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2. Metodologie e literature review
2.1. Metodologia DEA
2.1.1. Descrizione del modello
La valutazione, in termini di efficienza e di performance, dei Fondi Comuni di
Investimento (FCI), definiti Open End Funds nel linguaggio finanziario, avviene, in questo
mio lavoro, mediante una metodologia denominata DEA, acronimo di Data Envelopment
Analysis. L’ approccio DEA riconosce la sua prima applicazione nel 1978 ai suoi pionieri
Charnes et al. (1978) che hanno sviluppato il modello, definito con le loro rispettive
iniziali, CCR. Il metodo viene utilizzato in alternativa alle analisi di tipo econometrico
(parametriche) che richiedono l' esplicitazione a priori di una funzione di produzione. Al
contrario, la DEA non si basa su stime econometriche di parametri di una particolare
specificazione di funzione di produzione, bensì presuppone l’ impiego del metodo della
programmazione lineare per valutare l’ efficienza relativa di varie Decision Making Units,
DMU, all’ interno del peer group che si vuole analizzare. In entrambi i casi si tratta di
metodi che consentono di tenere conto del carattere eterogeneo dell’output ottenuto dalle
diverse unità operative oltre a permettere di incorporare anche le principali caratteristiche
qualitative/quantitative. L’ applicazione dell’ analisi DEA è soprattutto in ambito
economico e soprattutto nelle diverse istituzioni/settori tipo banche, ospedali, ecc. che
hanno diversi obiettivi (output) e/o diversi input. Le DMU sono un gruppo di unità
produttive (es. filiali di una banca o qualsiasi istituzione), con medesime caratteristiche in
termini di input (es. numero dei dipendenti) e di output (es. fatturato, numero delle
transazioni, metri quadri di una struttura). Ad esempio, Rebba e Rizzi (2000) valutano
l’efficienza relativa degli ospedali del Veneto utilizzando diversi input (ad es. infermieri,
medici) e output (prestazioni erogate); Luciano e Regis (2007) ottengono dal modello
utilizzato, informazioni relative alle economie (diseconomie) di scala e differenze
geografiche, in seguito ai processi di fusione delle banche italiane nel contesto europeo.
Per quanto concerne l’ efficienza degli Open End Funds, la prima applicazione della DEA
risale al 1997 con Murthi et al. (1997).
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In particolare, l’ analisi DEA consente di misurare l’ efficienza di ciascuna DMU
relativamente al comportamento ottimizzante di tutte le altre DMU appartenenti al peer.
Oltre alla misurazione dell’ efficienza di una qualsiasi DMU, attraverso l’ analisi DEA si
intende analizzare quali modifiche occorre apportare alle DMU inefficienti affinché
raggiungono l’ efficienza all’ interno del peer. La misura di efficienza individuata, definita
efficiency score (di solito indicata con la lettera greca θ) è, essenzialmente, il rapporto tra
la somma ponderata degli output rispetto alla somma ponderata degli input pesati al
denominatore. I vari pesi sono ottenuti attraverso la risoluzione di un problema di
ottimizzazione tramite programmazione lineare e un θ più elevato implica un maggior
grado di efficienza. Il ricorso alla risoluzione di un problema di ottimizzazione è dovuto
alla presenza di molteplici input e/o output. Qualora si considerassero delle DMU con un
solo input ed un solo output, il problema sarebbe immediatamente risolvibile e si
comprenderebbe, immediatamente, senza ricorrere alla programmazione lineare, quale
DMU è efficiente o meno e quali modifiche, in termini di riduzione e aumento, occorre
apportare agli input e/o agli output. All’ aumentare degli input/output il problema è, come
già accennato, risolvibile attraverso il calcolo dei pesi ottimali. Infatti una DMU può essere
efficiente anche se ad esempio uno o più input sono maggiori rispetto agli stessi nelle altre
DMU e ciò è da attribuirsi al fatto che altri input possono essere inferiori e/o che gli output
ottenuti hanno un maggior valore rispetto a quello ottenuto da altre DMU. Utilizzando la
notazione matematica, l’ efficiency score θ, e’ definito come:
m
i
ij i
t
r
rj
r
x v
y
u
1 1
(2.1.1)
ove:
= efficiency score
j = 1, 2, …, n DMUs
r = 1, 2, …, t outputs
i = 1, 2, …, m inputs
u r
= peso dell’ output r
v i
= peso dell’ input i
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y
rj
= valore dell’ output r per DMU j
xij
= valore dell’ input i per DMU j
Attraverso il metodo della programmazione lineare frazionale (fractional linear
programming model) si risolve il problema di ottimizzazione per la j-esima DMU, definita
con j0. Tale problema di ottimizzazione e’ definito come:
v u
i r
, max
m
i
ij i
t
r
rj
r x v
y
u
1
0
1
0
0
(2.1.2)
con i seguenti vincoli:
1
1 1
m
i
ij i
t
r
rj
r x v
y
u
j = 1, 2, …, n (2.1.3)
u
r
r = 1, 2, …, t (2.1.4)
v
i
i = 1, 2, …, m (2.1.5)
dove è un numero positivo piccolissimo, conveniente per i calcoli ed evitare pesi
negativi, chiamato anche Non-Archimedian costant. Il processo descritto nelle equazioni
dalla (2.1.1) alla (2.1.5) viene sviluppato per ogni singola DMU
0 j
. Il vincolo al punto
(2.1.3) impone che il massimo efficiency score ottenibile sia pari ad 1. Siccome il rapporto
ottimizzato può avere più di una soluzione, solitamente si definisce una relazione di
equivalenza definita soluzione rappresentativa dalla classe di equivalenza (Charnes et al.
1994). La soluzione rappresentativa è definita input oriented se si pone il denominatore del
rapporto nell’ equazione (2.1.2) uguale a 1; output oriented se si pone il numeratore del
rapporto nell’ equazione (2.1.2) uguale a 1. Nel caso di analisi input oriented, si ottimizza
il numeratore, mentre, nel caso di analisi output oriented, viene ottimizzato il
denominatore. In altre parole, il significato può essere definito in due modi ma che allo
stesso tempo raggiungono la stessa conclusione. L’ interpretazione dal punto di vista
economico dell’ analisi input oriented consiste nel raggiungere il massimo livello di output
ottenibile dalla j-esima DMU per un dato livello di input(s). L’ interpretazione dal punto
di vista economico dell’ analisi output oriented consiste nel raggiungere il minimo livello
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di input(s) per un dato livello di output. Per facilitare i calcoli, il problema frazionale ai
punti 2.1.2-2.1.5 viene convertito in un problema di programmazione lineare equivalente.
Se viene preso in considerazione il modello lineare input oriented CCR, si avrà:
y
u
rj
t
r
r
0
1
max
(2.1.6a)
con i seguenti vincoli:
1
0
1
x v ij
m
i
i
(2.1.7a)
0
1 1
m
i
ij i
t
r
rj
r
x v
y
u
j = 1, 2, …, n (2.1.8)
u r
r = 1, 2, …, t (2.1.4)
v
i
i = 1, 2, …, m (2.1.5)
Nel caso di analisi output oriented la (2.1.6a) e la (2.1.7a) diventano rispettivamente:
x v ij
m
i
i 0
1
min
(2.1.6b)
1
0
1
y
u
rj
t
r
r
(2.1.7b)
In definitiva, ai fini della risoluzione del problema di ottimo, vengono prese in
considerazione t + m variabili, ovvero i pesi scelti per massimizzare l’ efficiency score, e n
+ t + m + 1 vincoli. In alternativa a questa tipologia di risoluzione definita “CCR primal”,
per una questione di riduzione di elaborazioni, soprattutto quando il numero delle variabili
è elevato, si preferisce operare con il “CCR dual”. Questo ultimo tipo di impostazione del
problema di ottimo, presenta meno vincoli e si presta ad una migliore interpretazione dei
risultati ottenuti. Il problema duale è sintetizzato come segue:
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min
m
i i
t
r r
s s z
1 1 0
(2.1.9)
con i seguenti vincoli:
0
1 0 0
j
n
j ij i ij
x s z x
i = 1, 2, …, m (2.1.10)
y
x s
rj
n
j j rj r
0
1
r = 1, 2, …, t (2.1.11)
0
j
j = 1, 2, …, n (2.1.12)
0
s i
i = 1, 2, …, m (2.1.13)
0
s r
r = 1, 2, …, t (2.1.14)
dove gli “s” sono gli slack (“+” è l’aumento dell’ r-esimo output e “-” è la correzione in
diminuzione dell’ i-esimo input) ovvero le correzioni che bisognerebbe apportare alla
DMU j-esima affinché diventi efficienti all’ interno del gruppo di DMU. A questi slack
vengono associati i lambda (1 per ogni DMU). Il lambda i-esimo, non così intuitivo, è un
moltiplicatore non nullo che combinato con i vari input e/o output inefficienti, permette il
raggiungimento dell’efficienza delle DMU j-esime. In questo senso quindi le DMU
efficienti all’ interno del peer group sono considerate come veri e propri benchmark ovvero
dei punti di riferimento per poter raggiungere la frontiera efficiente a quelle DMU non
efficienti ovvero quelle che raggiungono un efficiency score inferiore all’ unità. McCarl e
Spreen (2002), definiscono alcune differenze che esistono tra il problema “primal” e quello
“dual”. Ad esempio, le variabili e i vincoli nel primal si trasformano rispettivamente in
vincoli e variabili nel duale. Ma ciò che è più importante è l’ interpretazione economica
legata a tale funzione. Le variabili duali sono definite solitamente “shadow prices” ovvero
prezzi ombra, ed indicano il valore imputato ad ogni input. Nel duale, le variabili indicano
il valore marginale di quella risorsa, quando nel primal sono invece i vincoli. Si costruisce
quindi una funzione di programmazione lineare che tiene conto di tutte le variabili in cui la
loro combinazione, appunto lineare, sia almeno uguale alla produzione ovvero all’ output
ottenibile. Ciò che diverge nel primal rispetto al duale è la funzione obiettivo. Mentre nel
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primal viene massimizzato l’ output ponendo i vari vincoli nell’ impiego delle risorse, nel
duale la funzione obiettivo è la minimizzazione dei costi ponendo come vincoli i valori
marginali delle risorse almeno uguali alla produzione ottenuta. L’ intepretazione degli
slacks coincide quindi nelle riduzioni dei costi (risorse) da effettuare, complici delle
inefficienze. Da qui emerge l’ importanza di tipo economico di tale funzione.
2.1.2. Limiti ed estensioni nella DEA
Il modello CCR, per l’ analisi DEA, si basa sull’ ipotesi di rendimenti di scala costanti.
Banker et al. (1984) hanno sviluppato un modello, definito BCC, in cui, oltre ai pesi
ottimali, si misura un parametro, in base al quale si può definire se i rendimenti di scala
sono costanti, crescenti o decrescenti . Rispetto al modello CCR, la logica è la stessa, ma
ciò che cambia dal punto di vista del formulario (per quanto riguarda l’ analisi input
oriented) è il coefficiente non vincolato
u 0
, che nelle formule 2.1.6a-2.1.8, può assumere
valori nulli, positivi o negativi. Ciò vuol dire che i rendimenti di scala saranno costanti se il
coefficiente sarà nullo (caso CCR); saranno variabili se tale coefficiente è diverso da zero.
Ciò descritto in precedenza non ha tenuto conto di alcune questioni che meritano
sicuramente alcune considerazioni e/o soluzioni a riguardo. Prima di tutto, sia il modello
CCR che il BCC, si limitano a calcolare un indice di efficienza relativo e che quindi non è
un modello esaustivo per classificare le DMU all’ interno del peer group. In altre parole,
alcune DMU saranno efficienti e altre no, definendo le rispettive inefficienze degli input
e/o output, ma che a loro volta possono risultare inefficienti se venissero utilizzati i pesi,
che magari possono avere diversa importanza, delle altre DMU “concorrenti”. Quindi ad
esempio in un eventuale ranking avremmo un certo numero di DMU classificate al top
della lista alla medesima posizione e le altre DMU complementari invece dalla seconda all’
ultima posizione. Un altro modo per classificare un gruppo di DMU proposto da Sexton et
al. (1986) è quello di costruire la cosiddetta Cross Efficiency Matrix ovvero una
metodologia che permette di verificare l’ efficienza di ogni DMU calcolata con i pesi
ottimali delle altre. Tale matrice (Tabella 2.1) avrà i righe e j colonne in relazione al
numero di DMU e illustra l’ efficiency score della DMU j-esima utilizzando i pesi ottimali
delle alternative i-esime. Naturalmente se la DMU j-esima sovra-performa le altre avrà dei
coefficienti di efficienza abbastanza alti in tutta la sua colonna e viceversa per le DMU
sotto-performanti. La diagonale principale esprime gli efficiency score ottenuti con il