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E arriviamo così a presentare la situazione economica attuale della Calabria,
una situazione obiettivamente migliore del passato, dove vengono analizzati i
progressi economici dei calabresi, insieme alla patologica influenza del settore
impiegatizio. Il rigonfiamento di questo settore ha temporaneamente risolto le
speranze occupazionali dei giovani rimasti in Calabria, ma allo stesso tempo li
ha indotti a tralasciare l’idea di avviare attività imprenditoriali in proprio.
Nei modelli di consumo viene dato spazio al superfluo, mentre sarebbe
essenziale, per un processo di sviluppo, la dotazione infrastrutturale.
Si pensi che la regione complessivamente ha soltanto il 60% dell’indice
nazionale medio della dotazione di strade e circa il 40% dell’indice di
dotazione media di aeroporti e servizi alle imprese.
Inoltre non poteva mancare un’analisi sulla fatica delle imprese esistenti, in
particolare quelle agricole, di competere con l’estero. Esse, nonostante recenti
segni di ripresa, continuano a non trovare il modo per poter valorizzare al
meglio le risorse regionali.
Infine si giunge a parlare di ecoturismo, delineandone i caratteri principali gli
interventi realizzati in ambito internazionale per la sua promozione.
In realtà non esiste una vera e propria definizione di ecoturismo , esiste però
una sommaria descrizione delle attività ecoturistiche data dal WTO (World
Tourism Organization) nel 1988, che intende per turismo sostenibile tutte
quelle forme di turismo che hanno come prerogativa fondamentale la
salvaguardia e l’apprezzamento delle risorse ambientali di un determinato
territorio, gestendo le necessità economiche e sociali in armonia con il
mantenimento delle diversità biologiche. L’ecoturismo dovrebbe essere inteso
proprio come una forma di turismo sostenibile, poiché questo, in senso lato, è
riferito al rispetto dell’ambiente che deve essere applicato a tutte le forme di
turismo. Ho ritenuto opportuno suddividere l’ecoturismo in tre branche:
1) il turismo nei parchi naturali,
2) l’agriturismo,
3) il turismo termale.
C’è poi un altro settore economico strettamente legato all’ecoturismo, che è
costituito dall’enogastronomia: i prodotti alimentari tipici di una zona creati
con fattori biologici e naturali sono una carta d’identità del luogo molto
importante per l’ecoturista. Spesso è soprattutto il vino o un particolare tipo di
formaggio a caratterizzare una regione o una località.
Viene evidenziato come, in campo internazionale, da decine di anni si è
insistito negli investimenti nel turismo sostenibile e nell’ecoturismo in
particolare, per il quale sono state studiate infinite politiche di marketing.
Vengono quindi esposti i risultati di queste politiche in tutto il mondo,
attraversando il lungo periodo del dopoguerra, in particolare da vent’anni a
questa parte, in cui si sono trasformati i desideri dei turisti, legati sempre più ad
una passione per la natura, all’amore per i prodotti naturali, alla protezione del
proprio habitat, alla curiosità verso nuove mete inesplorate. In particolare più
recentemente l’ecoturismo, ancora non ufficializzato, è riuscito a contrastare il
predominio del turismo ludico.
Lo studio della domanda di ecoturismo nel mondo deriva non solo da analisi
econometriche, ma anche da analisi sociologiche, cha hanno portato alla
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conclusione che l’ecoturista tipo è una persona particolarmente innamorata
della natura, che è disposto a spendere un po’ di più per avere prodotti naturali,
specialmente alimentari, e che è impegnato in prima fila per la salvaguardia dei
territori stessi. È un tipo di consumatore continuamente in espansione.
Constatiamo una leggera rigidità della domanda ecoturistica che permette agli
operatori di tenere prezzi alti e di incrementare i propri redditi.
La continua evoluzione della domanda mondiale promette ancora grossi
sviluppi, poiché è ancora forte il desiderio del “ritorno alla natura”, anche
perché la recente sensibilizzazione sui problemi dovuti all’effetto serra,
all’inquinamento della acque, ai cibi transgenici, ha creato un avvicinamento
dell’uomo alla terra che si prevede aumenterà. Lo studio della domanda
ecoturistica è essenziale per poter capire se realmente la Calabria possa
rappresentare un’offerta esaustiva.
Dall’analisi fatta è risultato che, ancora oggi, una regione con un patrimonio
immenso e meravigliosamente diversificato come quello calabrese (dalla pista
sciistica di Gambarie è possibile ammirare la punta dell’Etna che si erge dalle
nubi) non riesce a soddisfare una consistente fetta della domanda ecoturistica.
Nonostante le recenti riprese del settore turistico, genericamente inteso, solo
due turisti tra mille che scelgono la Calabria decidono di andarvi per
agriturismo. È significativo che si associ la Calabria ai Bronzi di Riace e al
mare, mentre il patrimonio naturale reale resta ancora inviolato, se non
depauperato dalla trascuratezza generale. Le grosse fatiche dovute alla ricerca
di dati obiettivi, a causa dell’esistenza del sommerso e del non rilevato, hanno
portato alla conclusione che l’offerta di ecoturismo è rivolta solo alla
presentazione delle risorse naturali. Esistono infatti tre parchi, un numero
sempre in evoluzione di aree protette, sei stabilimenti termali, che faticano ad
ottenere una domanda continua per via della scarsa conoscenza esterna, ma
anche per le enormi difficoltà a raggiungere le aree interne. Significativi sono i
dati che evidenziano un basso numero di stranieri; la Calabria è caratterizzata
da un turismo di prossimità, cioè composto da turisti delle regioni limitrofe, e
da un turismo di ritorno, composto da emigrati calabresi che tornano nella
regione natale per visitare i parenti. Un altro problema della Calabria è la forte
stagionalità: nonostante si abbiano sei mesi di tempo quasi estivo, la domanda
si concentra unicamente nei mesi di luglio e agosto.
Il turista tipo, infatti, è un impiegato che ha a disposizione solo poche
settimane nei mesi estivi, da dedicare ai viaggi, e che perciò concentra il suo
periodo, mentre le attrazioni turistiche sono disponibili tutto l’anno, e per tutto
l’anno andrebbero sfruttate. Le istituzioni negli ultimi vent’anni hanno
concentrato i loro sforzi a gestire uno sviluppo sostenibile poco orientato al
turismo, ma rivolto perlopiù alla protezione ambientale, alla disciplina della
caccia, all’istituzione di nuove aree protette. I risultati di questi interventi sono
quasi sempre articoli di leggi rimasti sulla carta e mai applicate. In tutte le leggi
trattate si parla di aiuti agli imprenditori e ai sostenitori dell’ambiente, ai
promotori di servizi di informazione, formazione e sensibilizzazione
dell’opinione pubblica. Ma questi interventi, o non si sono saputi sfruttare, o
non si sono saputi applicare. È del 1988 la legge che regolarizza l’agriturismo,
pubblicata tre anni dopo di quella nazionale. Anche questa, nonostante i buoni
propositi e l’individuazione delle aree d’intervento, è rimasta poco utilizzata,
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anche per gli scarsi fondi destinati all’aiuto degli agricoltori. Vi sono poche
azioni di miglioramento della viabilità interna e verso l’esterno. A ciò si
aggiunge l’ancora cattiva gestione degli aeroporti o dei porti, in particolare
quello di Gioia Tauro che, anche se ufficialmente dovrebbe avere poco a che
fare col turismo, rappresenta un punto strategico con il Mediterraneo.
L’ultimo grande progetto di spesa pubblica della Regione Calabria è
l’elaborazione del Programma Operativo Regionale, stilato anche grazie ad
associazioni di categorie o enti come la stessa Università della Calabria. Il POR
evidenzia con serena obiettività il fallimento degli interventi precedenti e
propone la valorizzazione dei principali settori di sviluppo. Penso che questo
Programma rappresenti un’opportunità da cogliere al volo, visto che effettua
un’analitica programmazione nel periodo 2000 – 2006, e che prevede l’utilizzo
di tutti i fondi dell’Unione Europea nell’intenzione di uscire dall’obiettivo 1,
col quale sono raggruppate le regioni depresse che ancora non hanno avviato
uno sviluppo stabile. È fondamentale applicarlo anche perché dal 2006 i fondi
disponibili saranno sicuramente azzerati, vista l’entrata nell’Unione da parte di
diversi paesi dell’Est che versano in condizioni peggiori, e che quindi
necessiteranno dei fondi comunitari.
Entriamo quindi nel vivo della tesi, per illustrare il modello che qui si vuole
proporre. In realtà il modello non è frutto di una costruzione personale, ma
riprende parti del modello generale di sviluppo di una regione basato sul
turismo. Il modello viene comunque modificato e adattato alla Calabria, ma
viene adattato soprattutto al settore ecoturistico, per il quale nessuno studio
finora ne aveva proposto in queste modalità l’inserimento nell’avvio di uno
sviluppo economico globale.
Il modello segue le fasi della domanda ecoturistica, ripresa dalla similitudine
fatta da molti con il ciclo di vita del prodotto, che comprende quindi momenti
di esplorazione, seguiti da momenti di sviluppo, di maturità e stagnazione.
Le fasi del modello sono quattro: fase dell’arrivo, in cui i turisti sono visti
come dei pionieri che scoprono per la prima volta un territorio, che quindi non
ha grosse disponibilità di strutture per ospitarlo. Ma l’arrivo dei turisti invoglia
gli operatori locali a sfruttare questo business, investendo in strutture e servizi
per far sì che gli ormai non più pionieri possano effettuare la loro spesa nella
regione di destinazione, aumentando quindi il reddito regionale. È questa la
fase del consumo. Una volta consolidata una domanda stabile, aumentando i
redditi dei residenti, a tal punto che si formano dei risparmi e cominciano gli
investimenti rivolti non solo al soddisfacimento della domanda direttamente
generata dai turisti, ma anche di quella indiretta. Si considera indiretta la
domanda di fattori operata dagli operatori turistici, ad esempio un’impresa di
costruzioni nata per restaurare vecchi casolari adibiti a strutture agrituristiche.
Quando si arriva alla creazione di varie e molteplici attività volte a soddisfare
la domanda indiretta, possiamo dire di essere arrivati alla fase del decollo, una
fase in cui la maggior parte dei redditi sono legati al fenomeno del turismo
ecologico. Infine, un ulteriore aumento dei redditi comporterebbe una
maggiorazione degli investimenti nella grande industria, sempre più lontana e
autonoma dal turismo. È questa la fase del distacco. Vedremo che la Calabria
si trova, per evidenti ragioni, all’inizio della prima fase, quella di arrivo.
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La funzionalità del modello è stata verificata in una regione lontana dalla
Calabria: la Toscana. Sarebbe risultato infatti difficile verificare in Calabria
qualcosa che ancora non c’è.
L’area di studio è stata una zona della provincia di Siena, il comprensorio di
Chianciano Terme. La scelta è nata dopo un’attenta analisi di altre regioni
italiane, dove l’ecoturismo è ben presente, ma dove non si è avviato uno
sviluppo fondato su di esso, dove cioè l’ecoturismo è stato un effetto, e non una
causa.
La missione è stata orientata a comprendere come si è avviato il processo e a
collocare l’area d’esame in una delle fasi del modello.
L’analisi è stata effettuata mediante l’elaborazione di dati reperiti presso la
Camera di Commercio di Siena, ma soprattutto grazie alle 15 persone
intervistate. Le interviste hanno coperto l’analisi dell’offerta diretta e indiretta.
Sono state condotte dieci interviste ad altrettanti operatori agrituristici, due a
funzionari di stabilimenti termali, una ad un’impresa di costruzione, una ad
un’impresa di produzione di ferro e l’ultima ad un’azienda operante nella
produzione delle ceramiche, tutte direttamente o indirettamente legate allo
sviluppo dell’agriturismo. C’è da sottolineare che l’agriturismo toscano
comprende buona parte dell’ecoturismo in generale, perché è costituito da
un’offerta più completa e orientata in concreto verso la valorizzazione
dell’ambiente e dei prodotti tipici. Le interviste alle attività produttive sono
state condotte proprio per capire se veramente il modello ha funzionato nella
sua completezza.
Desidero ringraziare la mia famiglia che è stata sempre presente, il signor
Priamo che mi ha ospitato durante il soggiorno di studio a Chianciano Terme
e tutte le altre persone che mi sono state vicine.
Un ringraziamento particolare al professor Marini, per la sua enorme
pazienza nella ricerca di una continua e armonica collaborazione.
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CAPITOLO I
LA SITUAZIONE STRUTTURALE DELLA CALABRIA
Anche se può sembrare difficile, mi accingerò, per quanto possibile, a
descrivere quali sono stati i mutamenti nello sviluppo (o declino?)
dell’economia calabrese dalla nascita della civiltà ai giorni nostri.
Questa lunga introduzione al tema del mercato dell’ecoturismo come principale
fonte di sviluppo della Calabria, serve a dimostrare che il problema
dell’arretratezza di questa regione si deve combattere con gli strumenti di più
facile utilizzo e che potranno dare risultati di successo a breve termine.
1.1 Le risorse naturali
1
Lingua di terra riversata tra due mari, la Calabria si presenta agli occhi
dell’osservatore con una varietà di paesaggi e di climi da sembrare immensa
nel suo pur ridotto territorio, tanto che i più grandi intellettuali passati per
questa terra hanno sempre parlato di Calabrie per indicarne le diversità
geografiche (oltre che socio-culturali di cui si parlerà in seguito).
Con i suoi 780 Km di costa, raggiunge il primato in assoluto tra le regioni
peninsulari della nazione. Il 44% del territorio regionale è posto al di sopra dei
500 metri e il 9% in pianura. Il rilievo calabrese presenta circa sei gruppi
montuosi principali, partendo dal Massiccio del Pollino, che segna il confine
settentrionale della regione e si estende fino alla costa ionica raggiungendo la
sua massima altitudine (2267 metri) con la Serra Dolcedorme. Tale massiccio
si congiunge ad ovest con quello del Pellegrino , che percorre un tratto di costa
tirrenica, dalla quale si separa dando spazio alla Catena Costiera, fino ad
incontrare all’interno l’altopiano silano (diviso in Sila Grande, Sila Greca e
Sila Piccola), che occupa tutta la parte centrale della regione. Le zone
montuose riprendono dopo aver attraversato una parte più stretta, compresa tra
il golfo di Squillace e quello di S. Eufemia, con la catena delle Serre, che porta
fino al Massiccio dell’Aspromonte, che rappresenta la parte montuosa del sud
della regione.
Le singolarità si notano anche da una superficiale analisi idrografica. Infatti,
nonostante gli imponenti massicci sopra descritti, il territorio è percorso per lo
più da fiumare secche che portano un’irrilevante quantità d’acqua solamente
nel periodo invernale. Il territorio comprende quindi un’innumerevole quantità
di piccoli bacini scarsamente permeabili, che non favoriscono l’irrigazione del
territorio interno.
Pochi sono i fiumi, come il Mesima, che proviene dalle Serre ed ha un bacino
di 800 Kmq, ma non è il più lungo, il primato spetta infatti al Crati, che con i
suoi 93 Km attraversa buona parte della Calabria Settentrionale, portando
anche acque di affluenti provenienti dal Massiccio del Pellegrino.
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Tutte le informazioni di questa sezione sono tratte dai vari rapporti del WWF Calabria,
comprese le problematiche ambientali
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Anche pochi sono i laghi naturali, presenti in particolare nella Catena Costiera,
nella piana di Rosarno e sul litorale del Golfo di S. Eufemia. I laghi più grandi
e importanti (Cecita, Arvo e Ampollino), si trovano tutti sulla Sila, ma sono
artificiali e dunque recenti.
Un’altra importante componente ambientale della Calabria è il profilo costiero,
costituito come già detto da 780 Km di litorale, che presentano tratti di
scogliera alternati sull’alto Tirreno.
Una ristretta parte pianeggiante in corrispondenza del Golfo di S. Eufemia
viene interrotta dal promontorio del Poro, fino a Capo Vaticano, e riprende
nella Piana di Gioia Tauro, ma viene nuovamente bloccata da dirupi inabissati
in mare della Costa Viola e di Scilla. Oltrepassato lo Stretto di Messina,
caratterizzato dal riversarsi di numerose fiumare, risaliamo la costa ionica e
incontriamo litorali ampi e sabbiosi fino alla Punta di Soverato, che presentano
all’interno zone boscose fino alle falde dell’Appennino. La zona del Golfo di
Squillace è costituita da aree interne collinari fino al promontorio di Capo
Rizzuto. Percorrendo l’Alto Ionio troviamo ancora litorali sabbiosi fino alla
grande Piana di Sibari, che si estende internamente fino al Pollino e costituisce
la più grande zona di pianura della regione.
Acclamata ed elogiata dai migliori scrittori, come Plinio o Virgilio, la Selva
Bruzia, che in epoca romana toccava i 720 mila ettari, si è adesso ridotta a 425
mila ettari, che pongono comunque la Calabria tra le prime d’Italia (insieme a
Trentino, Piemonte e Toscana) per manto di foresta.
La vegetazione litoranea è attualmente costituita da diverse varietà di piante
capaci di vivere in ambienti salini, come l’eringo, l’enforbia, il ginepro, il
giglio di mare; nel Golfo di Squillace si possono trovare anche unici esemplari
in tutta la regione di
esedra e cornacchina. Varie sono anche le specie di piante lungo le rive dei
fiumi.
Le colline sono dominate da querce e da altri alberi dalla corteccia dura, come
il leccio, che in certe zone costituiscono una copertura fitta che impedisce la
filtrazione della luce. Altre parti sono caratterizzate da alloro, mirto, ginestra e
rampicanti. Raggiungendo quote più alte la specie arborea è prevalentemente
caratterizzata dal castagno, o dall’ontano napoletano, che creano suggestivi
paesaggi.
Il faggio predomina sui principali rilievi, che comunque accolgono anche altre
specie come pini e abeti. In particolare il pino laricio, più presente sul versante
tirrenico, costituisce imponenti foreste, specialmente nella Sila Grande, mentre
l’abete bianco è più facile incontrarlo nelle alti valli aspromontane e sul
Pollino. Il pino nero invece è più frequente sul Massiccio del Pellegrino.
Frequenti sono anche le presenze di felce, agrifoglio, ciclamino, o fiori come
viole, orchidee selvatiche, narcisi, nontiscordardimé, anemoni, fiordalisi.
Un’emblematica testimonianza di antichità è rappresentata dal pino loricato,
che, con i suoi 950 anni d’età, ha immortalato l’antica vegetazione del Pollino.
Nella descrizione della flora calabrese non può mancare un accenno ai fondali
che, oltre ad essere caratterizzati dalle più svariate categorie di alghe, come le
verdi, le rosse e le brune, tra cui la corallina mediterranea, presentano altre
specie di piante come la posidonia oceanica, fondamentale per la vita e la
riproduzione di molti organismi.
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Passiamo adesso a descrivere brevemente la fauna presente in Calabria,
partendo dal graffito ritrovato nella Grotta del Romito di Papasidero,
raffigurante un grosso bue e risalente a circa dieci mila anni fa; era l’epoca di
grandi mandrie di cervi, daini, caprioli, cinghiali, camosci, stambecchi, ma
anche orsi, linci, lupi. Addirittura fino agli inizi del secolo scorso era presente
in alcune zone del Mar Ionio la foca monaca. Ma la grande varietà di animali,
dovuta anche alle forti differenze climatiche e ambientali interne e litoranee, si
manifesta ancora oggi in molte località della regione.
Tra i monti e le foreste, in particolare in Sila, anche se è recente qualche
avvistamento in Aspromonte, mitico è il mistero del lupo, circondato da
leggende e racconti. Un predatore dalle orecchie a punta, gli occhi gialli, la
folta pelliccia, che si nutre prevalentemente di avanzi di cibo presenti nelle
discariche, essendo sempre più rare le sue prede naturali. Di tutti i cuccioli del
branco pochi sopravvivono, e ancora meno riescono a riprodursi. Accanto al
lupo incontriamo la martora, simile ad un gatto, solitario, si nutre di
mammiferi. Altri predatori come il tasso, il gatto selvatico, la volpe, la faina,
sono presenti in tutto il territorio regionale.
Ma il triste primato di rarità spetta al capriolo, per il quale, oltre ad esserne
sempre più probabile la scomparsa, ne è minacciata anche l’autenticità, visti gli
accoppiamenti con altre specie. Poco frequenti sono anche il cervo e il daino,
mentre è ancora forte la presenza del cinghiale, diffuso in tutta la regione,
come anche la lepre, nonostante il continuo prelievo venatorio. La loro
presenza estesa è anche da attribuirsi alla capacità di adattarsi a diversi tipi di
clima e nutrizione. Ma a popolare le foreste calabresi non mancano scoiattoli e
ghiri, questi ultimi soggetti a bracconaggio per la prelibatezza della loro carne.
I volatili più importanti sono l’aquila reale, che domina i cieli sovrastanti il
Massiccio del Pollino, l’aquila del Monelli, presente in Aspromonte, l’astore,
lo sparviero e il gufo reale. Altri rapaci che trovano habitat in Calabria sono
l’allocco, la civetta, il barbagianni, il gufo comune.
Noto per la sua velocità è il falco pellegrino. Ma i cieli calabresi sono abitati da
nibbi reali, corvi imperiali, picchi neri. Ultimo, ma non per importanza,
animale degno di nomina quale abitante delle foreste è la vipera, anch’essa
come il lupo avvolta da luoghi comuni che la fanno apparire un pericolosissimo
rettile. In realtà la vipera è un animale abbastanza timido, che usa il morso solo
come difesa.
Allontanandoci dalle foreste e spostandoci verso ambienti più umidi, troviamo
la lontra, in via d’estinzione in Calabria per diversi motivi, si nutre
prevalentemente di pesci ed esce allo scoperto soprattutto di notte. Le zone nei
pressi di fiumi e laghi (quei pochi che ci sono) sono popolate da diverse specie
di uccelli e rettili come l’airone bianco, l’airone rosso, il germano reale, rospi e
tritoni.
Numerose sono le varietà di insetti in tutto il territorio: coccinelle, api, vespe,
lucciole, cicale.
Trattiamo infine della fauna dei fondali marini, caratterizzata da organismi
come coralli, madrepore, crostacei e pesci di piccolo taglio, tra i quali è sempre
più frequente avvistarne di tropicali, data la temperatura sempre più alta delle
acque del Mediterraneo. Non è comunque insolito constatare in parti più
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profonde la presenza di squali, pesci spada, tonni, sgombri, balenottere e
tartarughe marine.
Passiamo ad analizzare ambiente e paesaggio dei principali siti calabresi, come
il Massiccio del Pollino, il Massiccio del Pellegrino, la Catena costiera,
l’altopiano della Sila, la Catena delle Serre, il Massiccio dell’Aspromonte, i
litorali e le zone umide.
Imponente e incantato, il Pollino è la prima meraviglia naturale che si incontra
arrivando in Calabria da nord. Il versante calabrese presenta numerose grotte,
ripari, inghiottitoi, tra i quali ricordiamo le grotte di Serra del Gufo, le grotte di
S. Angelo, le grotte di S. Paolo e del Ramo del Fiume. È anche possibile in
certe zone verificare la testimonianza di vecchi ghiacciai.
La dorsale meridionale del Pollino, colma di pini loricati, si estende intorno ai
comuni di Morano e Castrovillari, che stanno nella conca del fiume Coscile.
Diversi sono i monti e le valli che caratterizzano questa dorsale, tra cui il
Monte Moschereto, il Monte Manfriana, lo stesso Monte Pollino (2248); ma il
territorio è costituito anche da tratti pianeggianti e da altipiani, come il Piano
Gaudolino, o il Piano Ruggio. I “piani” di Pollino costituiscono il fulcro del
Massiccio e presentano varie serre, come la Serra delle Ciavole e la Serra
Crispo, interrotte in vari punti da torrenti che scendono a valle, soprattutto nel
versante lucano.
Il versante orientale invece è dominato principalmente dal torrente Raganello,
che scende verso la gola del Barile. Caratteristica è anche la sconnessione
orografica di Falconara, ma pittoresche e singolari per morfologia e territorio
sono anche le timpe di S. Lorenzo, le timpe di S.Anna, la valle del Raganello.
Altri ambienti del Massiccio del Pollino sono costituiti da fitti boschi, dove si
incontrano le varietà più rare di alberi. Nonostante il patrimonio forestale sia
stato intaccato da ingenti disboscamenti, presenta ancora zone non intaccate
dall’uomo, in cui la natura ha fatto il suo corso e i suoi mutamenti, popolando
la zona di pini neri, abeti bianchi, lecci e faggi, che rendono affascinanti ed
unici questi paesaggi, tra l’altro abitati da lupi, cinghiali, caprioli, martore,
aquile reali, corvi imperiali e altri rapaci.
Il Monte Pollino rappresenta, con i suoi 2248 metri, la punta più elevata della
dorsale meridionale, ma il primato spetta alla Serra Dolcedorme (m.2266),
caratterizzata comunque da poche sorgenti d’acqua, dove sono frequenti
escursioni. Altri percorsi caratteristici all’interno del Massiccio sono quelli fino
al Monte Pollino, tra la Valle Piana e Celsa bianca, tra le sorgenti del Vascello
e la Serra delle Ciavole, nella gola del Barile, nella timpa di S. Lorenzo e nella
valle del Raganello. Percorsi caratterizzati da strettoie, zone scoscese, laghetti,
ruscelli, inaccessibili spesso a mezzi di trasporto. I sentieri rocciosi, i pochi
fabbricati, i ripidi pendii fanno del Massiccio un enorme gigante difficile da
affrontare ma incantevole nella sua imponenza.
Di caratteristiche quasi simili al Massiccio del Pollino è il Massiccio del
Pellegrino, o Monti di Orsomarso, che ha come vetta più alta il Monte
Pellegrino, alto 1987 metri. Il Massiccio è separato da quello del Pollino dal
Piano di Campotenese e dall’alta valle del Coscile che scende fino alla Piana di
Sibari. La conformazione geologica del Massiccio è l’ultima di questo tipo
presente negli Appennini, rappresentata da formazioni calcaree, mentre le zone
litoranee sono più argillose.
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È molto facile incontrare evidenze delle erosioni, rappresentate da pinnacoli di
rocce, canyon, dirupi.
Il profilo meridionale del Massiccio presenta parti di intensa foresta, gole
profonde, boschi di conifere, vette acute. Gli ambienti e i paesaggi sono quindi
diversi tra loro e si trovano su vari monti, come il Monte Gada, il Cozzo
Petraia, la Serra Limpida, il Monte Ciagola, intervallati da valli come la valle
del Lao, ampia ed estesa. Numerosi i ruscelli e le piccole cascate in tutto il
Massiccio, molti torrenti attraversano massi umidi e muschiosi, riversandosi in
valloni e canaloni.
Intorno alla gola dell’Argentino si trovano due torri di roccia, rispettivamente
Pietra Campanara e Crivo dell’Uomo Lungo, che si impongono
nell’incantevole paesaggio.
Sono singolari i boschi e le architetture rocciose che si incontrano sul versante
orientale, come ad esempio Il Portone, interrotti a volte da zone pianeggianti,
racchiuse e circondate da monti. Il Cozzo del Pellegrino si erge al centro del
Massiccio, è alto 1987 metri e presenta una visuale dalla quale è possibile
ammirare le immensità rocciose, le valli, i pendii, rispettando la natura
dominante e apprezzando l’impotenza umana di fronte a certi paesaggi. Ad
ovest il Massiccio si riversa sul litorale insieme a ruscelli e piccoli fiumi. Da
ammirare in questa zona è la Pietra Portusata, una naturale scultura calcarea
che si distingue nel fitto della foresta come una testa riversa che blocca i raggi
del sole formando così giochi di luce.
La vegetazione del Massiccio del Pellegrino è costituita da esemplari come il
pioppo tremolo, l’ontano napoletano, il pino loricato, il pino nero, il faggio,
l’abete bianco, il ginepro, l’agrifoglio, presenti per lo più in tutto il territorio.
L’habitat naturale del Massiccio del Pellegrino è simile a quello del Pollino,
non è infatti difficile avvistare anche qui lupi, cinghiali, caprioli o martore.
Anche qui sono numerosi i percorsi da fare per attraversare il Massiccio, ove
non è possibile accedervi se non a piedi, da quelli a bassa altitudine, come le
gole del fiume Lao, dove si trova la famosa grotta del Romito di Papasidero.
Sono anche caratteristici i percorsi sul Monte Palanuda, nelle vicinanze del
fiume Argentino, o al Piano di Campolongo, zone attraversate da sentieri e
viottoli in mezzo a foreste di faggi, pini, nelle quali si trovano poche abitazioni
solitarie.
Si incontrano fitti boschi anche risalendo dal piano di Lanzo al Cozzo del
Pellegrino, siamo nella parte più alta del Massiccio. Inaccessibili in certe zone
anche a piedi sono alcune parti del Monte La Mula o del fiume Rosa, ma non
sono gli unici posti dove nascono sorgenti, infatti vi sono anche le zone della
fontana di Cornia o verso il Monte La Caccia, caratterizzati dagli stessi
paesaggi, anche se le pareti sono più rocciose.
La Catena costiera, così detta perchè che percorre la costa occidentale della
provincia di Cosenza è lunga 73 Km. È costituita prevalentemente da zone
rocciose che si riversano sul litorale tirrenico, e da calcare, come il Monte
Cocuzzo. Numerosi sono i torrenti e le gole, addirittura in certe zone la strada
statale passa sotto i corsi d’acqua.
I rilievi sono separati tra loro da valloni. La vegetazione è caratterizzata
prevalentemente da faggi, castagni e ontani napoletani. La Catena è abitata da
lupi, cinghiali e tritoni alpini.
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Una maggiore attenzione merita l’altopiano della Sila, sia per la diversità di
ambiente e clima, sia per le caratteristiche incantevoli.
Unico e imponente, l’altopiano della Sila occupa tutta la parte centrale della
regione, si estende per 150 mila ettari. La Sila rappresenta un blocco costituito
prevalentemente da rocce cristalline e graniti, molto diversi dai calcari visti
prima. Buona parte del patrimonio silano ancora non è stato esplorato, come le
grotte del Monte S. Elia, del Monte Tiriolo, del gesso di Verzino e di Caccuri.
Il territorio è suddiviso in tre settori: la Sila Greca, la Sila Grande, la Sila
Piccola. La Sila Greca, così chiamata per aver fatto parte della Magna Grecia,
presenta come habitat principale il bosco di latifogli, sul Monte Paleparto, la
Serra Crista d’Acri, la Serra Castagna. Le valli dei pochi fiumi presentano zone
collinari in tutto il territorio. La Sila Grande costituisce una vasta parte di tutto
l’altopiano, contiene i tre grandi laghi artificiali: il Cecita, l’Arvo e
l’Ampollino. Il Monte Altare, il Monte Sordillo, presentano estese foreste di
conifere e si estendono fino al Piano di Macchialonga. Dominanti a sud sono le
valli del Neto e del Garga, vicino al Monte Volpintesta. Ancora di rilevante
imponenza sono i monti Botte Donato, Carrumango, Montenero, che
circondano i tre laghi. Le scoscese e i fitti boschi terminano nelle valli del Crati
e del Savuto, da dove comincia la Sila Piccola. A sud del lago Ampollino,
infatti troviamo i monti Scorciavuoi, Gariglione e Femminamorta. Anche qui
non mancano ruscelli e valli che si estendono fino alla Catena della Serre.
Nonostante i vari disboscamenti abbiano desolato diverse estensioni di
territorio, l’altopiano rimane ancora molto vegetato. I valloni in prossimità
della costa sono popolati da leccio e sughera. Non mancano comunque boschi
di querce caducifoglie, castagni, antiche foreste di molti pini, molti faggi e
pochi abeti. Meno rari sono anche alcuni alberi da frutto come il pero, il pruno
e il melo selvatici. La fauna è dominata, naturalmente, da lupi, caprioli, daini,
cervi e altri.
Vicino al paese di Longobucco incontriamo la valle del fiume Trionfo, in
prossimità del Monte Paleparto, insieme ad uno spettacolare complesso di rupi.
Siamo intorno ai 1000/1500 metri e incontriamo diversi monti, valli, fiumi e
laghi, come il cozzo del Principe, il bosco del Patirion, la Serra Cipollata, il
Monte Volpintesta, il Monte Gariglione, il lago Ampollino, circondato da
foreste di pini e faggi.
Percorrendo verso sud la penisola incontriamo la Catena della Serre,
caratterizzata da successivi rilievi collinari e montuosi, compresi tra l’istmo di
Marcellinara a nord e la Sella della Limina a sud. A est invece è attaccata al
Massiccio dell’Aspromonte. Questi monti sono di origine cristallina e colmi di
graniti. La parte settentrionale della catena comprende alcuni monti tra i quali i
più importanti sono la Serra Alta, Covello, Coppari e Cucco, coperti da una
fitta foresta. Al centro invece l’altitudine è minore, siamo nella conche di Serra
S. Bruno e della Lacina, anche qui la foresta ricopre tutte le dorsali fino alle
cime. Qualche corso d’acqua è possibile incontrarlo ad est, nelle valli che
separano la catena dall’Aspromonte, come le valli della fiumara Stilaro, o la
valle dell’Ancinale a nord, nei pressi della quale scorre il fiume Alaca. Molte
zone non sono abitate da parecchi anni, è infatti frequente incontrare qualche
casolare abbandonato e diroccato. Le foreste sono piene di faggi, agrifogli,
ginestre, castagni, ontani. Nonostante lo sterminio venatorio, queste zone sono
18
ancora popolate da cinghiali, faine, volpi, lupi, gufi e picchi. Suggestivi e unici
sono i percorsi intorno alla fiumara Assi, al torrente Mulinelle. Nei pressi di
Sera S. Bruno sono suggestive le cascate di Marmarico, il bosco di Stilo, il
Monte Pecoraro.
Scendendo ancora più a sud, infine, incontriamo il gigante più famoso della
Calabria, e spesso non per l’unicità dei paesaggi, ma per tristi fatti di cronaca
nera: il Massiccio dell’Aspromonte. Si parla di questo massiccio come
un’estensione di varietà di paesaggi e ambienti, invece è paradossalmente la
semplicità della sua conformazione geomorfologia che lo rende spettacolare e
avvolto nel mistero. Sullo stile di un vulcano circondato da valli fluviali che
scendono verso la costa, l’Aspromonte occupa buona parte della provincia
reggina e presenta paesaggi apparentemente simili all’occhio di un inesperto,
ma ognuno con le sue particolarità. Numerosi sono i ruscelli e i corsi d’acqua
che si incontrano sul Monte Limina e sui piani di Zervò, intervallati da zone
rocciose come le Torri di Canolo e i Tre Pizzi. Le dorsali che si dipartono dal
Montalto presentano una serie di monti minori separati da altri corsi d’acqua.
Sono suggestive le cascate di Forgianelle sul torrente Ferraia, che si trova sul
versante meridionale, ma non sono le uniche. Infatti anche il torrente Menta
presenta le cascate del Maesano. Parecchie fiumare sono costeggiate da
profonde gole, spesso ancora inviolate e soggette a frane.
La vegetazione non tradisce gli altri rilievi calabresi. Anche qui infatti vi sono
estensioni di boschi di faggi, pini, castagni, abeti. Neanche la fauna si discosta
da quella presente sulle Serre. Dalle cascate dell’Aposcipo, vicino S. Luca, alle
cascate dell’Amendolea, sul Montalto, i percorsi sono suggestivi e impervi,
spesso privi di vie di comunicazione, come ne sono prive alcune zone di
Zervò, del Monte Scorda, del lago Costantino, incastonato tra irte pendici
montuose. Sono ancora poche le località turistiche valorizzate (come ad es.
Gambarie), viste le loro alte potenzialità.
Altrettanto meritori in questa descrizione fisica della regione, sono i suoi
litorali: la costa tirrenica, lo Stretto e la costa ionica.
“Un mare sbalzato dalle correnti in toni verde intenso sull’azzurro, protetto
alle spalle dalla Catena Costiera e dalle Serre, è il protagonista assoluto di
questa Calabria […] spiagge vergini che si presentano come abbaglianti falci
di rena aggredite fin sulle balze dallo smalto di una coltura lussureggiante”
2
.
Così Leonida Repaci negli anni Sessanta vedeva la costa tirrenica della
regione; essa è lunga 242 chilometri, si estende dalla foce del Noce alla rupe di
Scilla e presenta zone di coste alte e frastagliate, compresse per lunghi tratti da
alte montagne e separate talvolta da tratti pianeggianti, come nel caso della
Piana di Gioia Tauro. Si nota la presenza di rocce arcaiche profondamente
fratturate per le forti scosse sismiche che la regione ha da sempre subito. Vi
sono esempi lampanti lungo le scogliere di Capo Vaticano o nella Costa Viola.
Gli arenili sono perciò ristretti in alcuni punti e addirittura assenti in altri,
caratterizzati dallo strapiombo dei promontori. La costa tirrenica, nel tratto che
va dall’inizio della Calabria da nord fino a Diamante, è caratterizzata da calcari
(tranne che nella piana alluvionale del Lao), come può testimoniare il versante
del Massiccio del Pellegrino. Inoltre si possono ammirare due fantastici
2
Leonida Repaci, in AA. VV. (1963), Calabria, Novara.
19
isolotti, di Dino (la più grande, alto 65 metri dal livello del mare) e di Cirella,
preziosi per il paesaggio. Il litorale fino alla Piana di S. Eufemia presenta
terreni argillosi, che riprendono successivamente fino ad arrivare alla piana di
Gioia Tauro. Questo tratto è caratterizzato da una riduzione dell’area costiera e
quindi dalla presenza di scogliere. Basta addentrarsi per pochi metri e si trova
una flora forestale dominata da pioppi e lecci, che si contendono il territorio
con gli uliveti. La zona del promontorio del Poro presenta irte scogliere di tufi
e graniti che precipitano in mare, e la stessa cosa si riscontra a Capo Vaticano.
L’ultimo tratto del litorale tirrenico, la Costa Viola, non si discosta
dall’ecosistema descritto precedente, ma presenta originalità nel paesaggio,
predominato da un mare di colore blu intenso, quasi viola, appunto, dove si
pratica ancora la tradizionale caccia al pesce spada.
È frequente incontrare su tutto il territorio il fenomeno dei terrazzamenti
marini, deposito di sabbie dovuto al moto ondoso del mare che spiana le rocce
e trasporta i materiali prodotti dall’erosione, formando nell’arco di millenni
una sorta di scalini geologici lungo la costa. Ciò contribuisce alla
spettacolarità del paesaggio, testimoniata ad esempio nella zona di Capo
Bonifati, Falerna, o Gizzeria.
L’effetto provocato dallo scioglimento dei ghiacciai ha contribuito alla
sommersione di molte isole antiche, delle quali oggi resta solo qualche scoglio
affiorante. I fondali sono sabbiosi e popolati da grandi massi e praterie di
posidonie, che ornano le scogliere sommerse e grotte di grande suggestione,
puntellate da anemoni, stelle e ricci
La costa dello Stretto, che conta circa 37 Km e va da Scilla a Pellaro, e che nel
tratto del lungomare di Reggio Calabria ha rappresentato per D’Annunzio il
“chilometro più bello d’Italia”, è caratterizzata da immensi paesaggi meglio
apprezzabili dal vicinissimo Massiccio dell’Aspromonte, che si erge a pochi
metri dalla costa, e dal quale è possibile ammirare la città di Messina, magari
sostando in una stazione sciistica.
Percorrendo la costa ionica, notiamo distese di coltivazioni di agrumeti, in
terreni calcarei nel tratto più a nord dei suoi 413 Km. Anche qui non mancano
zone di terrazzamenti marini intervallati dalla terminazione di fiumare spesso
secche e piene di detriti, che sono stati più volte la causa di straripamenti e di
alluvioni, l’ultima più catastrofica è stata quella di Soverato nel settembre del
Duemila, che ha provocato tredici morti. Le coste in questo tratto
rappresentano le falde dei grossi massicci interni o di piccoli promontori, come
il promontorio di Capo Rizzuto. Non mancano comunque aree in cui i
promontori si riversano a picco sul mare, ma sono più rari che nella costa
tirrenica.
Le due macro aree di pianura sono le Piane di Crotone e di Sibari. A differenza
della Piana di Crotone, adibita per buona parte ad ospitare l’agglomerato
urbano della neo provincia, la Piana di Sibari, è caratterizzata da colture
intensive di uliveti e frutteti.
Infine, resta da segnalare che nel corso del 2001 il Ministero della Sanità ha
dichiarato balneabili poco più del 70% delle coste calabresi, questo per il
continuo inquinamento dei litorali dovuto allo scarico dei liquami delle
fognature; le società che hanno in gestione i 250 depuratori esistenti non hanno
alcun tipo di controllo da parte delle autorità competenti e operano, secondo la
20
Fulc (Federazione unitaria lavoratori chimici), nella completa illegalità (basti
pensare che Crotone, da sempre “bandiera blu”, è ora considerato inquinato),
nonostante costino alla collettività vari miliardi.
3
1.2 Storia dell’economia calabrese
La storia documentata dell’economia calabrese riguarda solo una parte della
storia della vita di questa terra antichissima. Infatti, dopo la scoperta di schegge
di selce e fauna fossile nella grotta di Torre Talao a Scalea, in provincia di
Cosenza, risalente al periodo Neanderthaliano ( 600.000 – 300.000 anni fa), e
del graffito raffigurante due buoi nella grotta del Romito di Papasidero,
sempre in provincia di Cosenza, risalente al Paleolitico (120.000 – 9.000 anni
fa)
4
, si può dire che l’evoluzione dell’abitante di questa terra ha attraversato
tutte le tappe fino all’età moderna. Da cacciatore e pescatore ad agricoltore,
dalla vita nomade a quella sedentaria, superando tutte le rivoluzioni climatiche
ed ecologiche che hanno attraversato la Calabria.
I popoli calabresi, già nella tarda età del bronzo, conoscevano alcune tecniche
di colture con l’utilizzo di utensili primordiali, ma il vero input allo sviluppo
economico della Calabria fu dato dai mercanti egeo-micenei, che portarono
innovazioni in agricoltura, nelle tecniche della navigazione e del commercio.
Infatti è proprio di questo periodo lo sviluppo economico della sibaritide che,
grazie al commercio di olio e vino effettuato per vie acquee (a suo tempo anche
le fiumare oggi inaridite erano navigabili), diventa un modello di sviluppo per
il Mezzogiorno, documentato anche dalle gare fra i Sibariti in ogni genere di
lusso.
Le flotte militari e mercantili costituivano le basi della potenza e della
floridezza dell’intero stato. A dimostrazione di questo si ricordano i numerosi
casi in cui anche Roma chiedeva l’aiuto delle flotte crotonesi e locresi.
Oltre alla fioritura del commercio della lana a Sibari e del bronzo a Reggio,
l’agricoltura e le altre attività commerciali portarono un rapido progresso a
tutte le zone della Regione.
Quando i greci arrivarono in Calabria, ebbero davanti ai loro occhi una
splendida regione che, grazie all’azione di difesa dei boschi, aveva resistito a
diversi periodi di erosione, sempreverde e pianeggiante come le piane del
Crati, di Crotone e di Gioia Tauro, dove si avviò urgentemente l’attività
agricola, che fu quindi la principale fonte di ricchezza di queste zone, dovuta
anche alla navigabilità interna.
Dal punto di vista finanziario, tributario e amministrativo, i coloni, dopo aver
risolto problemi logistici di ricovero e di alimentazione, dovettero fronteggiare
le esigenze di un’edilizia pubblica monumentale, di forme di culto costose, del
mantenimento di un esercito e di una flotta efficienti.
Si resero necessarie quindi una serie di imposte che, dopo aver reso
consapevole la collettività, vennero applicate sulla proprietà, sotto forma di
dazi, pedaggi, tasse sui mercati e sulle vendite. Nonostante ciò, queste entrate
si rivelarono insufficienti alle esigenze della polis, tanto da coinvolgere
3
Dati riportati da IL Sole24Ore, Ministero della Sanità, Fiulc.
4
Cingari G. (1988), Storia della Calabria, Gangemi Editore, Reggio Calabria.
21
attivamente i potenti signori col loro patrimonio, contribuendo alle spese
dell’esercito e di culto
5
.
D’interesse è anche il fatto per cui la polis cedeva terreni demaniali ai santuari
(senza darle direttamente in locazione o in enfiteusi), che costituivano la cassa
dello stato, disponendo di tali ricchezze, come se si volesse affidare ad un dio
la gestione ed il buon andamento dell’amministrazione.
I santuari, grazie alle loro scorte di cereali e di denaro, rappresentavano una
fonte di rifugio sicuro durante le calamità.
In ogni caso il sistema finanziario della polis non è univoco, tanto che non
esiste
neanche un bilancio unitario, ma diversi bilanci parziali relativi alla
distribuzione delle entrate per i vari settori d’interesse.
La cultura imprenditoriale che si andò sviluppando durante il periodo greco, ha
i suoi effetti anche nel periodo della dominazione romana, che è caratterizzato
da un accaparramento di territori demaniali da parte dei comandanti degli
eserciti e di alcuni senatori che ebbero vita dura nella competizione con i
potenti locali. Infatti molti tra i grandi latifondisti dei territori calabresi erano
italioti e ricoprirono anche cariche importanti nell’amministrazione centrale
dell’impero.
Il latifondo si sviluppa in questo periodo e prospera sulle terre del Bruzio,
anche perché i piccoli proprietari che erano sfuggiti alle confische da parte dei
romani, non avendo più (alla fine della guerra annibalica) la forza di ritornare a
valorizzare le terre incolte, le vendettero a chi già ne possedeva in abbondanza.
Questi grandi proprietari, dato il contemporaneo aggravamento dell’endemia
malarica, ritennero opportuno abbandonare l’agricoltura e destinare questi
immensi spazi al pascolo. Lo sfruttamento estensivo di queste terre portò
enormi benefici ai latifondisti locali e conseguenti oneri alla maggior parte del
popolo calabrese, che videro svanire l’opportunità di avviare attività agricole
caratterizzate da colture intensive.
Il tenore di vita quindi si era allontanato sempre di più da quello dei Sibariti nel
periodo greco. Il popolo soffriva la fame e cominciava a sottomettersi ad
umilianti lavori al servigio di Roma e dei Romani. Comincia qui la nascita di
grosse bande di briganti che non si volevano assoggettare al servilismo e
scelsero la via della macchia aggravando quindi la situazione, che in quel
momento certamente non era delle migliori
6
.
La politica di rivalutazione delle risorse colturali della regione si avvia
nell’ultimo secolo a.C., dopo che le vittorie di Roma contro Cartagine e in Asia
Minore portarono anche in Calabria una grossa quantità di schiavi, impegnata,
oltre che in agricoltura, nella lavorazione del legno in varie zone della Sila.
Il De Agricoltura di Catone (234 – 149 a.C.) portò forti rivoluzioni nel modo di
amministrare un’azienda agricola: dal tipo di gestione all’organizzazione, dalla
divisione dei compiti ai vari livelli di profitto. La pastorizia fu rivalutata e
riorganizzata in aree maggiormente ristrette per dare più spazio alle
coltivazioni di uliveti e vigneti, per i quali i grandi latifondisti calabresi
resistevano a mantenere il monopolio in tutto l’impero, avendolo già perso per
la coltura di cereali.
5
Ciccotti E. (1960), I tributi e l’amministrazione finanziaria nel mondo antico, Padova.
6
Nel 185 a.c. furono condannati in Apulia (odierna Puglia) circa 7000 briganti.