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Certo, adesso è ben diverso lo spirito di chi cavalca
l’erba di quell’ippodromo: a quei tempi non lo si faceva
certo per migliorare la propria salute o per soldi ma per
puro e semplice divertimento, per spirito ludico, per il
gusto della sfida, senza uno scopo preciso; non c’erano
classifiche, campionati mondiali, ingaggi, giustizia
sportiva, moviole…L’essenza, il contenuto dell’attività
sportiva erano rintracciabili, nel significato stesso della
parola sport, che deriverebbe dal francese “desport” (che
a sua volta nascerebbe dal latino “deportare”, e cioè
“recarsi fuori dalle porte della città per partecipare a
manifestazioni sportive”) traducibile in italiano “per
diporto”, espressione ancor oggi usata per indicare
un’attività svolta per spasso, ricreazione, sollazzo, gioco.
Solo per divertirsi.
Da un lato, certo, è un bene che con il passare degli anni,
lo sport abbia assunto sia una funzione sociale,
costituendo un ottimo strumento per socializzare, per
confrontarsi con i propri limiti, per acquisire una
personalità, sia una funzione preventiva nel campo della
salute, aumentando la longevità e migliorando la qualità
della vita. Dall’altro lato, l’avvento dello sport
professionistico e con esso della ricerca spasmodica del
primato, della vittoria ad ogni costo ha indotto molti
addetti ai lavori a preferire il risultato piuttosto che lo
scopo ludico il quale comunque dovrebbe ancor oggi
essere il perno centrale intorno a cui ruota tutto il
movimento sportivo. Ma cosi non è. Soprattutto negli
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sport che hanno un gran seguito, sin da bambini lo scopo
più o meno celato di genitori e dirigenti è di riuscire a
scovare qualche talento, in modo poi da poter ottenere
una cospicua somma al momento della vendita a qualche
club d’alto rango. Il che non significa che sia ovunque
così: negli sport cosiddetti “minori” (cioè, in poche
parole, che attraggono meno sponsor e televisioni) si
respira ancora un’aria incontaminata dai guadagni facili,
per cui in questi casi si può ancora parlare di uno sport
autentico, ancora legato al suo significato etimologico.
Tornando però alla nostra breve storia sul significato del
termine sport, non possiamo non chiederci le ragioni di
questo disinteresse nei confronti dell’attività sportiva ai
primi dell’Ottocento, quando invece sappiamo bene che
la Grecia antica e l’Impero Romano avevano già capito
l’importanza dello sport anche sotto il punto di vista del
benessere fisico: già Ippocrate di Cos, padre fondatore
della medicina, dichiarava, fra il quinto e quarto secolo
a.C., che gli organismi viventi si devono muovere, che si
logorano con l’inattività. Quest’oblio nei confronti
dell’utilità dello sport derivava probabilmente da un
diffuso disinteresse per il corpo, da una negazione della
materialità umana che si accompagnava alla condanna del
piacere fisico, che risaliva più o meno all’avvento del
Cristianesimo e che è possibile racchiudere all’interno di
un periodo compreso fra due date simbolo: il 393 d.C.,
anno in cui l’imperatore romano Teodosio (su richiesta di
s.Ambrogio), in seguito ad un eccidio avvenuto nello
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stadio di Tessalonica, proibisce la disputa dei Giochi
Olimpici e il 1894 in cui si ha la fondazione a Parigi del
Comitato Olimpico guidato dal barone De Coubertine
che, dopo due anni, organizza ad Atene i primi giochi
dell’era moderna.
Analizzando, seppur brevemente, l’evoluzione del diritto
nei confronti dello sport, possiamo notare come il mondo
Greco ponesse la formazione atletica tra i primi posti dei
valori a cui lo Stato doveva ispirarsi, tanto è che si poteva
dare solennità alle feste religiose solo se queste erano
accompagnate dallo svolgimento di giochi atletici. La
stessa architettura degli edifici pubblici era studiata in
modo da prevedere spazi e locali idonei per le attività
sportive. Possiamo, quindi, affermare che nella Grecia
antica, esistesse un diritto sportivo parte del diritto
pubblico, in quanto non si poteva concepire uno Stato che
fosse privo di una disciplina dello sport.
Nel mondo Romano, lo sport perde gran parte della sua
nobiltà, del suo valore pedagogico, in quanto i giochi che
caratterizzano maggiormente l’età imperiale sono i ludi
gladiatori, con i quali i Romani volevano rappresentare,
nel modo più reale possibile, la scena delle battaglie. Con
la fine della Repubblica, l’arte gladiatoria raggiunse
l’apice: nacquero scuole gladiatorie di Stato e dei privati;
i combattimenti gladiatori si svolgevano all’interno di
giochi ufficiali organizzati dai magistrati della
Repubblica, che pensavano di ottenere, con questi
spettacoli di sangue, il favore della plebe. Già allora vi
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erano i sodalizi sportivi che somigliavano molto alle
nostre attuali associazioni sportive: erano a base elettiva,
ed erano dirette dai curatores juvenum che ne erano i
patrones e mecenati. Il presidente era chiamato magister
e aveva i compiti di convocare le assemblee, di
presiederle e di fare le relazioni relative alla gestione
sociale; tale carica era molto ambita tra i ricchi cittadini
romani, in quanto costituiva un buon viatico per la
nomina a Questore.
Dopo l’Impero Romano, assistiamo ad un periodo d’oblio
della pratica sportiva, dovuto, come abbiamo già detto, al
diffondersi della cultura cristiana la quale ha ancora
troppo vivo il ricordo dei numerosi martiri divorati dalle
fiere nei ludi gladiatori ed è troppo protesa verso i valori
dello spirito per concedere spazio ad attività materiali, tra
le quali è compresa l’attività fisica.
Solo con la nascita, nel tardo Medioevo, della cavalleria,
si riprende la concezione sportiva propria del mondo
greco secondo la quale lo sport è essenziale per lo
sviluppo psicofisico della persona e per l’insegnamento
dei valori della lealtà, dell’onore e della dignità, tanto è
che sia nel castello, sia nella corte medievale, è impartita
ai giovani un’educazione sportiva tesa alla realizzazione
di un buon cavaliere capace di combattere nei giochi che
si svolgevano nelle varie corti: difatti delle sette
perfezioni cavalleresche, cinque si riferiscono ad attività
sportive (equitazione, nuoto, pugilato, caccia, tiro con
l’arco). Molto interessante è il fatto che la cavalleria
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abbia un proprio codice di regole, il cui principio base, a
cui esse sono dirette, è il rispetto leale dei patti del gioco,
a cui i combattenti devono giurare la propria fedeltà
prima dello scontro, ponendo la propria mano sul
Vangelo. L’esistenza di un corpus di regole, facenti capo
ad un principio di lealtà, ha indotto il Calamandrei
1
ad
affermare l’esistenza di un autonomo ordinamento
cavalleresco e molti altri illustri giuristi a concepire un
autonomo ordinamento sportivo costruito con le proprie
regole che nel tempo sono cambiate ma che da sempre si
ispirano o meglio si dovrebbero ispirare ad un unico
principio, quello di lealtà, del rispetto leale delle regole
stabilite dalla Federazione di quello sport.
Il rapporto tra Stato e sport, ha da sempre affascinato i
vari studiosi di diritto, in quanto se è pur vero che la
pratica sportiva sorge, come espressione di un istinto
umano di muoversi, di faticare, di superare l’altro, e che
quindi non dovrebbe subire l’interferenza del diritto dello
Stato, è altrettanto vero che con il passare degli anni lo
Stato ha individuato nello sport un attività, non solo
capace di migliorare le potenzialità e la salute dei propri
cittadini, ma anche idonea a rendere prestigio alla
nazione attraverso i risultati raggiunti nelle competizioni
internazionali; è per questo motivo che lo Stato ha voluto
in certi casi inglobare lo sport all’interno delle sue regole,
o comunque ha cercato di dare ad esso un certo fine, una
1 P.CALAMANDREI, Regole cavalleresche e processo, in Studi, Padova,
1955, cap.2, par.1.
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certa direzione; come del resto è avvenuto in Italia, nel
1942, con l’attribuzione al C.O.N.I. (Comitato Olimpico
Nazionale Italiano) della qualifica di ente dotato di
personalità giuridica, avente come suoi compiti quelli
dell’organizzazione e del potenziamento dello sport
nazionale diretto al miglioramento della razza.
Tornando al profilo storico, abbiamo visto che il mondo
greco poneva la formazione atletica al centro di tutto.
Tutta la pedagogia ellenica dà il massimo rilievo alla
formazione atletica, la stessa cronologia greca è fondata
sul riferimento alle Olimpiadi. E sono proprio le
Olimpiadi il fulcro, il motore del futuro ordinamento
sportivo: sarà a causa di esse che nel 1896 si costituirà il
C.I.O. (Comitato Olimpico internazionale) l’attuale
organo di vertice dell’ordinamento sportivo mondiale.
Secondo la tradizione, la prima edizione si svolse nel 776
a.C. e come tutte le 292 manifestazioni seguenti, la sede
fu la città d’Olimpia situata in Elide nel Peloponneso.
Indiscutibile è l’origine religiosa dei primi giochi
olimpici, i quali sorsero come celebrazione delle feste
Olimpie, la più risalente e celebrata delle quattro feste
nazionali dell'antica Grecia: difatti la manifestazione era
dedicata a Zeus e le gare si svolgevano in uno stadio nei
pressi del tempio eponimo, all’interno di un recinto sacro
detto Altis.
Il carattere religioso era altresì confermato dal fatto che
per la durata dei giochi nessuna guerra era intrapresa ed i
conflitti già insorti erano sospesi: così le genti del
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Peloponneso, spesso fra loro nemiche, si ritrovavano
accanto nella sfida sportiva, uniti dal desiderio di
divenire immortali agli occhi di Zeus.
Tuttavia, la religiosità della manifestazione era destinata
a scomparire: man mano che ci si allontanava dalle prime
celebrazioni affiorarono casi di corruzione, fioccarono
ammende, si comminarono squalifiche (…un po’ come
adesso!). Anche il leale agonismo sportivo lasciò il posto
ad un esasperato confronto di prestigio fra gli Stati più
potenti, che sfociò nella nascita del professionismo: atleti
a tempo pieno, mantenuti a spese dello Stato, finirono per
inquinare irreparabilmente lo spirito ludico e di
fratellanza proprio dei primi Giochi.
A infliggere il colpo di grazia alle antiche Olimpiadi
furono però le conquiste di Roma. I Romani avevano
tenuto la pratica sportiva sempre in alta considerazione
ma l’avevano sempre intesa come un’attività cruenta,
tanto è che le discipline più praticate erano i ludi
gladiatori, il pugilato e la lotta.
Pertanto, una volta che anche i Romani furono ammessi a
partecipare ai Giochi, e con loro perfino popoli
dell'Egitto e dell'Armenia, le competizioni divennero
puro spettacolo, dietro il quale si nascondevano ambigui
interessi economici. Si erano ormai definitivamente persi
i valori della lealtà, dell'amicizia fra popoli, e del
dilettantismo.
Come abbiamo già detto, con il diffondersi della
religione Cristiana, che aveva pianto numerose vittime
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nei ludi gladiatori, si cominciò a contestare l’idea
olimpica che celebrava il trionfo del corpo e delle sue
capacità, mentre la nuova religione era interessata ad
elevare lo spirito sopra di tutto, con il corpo che
regrediva a mero contenitore. Dall’editto di Teodosio
Primo del 393 d.C., le Olimpiadi non vennero più
celebrate.
Solo nel 1859 si ricominciò a parlare di Olimpiadi, grazie
all’avventuroso progetto di Evangelistas Zappas, un ricco
greco che risiedeva in Romania, il quale volle ripristinare
i Giochi in Grecia, ma data la mancanza di stadi adeguati,
le competizioni si svolsero per le strade con una
confusione indescrivibile e l’esperimento fu un
clamoroso insuccesso che si ripeté anche con i tentativi
successivi degli anni 1870, 1875, e 1879.
Ma, oramai l’idea di riprendere la kermesse olimpica si
stava diffondendo rapidamente e così nel 1894 al
Congresso Internazionale degli sport atletici di Parigi,
tenutosi principalmente per discutere il problema del
dilettantismo e del professionismo, i vari monarchi e
ministri dei vari Stati si trovarono di fronte alla proposta
del barone de Coubertine che, forse suggestionato dai
grandi ritrovamenti archeologici del tedesco Ernst
Curtius tra il 1875 e il 1881 nel sito di Olimpia, non solo
propose la rinascita dei Giochi Olimpici ad Atene nel
1896, ma invitò i 39 delegati, rappresentanti un totale di
dodici nazioni, ad internazionalizzare lo sport attraverso
la costituzione del Comitato Interministeriale dei Giochi
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Olimpici che, solo nel 1900, assumerà la denominazione
di Comitato Internazionale Olimpico.
Il Comitato si dette le prime regole e trasfuse nella Carta
Olimpica sette principi cardine per lo svolgimento delle
Olimpiadi:
a) Il ristabilimento dei Giochi “su basi e a condizioni
conformi alla necessità della vita moderna”.
b) La partecipazione di atleti dilettanti.
c) La necessità di preservare il prestigio dei Giochi da
chiunque possa nuocervi.
d) Lo svolgimento di prove eliminatorie e su base
rigorosamente nazionale.
e) La compresenza di “sport propriamente detti”
(corse e concorsi), e di sport nautici, giochi atletici,
sport ippici, pugilato….
f) La rotazione delle sedi in varie città del mondo.
g) L’ufficialità della manifestazione.
L’attività sportiva iniziava così a manifestare la sua
rilevanza e ad essere inquadrata secondo delle norme
autonome di carattere internazionale che, tuttavia,
all’epoca, regolavano esclusivamente lo svolgersi della
manifestazione olimpica.
Come abbiamo visto da questo breve excursus sulla storia
dello sport, l’attività sportiva organizzata è una delle
forme più antiche dell’attività umana ed infatti,in tutte le
manifestazioni della civiltà, anche primitive, è possibile
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rintracciare la presenza della pratica sportiva, dato che
essa costituisce un primordiale bisogno dell'’individuo.
Prima di affrontare l’analisi dell’ordinamento sportivo
internazionale e nazionale, mi sembra necessario
concludere la nostra premessa con un’analisi, seppur
breve, del significato del termine “sport”, giacché uno
studio di questo fenomeno così variegato impone almeno
il tentativo di individuare il nostro oggetto di ricerca.
Il fenomeno sportivo è caratterizzato da una molteplicità
di profili, il che comporta una sua regolamentazione ad
opera di più settori del diritto come il civile, il penale, il
commerciale, l’amministrativo e il fiscale.
Da un punto di vista filosofico, si afferma che lo sport è
una categoria primordiale dell’agire umano, i cui
altissimi valori si inseriscono nella sfera più elevata
dell’attività dell’uomo accanto alla scienza e all’arte; per
sport si intende “ogni sforzo che non nasce da
un’imposizione, ma rappresenta un impulso liberissimo e
generoso della potenza vitale…uno sforzo lussuoso che si
profonde a piene mani senza speranza di ricompensa,
come un getto di intime energie…"
2
. E sullo stesso tono
si è scritto che “qualunque azione, qualunque lavoro,
fatto per se stesso e non in vista del suo risultato, diventa
sport se lo si compie con animo disinteressato, distaccato,
disincantato”
3
.
2
J.ORTEGA Y GASSET, Il tema del nostro tempo, trad.it.,Milano,1964,
p.278 ss.
3
A.TILGHER, “Homo faber”. Storia del concetto di lavoro nella civiltà
occidentale. Analisi filosofica di concetti affini, Roma, 1929, p.165
15
Dall’ottica sociologica, si è sostenuto che “lo sport è
l’attività di tempo libero la cui caratteristica dominante è
lo sforzo fisico, svolto in maniera competitiva, che
comporta regolamenti e istituzioni specifiche e
suscettibile di trasformarsi in attività professionale”
4
.
Per gli storici, intenti a dimostrare la continuità
cronologica della vicenda sportiva, lo sport è qualsiasi
giuoco o esercizio che abbia un contenuto di movimento
fisico.
È, quindi, difficile trovare una definizione che contenga
le diverse prospettive, anche perché spesso queste si
trovano fra di loro in contrasto (come quella sociologica
e filosofica) e forse anche perché per anni è stata
dominante una riduttiva interpretazione, che considerava
il fenomeno ludico come qualcosa di ontologicamente
non serio e per cui non “degno” di una nozione
scientifica: “nella nostra coscienza il giuoco si oppone
alla serietà…ma questo giudizio è estremamente precario
perché il giuoco può essere benissimo serio” e ancora
“non invero il giuoco, ma lo scherzo è l’opposto della
cosa seria e il giuoco può essere appunto la cosa più seria
di questo mondo”
5
.
“Il diritto sportivo”, quindi, non è riconducibile a una
definizione unitaria e può essere analizzato sotto diversi
4
G.MAGNANE, Sociologie du sport, Paris, 1964, p.81.
5
J.HUIZINGA, Homo ludens, trad.it.rist.,Milano, 1964, p.23 e ss.
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punti di vista: nel mio lavoro cercherò di analizzare le
strutture dell'’ordinamento sportivo internazionale, di
quello italiano, e dei suoi rapporti con l’ordinamento
generale dello Stato Italiano, focalizzando l’attenzione
sulla sfera di autonomia effettivamente riconosciuta agli
organi sportivi.
Per concludere queste brevi note introduttive, va detto
che comunque è stato possibile rinvenire, nell’articolo 2,
primo comma, della Carta Europea dello Sport, approvata
nel 1992 a Rodi, dalla settima Conferenza dei Ministri
Europei dello Sport, una definizione che abbia
effettivamente preso in considerazione la globalità del
fenomeno sportivo: alla luce di tale norma si intende per
sport “qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una
partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo
l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e
psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o
l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli”.