finanziamento piuttosto comune. In particolare, un sistema a
ripartizione, coinvolgendo piu’ generazioni, richiede l’esistenza di
un’autorita’ che abbia il potere di imporre alla generazione correntemente
attiva sul mercato del lavoro di finanziare le erogazioni pensionistiche
della generazione correntemente inattiva in cambio della promessa di
ricevere indietro tali pagamenti dalla generazione successiva. Di norma
tale autorita’ e’ rappresentata dal Governo o dall’ente pensionistico
pubblico. Un sistema a capitalizzazione si appoggia tipicamente ai
mercati dei capitali (in cui vengono infatti investiti i contributi
previdenziali) e opera sulla base di principi di mercato. Tale sua
caratteristica fa si’ che i sistemi a capitalizzazione siano piu’
frequentemente di natura privata.
Un punto di partenza per la definizione del sistema pensionistico
ottimo a livello della collettivita’ considerata nel suo insieme e’
l’individuazione della combinazione ottima, dei due sistemi pensionistici
di base a capitalizzazione e a ripartizione da un punto di vista
economico-finanziario. Non e’ detto che la scelta del sistema ottimo
debba coincidere con il sistema ottimo da un punto di vista finanziario,
c’e’ infatti una pluralita’ di criteri che un sistema pensionistico deve
rispettare, non solo quello di efficienza economica. L’individuazione del
sistema ottimo da un punto di vista economico-finanziario permette
tuttavia di individuare chiaramente il carico che il raggiungimento di altri
scopi accolla alla collettivita’, dato dal costo che consegue
all’allontanamento dal sistema ottimo.
Secondo un’ottica meramente finanziaria i sistemi pensionistici
possono essere considerati alla stregua di attivita’ finanziarie: essi
presentano infatti un rendimento ed una volatilita’. Un sistema a
ripartizione presenta un tasso di rendimento dato dal tasso di crescita
del monte salari, quello a capitalizzazione presenta come rendimento il
rendimento delle attivita’ finanziarie in cui sono investiti i contributi
pensionistici. Tali rendimenti presentano una correlazione non positiva,
e’ quindi possibile miscelare i due sistemi in modo da ottenere una
efficace diversificazione di portafoglio.
Una volta individuato il portafoglio ottimo da un un punto di vista
finanziario, e’ possibile calcolare il costo che la generazione
correntemente attiva sul mercato del lavoro dovrebbe sostenere in
termini di maggiori contributi per rendere possibile la transizione
dall’attuale sistema a ripartizione. Il costo netto puo’ divergere da tale
valore grazie alle esternalita’ positive che un passaggio ad un sistema a
parziale capitalizzazione puo’ generare.
Il primo capitolo analizza i diversi sistemi pensionistici esistenti
distinguendoli sia in relazione alle modalita’ di finanziamento
(ripartizione e capitalizzazione) sia rispetto alla loro natura (pubblica o
privata).
Il secondo capitolo affronta il tema del confronto tra i due sistemi,
confronto che puo’ avvenire sulla base di:
• Analisi in termini di rendimento
• Analisi in termini di rischio
Se si considera solo il rendimento medio dei due sistemi per l'Italia,
allora si possono individuare due periodi:
• pre 1981: contesto ad alta crescita, alta inflazione, elevato
controllo sui movimenti di capitale e forte finanziamento del
Tesoro tramite stampa di carta moneta (il che ha mantenuto i
rendimenti dei titoli bassi rispetto alle condizioni di equilibrio
del mercato)
•
post 1981: contesto a piú rallentata crescita, minore inflazione,
graduale liberalizzazione dei movimenti di capitale e crescente
indipendenza della Banca Centrale dal Tesoro (il che ha
riportato i rendimenti dei titoli di stato in linea con le condizioni
del mercato)
Sulla base del confronto dei rendimenti nominali dei due sistemi
risulterebbe che il sistema a ripartizione e’ stato ottimale per tutti i
periodi fino al 1981, e’ diventato poi subottimale dal 1981 in poi.
Tuttavia per confrontare la relativa convenienza dei due sistemi è
necessario considerare il rendimento “di mercato” dei Titoli di Stato,
ovvero il tasso di interesse di equilibrio.
Per valutare il tasso di interesse che si sarebbe formato sul
mercato in assenza di una politica inflazionistica possiamo prendere in
considerazione il rendimento dei Titoli di Stato tedeschi nel periodo
1970-1997 ed aggiungere a questi lo spread storico tra i benchmark
decennali calcolato sul periodo 1997-2000 o anche 1998-2000.
Considerando i rendimenti “aggiustati”, il sistema a
capitalizzazione risulta superiore (dal punto di vista del rendimento) a
quello a ripartizione per tutto il periodo considerato.
I rendimenti del sistema a ripartizione e di quello a capitalizzazione
non sono esenti da rischi, non sono cioè costanti nel tempo. (proporrei
pero’ cosi’: Ne’ il sistema a ripartizione ne’ quello a capitalizzazione offrono
rendimenti esenti da rischi, cioe’ costanti nel tempo) Entrambi i
rendimenti, in qualunque modo essi siano definiti, sono variabili
aleatorie. È opportuno quindi procedere ad un loro confronto sia in
termini di media sia in termini di varianza.
Se si esclude il dato del 1973, il rendimento medio reale su titoli di
Stato (immaginando di mantenere il capitale investito nel benchmark
decennale) è rimasto in media superiore al tasso medio di crescita del
monte salari reale. Tale rendimento ha però presentato una volatilità
molto piú elevata. I due rendimenti risultano correlati negativamente. È
cioè possibile in tale contesto effettuare una efficace diversificazione di
portafoglio.
Il sistema a ripartizione ha presentato una varianza del 6.1% sul
periodo considerato. Partendo dall’ipotesi che questo sia il livello di
rischio ottimale per il consumatore, possiamo costruire un portafoglio
che presenti lo stesso livello di rischio miscelando i due sistemi. Siccome
i due rendimenti sono negativamente correlati, il rendimento complessivo
del portafoglio sarà superiore pur a parità di rischio.
Il portafoglio ottimo sulla base dei valori considerati è costituito da
un sistema a capitalizzazione per il 56% e a ripartizione per il restante
44%.
Il terzo capitolo affronta la tematica del passaggio da un sistema a
ripartizione ad un sistema misto, considerando:
• la ragione del passaggio (o meglio la sua inevitabilita’)
• i costi e i benefici del passaggio che la generazione di
transizione sopporta
Un sistema a ripartizione esistente rappresenta un ottimo
paretiano quali che siano le condizioni correnti dell’economia. Ed in
quanto tale non è eliminabile senza infrangere la condizione desiderabile
di ottimo paretiano di cui gode il sistema esistente.
Prescindendo dalla questione dell’efficienza del sistema a
ripartizione rispetto ad un sistema fully funded, è verosimile pensare di
imporre alla popolazione attiva di contribuire alla previdenza pubblica
per il 66% dei redditi prodotti? Anche qualora il tasso di interesse (per
esempio in seguito a forti controlli sui movimenti di capitali e ad una
politica monetaria ampiamente inflazionistica che porti i tassi di
interesse reali sotto zero) sia inferiore al tasso di crescita del monte
salari, è desiderabile per l’individuo spostare una quota cosí cospicua dei
suoi redditi al periodo in cui avrà cessato l’attività lavorativa?
L’obiezione alla proposta di un passaggio oggi da un sistema a
ripartizione ad uno a capitalizzazione è che le generazioni attive ora sul
mercato del lavoro si troverebbero a pagare due volte: per sé stessi e per i
loro genitori. Argomento di indiscussa verità. Ma non è anche vero che
probabilmente si troverebbero a sostenere il costo del passaggio 40 anni
piú tardi, pagando anche le perdite di rendimento intercorse in tale
periodo? Se già risulta quasi improponibile un’aliquota del 66%, come si
può pensare di accollare l’onere del passaggio alle generazioni che
saranno giovani nel 2050?
Il concetto di Pareto ottimalità può talvolta allontanare dalla realtà.
Al di là delle discusse caratteristiche di tale principio (eccessivo
conservatorismo, perpetuazione dello status quo, ademocraticità etc…)
esso spesso porta ad ignorare circostanze fattuali estremamente rilevanti.
La perpetuazione in eterno di un sistema a ripartizione nelle moderne
economie ed in particolare in Italia (caratterizzata da un andamento
demografico particolarmente avverso) è improponibile. Il passaggio ad un
sistema a capitalizzazione non è Pareto ottimo, ma è inevitabile. Non
sarebbe forse meglio arrendersi a questa circostanza e cercare di
minimizzare il costo del passaggio che presto o tardi deve comunque
avvenire? L’analisi in termini di Pareto ottimalità presuppone
implicitamente una capacità di imposizione delle autorità quasi infinita.
Il mantenimento di un sistema a ripartizione una volta introdotto, quali
che siano le situazioni delle economie interessate, presuppone che si sia
in grado di sottrarre alla popolazione attiva una qualsiasi proporzione
delle risorse correntemente prodotte per trasferirle alla popolazione
correntemente inattiva. Questa circostanza è una caratteristica delle
nostre economie? La scarsa responsabilità che ha caratterizzato i governi
al potere ha fatto sí che si perpetuasse un sistema che accolla alle
generazioni a venire un onere insostenibile. Il costo del passaggio ad un
sistema a capitalizzazione può essere ragionevolmente considerato alla
stregua di un sunk cost. La politica migliore è quindi quella di cercare di
massimizzare il rendimento dei contributi pensionistici e ripartire il costo
della transizione sul maggior numero possibile di periodi.
Considerando il caso dell’Italia e utilizzando le serie storiche dei
rendimenti e delle volatilita’ che si sono effettivamente verificate e’
possibile individuare il costo finanziario del passaggio ad un sistema che
presenta i pesi che sarebbero stati ex-post ottimali sul periodo 1973-
2000.
Per permettere l’avvio del sistema a capitalizzazione è necessario
infatti che il governo riacquisti dai contribuenti il loro diritto ad ottenere
una prestazione pensionistica durante il periodo di vita in cui hanno
cessato l’attività lavorativa. Tali diritti oggi sono pari al valore scontato
delle prestazioni cui i soggetti hanno diritto in relazione ai contributi
versati.
Siccome il passaggio non è totale, sarà necessario per il governo
rilevare il 56% del debito pensionistico outstanding.
Il valore attuale netto del debito pensionistico per il periodo 1999-
2050, calcolato in rapporto al PIL, e’ di 75.5. Il passaggio ad un sistema
misto che presenta un 56% di capitalizzazione e 44% di ripartizione
richiede il riconoscimento esplicito di un debito implicito pari al 42.28%
del PIL. Tale debito esprime il costo “lordo” del passaggio ad un sistema
a capitalizzazione che potrà essere variamente finanziato.
Tale costo esprime il limite superiore dell’effettivo costo del
passaggio, in quanto le esternalita’ positive connesse a tale passaggio
non sono considerate in tale costo.
Esistono infatti dei benefici connessi al passaggio da un sistema a
totale ripartizione ad un sistema misto.
I soggetti che sostengono il passaggio da un sistema all’altro
godono da un punto di vista meramente finanziario di un beneficio dato
dal maggiore rendimento di cui fruiscono (a parità di rischio o con rischio
addirittura minore, ottenendo quindi un vantaggio netto ed indiscutibile)
investendo i contributi sul mercato dei capitali.
La riforma produce anche altri benefici di carattere economico
(oltre al minor costo di finanziamento delle prestazioni pensionistiche
legato al maggior rendimento del sistema a capitalizzazione rispetto a
quello a ripartizione, in un contesto in cui il tasso di interesse è
superiore al tasso di crescita del monte salari):
• Stabilisce un più stretto legame tra contributi e prestazioni, riducendo
quindi le tradizionali distorsioni del mercato del lavoro prodotte dai
sistemi a a ripartizione
• Accelera lo sviluppo dei mercati finanziari e quindi l’efficienza
nell’allocazione delle risorse
• Ha un effetto positivo sul risparmio nazionale e sull’accumulazione del
capitale
A livello politico almeno tre benefici discendono dal passaggio da
un sistema a ripartizione ad uno a capitalizzazione:
• Spostare l’attenzione da questioni di carattere distributivo a questioni
di crescita
• Fornire trasparenza grazie all’esplicita distinzione tra le funzioni di
assicurazione e risparmio di un sistema pensionistico e quelle di
redistribuzione e protezione sociale
• Ridurre le possibilità di un eventuale comportamento opportunistico
futuro da parte della classe politica
E’ possibile osservare che il costo finanziario lordo del passaggio
risulta sovrastimato in quanto:
1. le serie dei rendimenti considerati per il sistema a capitalizzazione
sono quelle che si sono effettivamente verificate sul periodo 1973-
2000 e producono quindi un profilo rischio-rendimento piu’
sfavorevole di quello che si avrebbe implementando oggi un sistema a
capitalizzazione (se consideriamo infatti i rendimenti dal 1992 ad oggi
otterremmo un portafoglio interamente costituito da capitalizzazione:
questo portafoglio domina infatti tutti gli altri costruiti miscelando
ripartizione e capitalizzazione). Come osservato, tali rendimenti
possono essere ragionevolmente considerati non di mercato, nel senso
che senza l’intervento della Banca d’Italia i tassi si sarebbero portati a
livelli notevolmente superiori
2. si e’ ipotizzato di investire i contributi soltanto in Titoli di Stato.
Permettendo l’investimento in azioni si otterrebbe un portafoglio con
lo stesso profilo di rischio e con rendimento maggiore (gli stocks sono
infatti anch’essi negativamente correlati con il tasso di crescita del
monte salari e presentano un rendimento molto superiore). Ipotizzare
la possibilita’ di un investimento azionario equivale ad ipotizzare la
capacita’ del Governo di ridurre il deficit di bilancio di un ammontare
esattamente uguale all’entita’ di tale investimento. Se i contributi sono
investiti in Titoli di Stato in pratica il Governo puo’ non ridurre il
deficit e emettere un ammontare di titoli pari all’ammontare dovuto ai
soggetti che rimarrebbero privi di copertura in seguito al passaggio (i
soggetti che hanno maturato diritti pensionistici nel periodo
antecedente la transizione). Un investimento azionario presuppone
l’effettivo esborso del valore attuale delle prestazioni dovute ai
contribuenti del sistema a ripartizione maturate in passato da parte
dell’ente pensionistico (o del governo) su cui ricade l’obbligo alla
prestazione, in quanto i contributi precedentemente assorbiti dal
sistema a ripartizione per l’erogazione delle pensioni correnti
dovranno essere ora investiti sul mercato azionario. Inoltre, se si
ipotizza un investimento azionario, e’ necessario valutare l’effetto che
tale investimento avrebbe sui corsi azionari in quanto all’accresciuta
domanda non necessariamente corrisponderebbe un aumento
dell’offerta (gli emittenti potrebbero avvantaggiarsi della situazione
favorevole, ma probabilmente non in misura sufficiente a soddisfare
interamente la nuova domanda, data la bassa capitalizzazione di
mercato che caratterizza il contesto italiano: muterebbe in ogni caso il
profilo di rischio-rendimento dell’azione)
3. non si e’ considerato l’effetto positivo che ha sull’utilita’ dei
consumatori il passaggio prodotto dalla migliore allocazione temporale
del consumo. Un sistema a ripartizione produrrebbe in Italia nel 2050
un’aliquota contributiva di equilibrio superiore al 60%. Il passaggio
(anche parziale) ad un sistema a capitalizzazione rende il sistema
molto meno sensibile all’andamento demografico della popolazione,
producendo quindi una riduzione dell’aliquota contributiva a parita’ di
prestazioni offerte e permette inoltre una maggiore flessibilita’ nella
fissazione dell’ammontare di risorse da trasferire tra un periodo e
l’altro (normalmente i sistemi a capitalizzazione consentono la scelta
dell’ammontare dei versamenti da effettuare per il finanziamento delle
prestazioni pensionistiche all’interno di un certo intervallo,
normalmente abbastanza ampio) permettendo quindi all’individuo di
effettuare un trasferimento piu’ vicino a quello per lui ottimo.
A partire dal costo massimo di finanziamento del passaggio al
sistema che presenta la combinazione ottima, sebbene prudenziale, tra
capitalizzazione e ripartizione, si puo’ procedere ad un’analisi non
finanziaria del passaggio, rendendo esplicito e chiaro il costo del
raggiungimento delle altre finalita’ di un sistema pensionistico e di
carattere distributivo.