordare che, quello stesso decennio, fu
contraddistinto dal cercare di puntare tutti gli sforzi alla costituzione di un
centro, garante di una promessa unità di metodo, ma soprattutto “solido nel
richiamare ogni gestione all’autorità ministeriale”
10
. L’approvazione del
regolamento della legge sulle Opere Pie e il varo della legge sulla
soppressione degli ordini e delle corporazioni religiose, che avevano
accelerato il dibattito preparatorio del tormentato iter di formazione di una
legge organica di tutela artistica, accanto alle prime valutazioni negative
sulle esperienze maturate dalle strutture periferiche ereditate dal passato o
ricostruite ex novo all’indomani dell’unificazione, contribuirono a rendere
attuali le proposte avanzate dal Cavalcaselle nel 1863 al ministero della P.I.,
che a suo tempo erano cadute nel vuoto. Cavalcaselle fu forse il solo, fra gli
addetti ai lavori, che disegnò il profilo di una possibile amministrazione
tecnica e scientifica proponendo “la doppia sorveglianza del municipio e del
governo: il primo nell’interesse locale, il secondo nell’interesse nazionale”
11
ed ancora egli sottolineava l’importanza di commissioni d’arte sul luogo,
che in accordo con le autorità governative locali “tengano sempre d’occhio
gli oggetti affidati alla loro custodia”
12
. Sostituendosi a quelle già esistenti
giudicate scarsamente efficaci, le Commissioni d’arte di Cavalcaselle, in
9
Con la nomina alla Minerva (dal 27 novembre 1874 al 25 marzo 1876) di Ruggiero
Bonghi, il servizio di tutela dei monumenti sembra trovare una fase di normalizzazione,
infatti i provvedimenti da lui varati risulteranno di una tale importanza da lasciare tracce
profonde nelle vicende successive del servizio.
10
A. Emiliani , Una politica dei beni culturali, Einaudi, Torino, 1974, p. 68.
11
Ivi, p. 82
12
Ibidem.
9
contatto diretto col governo centrale, dovevano “constatare gli oggetti d’arte
nella loro provincia”, valutare l’opportunità di un restauro, concedere
permessi per il distacco di affreschi, sorvegliare e valutare l’opportunità di
uno spostamento o di una nuova esposizione.
“Presupposto della struttura era naturalmente l’approvazione di una legge
statale che da un lato conciliasse interesse privato e interesse nazionale e
dall’altro prendesse una posizione univoca nell’ambito del più ampio
dibattito tra esigenze di decentramento e necessità di prelazione dello Stato
e soprattutto l’ipotesi di uno ‘speciale inventario delle opere d’arte in mano
privata , desiderabili per lo stato ’, caratterizzavano in maniera abbastanza
precisa la risoluzione che Cavalcaselle riteneva auspicabile per questo
dissidio. Per il secondo ordine di problemi, il piano prevedeva
l’abbinamento delle competenze delle rinnovate commissioni locali e quelle
di un’istituzione centrale da creare ex novo. Già nel 1862 Cavalcaselle
pensava all’introduzione, nella struttura organizzativa del ministero, del
ruolo di Ispettore o Consultore di belle arti, il quale avrebbe dovuto essere
coadiuvato per il disbrigo delle pratiche e della corrispondenza da un
segretario presso il Capo Divisione delle Belle Arti. I compiti dell’ispettore
o consultore erano molto ampi: sorveglianza sulle opere, parere sui restauri
e sulle questioni conservative, riordinamento delle gallerie, eccetera. Il suo
strumento avrebbe dovuto essere un regolamento ministeriale che desse i
mezzi necessari ad esercitare la vigilanza stessa in modo da non temere che
alcun capo d’opera vada disperso, o sia manomesso o deperisca ecc.”
13
Anche se non trovò applicazione, il rapporto che il Cavalcaselle inviò al
Ministro della P.I. fu di estrema importanza perché generò un vivace
dibattito sulla rivista “Nuova Antologia”
14
con interventi di Pietro
13
N. Barrella, La tutela dei monumenti nella Napoli post unitaria, Luciano Editore, Napoli,
1996, p. 94.
14
La rivista Nuova Antologia fu fondata a Firenze nel 1866 da Francesco Protonotari.
10
Selvatico,Conestabile della Staffa
15
e di Ruggiero Bonghi. Un dibattito dal
quale scaturì tutta una serie di provvedimenti varati dal governo che
costituirono la base di quel servizio di tutela regolamentato in tutte le sue
articolazioni, al centro come alla periferia. Così, tra il 1867 e il 1872, il
Ministero si arricchì di due importanti organi consultivi, affidando, invece,
le incombenze strettamente esecutive e amministrative alla II Divisione
diretta da Giulio Rezasco
16
.
Con R. Decreto 20 ottobre 1867 n°4008, che approvava il regolamento del
Consiglio Superiore della P.I., il Ministro Coppino creò una Giunta di Belle
Arti, formata da cinque membri ordinari scelti fra i componenti di quel
consiglio, che furono affiancati da altri sei consiglieri onorari sempre di
nomina ministeriale scelti fra i più valenti cultori delle Belle Arti.
17
La
Giunta, tuttavia, fu impegnata per oltre due anni nella definizione del
proprio regolamento interno, che fu redatto da una commissione composta
da Giovanni Prati, Antonio Cipolla, e Aleardo Aleardi e, approvato dalla
giunta nella seduta del 19 maggio 1868, fu inviato al ministero affinché lo
15
Sia Conestabile della Staffa che Pietro Selvatico, due studiosi attenti ai problemi dell’arte
e della tutela artistica, parteciparono attivamente come membri alla Giunta Bonghiana di
Archeologia e Belle arti istituita nel 1875; Il Conestabile tra l’altro fu anche componente
della Commissione di sorveglianza del Museo Etrusco a Firenze istituito nel 1870, mentre il
Selvatico fu tra i principali protagonisti della Commissione provinciale padovana istituita
nel 1867.
16
Nella sua prima strutturazione, il Ministero della Pubblica Istruzione era dotato, per la
parte direttiva di tre Ispettori generali, tre Ispettori e di un Consultore legale, per la parte
amministrativa di Direttori di Divisione, Segretari di Sezione, Segretari e applicati suddivisi
in sei sezioni. La tutela del patrimonio artistico in questa fase era affidata alla 1a Divisione
responsabile del personale amministrativo, insegnante, dell’Accademia di belle arti, degli
istituti scientifici e dei Conservatori di musica. Una prima ristrutturazione della Divisione
avviene nel 1862 e prevede l’organizzazione in due sezioni: una per gli affari relativi al
Consiglio Superiore della P.I. e l’altra per le Accademie di belle arti, i Musei e gli Scavi di
Antichità. Nel 1864 la prima Divisione ebbe incombenze su “personale del Ministero,
Gabinetto, Biblioteca, Archivio, protocollo, Economato, Statistica, Annuario scolastico e
Consiglio Superiore”, la II Divisione assunse invece competenze su “Belle arti e antichità”.
17
Il nuovo organo era chiamato ad informare il ministro sullo stato delle gallerie dei
monumenti e di tutto quello che riguardava le Belle Arti. Su questi argomenti cfr: M.
Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni,op. cit., pp. 193 e ss.
11
ratificasse.
18
Quest’ultimo atto, però, giunse solo nel 1870 per volere del
ministro Correnti, che a dispetto di quello che sostenne il Rezasco
19
, volle
approvare il regolamento con una stesura che rispecchiava abbastanza
fedelmente il progetto a suo tempo avanzato dalla Giunta.
20
Il Rezasco,
inoltre, nel rapporto inviato al ministro, tese a rimarcare il vantaggio che il
governo ha nel potersi giovare “non solo di dieci o dodici valentuomini, ma
di quanti ne ha in tutto il regno; e si può valere di uomini che non solo
amano il monumento come monumento, ma l’amano ancora come cosa e
gloria loro, paesana e quasi direi casalinga, che è molto di più”; ed ancora
continua “se qualcuno di loro errasse, l’effetto dell’errore cadrebbe almeno
sopra questo o quel monumento di una sola Provincia, laddove l’errore di
una Giunta per così dire universale involgerebbe in sé tutti i monumenti del
Regno”.
21
Nonostante il parere negativo espresso dal Rezasco, il Correnti, come detto,
approvò quelli che erano i principi stabiliti dal regolamento della Giunta
che, nei soli quattro anni di attività, ebbe un ruolo importante nella fase di
avvio della classificazione dei monumenti da dichiarare nazionali, la cui
18
Esso era suddiviso in sette articoli volti a definirlo come un vero e proprio organismo
competente a latere del Ministro nel campo dell’istruzione artistica e della tutela. Infatti non
solo si stabiliva la sua consultazione preventiva in occasione della nomina di nuovi
professori, direttori di accademie, musei e gallerie, ma essa doveva essere
obbligatoriamente interpellata in tutti i casi di importanti restauri, vendite, demolizioni che
riguardavano monumenti o altri oggetti d’arte di qualche rilievo.
19
Il ministro Broglio, sottopose il Regolamento al Rezasco per poter aver un suo parere.
Egli timoroso dell’invasione di competenze dell’organo interno al Consiglio Superiore in
materie attribuite fino a quel momento alla Divisione da lui diretta, sottolineò il pericolo
contenuto in quel progetto di sminuire il ruolo delle commissioni conservative provinciali
già costituite e direttamente corrispondenti con il Ministero, e quindi di vanificare i primi
equilibri raggiunti fra l’azione di queste e la II Divisione del Ministero. Lo stesso Rezasco
elaborò un controprogetto di regolamento che non fu mai pubblicato a causa delle violenti
reazioni di malcontento espresse dai membri della giunta.
20
Una redazione quella del Correnti che segnò la vittoria degli artisti e degli intendenti
d’arte che componevano la Giunta nel contrasto sorto con i dirigenti dell’amministrazione e
contribuì al decollo dell’attività vera e propria dell’organo che rimase in vita fino al 1874.
Essa, infatti, fu soppressa proprio in quell’anno a seguito della creazione del Consiglio
Centrale di Archeologia e Belle Arti (R.D. 7 agosto 1874 n°2033).
21
Regolamento della Giunta di Belle Arti, Relazione di Giulio Rezasco al Ministro della
Pubblica Istruzione, in M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, op. cit., pp. 231-234.
12
impostazione e il cui coordinamento vennero affidati nell’agosto del 1870
ad una sottocommissione della Giunta stessa.
22
Il dicastero di Cesare Correnti fu caratterizzato dall’istituzione di un altro
organo consultivo direttamente dipendente dal Ministro, in grado di
assisterlo in tutto ciò che interessasse gli studi dell’antichità e
dell’archeologia, che fu la Giunta consultiva di Storia, Archeologia e
Paleografia.
23
Anche se ebbe vita breve
24
, la Giunta completò gli organi consultivi centrali
che ispirarono la politica del Ministero e rappresentò un costante punto di
riferimento negli anni successivi per l’azione del Governo e del Parlamento
nel campo della tutela artistica.
Bisogna comunque sottolineare che, gli organi di consulenza varati dal
Correnti, costituirono il primo significativo riconoscimento ufficiale della
necessità di organi ministeriali destinati alla conservazione dei monumenti e
degli oggetti di Belle Arti autonomi rispetto alle competenze più generali
22
Deliberazione del Ministro della P.I. Correnti del 3 agosto 1870: “Il Ministro della P.I.
dovendosi procedere agli studi necessari per determinare quali tra i monumenti più
ragguardevoli d’Italia debbano essere dichiarati nazionali, e conseguentemente provvedere
alla classificazione e conservazione di essi. Dovendosi altresì preparare gli studi per la
esenzione dalla tassa del 30% a favore delle dotazioni destinate a mantenere monumenti
importanti per la storia e per l’arte. Udito il parere della Giunta per le Belle arti presso il
Consiglio Superiore dell’istruzione pubblica; Vista la deliberazione della Giunta stessa
presa nella tornata del 2 agosto corrente intorno alla scelta de’ i suoi componenti ai quali
affiderebbe l’incarico degli studi sopraccennati, Dispone: art. 1. E’ istituita una sotto
Commissione scelta tra i membri della Giunta presso il consiglio Superiore di pubblica
istruzione,composta dei signori: Aleardi comm. Aleardo, Prati comm. Giovanni, Cipolla
comm. Antonio, Cavalcaselle cav. Giambattista, Mussini cav. Luigi. A formar parte della
sotto Commissione medesima sono chiamati i signori: Scala cav. Andrea, ing. architetto
Dall’ Ongaro Francesco, Cavoti prof. Pietro. Il cav. Pavan ne assumerà le funzioni di
segretario. Art. 2. La sotto Commissione per mezzo delle commissioni consultive e
conservatrici provinciali di Antichità e Belle Arti, e delle altre autorità locali competenti si
procurerà tutte quelle notizie che valgano ad agevolarle il compito che le viene affidato,
riferendone di poi alla Giunta per le Belle Arti”. Su questi argomenti cfr. M. Bencivenni, R.
Dalla Negra, P. Grifoni, op. cit., p. 195, n. 15.
23
Essa era chiamata ad esaminare tutti i problemi relativi all’ordinamento degli archivi
dipendenti dal Ministero della P. I., alle pubblicazioni di documenti storici, all’indirizzo
degli studi e delle ricerche archeologiche e degli scavi d’antichità e infine alla
conservazione e al restauro dei monumenti nazionali.
24
La Giunta consultiva, come pure la Giunta di B.A. del ’67, venne soppressa con la
creazione del Consiglio centrale di Archeologia e Belle Arti (R.D. 7 agosto 1874 n. 2033).
13
sulle B.B.A.A. proprie del Ministero della P.I., che erano delegate spesso ai
collegi artistici dei maggiori istituti e delle accademie della penisola.
L’azione del Ministro rappresentò, al tempo stesso, il momento di maggior
successo di quel punto di vista che, dalla memoria del Cavalcaselle in poi,
aveva rivendicato l’importanza fondamentale di organi in grado di
esprimere il massimo livello delle conoscenze scientifiche nelle discipline
interessanti il patrimonio artistico e storico nazionale, da affiancare agli
uffici centrali che assolvevano competenze più specificatamente
amministrative ed esecutive.
Questo decennio, tuttavia, fu contraddistinto anche dalla necessità avvertita
dal Ministero della P.I. di definire al meglio quella che era l’organizzazione
interna degli organismi periferici, ereditati o nati ex novo in realtà
estremamente differenti, e anche le loro attribuzioni e competenze per far
fronte ai problemi causati dai tempi lunghi che già allora s’intuiva sarebbero
occorsi per il varo della legge organica di tutela artistica.
Il caso che si presenta emblematico per spiegare la situazione in cui essi
versavano è dato dalla Commissione per la vigilanza e la conservazione
degli oggetti d’arte toscana, che, sorta nel 1860, per volontà del Ricasoli
25
,fu
sciolta nel 1865 per la mancata approvazione del Regolamento da parte del
Ministero (vista la mancanza quindi di un quadro normativo di riferimento).
L’anno seguente però avvenne la svolta che interessò quella commissione,
ma che comportò delle conseguenze a livello nazionale; infatti con il R.D. 7
giugno 1866 n° 2991, fu istituita una nuova commissione consultiva di belle
arti a Firenze che segnò una svolta decisiva nell’azione del governo verso
gli organi periferici, perché, insieme all’istituzione fiorentina venne varato
un regolamento che ne definì la struttura interna e le competenze. Essa perse
il carattere di organo regionale per assumere una competenza territoriale
25
La commissione toscana era stata creata come una sorta di ente statale incaricato di
vigilare alla conservazione degli oggetti e dei monumenti storici, di definire i criteri del
restauro, di proporre l’acquisto di oggetti importanti per l’arte e per la storia e ovviamente
di redigere un inventario dei beni.
14
limitata alla provincia di Firenze, estesa in via provvisoria anche a quella di
Arezzo. Vennero stabilite, oltre alla struttura interna
26
, anche le competenze
specifiche e i suoi rapporti con il ministero e con gli altri uffici ed enti
periferici dello Stato. Mantenendo un carattere meramente consultivo, la
Commissione, era chiamata ad esprimere pareri in materia di restauro,
collocazione di oggetti d’arte ed esposizioni pubbliche. Spettava ai suoi
membri, infine, la redazione e l’aggiornamento degli inventari degli oggetti
d’arte conservati nella provincia di sua competenza in edifici pubblici o in
quelli privati, ma esposti al pubblico.
27
L’importanza di tale istituzione fu enorme, perché, da quel momento, il
Ministero ristrutturò le commissioni già esistenti o ne creò altre sul modello
di quella fiorentina, ribadendo il concetto dell’omogeneità di tali istituzioni
locali a livello nazionale per perpetrare un maggiore controllo, ma
soprattutto per poter cooperare al meglio con tali organismi così eterogenei
fra loro.
A questo punto ritengo opportuno rammentare, (e quindi aprire una piccola
parentesi), che la prima proposta di mettere a punto un decreto per
l’istituzione su tutto il territorio nazionale di “commissioni locali composte
di persone scelte dall’Università, Istituti ed Accademie, le quali cooperino
mediante il soccorso delle loro cognizioni e dei lumi della scienza col
Governo per provvedere convenientemente alla conservazione e allo
scoprimento delle reliquie delle antiche glorie italiane”
28
pervenne dal
Ministro degli Interni nel 1862. A questi propositi il Ministero era stato
26
Fu riconfermata la propria presidenza al Direttore delle Gallerie e all’ispettore
ministeriale, i restanti 12 commissari ripartiti in quattro sezioni (architettura, pittura,
scultura, archeologia ed erudizione storico artistica) dovevano essere nominati ciascuno dal
Governo, dal Consiglio Provinciale e dal Collegio dei Professori dell’accademia del
Disegno.
27
R.D. 7 giugno 1866 n°2992 che approva il Regolamento della commissione consultiva di
belle arti delle province di Firenze e Arezzo. Testo del regolamento e del decreto, in M.
Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, op. cit., pp. 240-242.
28
A.C.S., I Versamento, AA. BB. AA., B. 363, f. 1-1, Lettera del Ministro degli Interni al
ministro della P.I. del 3 giugno 1862. Su questi argomenti, M. Bencivenni, R. Dalla
Negra,P. Grifoni, op. cit., pp. 148-152.
15
indotto dal Prefetto di Milano che, avendo ricevuto una proposta per la sola
Lombardia dalla R. Deputazione di Storia Patria di Milano, gli aveva
sottoposto un progetto d’istituzione di “Commissioni per la conservazione
degli antichi monumenti in tutte le provincie dello Stato.”
29
Questa richiesta, perpetrata dal Ministro degli Interni, ben mostra come a
quella data la tutela degli edifici monumentali rientrava ancora tra le sue
competenze.
30
Ritornando al regolamento fiorentino, tra il 1866 e il 1870 fornì da base,
come già detto, per l’istituzione di un folto numero di Commissioni in
tutt’Italia
31
. Infatti, alcune ripresero pressoché alla lettera il Regolamento
fiorentino altre invece, se ne differenziarono sostanzialmente per tre motivi:
la presidenza affidata al prefetto, la mancanza di un segretario e di un
ispettore generale di ruolo, e la suddivisione dei commissari in tre sezioni
(pittura e scultura vennero unificate).
Un’altra precisazione che ritengo opportuno aggiungere, prima di
addentrarmi nel merito della vicenda che vide la nascita a Salerno di una
commissione archeologica, riguarda l’emanazione delle leggi sull’asse
ecclesiastico, che è strettamente collegata all’estensione a livello nazionale
del modello fiorentino. L’emanazione delle leggi eversive, infatti,
comporterà un’ulteriore esigenza di uniformare e omogeneizzare su scala
nazionale strutture e normative, che porteranno ad una più consapevole
gestione dei beni culturali.
29
Ibidem. La notizia del progetto del Prefetto di Milano è contenuta nella lettera del
Ministro degli Interni sopra citata.
30
Per volere del Ministro Amari di mantenere strettamente dipendenti dal proprio ministero
le competenze di tutela dei monumenti antichi, nonché le strutture periferiche preposte a
questo compito, tra il 1864 e il ’65 ci fu un ulteriore chiarimento di competenze tra i due
ministeri. Infatti, nel 1865, il fondo di £109.000 presente al capitolo 64 del bilancio passivo
del Ministero degli interni per la conservazione dei monumenti antichi, passò al capitolo 21
di quello della P.I. sotto la denominazione “Spese diverse per Belle Arti”. Passaggio che fu
ufficialmente sancito nella G.U. n°310, supplemento del 1864. Cfr. M. Bencivenni, R.
Dalla Negra, P. Grifoni, op. cit., p. 151, n° 159.
31
Nuove commissioni vennero istituite a Siena, Grosseto, Pisa, Perugia , Genova, Lecce,
Lodi, Como Sondrio, Udine, Padova, Napoli, Cagliari, Caserta, Sassari , Assisi.
16
Le prime leggi eversive furono emanate nel 1855,
32
in base ad esse
cessavano di esistere gli enti morali e le case degli ordini religiosi che non
attendevano alla predicazione e all’assistenza degli infermi nonché i
Capitoli delle chiese collegiate. Con l’unificazione nazionale, che favorì
l’estensione del provvedimento all’Umbria
33
, alle Marche
34
e alle Province
napoletane
35
, si assiste “da un lato ad un primo lieve affiorare dei bisogni
della pubblica istruzione per quel che concerne l’utilizzo delle rendite
,dall’altro ,ad una maggiore precisazione degli enti che hanno il
diritto/dovere di conservare gli oggetti d’arte appartenenti agli enti
soppressi”
36
.
Tra il 1861 ed il 1866 il dibattito si estende ai giornali e coinvolge
inevitabilmente anche il Parlamento; nel 1862, il Ministro Sella propone la
possibilità del passaggio al demanio dei beni immobili della Chiesa (infatti
con la legge 21 agosto 1862 n°794,i beni immobili delle corporazioni
religiose e degli altri enti morali soppressi e trasferiti alla Cassa ecclesiastica
passano al demanio). Nel 1863 il Ministro delle Finanze Minghetti delinea
l’utilità di una più vasta applicazione del provvedimento soppressivo. Ma il
progetto di legge, che può essere considerato più interessante fu presentato
dal ministro guardasigilli Pisanelli, il 18 gennaio 1864. “Ispirato alla legge
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Legge 29 maggio 1855,n°878,detta legge Rattazzi, artt .1.,4. Vennero soppressi gli enti
ecclesiastici che non attendevano alla predicazione,all’educazione o all’assistenza degli
infermi; i beni vennero applicati a un ente autonomo, la Cassa ecclesiastica, appositamente
istituito per la gestione dei patrimoni degli enti religiosi soppressi, per il pagamento delle
pensioni ai religiosi e degli oneri di culto. Numerose case religiose ricorsero ai tribunali per
ottenere l’annullamento della soppressione, e nella metà dei casi ci riuscirono;
complessivamente vennero soppressi 35 ordini con 335 case. Su questi argomenti, A. Gioli,
Monumenti e oggetti d’arte nel Regno d’Italia. Il patrimonio artistico degli enti religiosi
soppressi tra riuso, tutela e dispersione Inventario dei “Beni delle corporazioni religiose”
1860-1890, Roma, 1997, pp. 17 e ss.
33
Decreto emanato l’11 dicembre 1860, n°205 del commissario straordinario generale
Gioacchino Napoleone Pepoli. Furono soppresse 299 case religiose.
34
Decreto emanato il 3 gennaio 1861, n°705,del commissario generale straordinario
Lorenzo Valerio. Furono soppresse complessivamente 419 case religiose.
35
Decreto emanato il 17 febbraio 1861 dal luogotenente generale Pasquale Stanislao
Mancini. Furono soppresse 1.022 case religiose.
36
N. Barrella, op. cit., p. 98.
17
sarda del 1855 e al principio separatista, mirava soprattutto a comporre il
conflitto tra Stato e Chiesa, limitandosi a riordinare gli eventi e a gestirne
più razionalmente i beni, senza incamerarli. Questi, infatti, venivano ceduti
ad un fondo per il culto, che li avrebbe conservati alla destinazione
originaria impiegandoli esclusivamente per coprire le spese di culto,
compresi i restauri delle chiese monumentali. Fu questo il progetto che
conservava i capitoli delle chiese collegiate dichiarati dal governo come
monumenti e ricordi della storia nazionale, vedendo nel mantenimento della
proprietà ecclesiastica la forma migliore di custodia e conservazione di quei
beni che, venivano isolati dal patrimonio globale e riconosciuti degni di una
speciale tutela”.
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Furono presentanti altri progetti, controprogetti, discussioni, che alla fine
portarono finalmente all’approvazione del R.D. 7 luglio 1866 n°3036, che
“sopprimeva ordini, corporazioni e congregazioni religiose regolari e
secolari, conservatori e ritiri di carattere ecclesiastico, ne devolveva , con
alcune eccezioni , i beni al demanio, e creava il Fondo per il Culto
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,
amministrazione autonoma in sostituzione della Cassa ecclesiastica, con cui
provvedere agli oneri gravanti sui beni passati al demanio e a tutte le spese
di culto”. Al R.D. del ’66 seguì l’approvazione della legge 15 agosto 1867
n°3848, che disponeva l’abolizione di enti ecclesiastici e la devoluzione dei
relativi patrimoni al demanio, nonché l’amministrazione e alienazione del
demanio dei beni acquisiti in forza dei vari provvedimenti soppressivi.
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Il ministro Guardasigilli pel ramo culto, che, nello stesso anno propose il
progetto sul riordinamento della proprietà ecclesiastica, si rese autore di una
37
A. Gioli, op. cit., pp. 40 e ss.
38
Il Fondo per il culto, fu pensato come un ente autonomo gestito dal Ministero di Grazia e
Giustizia e culti, aveva in carico le chiese officiate e i loro arredi, la cessione di edifici a
comuni e province, la designazione e i fondi dei complessi monumentali, nonché i beni
artistici fino alla loro devoluzione.
39
L’ultimo atto della complessa vicenda legislativa fu la legge 11 agosto 1870 n°5784, che
chiarì le precedenti disposizioni sulle fabbricerie e sulla conversione dei loro beni
immobili, nonché sull’applicazione della tassa straordinaria del 30% agli enti religiosi. Su
questi argomenti, A. Gioli, op. cit., pp. 37-55.