12
di lui dal Dosse4 e dal Reagan5, nonché l’autobiografia intellettuale Réflexion
faite e il testo-intervista La critique et la conviction.
1. La «traversata del tragico» nella vita di Ricoeur
1. L’infanzia e la giovinezza
Non è difficile rileggere la vita di Ricoeur alla luce del male, poiché fin
dall’inizio la sua è stata segnata dalla tragedia: la morte della madre, avvenuta
pochi mesi dopo il parto6, la partenza del padre in guerra quando Paul aveva
due anni, una guerra dalla quale non tornerà più.
Il piccolo Ricoeur è affidato alla cura dei nonni paterni e di una zia nubile
(Adèle): «Orfano di padre e di madre […] ero stato allevato a Rennes, con mia
sorella di poco più grande di me, dai miei nonni paterni e da una zia, sorella
cadetta di undici anni di mio padre e rimasta nubile. Il lutto di mio padre, che
andava ad aggiungersi ad una austerità senza dubbio antecedente alla guerra e
ai suoi disastri, fece sì che il cerchio della nostra famiglia non fosse mai
penetrato dalla generale euforia del dopoguerra»7. Affidato alla famiglia del
padre, Ricoeur non conosce la famiglia della madre: «Sono stato privato di una
larga parte della mia famiglia, principalmente dal lato materno, savoiardo e
ginevrino. A questa situazione di orfano, e di orfano di guerra, si aggiungeva
dunque quella di una famiglia parzialmente occultata»8.
Il padre resterà per lui la fotografia di un giovane con lui bambino sulle sue
gambe. Il piccolo Paul (per esteso Jean Paul Gustave) cresce così nella casa dei
nonni paterni con la sorella Alice, accompagnato sempre dal richiamo di non
dover deludere lo sguardo assente del padre: «Paul, cosa direbbe tuo padre di
te se fosse qui?»9.
Per gran parte della fanciullezza Paul coltiva il mito del padre, morto in
guerra per una giusta causa, quasi un eroe della nazione che aveva nel suo
piccolo contribuito alla vittoria della guerra. Ben presto però questa visione
eroica entra in crisi: «non fu la sua perdita come tale che fu uno shock, ma il
significato che le fu dato dalla mia famiglia. Cioè che egli era morto per una
giusta causa e, anche se morto, era parte dell’esercito vittorioso. Fu questa
convinzione che fu sconvolta in un sol colpo quando avevo dieci o dodici anni.
Sotto l’influenza dei cristiani pacifisti fui convinto innanzitutto che la Francia
aveva gravi responsabilità nella dichiarazione della prima guerra mondiale; in
secondo luogo che il trattato di Versailles imposto alla Germania fu
4
F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 147-160.
5
C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., cfr. nota 3.
6
Ricoeur afferma per questo: «Il termine “mamma” è stato un termine pronunciato dai miei
figli, ma mai da me», CC, 13 [23].
7
RF, 13 [23].
8
CC, 13 [22].
9
Cfr. C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 4.
13
un’ingiustizia ancora maggiore»10. «La scoperta precoce – verso gli undici-
dodici anni – dell’ingiustizia del trattato di Versailles aveva brutalmente
capovolto il senso della morte di mio padre, ucciso sul fronte nel 1915; priva
dell’aureola riparatrice della guerra giusta e della vittoria senza macchia, questa
morte si rivelava morte per niente»11. Fu così che, scrive Ricoeur, «ai miei occhi,
mio padre era dunque morto per niente e, quando egli ha cessato di essere una
figura di controllo morale, ho dovuto scontrarmi con questa nuova visione della
guerra e di lui»12.
Da questo shock scaturiscono una sensibilità molto attenta ai temi della pace
e della non-violenza, il rifiuto della guerra, l’impegno nello scoutismo, e
un’acuta insofferenza verso le ingiustizie: «Al pacifismo scaturito da queste
ruminazioni si aggiunse ben presto un vivo sentimento di ingiustizia sociale,
nei confronti del quale trovavo incoraggiamento nella mia educazione
protestante. In modo particolare ricordo la mia indignazione quando si seppe
della esecuzione, avvenuta negli Stati Uniti, di Sacco e Vanzetti, che le
informazioni da cui dipendevo facevano apparire come degli anarchici
falsamente accusati e ingiustamente condannati. Mi sembra che la mia
coscienza politica sia nata proprio quel giorno»13. La vicenda di Sacco e Vanzetti
(«mi aveva indignato profondamente»14) segna l’inizio di una coscienza politica
molto profonda. Una campagna internazionale nel 1923-24 (Paul ha poco più di
dieci anni) si muove a favore di questi due operai di origine italiana immigrati
negli Stati Uniti: «arrestati nel 1920, sono condannati a morte nel 1921 senza
prove che confermino l’atto d’accusa che pesa su di loro e secondo il quale essi
avrebbero ucciso due impiegati dell’impresa dove essi lavoravano. In realtà essi
vengono condannati a causa delle loro idee politiche anarchiche nel pieno di
un’ondata di vera isteria xenofoba che coinvolge in quel tempo l’America. La
risposta protezionistica condurrà a immolare questi due capri espiatori
sull’altare del ritorno ai valori puri e ancestrali della nazione americana.
Saranno giustiziati il 27 agosto 1927: “Ero in uno stato di indignazione estrema.
L’ingiustizia dava una dimensione sociale e politica alla coscienza del male che
avevo interiorizzato, così come quella della colpa” »15.
Un’altra vicenda di cronaca appassiona il giovanissimo Paul: l’affaire
Seznec16. Guillaume Seznec era un falegname e commerciante di legname che
aveva fatto una discreta fortuna. Nel maggio 1923 scompare nel nulla, senza
lasciare tracce, un suo amico e compagno d’affari, Quémeneur. Seznec viene
accusato di aver ucciso l’amico, soprattutto dal cognato di Quémeneur.
10
C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 126-127. Intervista rilasciata da Ricoeur
nel 1991.
11
RF, 18-19 [29].
12
CC, 12 [22].
13
RF, 19 [29].
14
CC, 25 [33].
15
F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 18-19.
16
Cfr. CC, 25 [33].
14
L’indagine viene portata avanti in modo molto approssimativo e, senza prove
né indizi, Seznec viene arrestato. Dopo un processo che gli si mostra molto
ostile, viene condannato e deportato nel carcere della Caienna, e di qui inviato
sull’isola del Diavolo in condizioni infami, in balia delle malattie tropicali e in
completo isolamento. Passerà 22 anni di terribile reclusione pur essendo
innocente. Dagli anni ’20 la moglie inizia una campagna di sensibilizzazione a
favore del marito, continuata, dopo la sua morte, avvenuta nel 1931, dalla
madre e dalla figlia di Seznec. La mobilitazione approda alla grazia soltanto nel
1946, dopo che viene appurato che egli non era affatto colpevole. Ricoeur,
giovanissimo, partecipa in modo appassionato alla campagna in favore di
Seznec, così come aveva fatto nella vicenda di Sacco e Vanzetti: «ho provato […]
molto presto una sorta di repulsione a fior di pelle, che mi rendeva
estremamente sensibile a certe singolari ingiustizie»17. La coscienza politica di
Ricoeur matura così una forte carica pacifista e un acuto senso di repulsione
verso le ingiustizie, che offrono un fertile terreno alla riflessione sul male, inteso
in tutta la sua ampiezza: il male della guerra, della morte, ma anche
dell’ingiustizia.
A scuola Paul si rivela un alunno eccellente. «a diciassette anni ero quello
che si chiama un bravo alunno, ma soprattutto uno spirito curioso ed inquieto.
La mia curiosità intellettuale risultava da una precoce cultura libresca»18.
L’incontro con Dostoevskij si rivela decisivo per un lettore tanto sensibile al
tema del male: «la questione di Delitto e castigo ha determinato la mia riflessione
ulteriore sul male»19.
Questa sua viva attenzione al male, al tragico, all’ingiustizia non è mai
tuttavia separata dalla sua convinzione profonda che il bene abbia il primato sul
male. Complice anche la sua formazione protestante, egli prova un sentimento
che più tardi, leggendo Schleiermacher, chiamerà di «dipendenza assoluta»:
«più profonda, più forte rispetto al sentimento di colpa, era la convinzione che
la parola dell’uomo fosse preceduta dalla “Parola di Dio” »20. Più forti della
colpa e del male vi sono dunque la Parola di Dio e la sua grazia.
La priorità del bene sul male anima in lui l’impegno politico ed etico e lo
tiene lontano da un’indole pessimistica. Come scrive il Dosse: «La sua
condizione di “pupillo della nazione” avrebbe potuto predisporlo a un’indole
melanconica, tormentata. Non è così e l’importanza presso di lui della tematica
del male non deve smarrire il lettore. La sofferenza ingiusta, la sofferenza di
Giobbe, è certamente la sorgente di una riflessione sempre rinnovata, doppia
sfida alla filosofia e alla teologia, ma è fondata su una asimmetria iniziale, su un
eccesso, una sovrabbondanza del bene, come dice San Paolo, in rapporto al
male. All’origine il Creatore è buono e dunque il bene è anteriore al male
17
CC, 25 [33].
18
RF, 13 [23].
19
Citato in F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 18.
20
RF, 14 [24].
15
conosciuto. Forte di questa convinzione, Ricoeur conserva del bambino che è
stato uno sguardo meravigliato davanti al mondo, questa curiosità dell’inizio
che spinge in avanti: “Come ha detto Bergson alla fine della sua opera Le due
fonti della morale e della religione, il Creatore ha creato dei creatori. Noi siamo in
una creazione incompiuta che è rinviata alla nostra cura affinché noi siamo dei
concreatori”»21. Quest’idea che l’uomo è concreatore e può cambiare e
trasformare il mondo in cui vive è un tratto fondamentale della riflessione
ricoeuriana sul male.
Dopo la morte nel 1928 della nonna paterna che lo aveva cresciuto, un altro
lutto colpisce Ricoeur lasciandogli un segno indelebile. Nel 1932 muore la
sorella Alice. Significative sono le parole che egli stesso scrive al riguardo: «Mia
sorella Alice contrasse la tubercolosi all’età di diciassette anni. Nata nel 1911,
aveva quasi due anni più di me. Ella morì a ventuno anni, ma la sua giovinezza,
in qualche modo, fu eclissata dalla mia. Ne ho portato il rimorso per tutta la
vita, con l’impressione che ella abbia avuto meno del dovuto, mentre io di più.
Sono ancora in lotta con il sentimento di un debito impagato, con il sentimento
che ella abbia dovuto subire un’ingiustizia, di cui io ero beneficiario. Tutto ciò
deve aver giocato un ruolo molto importante: il “debito impagato” è un tema
insistente, che torna frequentemente nella mia opera»22. La malattia prolungata
della sorella, fino alla morte di lei in giovane età, dopo una vita eclissata, segna
profondamente Ricoeur: «Tutti tessevano i miei elogi, mentre lei non era affatto
considerata. Era una ragazza dolce, che non reclamava niente per sé e accettava
senza rancore che fossi io a raccogliere tutte le lodi»23. Alla morte della sorella
segue poi nel 1933 la morte del nonno paterno.
Ricoeur conclude gli studi, si laurea nel frattempo in filosofia all’Università
di Rennes, fa un anno di specializzazione a Parigi, alla Sorbona, nel 1934, dove
studia per l’agrégation, cioè l’abilitazione all’insegnamento. Il 5 agosto 1935 Paul
supera l’esame (passano dieci candidati su trecento) e ciò significa per lui la
garanzia di un posto di insegnante e quindi un lavoro sicuro24. Questa sicurezza
economica apre la strada al matrimonio. Ricoeur, orfano dei genitori ed anche
dei nonni, senza più la sorella, si sposa con Simone Lejas all’età di ventidue
anni e vive con la zia nubile Adèle che con i nonni si era presa cura di lui fin da
piccolo: «non posso dimenticare […] che diversi lutti – la morte dei miei nonni,
che mi avevano cresciuto e, ancora più crudele, la morte di mia sorella Alice,
uccisa dalla tubercolosi – avevano preliminarmente apposto la marca del
memento mori sulla riuscita sociale e la felicità familiare»25.
Questi brevi cenni biografici provano come fin dalla sua esperienza infantile
Ricoeur sia portato a interrogarsi sul male e a fare i conti con esso per costruire
21
F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 20.
22
CC, 13-14 [23].
23
CC, 13 [23].
24
Il numero dei vincitori dell’esame di agrégation è pari al numero dei posti vacanti, resta invece
ignota la destinazione del posto di insegnamento che può essere su tutto il territorio francese.
Per queste informazioni Cfr. C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 6.
25
RF, 19-20 [30].
16
la sua forza vitale. Nota il Dosse: «la conquista della sua forza vitale è stata
costruita […] sullo sfondo dell’assenza del padre e della madre»; se questo lo
porta a vivere un grande senso di ingiustizia, tuttavia non mette in discussione
le sue convinzioni religiose in un Dio misericordioso: «egli non può certo per
nulla pensare che la sua famiglia ha meritato questo destino» tragico, pertanto
riesce a «mantenere una gioia di vivere, una sete di esistere e una
spensieratezza» che contrastano «questa traversata del tragico»26.
2. La guerra
Nel 1939 Ricoeur è a Monaco per perfezionare il suo tedesco. Nel mese di
agosto, su insistenza della moglie Simone e su consiglio dell’ambasciata
francese, ancor prima che il corso si concluda, decide di rientrare in Francia.
Pochi giorni dopo, il 3 settembre, sarebbe scoppiata la guerra tra Francia e
Germania.
Ricoeur, pacifista cristiano della prima ora e socialista, condivideva i
sentimenti di pacifismo e di non-interventismo che erano forti in Francia e in
tutta Europa. Negli anni 1935-40 aveva anche dedicato un’intensa attività
pubblicistica in materia27. Egli viene chiamato alle armi per combattere contro i
tedeschi, lascia l’insegnamento e la famiglia con due figli piccoli e un terzo in
arrivo.
L’impegno al fronte dura poco, a causa anche di un esercito scarsamente
preparato e male armato. Il 7 giugno 1940 viene catturato e trasportato in un
campo di prigionia in Pomerania orientale, dove rimarrà per cinque lunghi
anni28. La vita nel campo è abbastanza umana, i tedeschi rispettano gli accordi
internazionali e trattano umanamente gli ufficiali francesi prigionieri. Ricoeur
vive la situazione dolorosa della prigionia con uno spirito positivo e ricorre a
risorse creative per rendere abitabile il mondo difficile del campo. Sorprendenti
sono a questo proposito, le parole che egli usa nella sua autobiografia: «La
prigionia, trascorsa in differenti campi della Pomerania, fu l’occasione per una
esperienza umana straordinaria: vita quotidiana, interminabilmente condivisa
con migliaia di uomini, coltivazione di intense amicizie, ritmo regolare di
insegnamento improvvisato, lettura ininterrotta dei libri disponibili nel campo.
26
Cfr. F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 150.
27
Si vedano alcuni articoli pubblicati da Ricoeur su «Terre Nouvelle», una rivista cristiana
d’ispirazione socialista, «organo dei cristiani rivoluzionari» (presentava in copertina il classico
simbolo della falce e martello con sullo sfondo una grossa croce): Un livre d’André Philip: Le
Christianisme et la paix, «Terre Nouvelle» (1935), n°4, 8; Marchands de canon, «Terre Nouvelle»
(1936), n°11, 8-10; Plaidoyer pour le désarmement, «Terre Nouvelle» (1936), n°17, 9-10; À propos de
Teruel. Le problème du pacifisme, «Terre Nouvelle» (1938), n°31, 5. Su questo impegno socialista in
quanto cristiano e pacifista si veda in particolare F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 41-
67.
28
Sull’esperienza nel campo di prigionia durante la guerra si veda F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les
sens d’une vie, cit., 71-95.
17
Fu così che condivisi con Mikel Dufrenne la lettura dell’opera allora pubblicata
di Karl Jaspers, principalmente i tre tomi della sua Philosophie (1932)»29. Ricoeur
cerca di rendere vivibile la prigionia, stringe rapporti di amicizia con altri
intellettuali presenti nel campo, attiva una sorta di biblioteca interna, organizza
corsi, convegni, discussioni, legge tutto Jaspers con l’amico Dufrenne e con lui
dopo la guerra darà vita a una pubblicazione nata proprio nel campo di
prigionia30. L’idea che lo guida è quella di nobilitare la vita del campo: «L’idea
che ci guidava era piuttosto quella di un risollevamento interiore, sulla linea dei
movimenti giovanili, in una sorta di continuità con quello che era stato lo
scoutismo prima della guerra. […] Il modo in cui, positivamente, abbiamo
contribuito a tale risollevamento all’interno del campo è consistito nel mettere
rapidamente in piedi una vita intellettuale, allo scopo di non subire
maggiormente la sconfitta. Con Mikel Dufrenne, Roger Ikor, Paul-André Lesort,
come alcuni altri avevano impiantato un teatro, abbiamo ricostituito una vita
intellettuale istituzionalizzata – fenomeno abbastanza curioso e senza dubbio
specifico della prigionia, che consiste nel cercare di creare un simulacro della
società libera all’interno del campo. […] In primo luogo abbiamo cercato di
raccogliere tutti libri del campo. Poi abbiamo organizzato una simil-università,
con dei programmi, dei corsi, degli orari, delle iscrizioni, degli esami. Ci siamo
messi ad imparare tutte le lingue possibili: russo, cinese, ebraico, arabo…
Cinque anni, è lunga! Proprio in questo campo ho iniziato a tradurre Ideen I di
Husserl sui margini della mia copia, in mancanza di carta»31.
Gli autori che gli fanno compagnia sono Jaspers e Husserl, grazie ai quali
impara ad apprezzare la grandezza del pensiero del popolo tedesco, che in quel
momento era per lui il “nemico” : «A Karl Jaspers debbo di aver messo la mia
ammirazione per il pensiero tedesco al riparo dalle smentite del contesto e del
“terrore della Storia” »32. Accanto a Jaspers e a Husserl, proibito in quanto
ebreo, legge e apprezza Goethe e impara a distinguere l’atrocità del nemico
tedesco e del nazismo dalla profondità della cultura del popolo tedesco. Questo
lo aiuterà molto negli anni immediatamente successivi alla guerra quando sarà
chiamato a insegnare presso l’Università di Strasburgo, città tedesca passata
sotto il dominio francese: «Il primo e il secondo Faust, tra gli altri, mi hanno
aiutato a preservare una certa immagine dei tedeschi e della Germania – in
definitiva i guardiani non esistevano, e io vivevo immerso nei libri, un po’ come
durante la mia infanzia. La vera Germania stava là, era quella di Husserl,
Jaspers. Tutto ciò mi ha permesso, quando ho insegnato a Strasburgo nel 1948,
di aiutare molto i miei allievi, i quali, per la maggioranza, erano stati soldati
dell’esercito tedesco, arrivavano tardivamente agli studi e credevano che fosse
29
RF, 20 [30-31].
30
P.RICOEUR – M.DUFRENNE, Karl Jaspers et la philosophie de l’existence, préface de K.Jaspers, Seuil,
Paris 1947.
31
CC, 33 [40-41].
32
RF, 20 [30-31].
18
proibito parlare tedesco. Io dicevo loro: pensate che voi state in compagnia di
Goethe, Schiller, Husserl…»33.
Rilevante appare in questo contesto la capacità di Ricoeur di cercare e
trovare qualcosa di buono e di positivo in una situazione negativa e di
elaborare i presupposti di una riflessione sul tema del perdono che lo
impegnerà molto più tardi, negli anni ’90, ma che è già ben presente a livello di
vita vissuta nell’esperienza della prigionia.
La capacità creativa di reagire alla negatività della situazione si esplicita
come si è visto nell’impegno a costruire una vera e propria università dentro il
campo, con lezioni, esami, e un articolato anno accademico. Dal 1943
l’Università dentro il campo riceve l’autorizzazione dal ministero
dell’educazione del governo di Vichy di dare esami e dopo la guerra molti di
questi saranno convalidati e il governo francese riconoscerà alcuni dei titoli
conseguiti nel campo34.
3. Il dopoguerra
Al ritorno dalla guerra Ricoeur riprende la sua vita: incontra la terza figlia,
che è nata mentre lui era prigioniero e che ormai ha cinque anni e si dedica
all’insegnamento nella comunità protestante di Chambon-sur-Lignon, in un
contesto di pace e di comunione fraterna.
Nel 1947 nasce un altro figlio che in onore della pace ritrovata sarà chiamato
Olivier (“olivo”): «La nascita di un quarto figlio aveva messo per noi il sigillo
della vita su un dopoguerra che ancora esitava sulla soglia della Guerra fredda;
non potevamo prevedere che, meno di quarant’anni più tardi, questo
ramoscello di pace sarebbe diventato palma di morte»35. Questo figlio, che
doveva essere il suggello della pace, sarà in realtà motivo di grandi
preoccupazioni per Ricoeur e causa di una sofferenza atroce quando nel 1986 si
toglierà la vita.
Nel 1948, intanto, ottiene una cattedra all’Università di Strasburgo, dove
vive un’esperienza molto positiva di insegnamento e di perdono dell’ex-nemico
tedesco, presente davanti a lui nei suoi allievi.
Il suo impegno contro l’ingiustizia, a favore della pace e la libertà dei
popoli, lo avvicina al gruppo intellettuale della rivista «Esprit». Nasce una
profonda amicizia con Emmanuel Mounier che si interrompe presto per la
prematura e tragica morte del filosofo personalista: «Ho approfondito la mia
amicizia con Emmanuel Mounier poco prima della sua morte, che fu per me un
grande lutto. Mi rivedo, nel 1950, nel giardino dei “Murs blancs”, a Châtenay-
33
CC, 37 [44].
34
Cfr. C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 10.
35
RF, 27 [38].
19
Malabry, ignaro che un giorno vi avrei abitato, e col volto in lacrime. La persona
di Mounier mi aveva davvero conquistato, meno le sue idee che lui stesso»36.
Negli anni ’50 Ricoeur incrocia il male nella sua espressione politica. Due
sono gli eventi che lo coinvolgono e che lo vedono impegnato dalla parte della
pace e della libertà a costo di pagare di persona.
Nel 1956 da socialista è toccato soprattutto dai fatti di Budapest con l’arrivo
dei carri armati sovietici. Sulla scia di questo evento avanza una riflessione sul
tema del male politico in un saggio apparso in un numero speciale della rivista
«Esprit» dal titolo Le paradoxe politique37: «Da quel primo testo procede la
sequenza delle mie riflessioni in filosofia politica. Il suo contesto non è
indifferente: l’avevo scritto subito dopo l’invasione di Budapest ad opera dei
Sovietici […]. In occasione di quel terribile avvenimento, mi chiedevo come
fosse possibile che i comunisti – e noi ne avevamo molti fra i nostri amici,
soprattutto in quel momento – ratificassero tanto facilmente la violenza
politica»38. Il tema della violenza politica diviene centrale nella sua riflessione di
socialista cristiano e pacifista.
Contemporaneamente e fino al ’61 è inoltre impegnato sul fronte interno
insieme con il gruppo di «Esprit» nel condannare la Guerra d’Algeria mossa
dalla Francia alla colonia africana39. Ricoeur è convinto della necessità di dare
l’indipendenza al popolo algerino e si trova per questo al centro di vicende
difficili. Scrive articoli contro la politica del governo francese e partecipa a
iniziative contro la guerra. È furente contro la pratica della tortura attuata
dall’esercito francese sui prigionieri algerini per estorcere informazioni. In una
manifestazione con una folta partecipazione popolare, Ricoeur afferma: «Noi
non vogliamo essere come quei professori universitari tedeschi durante il
periodo nazista che sono rimasti in silenzio poiché erano dipendenti del
governo e poiché non pensavano fosse loro compito portare al di fuori
dell’università i principî che essi onoravano dentro l’università»40. La posizione
di Ricoeur lo espone a episodi spiacevoli. Fra maggio e giugno 1961 tre ispettori
bussano a casa sua alle 6 del mattino e cercano armi. È accusato di nascondere
armi per il Fronte di Liberazione Nazionale Algerino. La polizia non trova
nulla, ma ha un mandato di arresto e porta Ricoeur in commissariato dove
rimane per tutta la giornata. Sarà liberato solo la sera grazie all’intervento di un
suo ex-studente che lavorava presso la segreteria di De Gaulle. Per diverse
settimane Ricoeur è tenuto agli arresti domiciliari. Ma le minacce diventano
pesanti: un gruppo di estrema destra, l’OAS, individua in Ricoeur e nel gruppo
36
CC, 41 [48].
37
P.RICOEUR, Le paradoxe politique, «Esprit» 25 (1957), n°5, 721-745. Di questo testo esiste una
traduzione italiana in una raccolta di scritti ricoeuriani dal titolo La questione del potere, tr.it. di
A.Rosselli, Costantino Marco Editore, Lungro di Cosenza 1991. Sul tema si veda anche F.DOSSE,
Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 231-238.
38
CC, 147 [141].
39
Sulla vicenda si veda in particolare F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 300-311.
40
Citato da C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 24.
20
di «Esprit», residente a Châtenay-Malabry presso Les Murs Blancs, uno dei
gruppi più esposti nelle proteste contro la guerra algerina. Si temono attentati
con bombe. Per diverse settimane la famiglia di Ricoeur è costretta a vegliare la
notte e ad avere molte cautele di giorno41.
L’impegno pacifista e contro ogni forma di sopruso politico e di ingiustizia,
nati nell’età della sua giovinezza, caratterizzano la vita di Ricoeur nel
dopoguerra. Questo impegno etico e politico contro il male vengono spinti da
Ricoeur fino al punto di rischiare di persona. Emerge ancora la lotta contro il
male come una cifra significativa del percorso di vita e di pensiero di Ricoeur.
Nel 1960 esce il secondo volume della sua Filosofia della volontà, in due tomi:
L’homme faillible e La symbolique du mal. La questione del male è tematizzata
nell’opera di Ricoeur, dopo essere stata messa tra parentesi nel primo volume
dedicato al volontario e all’involontario.
Dal 1960 al 1963 inizia un confronto serrato tra Ricoeur e la psiconanalisi di
Freud. L’approfondimento dell’inconscio freudiano, già incontrato da
giovanissimo sui banchi del liceo grazie all’insegnante Roland Dalbiez,
permette una rimodulazione del tema del male nel suo pensiero: «Per me il
passaggio attraverso Freud fu di una importanza decisiva» per la «minore
concentrazione che a lui debbo sul problema della colpa ed una maggiore
attenzione verso la sofferenza immeritata»42.
Lo studio di Freud lo porta all’incontro con Jacques Lacan. Ricoeur segue
per tre anni dal 1960 al 1963 alcuni seminari di Lacan su Freud, invitato da
Lacan stesso. Nel 1963 a Roma, al termine di uno di questi seminari, avviene
però la rottura tra i due. Lacan chiede a Ricoeur cosa ne pensa dei suoi seminari
e Ricoeur risponde di non averlo capito e di trovarlo incomprensibile. Inizia
così un’avversione di Lacan verso il nostro autore che, quando nel 1965 uscirà il
testo ricoeuriano su Freud, De l’interprétation. Essai sur Freud (dove Lacan, che
credeva di essere il migliore interprete di Freud, è citato solo in una nota),
porterà i lacaniani ad accusare Ricoeur di plagio43… Ricoeur risponderà
adeguatamente alle accuse44, ma a causa di questa accusa da parte di un gruppo
molto influente nella vita intellettuale francese del tempo, quale quello dei
lacaniani, sarà a lungo danneggiato e perderà molto credito.
L’accusa del tutto ingiusta dei lacaniani sarà un'altra vicenda piuttosto
difficile e dolorosa nella vita di Ricoeur. Ad essa ne seguirà ben presto un’altra
ancor più dolorosa: le vicende del 1968, con le contestazioni nel mondo
dell’università, e il fallimento del suo decanato all’università di Nanterre.
41
Cfr. C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 24-25. Si veda anche F.DOSSE, Paul
Ricoeur. Les sens d’une vie, cit., 308.
42
RF, 37 [50].
43
Si veda in particolare J.-P.VALABRÉGA, Comment survivre à Freud?, «Critique» 22 (1966), n°224,
75-76. Sulla vicenda si sofferma con particolare attenzione DOSSE, 332-342.
44
P.RICOEUR, Une lettre de Paul Ricoeur, «Critique» 22 (1966), n°225, 183-186.
21
Nell’aprile 1969 Ricoeur è eletto decano dell’Università di Nanterre45. La
scelta ricade su di lui per la sua capacità di dialogo con gli studenti. Egli, per la
sua formazione pacifista e socialista, simpatizzava con alcune delle idee portate
avanti dai giovani, ma aveva anche un forte senso dell’istituzione
universitaria46. Il suo tentativo di mediazione fallì: meno di un anno più tardi,
nel marzo 1970, fu costretto a dare le dimissioni. Nel mezzo, una serie di
vicende difficili: nel gennaio 1970 fu vittima di un attacco fisico quando un
gruppo di studenti gli rovesciò la spazzatura sulla testa47 e nel febbraio
successivo egli si trovò costretto a dichiarare l’impossibilità delle autorità
accademiche a mantenere l’ordine dentro il campus: ne seguì il disastroso
arrivo della polizia, che, pur essendole stato impedito di entrare negli edifici,
provocò incidenti e giorni di pericolo e alta tensione.
Alla luce di Nanterre si può dire con il Reagan che «la vita di Ricoeur è stata
una continua contraddizione tra il suo pacifismo e il suo diretto o indiretto
coinvolgimento nella guerra. È stato orfano a causa di una guerra, prigioniero
durante un’altra, e leader dell’opposizione a un’altra ancora. Il suo zelo alla
risoluzione pacifica dei conflitti mediante la ragione e la buona volontà è stata
duramente messa alla prova dalla sua esperienza come decano all’Università di
Paris-Nanterre»48, dove «un uomo di pace, un pacifista, un uomo della ragione
e dell’argomentazione, uno zelante credente nella gratitudine e nel perdono, un
uomo in ogni occasione garbato, è stato oggetto di un attacco fisico»49.
Sulla vicenda dolorosa dello scacco di Nanterre così Ricoeur si esprime a
distanza di anni: «Accettai di essere eletto, senza averlo desiderato, decano
della facoltà di lettere, e tentati di risolvere i conflitti con le sole armi della
discussione. Ma l’attacco non si limitava alle malefatte dell’istituzione, bensì al
suo stesso principio. Fallii nella mia missione di pacificazione. Attribuii il mio
scacco meno alla natura detestabile degli attacchi rivolti contro di me attraverso
la mia funzione, che ai conflitti non risolti in me stesso fra la mia volontà di
ascolto e il mio senso quasi hegeliano dell’istituzione. Questi anni travagliati sul
piano professionale non lo furono meno sul piano familiare: il nostro ultimo
figlio, ossessionato dal desiderio di una vita comunitaria più vera, cominciò una
vita errante che ha impiegato alcuni anni prima di stabilizzarsi nella pratica di
un eccellente mestiere di artigiano e in pesanti incarichi familiari. Quanto a me
diedi le dimissioni dal mio posto di decano nell’aprile del 1970 e accettai il
generoso invito dell’Università cattolica di Louvain […]. Trovai molta
soddisfazione in questo insegnamento, che durò per tre anni accademici, quindi
tornai a Nanterre»50. Ancora una volta emerge lo sforzo di Ricoeur di rendere
45
Sulle vicende relative alla dolorosa esperienza di Nanterre si veda F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les
sens d’une vie, cit., 475-488.
46
Cfr. C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 128.
47
Cfr. C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 35 e F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens
d’une vie, cit., 479.
48
C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 2.
49
Ibidem, 35.
50
RF, 44 [57].
22
abitabile un mondo divenuto difficile, di sfuggire a una situazione dolorosa
senza rassegnazione ma con la creatività: per tre anni lascerà Nanterre e troverà
rifugio a Lovanio oltre che negli Stati Uniti.
La vicenda consente a Ricoeur anche di svolgere una riflessione più
articolata sul paradosso politico e sul male relativo al potere politico:
prendendo a prestito una terminologia di Hannah Arendt51, Ricoeur elabora la
necessità di mantenere un equilibrio tra il piano gerarchico dell’autorità e quello
orizzontale della convivenza e della libertà: «Direi che il mio scacco a Nanterre
è stato lo scacco del progetto impossibile di conciliare l’autogestione e la
struttura gerarchica inerenti a qualsiasi istituzione o, in ogni caso, la
distribuzione asimmetrica dei ruoli distinti che essa implica. Ma, forse questo è
ciò che sta al fondo della questione democratica: arrivare a comporre la
relazione verticale di dominio (per utilizzare il vocabolario di Max Weber) con
la relazione orizzontale del vissuto condiviso – riconciliare Max Weber con
Hannah Arendt. […] Sono sempre stato preso fra l’utopia non violenta e il
sentimento che qualche cosa di irriducibile sussiste nella relazione di comando,
di governo. È questo che ora razionalizzo come la difficoltà di articolare una
relazione asimmetrica con una relazione di reciprocità. […] Questa relazione
non può scomparire del tutto poiché essa è irriducibile. […] È stato, tuttavia, un
grande apprendistato quello di aver tentato una strada siffatta e di aver fallito.
Cercando di comprendere le ragioni del mio scacco, precisando l’anatomia
dell’istituzione, ho preso, in modo migliore, coscienza della quadratura del
cerchio propria del politico: il sogno impossibile di combinare il gerarchico con
il conviviale; è questo, per me, il labirinto del politico»52.
Le accuse dei lacaniani e lo scacco di Nanterre saranno oggetto di una
elaborazione del lutto molto lunga per Ricoeur: «Ho integrato la conoscenza che
non sono immortale nella mia vita. Sai, le due cose più difficili da accettare sono
che morirai e che non tutti ti amano. Nanterre e i Lacaniani mi hanno insegnato
questa amara lezione»53.
Per tre anni Ricoeur si congedò da Nanterre e anche quando vi fece ritorno
restò ai margini della vita intellettuale francese: «Quando Ricoeur prese tre anni
di congedo dall’università Paris-X-Nanterre, come è ora chiamata, iniziò in
realtà quindici anni di esilio autoimposto dalla vita intellettuale francese. Molti
51
Ricoeur aveva conosciuto Hannah Arendt negli Stati Uniti. Di lei dice: «Ero stato molto
colpito da una delle sue idee che riformulo dicendo che il politico si presenta secondo una
struttura ortogonale, con un piano orizzontale e un piano verticale. Da una parte, dunque, il
legame orizzontale del voler vivere insieme: è quello che ella chiama il potere, che ha corso solo
in quanto le persone vogliono coesistere. […] Inoltre il versante verticale, gerarchico, al quale
pensava Weber quando introduceva il politico nel sociale, all’inizio di Economia e società,
attraverso la differenziazione verticale dei governanti e dei governati: a tale verticalità,
evidentemente, egli annetteva l’uso legittimo e ultimo della violenza. […] È possibile che questa
funzione di reggenza del politico possa essere esercitata soltanto se si trova un compromesso e
se si regola abilmente il rapporto gerarchico con quello consensuale», CC, 152-153 [146].
52
CC, 64-65 [69-70].
53
Citato in C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 56.
23
dei suoi articoli furono pubblicati in inglese o, se in francese, erano pubblicati
fuori dalla Francia»54.
L’insegnamento a Lovanio, presso gli Archivi Husserl dell’Università
Cattolica e l’intensificazione dell’insegnamento negli Stati Uniti saranno un po’
la sua via di fuga da un ambiente che si era mostrato scarso di soddisfazioni.
Anche se è ingiusto leggere la sua esperienza americana come una fuga dalla
Francia (fin dal 1954 grazie ai Quaccheri aveva tenuto delle conferenze e degli
insegnamenti in America) è altresì vero che l’insegnamento a Chicago fu per lui
un aiuto considerevole. In un colloquio egli afferma: «Insegnare negli Stati Uniti
mi salvò la vita, letteralmente. Ero terribilmente depresso dopo Nanterre.
Avevo dedicato la mia vita all’Università e all’insegnamento. Così è stato
importante per me andare a Chicago e continuare a insegnare dopo la terribile
esperienza di Nanterre»55.
Ricoeur sarà riscoperto dal pubblico francese solo a metà degli anni ’80 in
seguito alla pubblicazione della trilogia di Temps et récit che troverà una buona
accoglienza nel contesto filosofico francese. Dopo anni ai margini, con la trilogia
dedicata al tempo e alla narratività maturata soprattutto nel confronto fruttuoso
con la filosofia analitica americana, Ricoeur torna alla ribalta del panorama
filosofico francese. Nel 1986 sarà chiamato a Edimburgo per una serie di
conferenze denominate Gifford Lectures incentrate sul tema del soggetto.
Ma la «traversata del tragico» da parte di Ricoeur non è ancora finita. Lungi
dal trovare pace e soddisfazione nell’attenzione ritrovata nel suo paese un
evento sconvolgente si abbatte su di lui.
Nel marzo del 1986, mentre si trova a Praga, gli giunge la notizia del tragico
suicidio del suo quarto figlio Olivier: «Qualche settimana dopo il ritorno da
Edimburgo, il nostro quarto figlio Olivier, il figlio del ritorno dalla prigionia, il
figlio della pace, si dava la morte, il giorno stesso in cui io ero a Praga con i
nostri amici del gruppo Patočka. Questa catastrofe doveva lasciare una piaga
aperta, che l’interminabile lavoro del lutto non ha ancora cicatrizzato. Ancora
adesso, sono preda di due rimproveri che si alternano: uno è di non aver saputo
dire di no, nel momento opportuno, a certe devianze; l’altro di non aver
percepito, né inteso il grido di aiuto lanciato dal profondo della disperazione.
Raggiungevo così l’immensa schiera di tanti padri e scoprivo quella fraternità
silenziosa che nasce dalla uguaglianza nella sofferenza»56. La morte di Olivier,
«il colpo di fulmine che spaccò la nostra intera vita»57, un «Venerdì Santo della
vita e del pensiero»58, è forse la tragedia più difficile da superare per Ricoeur
che richiederà un «interminabile lavoro del lutto»59. Olivier era un figlio molto
vicino a Paul, figlio della pace, lavorava come suo segretario battendo a
54
C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 41.
55
Citato da C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 58.
56
CC, 140-141 [136].
57
RF, 79 [94].
58
RF, 79 [95].
59
CC, 140 [136]
24
macchina i testi delle sue conferenze e visse fino a poco prima della tragedia,
creando non pochi contrasti coi vicini per la sua vita sregolata, a “Les Murs
Blancs”. Era un figlio molto difficile, ma forse per questo molto amato60.
Poco dopo un altro lutto colpisce la famiglia di Ricoeur: la morte di Mircea
Eliade, amico e collega all’università di Chicago: «Poche settimane dopo questo
disastro, accompagnavo fino alle soglie della morte, a Chicago dove mi ero
rifugiato, il mio vecchio amico Mircea Eliade, e mi trovavo schiacciato, in una
certa maniera, dal contrasto – apparente, ma insistente – fra due destini, uno
soltanto dei quali aveva lasciato la traccia di un’opera, mentre l’altro niente di
tutto questo, per lo meno nelle vedute umane. Ciò che dirò, forse, più tardi sulla
memoria di Dio – confessione di fede comune o mito personale – ha qualche
cosa a vedere con questo contrasto troppo umano, che taglia corto finendo nella
misericordiosa opera di render uguali attraverso la morte e la sofferenza»61.
Nel 1998 infine Ricoeur, dopo oltre sessant’anni di matrimonio, perde la
moglie Simone in seguito a una lunga malattia degenerativa che la rese «ogni
giorno più debole, ma sempre silenziosamente presente nel soggiorno dei Murs
Blancs»62. Ricoeur ne soffrirà, ma anche qui cercherà, nonostante la sua ormai
tarda età, di trarne qualcosa di positivo: inizierà a scrivere, senza mai terminare
compiutamente, alcune riflessioni sul tema della morte, alimentate anche da
frequenti colloqui con un medico specialista in cure palliative. Anche in questa
situazione egli si rivela capace di rispondere al male attingendo a risorse
creative e di pensiero.
60
Cfr. C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His Life and His Work, cit., 65. Reagan si sofferma su Olivier:
«Olivier era molto amichevole, socievole e prestante. Era sempre disponibile, e per gran parte
del tempo, pieno di gioia. Ma Olivier aveva altresì alcuni seri problemi. Era omosessuale,
alcolista, e talvolta faceva uso di droghe. La droga che usava era l’etere e quando la sniffava
diventava melanconico e con una propensione verso il suicidio», C.E.REAGAN, Paul Ricoeur. His
Life and His Work, cit., 64. Sulla vicenda del suicidio del figlio cfr. F.DOSSE, Paul Ricoeur. Les sens
d’une vie, cit., 609-617.
61
CC, 141 [136]. Cfr. anche RF 79 [95]: «Dopo questo Venerdì Santo della vita e del pensiero,
partimmo per Chicago dove si preparava un’altra morte, quella del nostro amico Mircea Eliade.
[…] Questa morte, che lasciava un’opera dietro di sé, rendeva più crudele quell’altra, che
sembrava non lasciare alcuna opera. Bisognava apprendere che, nell’eguagliare i destini, la
morte invita a trascendere l’apparente differenza fra non-opera e opera».
62
C.GOLDENSTEIN, Postface à P.RICOEUR, Vivant jusqu’à la mort (suivi de Fragments), Seuil, Paris
2007, 138. La Goldenstein, un’amica che ha seguito Ricoeur negli ultimi dieci anni di vita,
sottolinea che Ricoeur ha cominciato a scrivere le sue riflessioni sulla morte (rimaste incompiute
e pubblicate postume) proprio a partire dal 1995-1996, in concomitanza con la sua vecchiaia e
l’aggravarsi delle condizioni di Simone e quindi con la consapevolezza di doversi preparare alla
morte della moglie.