6
proporzioni gigantesche, è esattamente quella che Kant, con il suo
scritto, voleva allontanare.
Il volume, pensato per le folle, e pertanto scritto in maniera ben
differente dalle altre sue opere in cui, secondo Goethe, Kant riusciva
addirittura ad essere più kantiano di se stesso
3
, ebbe immediatamente
grande successo, tanto che dopo pochi mesi se ne fece una seconda
edizione, arricchita di due supplementi e di una appendice, e l’opera, per
l’autorevolezza del suo scrittore e l’originalità dei suoi pensieri, venne
presto tradotta in inglese e in francese.
Questo grande successo era certamente preludio a quello, ancora
più grande, con il quale la Storia lo favorì. Il testo ebbe grande diffusione
presso i pensatori e i politici successivi, più che, veramente, sulle grandi
folle, e divenne un caposaldo degli studi pacifisti e irenici, oltreché essere
ispiratore di movimenti pacifisti e delle organizzazioni ad essi collegati.
Ma perché, tanta fortuna? Certamente non si può affermare che la
pace sia mai stata un argomento dalla grande fortuna critica, e si
dovrebbe dare ragione a Bobbio che sostiene non si possa parlare di un
vero e proprio filone di pensiero pacifista
4
, come invece può vantare la
guerra. La pace è in qualche modo sempre stata vista come un momento
di tregua, di assenza di guerra, come la definizione hobbesiana ha
insegnato, ma un momento breve e perituro, destinato a durare poco e a
concludersi, inevitabilmente con la guerra.
Immanuel Kant, da grande pensatore liberale quale era, e da
sostenitore entusiasta dei valori rivoluzionari, quale era divenuto, con Per
la pace perpetua, che aveva definito ‘progetto filosofico’, ma che presenta,
3
Riportato in Gallie, Walter Bryce Filosofie di pace e di guerra. Kant, Clausewitz, Marx, Engels, Tolstoj, Bologna, Il
Mulino, 1993,pag.32
4
Bobbio, Norberto Pace, in Il Dizionario di Politica, a cura di N. Bobbio, N. Matteucci, G.Pasquino, Torino, Utet,
2004, pagg.656 e ss.
7
come vedremo, dei caratteri eminentemente pratici, propone alcuni
meccanismi sistematicamente esposti attraverso i quali superare il
problema della guerra e assicurare una pace estremamente duratura e
stabile. Perpetua, appunto.
Il lettore accorto avvertirà, come prima di lui è stato avvertito, un
carattere rivoluzionario in questa proposta. A fianco di questa lettura, il
lettore realista, e non per questo cinico, noterà che questo progetto è rimasto
tale, senza avere alcuna applicazione reale. Come dimostrare il contrario?
Tra il 1795 e il 2008 si sono combattute ancora più di cento guerre,
comprese le due più disastrose e devastanti nella storia dell’Umanità
5
.
Nei capitoli che seguono si è cercato di dimostrare la potente
validità delle tesi kantiane, oltre che illustrare la grande fortuna critica che
il testo ha avuto, soprattutto le applicazioni che se ne sono fatte
all’interno della moderna teoria delle Relazioni Internazionali, nata dopo
il primo conflitto bellico, nel 1919, quando più forte si era fatto il
disgusto per la guerra e il desiderio di una pace perpetua tra gli Stati e i
popoli.
Oltre alla rassegna e alla ricognizione, che si spera essere esaustiva e
rigorosa quanto più possibile, si è aggiunta una modesta proposta: quella
di ritenere applicati, fattivamente, e senza forzature, i principi illustrati da
Kant in Per la pace perpetua all’interno dell’Europa Unita, come si è andata
definendo dopo il secondo conflitto bellico. Le sue caratteristiche
democratiche di alto profilo, la collaborazione fruttuosissima per uscire
dalle devastazioni della guerra tra quegli stessi Stati che si sono
combattuti nel tempo diecine di guerre; una convivenza segnata da
costanti e crescenti convergenze; un allargamento che è stato costante
5
Cfr. Doyle, Michael W. Kant, Liberal Legacies and Foreign Affairs, Part 1, in “Philosophy and Public Affairs”,
12/1983, pagg.209-212. In particolare: 9 guerre tra il 1795 e il 1850, 13 tra il 1850 e il 1900, 29 tra il 1900 e il
1945, più di 50 dal 1945 ai nostri giorni.
8
nel tempo e che non è ancora terminato; oltre che un periodo
lunghissimo, per la Storia contemporanea, senza che tra i suoi membri si
registrasse una guerra.
L’Europa come terra della pace, dopo essere stata lungamente, e par
exellance, la terra della guerra. Attraverso, soprattutto, l’applicazione
rigorosa, più che altrove, dei principi kantiani.
Kant esce vittorioso dalla Storia: la sua visione giuridica del mondo,
il diritto come via per la pace e potente motore di legittimazione, la
nascita di organizzazioni internazionali che perseguono la pace come
scopo cogente e ultimo, il superamento del diritto internazionale inteso
solo come jus belli ne sono una prova assai convincente.
Nella prima parte di questo scritto si analizzeranno le più
importanti interpretazioni e applicazioni teoriche di Per la pace perpetua
nella nostra epoca, si tratteggerà un breve profilo dell’idea di pace, utile a
comprenderne l’autonomia, se di reale autonomia si può parlare, rispetto
all’idea di guerra e a collocare storicamente la proposizione kantiana.
Il ruolo svolto dall’opera di Immanuel Kant all’interno della teoria delle
Relazioni Internazionali è stato privilegiato, per arricchire così il testo di
una interpretazione a latere di quella squisitamente di politica interna, che
a lungo se ne è data, e che non può essere sottratta a un testo di così
ampio respiro e rilievo nella crescita spirituale dell’Umanità quale è stato
Per la pace perpetua.
Nella seconda parte si guarderanno agli aspetti più peculiari dello
scritto kantiano: l’idea di foedus pacificum, l’ordinamento repubblicano di ogni
Stato come foriero di stabilità e pace, la critica al diritto internazionale, il
diritto cosmopolitico, sempre facendo grande attenzione alle parole
originali di Immanuel Kant. Perché questo fosse possibile, e la fedeltà ai
testi fosse massimamente accurata, mi sono avvalso di due testi di
9
riferimento: il primo curato e tradotto da Filippo Gonnelli, e contenuto
nella raccolta degli Scritti di storia, politica e diritto edita da Laterza
6
; l’altro
curato da Salvatore Veca, tradotto da Roberto Bordiga e chiosato da
Alberto Burgio edito da Feltrinelli
7
, che ha avuto grande fortuna di
riferimenti negli ultimi anni. Inoltre preziosi sono stati gli interventi sul
testo
8
di quel raffinatissimo studioso di Kant che fu Giuliano Marini, e di
cui manca, purtroppo, una traduzione organica del testo.
E’ stata intenzione di questo scritto, dichiarata sin dal titolo, far
combaciare le idee contenute in Per la pace perpetua con –almeno- lo
spirito dell’Unione Europea, anche se molto spesso si è andati oltre una
semplice fenomenologia, e si è arrivati ad una applicazione pratica e
visibile.
Come l’idea kantiana di repubblica, la cui massima diffusione avrebbe
assicurato convivenza pacifica, essendo caratteristica politica propria
della sua natura: negli ultimi sessanta anni i paesi europei sono arrivati,
non senza difficoltà, all’affermazione di una matura forma di democrazia,
che, lo vedremo, combacia con l’ideale settecentesco di repubblica, almeno
come Kant lo vedeva.
Inoltre, Kant auspicava una diffusione massima e capillare della
repubblica, con un positivo effetto domino che avrebbe portato tutti i
paesi del mondo ad essere repubblicani e, finalmente, pacificati.
L’idea kantiana di foedus pacificum che tanta fortuna ha avuto nella
speculazione successiva: le frontiere dell’Europa, che non sono confini,
finis terrae immobili, ma anzi sempre pronte ad essere spostate altrove,
hanno costituito quello che Kant chiamava un ‘surrogato negativo’
6
Kant, Immanuel Scritti di storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Bari, Laterza, 1995
7
Kant, Immanuel Per la pace perpetua, a cura di S. Veca e R. Bordiga, Milano, Feltrinelli, 1991
8
Vedi le appendici in: Marini, Giuliano Tre studi sul cosmopolitismo kantiano, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici
Internazionali, 1998
10
dell’idea di Repubblica Mondiale, in cui gli Stati non si annullano in una
sola auctoritas superiore, ma ciascuno mantiene, esattamente come in
Europa, la sua autonomia e sovranità, pur contribuendo ad un processo
di armonizzazione che ha caratteri imperativi come mai in passato.
Nessuna Organizzazione ha visto una concessione così ampia, così
convinta, così impegnativa da parte dei suoi membri di pezzi della loro
autorità statuale. E nessuna Organizzazione internazionale ha messo a
punto strumenti di imposizione e di obbligatorietà delle decisioni
attraverso il diritto come l’Unione Europea.
Il diritto, che è l’altro caposaldo dell’analisi kantiana, e della mia
analisi, attraverso cui legittimare ogni decisione, attribuire carattere di
giustezza e di appropriatezza alle azioni politiche; un diritto estremamente
bilanciato e concertato, dalla parte degli Uomini, come egli intendeva
profondamente il valore del suo diritto cosmopolitico, vero e proprio
trapianto illuministico nei giorni nostri.
Poiché nell’Università di Bologna mi hanno insegnato a diffidare e
anzi a temere le teorie che si dichiarano oggettive e neutrali, non essendo
possibile formulare teorie di questo genere, intendo dichiarare l’assoluta
parzialità e soggettività delle tesi qui esposte: chi scrive è un europeista
convinto, forse un po’ troppo ottimista.
Non so fino a che punto sia io a sopravalutare l’Europa Unita
oppure gli altri a sottovalutarla, a schernirla, a denigrarla e a ritenere ogni
sua difficoltà un fallimento. Certamente posso dichiarare di aver
riportato le teorie e le idee altrui con somma onestà e limpidezza, e il mio
approccio al testo kantiano è stato reverente e corretto, cercando sempre
di non corromperne la forza con forzature indebite e inutili. Ma per
quanto riguarda le mie idee, esse sono espressione di un cammino
intellettuale personalissimo, e se ho cercato di far calzare l’opera kantiana
11
all’Europa come oggi la vediamo, non è stato per donare all’Europa un
padre, chè non ne ha bisogno –né ha bisogno di vedere codificate e
organizzate le sue radici- ma per il solo desiderio di arricchire di una
moderna e originale interpretazione Per la pace perpetua.
E per poter parlare un po’ di come vorrei le cose andassero,
scostandomi dall’analisi realista e prammatica di ciò che mi circonda, che
solitamente mi è richiesta. L’Europa sta affinando sempre di più la sua
politica estera, e questo scritto non può in alcun modo deciderne o
suggerirne la direzione.
Però è uno scritto rigoroso e propositivo, e spero di poterne seguire
le evoluzioni anche in altre sedi e in altri momenti della mia esistenza.
Poiché se è realista ciò che guarda al reale, al realmente accaduto,
quest’ultimo non è dato da una serie incontrollabile di cause e di effetti,
ma dal modo in cui le cose vengono indirizzate.
Lo scritto kantiano Per la pace perpetua vuole fattivamente incarnare
uno spirito e derivarne delle decisioni conseguentemente inclinate,
quando venne scritto intendeva essere una proposta che potesse essere
ascoltata, soprattutto, lo ripeto, dai popoli d’Europa. Devono essere
questi popoli – oppure il popolo d’Europa?- a raccogliere le proposte
kantiane e ad imporle ai propri eletti, nel pieno di quello spirito
illuministico e rivoluzionario che Immanuel Kant ammirava.
Questo scritto si prefigge di offrire una ricognizione delle diverse
possibilità in cui la pace può essere espressa, ed intende, in ultima
istanza, mostrare come, nelle sue vocazioni più intime e più potenti,
l’Europa sia una terra di Pace.
13
PARTE I
Se c’è un dovere, e se insieme a esso esiste una fondata speranza
di rendere reale lo stato del diritto pubblico,
allora la pace perpetua non è un’idea vuota,
ma un compito che, risolto a poco a poco,
si fa sempre più vicino alla sua meta.
Immanuel Kant, Per la pace perpetua,
paragrafo conclusivo
14
Capitolo I
Kant e l’idea di Pace
E’ sorprendente notare come un testo, la cui sottigliezza, in ogni
senso, è immediatamente visibile al lettore, sia riuscito a creare attorno a
sé una così grande quantità di riflessioni, di natura assai diversa. In un
arco di tempo vitalissimo e contrassegnato da cambiamenti di notevole
portata storica, l’opera di Immanuel Kant Per la pace perpetua
9
ha avuto un
numero di interpretazioni e di utilizzi disparati e frequentissimi, ora per
divenire oggetto di ricerche atte a screditarne il contenuto, ora per
sostenere tesi che da essa prendevano origine, ma sempre con analisi
attenta, rigorosa e utile alla diffusione e alla capacità di compenetrazione
caratteristica propria dell’incedere della riflessione kantiana. E se per
moltissimo tempo il testo è stato visto come un prezioso tassello al lungo
e fecondo filone di pensatori che si sono occupati di forma di governo, e
nella discussione vivacissima di quale potesse essere la migliore, lo scritto
di Kant si è andato via via affermando come un caposaldo della
formulazione, in verità assai recente, delle teorie che, mettendo per un
momento da parte le moltissime pagine di riflessione politica interna,
principiano a guardare al sistema degli Stati nel suo complesso e alle
complesse dinamiche che lo muovono, che pure avevano la necessità di
essere formalizzate da una rigorosa disamina teorica.
Ci corre l’obbligo di notare come sia stato imperioso nel corso della
storia della riflessione politica, quello che Martin Wight definì
‘pregiudizio nazionale’, e cioè la predilezione da parte dei pensatori
politici, da Platone in avanti, e in misura maggiore nella storia filosofica
9
Per evitare pleonastiche ripetizioni, da ora in avanti, quando ci riferiremo allo scritto kantiano o all’opera kantiana
si intenda designata Per la pace perpetua, che è l’oggetto centrale della nostra discussione. Qualora si stia citando
altra opera di Immanuel Kant, essa verrà prontamente specificata.
15
occidentale dell’epoca moderna, di occuparsi delle dinamiche interne allo
Stato, della formulazione di proposte e di analisi che rendessero
efficiente il rapporto Stato-Governo e Stato-Cittadino, o che ne
studiassero a fondo i meccanismi già in atto. Dunque un vero e proprio
‘pregiudizio’, una consapevolezza diffusa che la vera natura della politica
risiedesse dentro lo Stato, e uno Stato preso singolarmente, universalizzato
e, talvolta, idealizzato. Un modello statuale utilizzabile con diffusione,
trascurando così gli aspetti esterni che tenevano unito quel sistema di
singoli elementi. Relegandoli al margine della riflessione come materia
non indispensabile, lontana dalla vera analisi. Tanto che J.J. Rousseau,
rendendosi conto di aver trascurato l’aspetto internazionale nel corso
della sua riflessione politica, affermerà senza mezzi termini:
Dopo aver fissato i veri principii del diritto politico ed aver cercato di dare allo
Stato il suo fondamento, resterebbe da rafforzarlo mediante le sue relazioni estere; e
ciò comprende il diritto delle genti, il commercio, il diritto di guerra e le conquiste, il
diritto pubblico, le alleanze, i negoziati, i trattati, etc. Ma tutto ciò costituisce una
nuova materia troppo ampia per la mia debole vita.
10
Ma la materia extra-statuale e inter-nazionale è sempre stata latente
negli scritti di questi eminenti padri del pensiero occidentale. A limitarne
ancora la portata è sopraggiunta l’invalsa abitudine di non darle il peso
opportuno. Lacuna alla quale è stato possibile rimediare solo in tempi
assai recenti.
Forse perché il raggio d’azione delle guerre è incrementato in
misura tale da rendersi odioso ed avvertibile da masse sempre più ampie
di uomini, e di riflesso i problemi della pace e della sicurezza si sono
imposti in maniera quasi naturale, quasi spontanea, nel corso degli ultimi
cento anni la riflessione politica ha preso la via impervia -ma
10
Rousseau, Jean Jacques Il contratto sociale, in Scritti Politici, a cura di P. Alatri, Torino, Utet, 1970 (citato in
Chiaruzzi, Michele Politica di potenza nell’età del Leviatano.La teoria internazionale di Martin Wight, Bologna, Il Mulino,
2008)
16
affascinante- delle Relazioni Internazionali. Gli eventi bellici del
Novecento, la costituzione di un organismo internazionale, la Società
delle Nazioni, che con il suo fallimento ha fornito eccezionali strumenti,
non sempre recepiti, per evitare una gran quantità di errori che non
dovrebbero affliggere un organismo utile alla società degli Stati, e quindi
il raggruppamento sotto la stessa bandiera di quasi tutti gli Stati presenti
sul pianeta, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, questi eventi hanno
imposto al pensatore politico una dimensione dalla quale non era più
possibile prescindere.
La teoria delle Relazioni Internazionali ha quindi iniziato un
sistematico voyage all’interno della storia intellettuale e filosofica
dell’Occidente, recuperando tutte le pagine in cui l’analisi internazionale
si faceva più prorompente, o conferendo a tali pagine un habitus che sino
ad allora era stato visto come superfluo, costruendo così una storia
parallela e insieme incrociata delle dottrine politiche. Questa operazione,
che ha interessato una grande quantità di autori, risalendo fino allo
storico greco Tucidide e alla sua Guerra del Peloponneso, ha certamente
arricchito e in taluni casi ingigantito la portata di tali opere. E’ questo il
caso di Zum ewigen Frieden, saggio kantiano del 1795, ricompreso in quella
feconda serie di riflessioni, che Kant quasi pudicamente vedeva
indirizzate più alla sua volontà di comprendere che non a quella di
indottrinare schiere di uomini, e che hanno per oggetto una grande e
diversa quantità di argomenti: questioni fisiologiche e naturaliste, morali
e di storia dei costumi, di stretta analisi a lui contemporanea (giungendo a
dare una sorprendente definizione di Illuminismo, senza scansare la
riflessione su argomenti di cogente attualità, in primis la Rivoluzione del
1789) , sulla sorte del genere umano, e financo della ‘riproducibilità’ della
pagina scritta.
17
Ma Per la pace perpetua può contare su un’aura particolare, un fascino
connaturato che certamente viene dalla singolarità dell’argomento
trattato da una delle menti più brillanti di ogni tempo, maestro
riconosciuto di generazioni di pensatori – e la nostra epoca non si sottrae
di certo. Permettere quindi al testo kantiano di uscire fuori dagli schemi
impostigli di scritto sulla migliore forma di governo, quella repubblicana che
Kant qui reclama, e interpretarlo come formula pratica e concreta di
collaborazione e libertà tra gli Stati, è stata certamente opera necessaria
alla maturità spirituale dell’uomo moderno.
I.1 Kant, Grozio, Machiavelli
La pace perpetua che Kant formula nel suo scritto e che certo
auspicava di vedere applicata anche oltre la sua ‘debole vista’
11
ha un
ruolo di primaria rilevanza all’interno della teoria delle Relazioni
Internazionali, la più viva corrente di riflessione sulla politica e sulla
storia politica degli ultimi anni.
Il pensatore britannico Martin Wight, eminente teorico della
politica e delle sue dinamiche extra-statuali, ha fornito una elegante e
parsimoniosa tripartizione delle correnti che efficacemente possono
descrivere le più rilevanti scuole di pensiero all’interno della riflessione
politica
12
. Ciascuna di queste correnti fa capo ad un pensatore e non può
certo dirsi antitetica all’altra, anzi, le sovrapposizioni che nella sistematica
trattazione si vanno realizzando sono punti di grande interesse per lo
studioso. Dunque Kant affianco a Ugo Grozio (1583-1645) e a Niccolò
Machiavelli
13
(1469-1527): ciascuno di questi pensatori ha dato un
11
Immanuel Kant, nato nel 1724 a Königsberg, allora in Prussia, oggi in Russia con il nome di Kaliningrad, aveva
più di settanta anni quando scrisse il saggio.
12
Vedi Chiaruzzi, Michele op.cit., pagg.222 e ss.
13
Altri legano questa teoria a Thomas Hobbes (1588-1679), ma solo nella definizione, lasciando il contenuto
inalterato.