3
penna al servizio del soggetto dominante, ma come una costante ricerca di adattare la propria figura di 
uomo di cultura, nonché la propria scrittura, alla realtà mutevole del mondo: in questo esercizio, a nostro 
giudizio indispensabile per un’opposizione alla velocità di tempi e ritmi, riconosciamo la ‘resistenza’ di 
Calvino, la tenacia della sua riflessione che, per continuità e fermezza, non ha pari in Italia. Il paradosso 
che nasce, quello di una fermezza nel cambiamento, anziché spaventarci, ci pare un indizio che la strada 
percorsa è buona. Coerenza, da una parte, a mantenere sempre vivo uno sguardo consapevole, lucido ed 
esatto, su ciò che accade; ricerca di compatibilità, di adattamento, dall’altra, a che l’esercizio creativo 
risulti interessante, significativo, portatore di una visione del mondo. 
Nel percorso segnato dagli scritti di Calvino si può individuare un intervallo temporale in cui tale 
dispositivo a ‘due vie’ matura: attraverso i saggi, da Il midollo del leone (1955), a La sfida al labirinto 
(1962) fino a Cibernetica e fantasmi (1967); attraverso le opere letterarie, dal Sentiero dei nidi di ragno 
(1947), a I racconti (1958) fino a Le Cosmicomiche (1965); seguendo un percorso socio-politico, 
dall’adesione al partito comunista (1945), all’uscita dal partito a causa della reazione del PCI ai fatti di 
Ungheria (1957), all’eremitaggio parigino (1967). 
Si potrà notare un vuoto importante che corrisponde al periodo intorno agli anni Sessanta, il periodo 
della pubblicazione de Il cavaliere inesistente (1959) e della stesura del saggio Il mare dell’oggettività 
(1960). Abbiamo posposto questi due elementi perché proprio nel saggio in questione, legato alla stesura 
del romanzo, troviamo un commento di Calvino alla poesia di Dylan Thomas in cui possiamo leggere un 
passaggio fondamentale, un’indicazione che rende chiara la sua percezione che nel mondo qualcosa è 
cambiato, che la realtà non si presta più a un legame conoscitivo attendibile ed esauriente; al contatto con 
lo strumento dello scrittore, la parola, essa rivela la sua essenza evanescente e inafferrabile: «la natura 
non è più sentita come alterità, il tessuto delle analogie distrugge la distinzione tra l’uomo e il coacervo 
della natura»
4
. La crisi nasce nello scrittore nel momento in cui percepisce nell’umanità, intesa come 
corpo sociale, politico e culturale, così come nel proprio esercizio di scrittura, inteso come strumento di 
conoscenza sul mondo, un’inattesa tendenza all’inconsistenza. Il tema della non-adesione e del rapporto 
negativo col mondo bussa alla porta dell’opera letteraria, si affaccia all’officina creativa di Calvino, si 
insinua nella sua scrittura per lasciarvi una traccia nel Cavaliere inesistente.  
Calvino è autore che non contempla la resa, che non può nemmeno pensare l’idea di retrocedere, se non 
per prendere la rincorsa necessaria per un salto: non lo sentiremo mai ideologizzare la regressione nei 
suoi scritti saggistici, mai in quelli creativi ci sarà l’immagine di una pura e semplice denuncia. Eppure il 
Cavaliere si mostra come un libro dai ‘nervi scoperti’, un testo in cui i rapporti di forza tra mondo, 
                                                          
4
 Italo Calvino, Il mare dell’oggettività, in Saggi, cit., p. 54. 
 4
sguardo dello scrittore e possibilità referenziali della parola si danno battaglia. Calvino tematizza il suo 
sforzo, semina le proprie impronte nel testo, ne fa motivo di gioco narrativo. Ma qualcosa si è rotto.  
Da qui comincia il nostro percorso. Ci infileremo in questa traccia, per indagare cosa non ha funzionato 
nel meccanismo narrativo del Cavaliere inesistente; lo sezioneremo per individuare la causa, la ragione, 
che sta alla radice di una scrittura che non scorre e non decolla, per rintracciare quale malessere 
impedisca all’autore di abbandonarsi al flusso del racconto e lo induca a dar vita a ‘pagine stanche’, 
effetto di una tormentata riflessione sullo statuto della scrittura.  
Nel secondo capitolo vedremo con quali artifici Calvino ripari questa frattura, con quali espedienti 
riesca a delimitare uno spazio letterario in cui la scrittura risulti possibile, in cui il racconto torni a 
scorrere secondo il suo piglio caratteristico, in cui si rafforzi la sua vivace voglia di sperimentare. Non 
indifferenti saranno le influenze dello strutturalismo francese, della semiologia di Ferdinand de Saussure, 
delle tesi delle ‘Novelle Critique’; il fascino di nuovi maestri come Vittorini, Borges, Queneau. All’inizio 
degli anni Sessanta si impone a Calvino una nuova impostazione del rapporto tra linguaggio e mondo, un 
nuovo statuto per la figura dell’autore: la creazione dell’opera si configura come un esercizio di 
compatibilità, un adattamento, una negoziazione che vede impegnati mondo, sguardo, lingua, in un 
rapporto che vedrà i primi due termini continuamente combinarsi e decostruirsi, allontanarsi e 
rimpicciolirsi, il terzo adattarsi e mai corrompersi. 
Questo lavoro vuole essere lo studio di questa reazione, l’analisi della sfida portata da un narratore al 
vortice di dissoluzione che pervade ogni storia, ogni testimonianza. Se il rapporto dello scrittore con il 
mondo è cambiato, si può dire che in questo rapporto è cambiato sia il mondo, sia lo scrittore. Non che 
questo rappresenti una cocente novità, ma pare che il mondo, diciamo nella prima metà del XX secolo, 
abbia cambiato ‘rapporto’, abbia innestato una marcia che l’uomo non ha o che, quantomeno, non ha 
ancora sviluppato. All’uomo che non voglia perdere la propria umanità occorre quindi reagire.  
La letteratura insegna un modo di guardare il mondo, un modo per trovare relazione – sembra 
continuamente dirci Calvino. La sua figura ci accompagna fino alle soglie del prossimo millennio, quello 
che ora noi ‘abitiamo’ nel quotidiano; ci ha lasciato, è vero, six memos for the next millenium – li ho 
attaccati con cinque post-it sul frigo di casa – ma non una parola sulla globalizzazione. Era così lontana 
nel 1985? Forse possiamo rimediare. In una intervista al compianto Cesare Cases gli viene posta, con 
tono imbarazzato, in chiusura, questa domanda: «Cos’è per lei la globalizzazione?». Cases, già molto 
vecchio, tace per qualche secondo. Poi apre sulla collina un gesto, con il braccio, e dice: «Tutto quello 
che è qui, è altrove»; Calvino, in contrappunto, direbbe: «L’altrove è uno specchio in negativo»
5
.    
 
                                                          
5
 Italo Calvino, Le città invisibili [1972], Mondadori, Milano 2002, p. 27. 
 5
                                                    CAPITOLO I 
UNA LETTURA DE IL CAVALIERE INESISTENTE 
 
1.1 - Abitare la crisi 
 
Il cavaliere inesistente
6
 è probabilmente il libro più disorganico e frazionato della trilogia dei Nostri 
antenati. Contiene al suo interno la narrazione delle storie del paladino Agilulfo, cavaliere privo di corpo, 
e dei suoi compagni d'armi Torrismondo e Bradamante, di battaglie fra l’esercito cristiano e quello 
pagano, di amori e di avventure e, da un certo punto del libro in poi, frequenti riflessioni di carattere 
teorico che lo fanno apparire un libro più di ricerca e sperimentazione che di fatti. Tale discontinuità non 
si registra a causa della compresenza di una grande quantità di temi in un testo pur breve e nemmeno per 
l’uso di un linguaggio stratificato o per qualche manipolazione lessicale: Calvino ha la sua lingua e un 
ideale linguistico
7
 che lo segue – e che egli persegue – nei territori più rarefatti come in quelli più densi. 
Questa instabilità si trasmette alla pagina piuttosto come una risultante di forze che scaturisce da un 
affanno, da uno smarrimento, da un persistente inseguimento della ‘forma’ che induce a non potere e non 
sapere più dire quale sia l’esatto volto delle cose e quale scelta operare in esse: questo vale per l’autore, 
per il narratore omodiegetico che dal IV capitolo entra nella narrazione, per i personaggi, per il critico e 
per il lettore. 
Come fa notare Domenico Scarpa: «Il cavaliere (inteso come libro) è come Agilulfo, indeciso tra istinto 
e autocontrollo, tra mancanza di forma ed eccesso di forma, tra disordine proliferante e cristallina assenza 
di contenuti»
8
. Indecisi e ingannati sono anche alcuni critici che recensiscono l’opera di Calvino appena 
data alle stampe nel novembre del 1959. Tra gli ingannati, non per incompetenza ma per furore politico, 
bisogna citare la sfortunata uscita di Walter Pedullà che, in un articolo del 31 gennaio 1959, sotto il titolo 
Il romanzo di un ex comunista, proponeva un’interpretazione del libro in chiave allegoria politica. 
Calvino, appena rientrato da un viaggio negli Stati Uniti, risponderà con una lettera a “Mondo Nuovo” in 
cui sconfesserà, con un appello politically correct rivolto ai lettori, tale esame critico precisando la sua 
intenzione originaria di voler «studiare e rappresentare la condizione dell’uomo di oggi, il modo della sua 
alienazione, le vie di raggiungimento di un’umanità totale»
9
. 
                                                          
6
 Italo Calvino, Il cavaliere inesistente [1959], Mondadori, Milano 1993. 
7
 Una chiara enunciazione di tale ideale linguistico dell’autore è riportata nel volume di Scarpa: «Il mio ideale linguistico è un 
italiano che sia il più possibile concreto e il più possibile preciso. Il nemico da battere è la tendenza degli italiani a usare 
espressioni astratte e generiche». Domenico Scarpa, Italo Calvino, cit., p. 149. 
8
 Ivi, p. 79.   
9
 La lettera è riportata in Presentazione, in Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, cit. p. VII. 
 6
Tra gli indecisi occorre ricordare la recensione di Luigi Baldacci che, con pochi entusiasmi, ne fa una 
lettura semplicistica, bollando il Cavaliere inesistente, così come tutta la trilogia araldica, come 
letteratura di temi di evasione e – possiamo dirlo con il senno di poi – prendendo un clamoroso abbaglio: 
«Una cosa è certa: che la fantasia di Calvino ha bisogno, per dare il meglio di sé, di essere libera»
10
. 
L’affermazione di Baldacci rivela la sua inesattezza se comparata alla produzione successiva di Calvino 
che vedrà nella limitazione della libertà, addotta dall’assunzione di una struttura, di una regola, l’unica 
modalità che gli permetterà di alimentare la sua vena creativa; d’altro canto si rivela feconda per una 
riflessione peculiare all’indagine dei rapporti di transtestualità
11
 in questa opera: libertà e fantasia ‘libere’ 
mostrano, nella loro connessione con una struttura dai contorni incerti, un ulteriore dato di disgregazione 
che opera all’interno del racconto
12
.  
A riflettere sul questo tema è anche Vito Amoruso
13
, che intuisce come la molteplicità dei sensi che 
possono essere assunti dal romanzo
14
, pur disorientando l’indagine epistemologica, finisca per 
rispecchiare, nella stessa realizzazione concreta del testo, una situazione esistenziale diffusa nella società. 
È, infatti, il tema della disgregazione nel paradigma ontologico dell’uomo moderno a stimolare Calvino e 
a rendergli interessante e significante la scrittura; anzi, qualcosa che va oltre la disgregazione e che si 
riconosce piuttosto in una tematica che si allarga al dibattito filosofico sull’esistenzialismo: «Il problema 
oggi non è ormai più della perdita d’una parte di se stessi, è della perdita totale, del non esserci per 
nulla»
15
. 
Riprendendo lo scritto di Amoroso, si può inoltre notare come egli abbia impostato la propria lettura 
dell’opera sulla compresenza di una felicità di ritmo e di una qualità fantastica di estro felice che viene 
«come irretito, felicemente irretito, punto, stimolato, da un’amara visione delle cose, da una volontà 
                                                          
10
 Luigi Baldacci, Il cavaliere inesistente [1959], in Letteratura e verità, Ricciardi, Milano-Napoli 1963, p. 262. 
11
 Ci richiamiamo qui allo studio di Genette sulla letteratura di secondo grado dove la transtestualità è definita in modo 
generale come la trascendenza testuale del testo, cioè «tutto ciò che lo mette in relazione, manifesta o segreta con altri testi». 
Gérad Genette, Palimpsestes. La littérature au second degré, Seuil, Paris 1982 (trad. it. Palinsesti: la letteratura al secondo 
grado, Einaudi, Torino 1997, p. 3). Rifacendoci all’ulteriore affinamento terminologico che questo studio relativo alle pratiche 
della transtestualità attua, possiamo collocare il Cavaliere inesistente nella quarta categoria indagata da Genette: un ipertesto di 
secondo grado che riconosce il suo riferimento di primo grado (ipotesto) nell’opera di Ariosto. Il discorso si complica 
inevitabilmente qualora si voglia considerare l’impurità dell’opera di Ariosto, le sue continue derivazioni, fino a La Chanson 
de Roland e ancora oltre la tradizione orale del ciclo Carolingio e di quello di Bretagna. 
12
 Per la tematica dell’ambiguità della struttura del Cavaliere inesistente rimandiamo al paragrafo 1.4 - Il cavaliere senza 
regola.  
13
 Vito Amoruso, Il cavaliere confuso [1960], in Le contraddizioni della realtà, Dedalo, Bari 1968. 
14
 Ci troviamo indecisi sullo statuto generico con cui designare l’opera in questione. Se Il barone rampante si lascia definire 
come romanzo e ne La nuvola di smog troviamo il canone perfetto del racconto lungo, per Il cavaliere inesistente entrambi i 
termini non ci appaiono completamente esatti. Si potrebbe ricorrere alla formula di Guido Guglielmi che definisce il Cavaliere 
inesistente «il romanzo del narratore e del suo coinvolgimento nella storia che narra», concentrando la definizione generica 
sullo spazio metanarrativo e sul congiungimento finale delle due linee di scrittura. Cfr. Guido Guglielmi, Le «finzioni» di 
Calvino, in La prosa italiana del Novecento vol. 2, Einaudi, Torino 1998, p. 157. 
15
 Italo Calvino, Postfazione ai Nostri antenati [Nota 1960], in Romanzi e racconti vol. 1., Mondadori, Milano 1995, p. 1215. 
 7
disperata di comprensione»
16
. La nostra analisi accoglie con qualche riserva il contatto delle sfere della 
fantasia e della felicità; per quanto riguarda il ritmo della scrittura, il Cavaliere inesistente ci pare, al 
contrario, un’opera con frequenti e disarmonici sbalzi e lunghe pause nella diegesi, affetta da un’aritmia 
letteraria che giudichiamo altamente significativa proprio perché portatrice di un valore concreto e 
conforme allo stile di vita che caratterizza l’esistenza nelle città moderne. Nel mondo in divenire della 
narrazione e nelle immagini che escono dalla penna di Calvino, compare il modo in cui la modernità si 
può scrivere affrontando il tema della dissoluzione del concetto di esistenza e di polverizzazione della 
nozione identitaria
17
. 
Costante di ogni scritto di Calvino, dal momento della sua ideazione alla realizzazione, è il fermo 
proponimento di far nascere un’opera di valore etico. Tale valore sopravvive all’ideazione quando l’opera 
porta sulla pagina i risultati dell’esplorazione di una possibilità di rapporto attivo con il mondo reale e 
vive nella realizzazione, filtrato dalla cifra stilistica del piglio, dell’estro calviniano.  
La sperimentazione di diverse vie di contatto con il mondo e la società civile, si rivela tema stabile per 
la poetica
18
 di Calvino, per la sua vocazione di scrittore diffidente verso psicologismi e immersioni 
nell’inconscio e sempre più propenso agli esercizi di marcata impronta intellettuale e mai fini a se stessi.  
 
Quello che ci si aspetta da me è che mi guardi intorno e catturi delle rapide immagini di quel che succede, per poi 
tornare a chinarmi sulla scrivania e riprendere il lavoro.
19
 
 
La forza creativa dello scrittore trova i propri stimoli dall’osservazione del mondo ma – non è un 
problema di diottrie – tale lettura si presenta sempre più difficoltosa. Da una parte la realtà osservata si 
presenta come un coacervo pluristratificato e plurisignificante, dall’altra lo sguardo dello scrittore 
                                                          
16
 Vito Amoroso, Il cavaliere confuso [1960], cit., p. 187. 
17
 La nozione di identità trova ampio spazio nei recenti studi di antropologia. Si segnalano gli studi di Laplantine Identità e 
Metissage sul concetto di ibridazione. Inoltre interessante risulta la contrapposizione proposta tra un’esistenza puramente 
biologica (il bio-politico di Giorgio Agamben, l'uomo nudo) e quella ‘ufficiale’, identificabile in base a ruoli e mansioni. 
Questa contrapposizione è vissuta nella società contemporanea come una separazione tra un’identità rappresentata (e multipla) 
e un’essenza umana intima, da cui il senso di inadeguatezza e il ricorso al mascheramento; Cfr. il concetto di ‘identità 
guardaroba’ in Zygmunt Baumann, Intervista sull’identità, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 33-44.  
18
 Parlare di stabilità in relazione al campo poetico, in Calvino, non significa asserirne l’immobilismo. Intendiamo qui dire che 
la spinta etica alla scrittura si può verificare come ‘pura’ fino agli anni 60; in seguito tale forte principio subisce uno 
slittamento indotto dalla pressione della società, dal livello di consapevolezza che raggiunge lo statuto del narratore calviniano, 
dallo sviluppo tecnologico, dalla corsa del progresso. La validità etica della scrittura non sarà più direttamente misurata sul 
reale, né si maschererà nel fantastico allegorico, ma piuttosto si occulterà fino a scomparire e polverizzarsi nell’esercizio 
minimale: un progetto di rifondazione del modo di raccontare storie che trova dei riscontri teorici negli studi di Carlo Ginzburg 
(Microstoria: due o tre cose che so di lei; Spie [1979]) , di Raymond Queneau (il trattato Una storia modello [1966]), di 
Roland Barthes (specialmente il concetto di ‘Mathesis singularis’ in La Chambre claire. Note sur la photographie, Gallimard, 
Paris 1980; trad. it. La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 2003), negli studi antropologici di Claude Lévi-
Strauss.  
19
 Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto [1985], in Saggi, cit., p. 1867. 
 8
raggiunge una consapevolezza e una capacità di penetrazione che tende ad esplorare ogni strato, ogni 
significato della visione.  
 
Questo mondo che io vedo, quello che viene riconosciuto di solito come il mondo, si presenta ai miei occhi – almeno in 
parte – già conquistato, colonizzato dalle parole, un mondo che porta su di sé una pesante crosta di discorsi.
20
 
 
Non è questo un problema con cui si confronta solamente il nostro autore ma che riguarda tutto il 
panorama culturale della postmodernità. Egli può allora studiare delle possibili soluzioni che si 
presentano nel panorama culturale: la strategia di Michel Butor che, ne La Modification, visita la 
possibilità di «rappresentare la coscienza, la volontà, la scelta, attraverso il suo rovescio, il di fuori di 
quell’invisibile e inafferrabile dentro»
21
, cosicché il libro si presenta come il racconto di un processo di 
coscienza narrato tutto attraverso oggetti e sensazioni esterne
22
. Può rifarsi anche all’esperienza di Francis 
Ponge, di Alain Robbe-Grillet, di William Carlos Williams.  
In ogni caso Calvino registra la certezza che qualcosa, sia esso interno o esterno, o tutt’al più diffuso 
nell’aria, è cambiato, e che il rapporto tra linguaggio e mondo si è logorato e deve essere rinnovato.  
Alla soglia degli anni ‘60 Calvino, in un bilancio che analizza recente passato e presente, ma tutto volto 
al futuro, scrive:  
 
Da una cultura basata sul rapporto e contrasto tra due termini, da una parte la coscienza la volontà il giudizio individuali 
e dall’altra il mondo oggettivo, stiamo passando o siamo passati a una cultura in cui quel primo termine e sommerso dal 
mare dell’oggettività, dal flusso ininterrotto di ciò che esiste.
23
  
 
Che i sintomi di tale cambiamento siano i romanzi della école du regard, la calata nel mistilinguismo 
sperimentata da Carlo Emilio Gadda in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, o quella nei dialetti 
della gente della borgata romana dei Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, dall’analisi di Calvino si 
intuisce la direzione di una indagine volta a non lasciarsi trascinare da questa deriva e diretta alla ricerca 
                                                          
20
 Ivi, p.1869. 
21
 Italo Calvino, Il mare dell’oggettività [1959], cit., p. 59. 
22
 È documentato un primo incontro di Calvino con Michel Butor nell’estate del 1959 al Premio Formentor a Maiorca. In 
questa occasione Calvino incontra anche Alain Robbe-Grillet e di entrambi i giovani scrittori francesi rilascia un’impressione 
in un’intervista: «Robbe-Grillet è il fautore di una letteratura che non si proponga altro che un assoluto rigore formale, che 
possa essere giudicata solo coi criteri interni ad essa – così come da tempo la pittura non può essere giudicata che in termini 
pittorici – e nella quale non possa interferire in alcun modo il discorso filosofico o morale o storico […]. Per Butor invece la 
tecnica del raccontare nasce sostenuta da un’impalcatura filosofica, è tutt’uno con essa, e l’operazione del romanziere è sempre 
impegnata, sul piano poetico e gnoseologico e morale e storico insieme». Stralcio tratto da Italo Calvino, Pavese, Carlo Levi, 
Robbe-Grillet, Butor, Vittorini…[1959], in Saggi, cit., p. 2721.  
23
 Italo Calvino, Il mare dell’oggettività, cit., p. 52. 
 9
della forma e della struttura per un discorso che esprima «la vita moderna, nella sua durezza, nel suo 
ritmo, e anche nella sua meccanicità e disumanità, per trovare le fondamenta vere dell’uomo d’oggi»
24
.  
Una poesia di Eugenio Montale, che non commenteremo ma di cui respireremo solo l’atmosfera di 
arresa consapevolezza, ci mostra il partito preso da un poeta-uomo che vede e sente le stesse mutazioni di 
Calvino, ma appartiene a un’altra generazione. 
 
IL VUOTO
25
 
 
È sparito anche il vuoto 
Dove un tempo si poteva rifugiarsi. 
Ora sappiamo che anche l’aria 
È una materia che grava su di noi. 
Una materia immateriale, il peggio 
Che poteva toccarci. 
Non è pieno abbastanza perché dobbiamo 
Popolarlo di fatti, di movimenti 
Per poter dire che gli apparteniamo 
E mai gli sfuggiremo anche se morti. 
Inzeppare di oggetti quello ch’è 
Il solo Oggetto per definizione 
Senza che a lui ne importi niente o turpe 
Commedia. E con che zelo la recitiamo! 
 
Il mondo reale non si presenta più all’uomo che vi è immerso come una realtà che evolve per gradi, si 
stabilizza e si rende conoscibile. La lettura epistemologica della realtà, viva in ogni individuo che sia in 
grado di porsi delle domande e voglia dare delle risposte letterarie a questa interrogazione, trova la sua 
origine, reazione e spinta da una forte coscienza del negativo. 
 
Questa coscienza di vivere nel punto più basso e tragico di una parabola umana, di vivere tra Buchenwald e la bomba H, 
è il dato di partenza d’ogni nostra fantasia, d’ogni nostro pensiero […] La coscienza acuta del negativo non vogliamo 
per nulla attenuarla, proprio perché essa ci permette d’avvertire come continuamente sotto di esso qualcosa si muove e 
travaglia, qualcosa che non possiamo sentire come negativo perchè lo sentiamo come nostro, come ciò che sempre 
finalmente ci determina.
26
 
 
                                                          
24
 Italo Calvino, Dialogo di due scrittori in crisi [1961], in Saggi, cit., p. 83. 
25
 Eugenio Montale, Il vuoto, da Quaderno di quattro anni, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1984, p. 547. 
26
 Italo Calvino, Il midollo del leone [1955], in Saggi, cit., p. 22. 
 10
Tale coscienza è stata nei primi decenni del Novecento l’autentico motore di tutto il movimento delle 
avanguardie storiche: l’atto di nascita del movimento DADA si compie nel 1916 come reazione alle folli 
ecatombe causate dai bombardamenti sul fronte occidentale: Hugo Ball proclama il decesso della ragione, 
svuota il linguaggio e la sintassi di qualsiasi significato con le sue creazioni sonore di puro significante. 
Da questo movimento di rottura, cui George Steiner fa risalire ogni movimento significativo apparso in 
seguito nell’arte e nella letteratura e nel dibattito estetico in Occidente
27
, germogliano la soggettività 
prorompente delle spinte individualistiche del surrealismo e dell’espressionismo, l’apertura al flusso del 
monologo interiore, lo stream of consciousness caratteristico della tecnica di James Joyce nell’Ulysses e il 
senso di un credito letterario all’automatismo dell’inconscio. Queste sono soluzioni che Calvino non ama 
e che considera lontane da sé e dalla propria idea di letteratura. Le critica per la loro congenita assenza di 
attrito con il mondo e per la spinta all’introiezione, a mortificare un possibile intervento diretto dell’uomo 
nella storia. Nel Cavaliere inesistente tale coscienza e impotenza dell’uomo di fronte alla realtà emergerà 
e verrà affrontata sulla pagina. Proprio per questo motivo molti critici sostengono che la pubblicazione de 
Il cavaliere inesistente segni una netta linea di confine tra due periodi dell’esperienza letteraria e culturale 
di Calvino.  
Mario Lavagetto, ad esempio, individua in quest’opera l’inaugurazione per l’autore di un confronto con 
il linguaggio, una battaglia «condotta con una consapevolezza sempre maggiore e con mezzi collaudati»
28
 
e che caratterizzerà tutta la sua produzione a venire. Questa esperienza della cognizione e codificazione 
entrerà a far parte del bagaglio teorico di Calvino che lo modellerà secondo le sue esigenze, in un 
continuo dialogo per tenersi aperta la possibilità di scrivere. In tal senso, una delle ultime dichiarazioni 
ascrivibili ad un Calvino spericolato sperimentatore, senza fune di sicurezza, si può ritrovare in un suo 
colloquio con Carlo Bo, nel 1960 a Sanremo. L’argomento della discussione è l’eredità di Pavese nella 
cultura letteraria italiana e in quella professionale di Calvino. Nella discussione emergono le differenze 
dell’approccio alla scrittura e del modo di lavorare. 
 
[Calvino] io non parto da considerazioni di metodologia poetica: mi butto per strade rischiose, sperando di cavarmela 
per forza di ‘natura’. Pavese no; non esisteva una ‘natura’ di poeta, per lui; era tutto rigorosa autocostruzione volontaria, 
non muoveva un passo se non era sicuro di quello che faceva, in letteratura;
29
 
 
                                                          
27
 Cfr. George Steiner, Grammars of creation (2001); trad. it. Grammatiche della creazione, Garzanti, Milano 2001, p. 299. Se 
questa affermazione di Steiner ci appare un po’ di impronta generale, non possiamo non chiederci quale pensiero odierno possa 
o abbia la forza di staccarsi da DADA e quindi di non trovare le proprie origini nella polemica di Marcel Duchamp, Kurt 
Schwitters, Jean Tinguely.  
28
 Mario Lavagetto, Little is left to tell, in Dovuto a Calvino, cit., p. 105. 
29
 Italo Calvino, Colloquio con Carlo Bo [1960], in Saggi, cit., p. 2727. 
 11
Queste parole possono essere confrontate, ricercando un’equivalenza tra testo giornalistico e testo 
letterario, con le ultime sentenze teoretiche sull’esercizio della letteratura che risultano intercalate nelle 
pagine del Cavaliere inesistente. Suor Teodora, vicina al congiungimento con il suo amato Rambaldo, si 
lancia in una sospirata enunciazione in cui paragona il fascino della scrittura che scorre senza una 
pianificazione con quello della vita che si apre all’avventura verso l’ignoto. 
 
Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l’angolo che svolterai uscendo dal convento e 
non sai se ti metterà a faccia con un drago, uno stuolo barbaresco, un’isola incantata, un nuovo amore.
30
  
 
Ma quest’apertura al futuro on the road porta nella sua invocazione la dissonante speranza propria di 
chi conosce quali siano le insidie della realtà e quale dose di dolore vi sia necessariamente 
compenetrata
31
.  
A questo modello di narrazione, che si concede la libertà di non curarsi troppo di riflessioni 
metodologiche e di lanciare la narrazione senza un preciso progetto, modello che l’autore aveva 
felicemente sperimentato nella stesura ‘di getto’ de Il barone rampante
32
 e nella sua prima prova 
romanzesca ne Il sentiero dei nidi di ragno, si sostituisce una spinta alla regolarizzazione del proprio 
sforzo
33
.  
Il Cavaliere inesistente, tra mancanza ed eccesso di forma, si pone nel percorso culturale come un 
momento di crisi, di riflessione e di svolta; l’opera manifesta, al suo interno, i germi di un mutamento 
radicale nell’approccio alla pagina che muoverà verso una elaborazione più controllata e dosata, in 
analogia alla lezione di Cesare Pavese sull’autocontrollo.  
Le cause che danno origine a tale trasformazione sono correlate alla diffusa falsificazione che 
dall’inizio degli anni ‘60 si insinua nel tessuto della società italiana e che Calvino registra e rielabora 
nella sua opera saggistica
34
. L’autore sembra percepire la mancanza di un riferimento stabile
35
 e la 
salvezza per ‘forza di natura’, il ricorso all’invenzione letteraria che si concretizza sulla pagina nel piglio-
scatto della prima scrittura di Calvino, risulta essere un procedimento che non gode più di spinta né di 
                                                          
30
 Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., p. 125. 
31
 Parlo qui di ‘dissonante speranza’ in riferimento all’antinomia che si verifica tra il tono speranzoso verso il futuro e gli 
attributi che lo designano: «Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di città non ancora fondate? quali 
fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? quali impreviste età dell’oro prepari, tu malpadroneggiato, tu foriero 
di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare, futuro...». Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., p. 125. 
32
 Cfr. Italo Calvino, Postfazione ai Nostri antenati [Nota 1960], cit., p. 1215. 
33
 Tale tematica verrà affrontata ampiamente nell’analisi testuale del Cavaliere inesistente, specialmente nei richiami al saggio 
Il mare dell’oggettività che funge da controcampo teorico alla questione. 
34
 Le tematiche relative a questa dissociazione e a questa caduta di ogni ideale di riferimento trovano spazio e sviluppo anche 
nella sfera letteraria: si vedano i due racconti lunghi La speculazione edilizia (1957) e La giornata di uno scrutatore (1963).  
35
 È una stagione che si apre con le cicatrici dell’uscita dal PCI e che risente ancora della morte del padre e di quella di Cesare 
Pavese, cercata a soli quarantadue anni. 
 12
riscontro nel consorzio umano. Il mondo risulta confuso, sgretolato, disintegrato, immerso in un senso di 
inesistenza.
36
 
Nella prefazione al Sentiero dei nidi di ragno, scritta da Calvino diciassette anni dopo per 
accompagnare la terza edizione del libro, lo scrittore richiama alla mente l’ambiente e le sensazioni, i 
dubbi e le soluzioni tecniche che hanno accompagnato la stesura del suo romanzo sulla Resistenza. 
L’elemento che si distingue tra le varie difficoltà che egli incontra nel mettere a fuoco una critica 
interessante al suo stesso lavoro, è la rievocazione dell’atmosfera che i protagonisti della guerra partigiana 
portarono a valle, una volta giunta la liberazione dalla pressione della Repubblica di Salò e la fine della 
guerra. La generazione di Calvino, che aveva vissuto la giovinezza durante il ventennio fascista e, in 
special modo, quella parte che rifiutando la chiamata alle armi tra i repubblichini, aveva di scelto di 
opporsi a tale ideologia, tornava a vivere, o per la prima volta viveva, libera e carica di storie da 
raccontare. Solo a posteriori Calvino può comprendere quale importanza abbia avuto per la realizzazione 
del suo primo romanzo la solidità del mondo e del paesaggio in cui la sua storia ha preso forma
37
.  
 
Verranno poi le soluzioni tecniche – l’abbassamento del punto di vista che viene filtrato dagli occhi di 
un bambino e la costruzione di un motore narrativo di sesso, fisicità e pistole – ma Calvino, che durante la 
scrittura di tale prefazione lavora nell’universo asettico e portato al grado zero de Le cosmicomiche, può 
dire con sicurezza che a quel tempo aveva «un paesaggio» e che «La Resistenza rappresentò la fusione tra 
paesaggio e persone»
38
. 
Il mondo della narrazione è il mondo vero dello scrittore; scrittura e realtà si compenetrano e si 
riconoscono come un universo completo e integro. Non c’è interferenza, né possibilità né necessità di 
uscire dalle colline partigiane perché lì c’è terreno per una storia. Così Calvino può confessare: 
 
[…] m’ero messo a scrivere senza avere in mente una trama precisa, partii da quel personaggio di monello [Pin], cioè da 
un elemento di osservazione diretta della realtà, un modo di muoversi, di parlare, di tenere un rapporto con i grandi, e, 
per dargli sostegno romanzesco, inventai la storia della sorella, della pistola rubata al tedesco; poi l’arrivo tra i 
partigiani si rivelò un trapasso difficile, il salto dal racconto picaresco all’epopea collettiva minacciava di mandare tutto 
all’aria, dovevo avere un’invenzione che mi permettesse di continuare a tenere la storia tutta sul medesimo gradino, e 
inventai il distaccamento del Dritto
39
.  
                                                          
36
 Si rimanda per queste suggestioni all’esordio del narratore Suor Teodora nel Cavaliere inesistente analizzato nel paragrafo 
1.3 - Suor Teodora, c’est moi! p.  
37
 Calvino nel 1965 userà queste parole per una riflessione sul suo particolare approccio al Sentiero: 
«Quell’immediatezza e quel calore vitale è difficile che sappia trovarli: allora avevo un’esperienza di realtà molto forte 
alle mie spalle; tutto quello che è venuto poi in confronto è molto pallido» in Italo Calvino, Lettera a Lev Veršinin, in I 
libri degli altri. Lettere 1947-1981, Einaudi, Torino 1991, p. 526.  
38
 Italo Calvino, Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno, in Romanzi e racconti vol. 1, cit., p. 1188. Il corsivo è mio. 
39
 Ivi, p. 1194. Il corsivo è mio. 
 13
 
Il tutto che Calvino vuole consegnare alla pagina può essere trasportato e trascritto proprio perché 
racchiude un’esperienza «che è la memoria più la ferita che ti ha lasciato»
40
.  
In quel territorio il romanzo, che «è una pianta che non cresce sul terreno già battuto»
41
, trova suolo 
fertile. Il Calvino degli anni 60 è un autore alla perenne ricerca di quelle sensazioni ma che ha già 
maturato una sensibilissima disaffezione alla ripetizione e alla maniera che lo porterà a una continua 
ricerca di stimoli, di nuovi territori e mondi da scrivere. Una volta scritto il suo romanzo sulla Resistenza, 
con il quale porta a conclusione la stagione dei racconti ‘neorealisti’, considera chiusa questa esperienza. 
La volontà di chiudere un periodo e rivolgere l’attenzione verso nuovi orizzonti narrativi non si rivela 
mai, in Calvino, nella modalità di un taglio netto: qualcosa dell’opera scritta trapassa sempre in quella da 
scrivere. È una peculiarità della sua spinta creativa che, pur applicandosi a mondi narrativi differenti, sia 
come genere sia come struttura, ripesca sovente dal proprio serbatoio di materiale letterario tessendo una 
serie di richiami intertestuali e di situazioni narrative simili. I titoli pubblicati dall’autore negli anni che 
precedono la stesura del Cavaliere inesistente ci possono fornire un percorso in cui cercare il filo del 
nostro ragionamento.  
Nel 1957 escono Il barone rampante e La speculazione edilizia, nel 1958 esce La nuvola di smog. Nella 
stesura del Barone Rampante, che possiamo immaginare intercalata all’elaborazione della Speculazione 
edilizia, Calvino si lascerà trasportare in un volo fantastico, autenticamente romanzesco, attraverso un 
Settecento popolato da personaggi filiformi. Partendo dalla reazione al piatto di lumache del dodicenne 
Cosimo Piovasco di Rondò, il romanzo pone come suo fondamento una variazione sul concetto volteriano 
dell’intellettuale che lotta in mezzo agli altri uomini per rendere più abitabile il mondo, e ne fa una 
rilettura in chiave moderna che relega il filantropo in una posizione separata, sola ubicazione che crei le 
condizioni di un effettivo soccorso agli altri e che è appunto quella scelta da Cosimo: stare sugli alberi. 
Ad esemplificare le possibilità che tale curioso e sollevato punto di vista abbraccia, basta ricordare la 
prima visione che è permessa a Cosimo non appena salito sull’elce.  
 
Mio fratello [Cosimo] stava come di vedetta. Guardava tutto, e tutto era come niente. Tra i limoneti passava una donna 
con un cesto. Saliva un mulattiere per la china, reggendosi alla coda della mula. Non si videro tra loro; la donna, al 
rumore degli zoccoli ferrati, si voltò e si sporse verso strada, ma non fece in tempo. Si mise a cantare allora, ma il 
                                                          
40
 Ivi, p. 1203. Con un riferimento ipotestuale diremo quindi che il romanzo Per chi suona la campana di Ernest Hemingway 
va inserito, con rilievo, nel circuito mentale della memoria, a cui si aggiunge, nella creazione di Calvino, la personale ferita 
dell’esperienza vissuta. 
41
 Italo Calvino, Dialogo di due scrittori in crisi, cit., p. 89. 
 14
mulattiere passava già la svolta, tese l’orecchio, schioccò la frusta e alla mula disse: - Aah! - E tutto finì lì. Cosimo 
vedeva questo e quello.
42
 
 
Uno spostamento fisico del personaggio e del suo punto di vista permette all’autore di esplorare un 
nuova modalità di approccio al mondo. Il processo messo in atto nel testo si può far rientrare tra le 
possibili varianti del metodo dello straniamento nell’accezione formalista introdotta da Viktor 
Šklovskij
43
. Esso assolve la funzione di de-automatizzare la percezione regalando al narratore una nuova 
prospettiva che gli permette di vedere di più e di vedere diverso, in modo non meccanizzato. Il trasporto 
appassionato e fantasioso che si propaga per le pagine del Barone rampante non troverà più spazio nei 
successivi scritti in prosa di Calvino. Lo scrittore, nella postfazione ai Nostri antenati, prende le distanze 
da tale tipologia narrativa: l’eccentrico barone Cosimo di Rondò, nonostante la ribellione e il servizio alla 
comunità, non esaurisce le problematiche che l’autore si era prefisso di esplorare. La spinta alla 
composizione del Cavaliere inesistente nasce proprio da questa constatazione e dalla volontà, seppur con 
filtro letterario fantastico, di adesione sincronica ad un mondo in cui le prospettive storiche sono più 
incerte che mai
44
. Tra queste due posizioni, il tuffo nel romanzesco e nel mondo degli eccentrici del 
Settecento e l’urgenza di indagare la vera condizione dell’uomo moderno, non può sfuggire l’importanza 
che ha avuto l’immersione della prosa di Calvino nella vita reale e contemporanea da cui prendono vita le 
due storie realistiche che egli compone tra il 1957 e il 1958.  
L’esperienza della scrittura dei due racconti lunghi, la svolta iperrealista de La speculazione edilizia e 
l’immersione nella grigia e polverosa atmosfera cittadina de La nuvola di smog, hanno imposto a Calvino 
l’uso di un particolare obbiettivo ottico da applicare alla sua penna. La maturazione cognitiva raggiunta 
dallo scrittore in queste due prove – che personalmente inserisco tra le pagine più alte del secondo 
Novecento – si riverbera con qualche residuo, quasi in trasparenza, nella modalità frastagliata e laboriosa 
con cui viene riguadagnato il paradigma fantastico per la stesura del Cavaliere inesistente: quello slancio 
che in passato lo aveva visto muoversi parallelamente sui fronti della narrativa realistica e di quella 
fantastica, sembra, in questo caso, non avere pieno compimento.  
                                                          
42
 Italo Calvino, Il barone rampante, in Romanzi e racconti vol. 1, cit., p. 560. 
43
 Il metodo dello straniamento opera con un procedimento di slittamento e di ricollocazione del punto di vista, una 
deformazione atta a neutralizzare l’automatizzazione della percezione della realtà causata dall’abitudine dello sguardo e la sua 
convenzione. Tale procedimento è studiato da Viktor Šklovskij come elemento e strumento letterario nell’opera di Lev Tolstoj: 
specificatamente tale tecnica consiste nello scrittore russo nella descrizione di un oggetto come se lo vedesse per la prima 
volta: cioè ne strania il concetto adoperando per nominarlo non le denominazioni abituali delle sue parti o delle sue qualità, 
bensì quelle delle parti corrispondenti in altri oggetti; secondo la formula letteraria formalista che «scopo dell’immagine non è 
l’avvicinamento del suo significato alla nostra comprensione, ma la creazione di una particolare percezione dell’oggetto, la 
creazione di una sua ‘visione’ e non di un suo ‘riconoscimento’». Viktor Šklovskij, L’arte come procedimento, in Tzvetan 
Todorov, Théorie de la litétature. Textes des Formalistes russes, Seuil, Paris 1965; trad. it. I formalisti russi. Teoria della 
letteratura e metodo critico, Einaudi, Torino 1968, p. 88. 
44
 Cfr. Italo Calvino, Prefazione ai Nostri antenati (Nota 1960), cit., p. 1216. 
 15
I sedimenti delle due storie realistiche pesano sul linguaggio mentale di Calvino che vorrebbe inventarsi 
novello Ariosto ma che non riesce a levarsi da terra e a collocare la sua storia su un livello che, pur 
toccando in allegorie il mondo reale, non ne resti impigliato; la fabula non decolla se non con spinte 
metanarrative e la scrittura non riesce a stabilizzarsi in un spazio letterario indipendente, come se 
sull’immaginazione incombesse una ‘nuvola di smog’ a ricordare all’autore il mondo in cui lui è 
realmente immerso, come se una altrettanto reale ‘speculazione edilizia’ compromettesse il territorio, con 
enormi parallelepipedi di cemento armato, ad interrompere i percorsi dei paladini medioevali.  
Ci limiteremo a fornire, oltre a riflessioni di carattere generale e indagini sull’atmosfera creativa del 
laboratorio dello scrittore ligure, un interessante spunto intertestuale.  
La Nuvola di smog è un racconto lungo ambientato a Torino; il giovane protagonista, che non ha nome, 
conduce una vita che possiamo immaginare nel ventaglio delle possibilità che il giovane Calvino avrebbe 
potuto intraprendere, quella di pubblicista.
45
 Il dettaglio che vogliamo richiamare riguarda la funzione di 
alcune interferenze sonore che vediamo comparire, in una singolare corrispondenza, anche nel Cavaliere 
inesistente. 
Questi i due estratti: 
 
La camera, apparentemente tranquilla, di notte era raggiunta da suoni che imparai a decifrare a poco a poco. […] La 
camera era sopra le cucine della birreria Urbano Rattazzi.
46
 
 
 Sotto la mia cella è la cucina del convento. Mentre scrivo sento l’acciottolio dei piatti di rame e stagno: le sorelle 
sguattere stanno sciacquando le stoviglie del nostro magro refettorio.
47
  
 
La camera presa in affitto presso la signorina Margariti e la cella del convento di San Colombano si 
assomigliano; la birreria Rattazzi e le cucine del convento producono una serie di suoni che invade il 
mondo del personaggio. Il collegamento è sottile, ma si può dire che quest’immagine abbia abitato la 
fantasia di Calvino fino a trasportarsi anche nel Cavaliere inesistente. Allo stesso modo possiamo 
ipotizzare che il rapporto dell’uomo moderno con il grigiore, che rappresenta il tema centrale del racconto 
e che trova il suo acme nella visione en plein air della nuvola, sia un riecheggiamento presente in 
filigrana nel mondo dei paladini, nelle riflessioni metanarrative di Suor Teodora, nei dubbi esistenziali di 
                                                          
45
 I due racconti sono, in effetti, studi di possibilità, di sentieri che la vita dell’autore avrebbe potuto prendere. Ritrovare la 
propria anima borghese, abbandonare ogni velleità intellettuale e diventare un costruttore, nel caso della Speculazione edilizia; 
fare una gavetta presso una rivista di dubbia utilità in un’esistenza di poche speranze nel caso della Nuvola di smog. 
46
 Italo Calvino, La nuvola di smog, in Romanzi e racconti vol. 1, cit., p. 898. 
47
 Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., p. 45. 
 16
Rambaldo e, più che altrove, nelle descrizioni di dissolvenza atmosferica che troviamo correlate alla 
figura di Agilulfo nel II capitolo.  
La descrizione della nuvola che Calvino fa nello scritto del ‘58, muta la coscienza del suo personaggio 
e, nel momento in cui viene scritta e per l’intensità e la pregnanza che esprime, tale immagine diviene per 
l’autore una figura emblematica da cui un’analisi sull’uomo moderno e sull’ambiente in cui si muove non 
può prescindere. Lontano dalla città, fuori dal caos e dall’inquinamento atmosferico, il protagonista si 
affaccia ad un muretto e volge uno sguardo panoramico sull’agglomerato urbano. 
 
Fu allora che vidi quella cosa.[…] Dalle altre nuvole o nebbie che a seconda di come l’umidità s’addensa negli strati 
freddi dell’aria sono grigie o azzurrastre o bianchicce oppure nere, questa non era poi tanto diversa, se non per il colore 
incerto, non so se più sul marrone o sul bituminoso, o meglio: per un’ombra di questo colore che pareva farsi più carica 
ora ai margini ora in mezzo, ed era insomma un’ombra di sporco che la insudiciava tutta e ne mutava – anche in questo 
essa era diversa dalle altre nuvole – pure la consistenza, perché era greve, non ben spicciata dalla terra, dalla distesa 
screziata della città sulla quale pure scorreva lentamente, a poco a poco cancellandola da una parte e dall’altra 
riscoprendola, ma lasciandosi dietro uno strascico come di filacce un po’ sudice, che non finivano mai. – Lo smog! – 
gridai a Claudia. – Vedi quella? È una nuvola di smog! […] io restavo lì affacciato a guardare per la prima volta dal di 
fuori la nuvola che mi circondava in ogni ora, la nuvola che abitavo e che mi abitava, e sapevo che di tutto il mondo 
variegato che m’era intorno solo quella m’importava.
48
   
 
In una mente sempre pronta a captare le nuove tematiche sociali, la questione dell’inquinamento 
atmosferico si concentra in immagine letteraria: nel valore di sintesi stilizzata e significativa che 
riconosciamo nella nuvola di smog, trova espressione quel procedimento che vede nella mente di Calvino 
il primo laboratorio creativo dell’autore. 
Anche Agilulfo nasce primariamente come immagine mentale. Deriva dall’esigenza di rappresentare 
sulla pagina una nuova tendenza a cui s’inclina lo spirito umano nella società contemporanea, in un’Italia 
rimessa in moto nel dopoguerra dal piano Marshall degli Stati Uniti e vogliosa di ricostruirsi 
materialmente e culturalmente. 
Parte del mondo intellettuale, sensibile e attenta ai problemi della società contemporanea, avverte nel 
clima di euforia che si diffonde dopo la liberazione dal nazifascismo ‘profumo di stantio’: in un Italia in 
piena crescita e, alla soglia dei ‘favolosi anni Sessanta’, individua nel violento individualismo che regola i 
rapporti sociali i prodromi di una crisi culturale. 
 
La tensione che la realtà storica ci aveva trasmesso andò presto afflosciandosi. Da tempo navighiamo in acque morte. 
Di quel nostro primo raccontare potevamo cercar di salvare la fedeltà alla realtà storica, afflosciandoci in essa, o la 
                                                          
48
 Ivi, p. 926.