4
          Christa Wolf vive nel pieno nascere in Germania del sistema 
socialista che entusiasma le coscienze di chi vive l’utopia, dove non 
dovrebbero esistere disuguaglianze tra gli uomini, intesi come donne e 
uomini, e l’intellettuale si unisce all’operaio nell’intento di creare uno Stato 
in cui si fondono lavoro e cultura ed i fermenti creativi sono immensi.  
          Ambedue sono degli intellettuali che nutrono un grande amore per la 
cultura greca. Non dimentichiamo che essi sono tedeschi, e che in 
Germania l’interesse per la grecità si respira da sempre. Cosa li accomuna e 
cosa li divide? Li accomuna certamente l’avere una propria personalità ed 
una grande intelligenza che fanno travalicare loro i canoni dei sistemi e li 
rendono estranei, in una seconda fase della loro vita, agli stessi. Entrambi 
soffrono di un male comune: il rimanere inascoltati dalla società che essi 
hanno accettato, ma che in gran parte li condiziona; in uno spasmo di 
ribellione, esasperano il loro modo di vedere e di vivere, rendendosi 
scandalosi agli occhi degli altri. 
          Il primo, Kleist, vuol essere ascoltato nel desiderio di liberarsi, 
attraverso la passione, degli istinti più reconditi, dando sfogo 
all’esternazione del proprio “io”. E, stranamente, pur considerando la 
donna bisognosa della presenza e della vigilanza dell’uomo su di essa, la 
rende poi protagonista di ciò che nel fondo del suo animo è primaria 
esigenza. La figura della donna, proprio perché riesce a seguire il suo 
istinto, fa sfigurare quella maschile, che addirittura può risultare ridicola. 
Tutto ciò viene vissuto dai suoi contemporanei con disgusto e scandalo; 
essi non riescono ad intravedere il forte travaglio psicologico dell’autore. 
 5
          La seconda, Christa Wolf, capisce, vivendo nel pieno 
dell’instaurazione del sistema socialista, che, nonostante i buoni propositi 
di rendere la vita degli uomini, e quindi delle donne, del tutto uguale, ciò 
non avviene in piena libertà. La Wolf vuole essere ascoltata in questa 
domanda di libertà: infatti il suo tormento consiste nel fatto di non potere 
esternare, assieme agli altri, le proprie idee, opponendo critiche 
migliorative al sistema. Il regime sorveglia e censura le opere degli 
intellettuali, dei registi teatrali, dei filosofi, soffocando gli intenti creativi di 
una società utopica fortemente voluta. Ella crede molto all’emancipazione 
femminile, intesa come conquista sociale e fine di una struttura patriarcale, 
dittatoriale e crede in una parità assoluta dei due sessi, non condividendo 
quindi neanche la discriminazione contraria inneggiata dai movimenti 
femministi. 
          In entrambi il valore attribuito a ciascuno dei due sessi non fa 
accenno all’assunzione di “potere” di uno dei due protagonisti sull’altro, 
che possa riflettere una sorta di dominazione di ruoli. Non si dà spazio ad 
una artefatta costruzione sociale dei rapporti tra uomo e donna, ma alla 
naturalità di questi. La visione quindi che l’uomo aveva inculcato, per sua 
difesa, nel mondo patriarcale, di una disparità tra se stesso, che doveva 
assumere il potere e la donna che lo doveva subire, in tutt’e due le opere di 
questi autori, non ha un suo spazio, e non riesce a distruggere il valore 
naturale attribuito a ciascun sesso. Il relegare il potere delle donne come 
minaccioso e barbarico qua non ha assolutamente una sua collocazione, la 
donna non è reclusa negli schemi, è protagonista principale, il suo 
relazionare con l’uomo è di forte spessore.  
 6
L’uomo, addirittura, risulta manovrato dal gioco psicologico delle donne. 
Quindi Kleist e la Wolf, l’uno che cresce in un mondo di fede patriarcale, 
l’altra in uno di fede matriarcale, sembra che agiscano agli opposti, ma alla 
fine convergono nel sogno unico di vivere in assoluta libertà il pensiero e 
l’istinto, e scelgono la donna come tramite, per evidenziare il desiderio di 
essere ascoltati.  
 7
 
 
 
 
 
 
 
 
 
AMAZZONI: TRA MITO E REALTA’ 
 8
1.1. IL MITO DI PENTESILEA ED ACHILLE 
 
 
 
La leggenda di Pentesilea ed Achille è una storia d’amore e di 
morte, che riassume secoli di dibattiti sulla interpretazione dei rapporti 
inconciliabili fra i sessi. Già Platone si era occupato di questa vicenda
1
, 
ancor che sia esistita realmente, o che faccia parte del fantastico popolare, a 
dimostrazione che chiunque si sia occupato dei miti, li giudica importanti, 
non tanto per la loro essenza, quanto per la loro esistenza, non tanto per ciò 
che sono, quanto per la funzione che svolgono nell’esperienza umana della 
vita. Il mito vuole simboleggiare una situazione che, partendo dall’umano, 
vuole pervenire ad una conclusione spiritual-filosofica.  
La storia in breve è una saga che vede la regina delle Amazzoni 
Pentesilea in lotta con Achille, re dei Mirmidoni ed eroe greco più famoso 
dell’Iliade. Ella era giunta presso le mura di Troja con il suo esercito 
durante i funerali di Ettore; Achille, dopo averlo ucciso, aveva concesso a 
Priamo undici giorni di tregua per seppellire suo figlio. Era dunque il 
dodicesimo giorno e Pentesilea si scagliò contro l’eroe, tenendogli testa. La 
leggenda vuole che Achille ne scoprisse la bellezza quando colpitala a 
morte, le cadde l’elmo, e furono così svelati i bei tratti del volto; egli ne 
rimase folgorato e se ne innamorò perdutamente
2
. 
                                                 
1- J.J.Bachofen, Il matriarcato, ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico ne suoi 
aspetti religiosi e giuridici, edizione italiana a cura di G.Schiavoni, Torino, Einaudi, 
1998, Tomo primo, p. LVIII.  
2 K.Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Il Saggiatore, 2002, p. 555. 
 9
Del protagonista maschile del mito si conosce abbastanza: egli, 
secondo quanto narrato da Omero nell’ Iliade, era il figlio di Peleo e di 
Teti, ninfa del mare. Sua madre, per renderlo invulnerabile, lo aveva 
immerso nel fiume Stige, e ciò l’avrebbe preservato da ogni ferita recata da 
arma d’uomo; l’aveva tenuto per un tallone, che, non essendo immerso, 
rimase il suo unico punto debole. Il padre, Peleo, decise di affidare 
l’educazione del figlio al centauro Chirone.  
Quando scoppiò la guerra di Troia, Teti, che ben sapeva che suo 
figlio non sarebbe tornato se avesse fatto parte dell’esercito greco, tentò di 
salvarlo nascondendolo, travestito da donna, fra le fanciulle della corte del 
re di Sciro.  
Ma qui lo cercarono Ulisse e gli altri che, avvertiti da Calcante, 
sapevano che non avrebbero vinto la battaglia senza la presenza dell’eroe. 
Ulisse, l’astuto, portò a corte dei doni, tra cui anche una spada: le fanciulle 
si accalcarono verso i monili e le stoffe , ma proprio in quel momento si udì 
un fragore di armi e Achille si strappò di dosso gli indumenti femminili per 
afferrare la spada e lanciarsi fuori per battersi. Svelata la sua presenza, 
l’eroe si unì ai greci insieme all’amico Patroclo per guidare la flotta.  
Durante la guerra divenne famoso per il suo coraggio e la sua 
impetuosità, ma una vittoria in particolare lo rese noto agli occhi di tutti: 
l’uccisione di Ettore, figlio del re di Troia Priamo.  
 10
Pieno d’ira a causa della morte in campo di Patroclo, Achille si 
gettò con violenza contro l’omicida del suo amico, Ettore, che, dopo essere 
stato sconfitto lo implorò:  
 
 
Achille, per la tua vita, per le tue ginocchia, per li tuoi genitori, io ti 
scongiuro, déh non far che di belve io sia pastura […], rendi questo mio 
corpo, onde l’onor del rogo dai Teucri io m’abbia e dalla Teucre donne
3
.  
 
 
Ma Achille rispose :  
 
 
Non pregarmi, iniquo, non supplicarmi […]Potessi io preso dal mio furore 
minuzzare le tue carni, ed io stesso, per l’immensa offesa che mi facesti, 
divorarle crude. No, nessun la tua testa al fero morso de’cani involerà [...]
4
.  
 
 
Achille era un impulsivo, capace ora di grandi atti di generosità ora 
di azioni di una crudeltà disumana: in quel momento il suo orgoglio 
smisurato esigeva una crudeltà smisurata, e attaccò per i piedi il corpo del 
morto al suo carro trascinandolo per chilometri. In seguito sarà Priamo 
stesso a recarsi nella tenda dell’eroe per supplicarlo di rendergli il corpo del 
figlio e dargli degna sepoltura. 
                                                 
3
 Omero, Iliade, traduzione di V.Monti, Milano, Rizzoli, 1990, p.824, vv. 430-439. 
4
 Ivi, p. 824, vv. 441-455. 
 11
Minori sono le notizie riguardo Pentesilea: ella era la regina delle 
Amazzoni, popolo di donne guerriere di incerta provenienza.  L’etimologia 
della parola “Amazzone” è da secoli oggetto di analisi da parte di numerosi 
studiosi, che ne attribuiscono la provenienza alla lingua greca. Tra le varie 
interpretazioni, quella più conosciuta mostra come il termine suddetto 
derivi da a-mazos o a-mastos, ovvero “privo di mammella”
5
, sostenendo 
così la tesi secondo la quale queste donne guerriere fossero solite amputarsi 
il seno destro al fine di impugnare con maggior sicurezza l’arco. Alcuni vi 
scorgono il significato di “senza pane”, a-maza, riferito alla loro abitudine 
alimentare di cibarsi di sola carne, od anche ama-zen, che indica il loro 
vivere in comunione, ma ciò che sicuramente accomuna la maggior parte di 
codeste versioni è la prima lettera, la “a”, un’ privativo, denotazione di una 
mancanza
6
. C’è anche chi, come la contemporanea Vanna de Angelis, 
afferma invece come il prefisso “ama-“ aggiunga qualcosa, invece di 
toglierla: per esempio, ama-zoosai, “vivere insieme”, sarebbe espressione 
della solidale comunità in cui le amazzoni erano riunite, così come la voce 
ama-zoonais , cioè “con cintura”, rimanderebbe alla famosa cintura delle 
Amazzoni
7
.  
La provenienza di queste ultime ci è narrata all’interno della 
Biblioteca Storica di Diodoro Siculo (90 ca.-20 a.C.), storico greco nativo 
della Sicilia, vissuto al tempo di Cesare e di Augusto: secondo lo scrittore il 
popolo delle Amazzoni era stanziato presso la zona nord-orientale dell’Asia 
Minore, attorno alla città di Temiscira, a sud del Mar Nero.  
                                                 
5
 V. de Angelis, Amazzoni, mito e storia delle donne guerriere, Casale Monferrato, 
Piemme, 1998, p. 48. 
6
 Ibidem. 
7
 Ivi, p. 49. 
 12
Egli afferma che si trattava di una comunità fondata su principi 
matriarcali, dove le donne avevano il compito di andare in guerra, mentre 
gli uomini dovevano badare alle mansioni familiari e casalinghe. Ad alcuni 
discendenti maschi venivano addirittura amputati gli arti in modo da 
risultare inutili ai fini bellici, mentre le donne, per andare in guerra e tirare 
meglio con l’arco, si bruciavano il seno destro
8
.  
Secondo un’altra versione fornitaci da Strabone (64 a.C. - 21 d.C.), 
storico greco contemporaneo di Diodoro, lo stato amazzonico si trovava al 
nord del Caucaso e, diversamente da quanto tramandato 
dall’interpretazione precedente, era composto esclusivamente da donne che, 
a loro volta, si dividevano in due gruppi: uno si occupava dell’agricoltura e 
dell’allevamento di bestiame, l’altro, composto dalle più forti e valorose, 
delle operazioni belliche. L’usanza voleva che nel periodo primaverile, per 
almeno due mesi, queste donne guerriere si accoppiassero con i popoli 
vicini al fine di garantire la continuità della popolazione: ma, mentre i figli 
maschi venivano affidati ai padri, le femmine rimanevano all’interno della 
stessa comunità
9
. 
Il loro modo di vivere ci viene chiarito da un racconto tramandatoci 
da Pompeo Trogo (I sec. a.C.), storico latino di origine gallica: lungo il 
fiume Termodonte, nel nord dell’Asia Minore, viveva un popolo Scita, 
composto sia da donne che da uomini.  
                                                 
8
 M. Fuhrmann, Christa Wof und Kleists Penthesilea: der Amazonen Mythos und das 
Problem des Matriarchats, in <<Neohelicon>>, Akademiaikiado, 1998, pp. 164-165. 
9
 Ivi, p. 165. 
 13
Costoro erano in continua lotta con i popoli adiacenti, e, un giorno, 
i maschi sciti, vittime di un tranello, vennero massacrati, lasciando così le 
donne da sole, col compito di difendere le terre e di impugnare le armi. 
Dopo essere divenute autosufficienti, ed avere ottenuto la pace, esse 
presero la decisione di non sposarsi più e di fondare uno stato senza 
uomini. Questi ultimi avevano solo una funzione procreativa, ma non 
avevano più posto all’interno delle comunità femminili
10
.  
Si narra che tra le dee adorate dalle Amazzoni ci fossero Artemide, 
dea della caccia, e, la più famosa, Cibele, Madre degli Dei o Grande 
Madre
11
. Conosciuta anche col nome di Rea, in Asia Minore, in particolare 
in Frigia, prendeva il nome di Matar Kubile
12
. Secondo Esiodo, Cibele, 
figlia di Gea e di Urano, era sposa di Crono e madre di tutti gli dei. Ella 
partorì tre figlie, Estia , Demetra ed Era, e tre figli, Ades, Poseidone e Zeus, 
il più giovane. Crono, sapendo che sarebbe stato cacciato dal più forte dei 
suoi eredi, inghiottiva i figli datogli da Rea\Cibele; quest’ultima ricorse 
allora ad un trucco nascondendo l’ultimo venuto, Zeus, e facendo 
inghiottire al marito un sasso. Quando il figlio fu abbastanza grande, 
munito di una spranga, riuscì, durante una notte, a castrare il padre e a 
gettarne la virilità nel mare, costringendolo a vomitare i figli fino ad allora 
inghiottiti
13
. E’ evidente l’importanza attribuita a Cibele, vista come 
potenza creatrice e madre primigenia che mette in secondo piano il potere 
virile. 
                                                 
10
 Ivi, pp. 165-166. 
11
 V.de Angelis, op. cit., pp. 61-63. 
12
 K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, il racconto del mito, la nascita della 
tragedia, Milano, il Saggiatore, 2002, p. 75. 
13
 Ivi, pp. 30-32.