e soprattutto come attore, non posso ignorare i processi e lo
studio, che hanno richiesto sicuramente molti anni, prima di
permettere a Pedrolino di comparire dal nulla e dal mistero
della storia del teatro di quegli anni! Asserire pertanto che in
questi anni misteriosi la maschera non esistesse, anche se
storicamente legittimo, è artisticamente e ontologicamente
discutibile, perché se di Pedrolino si era iniziato a parlare,
come una nuova maschera teatrale, allora Pedrolino doveva
aver meritato un tale riconoscimento, e questo era possibile
solo nella misura in cui fosse riuscito a creare un
personaggio credibile, riconoscibile, che funzionasse; e, mi
perdonino gli storici, non si diventa efficaci teatralmente,
soprattutto per il teatro che si faceva allora, da un giorno
all’altro!
La tesi quindi tenta di ricostruire gli anni misteriosi prima
della comparsa di Pedrolino, per poi calare questo mistero
nella sua attività ambigua di comico, divisa tra gli oneri
della compagnia e le scritture individuali; in preda come gli
altri alle difficoltà interne ed esterne delle compagnie di
quegli anni, dal suo ruolo di capocomico, ai rapporti con gli
organi di potere, fino a quelli con i suoi stessi compagni e
colleghi! Si procederà infine con l’analisi relativa alla
morfologia della maschera per come è cresciuta attraverso
gli spettacoli, i canovacci, le commedie, le esperienze e i
lazzi di cui è stata protagonista. Quest’ultima parte è messa
appositamente alla fine a segnare un ritorno alla maschera,
al teatro, all’arte, dopo il racconto storico-biografico della
vita dell’attore. Perché la vita di ogni attore va vista
attraverso “gli occhi” della sua maschera teatrale!
7
CAPITOLO I
Il Mito di Pedrolino
8
I.I. Le origini.
Giovanni Pellesini nasce a Reggio Emilia,
1
tra il 1526 e il
1527. Questo lo sappiamo perché nel 1613 si riporta che
Pellesini avesse 86 anni;
2
e molto probabilmente la sua
attività durò fino al dicembre del 1616, a quasi 90 anni.
3
Già questo primo dato ci fa riflettere su che vita intensa
fosse stata la sua. Se pensiamo che nel XVI secolo l’età
media si aggirasse attorno ai 25 anni, causa l’altissimo tasso
di mortalità infantile, sentire di un uomo che visse e per
giunta lavorasse come attore comico professionista fino a 90
anni, non può non farci urlare dallo stupore; e al contempo,
non si può evitare di pensare che forse, a quell’età ci sia
arrivato anche grazie al suo lavoro, alla sua maschera, e a
una vita per certi versi caotica e stressante, per altri
straordinariamente piena di stimoli e di vitalità, che lo
hanno saputo alimentare. Certamente non possiamo
trascurare anche l’aspetto fisico e ginnico, caratteristico
delle maschere della Commedia dell’Arte. Pedrolino inoltre,
come vedremo, era principalmente uno Zanni, un servo, un
personaggio quindi molto più teso di altri ai giochi
acrobatici, a un rigoroso allenamento fisico, a mantenere un
livello energetico adeguato, senza il quale la recitazione
diveniva povera e stucchevole.
Giovanni Pellesini nasce a Reggio Emilia, un piccolo
comune isolato, non la sede di una grande Signoria, né
1
L. MARITI - S. CARANDINI, Don Giovanni o l’estrema avventura del teatro – il nuovo risarcito Convitato di pietra di
Giovan Battista Andreini, Bulzoni, Roma, 2001, pag. 305
2
L. MARITI – S. CARANDINI, op. cit., pag. 257
3
Archivio Herla, www.capitalespettacolo.it , C-2367
9
capitale stabilmente ospite di una corte fastosa, che si
sosteneva prevalentemente dell’attività agricola delle
campagne circostanti.
La sua storia, di per sé mediocre, è da ascriversi solo alla
sua autonoma capacità di generare impulsi di ogni eventuale
fatto notevole o memorabile; in virtù quindi di una sua
vigoria interna, difendendo una sua precaria indipendenza
dai turbamenti e le influenze delle grandi signorie che la
circondavano, come Parma, Ferrara, Mantova e Firenze.
4
La storia di Reggio è da inserirsi del quadro più generale
della storia di quella pianura Padana che nel XVI secolo
dette un grande impulso al progresso sociale italiano, sia dal
punto di vista economico-politico, con alleanze influenti con
Vienna, Parigi, Madrid, la Baviera, sia dal punto di vista
culturale, con l’attività dei grandi Duchi mecenati, da Ercole
D’Este a Lorenzo De’Medici e i loro successori.
Reggio, di per sé fu sottratta ai grandi appuntamenti della
storia a causa di un rapporto molto contrastato tra la
cittadinanza e il potere politico; ma è proprio tale rapporto
difficile la causa principale di tutta una serie di eventi
caratterizzati costantemente dall’elemento della festa in
piazza, del teatro, dello spettacolo, quasi come una vera e
propria vocazione alla rappresentazione. Una vocazione
probabilmente sostanziata da un infuso spirito di coralità e
di cordialità ma anche dall’esigenza, da parte dei cittadini,
di tenere viva la propria identità attraverso la celebrazione
delle sue tradizioni, da mostrare con orgoglio anche e
4
S. ROMAGNOLI, E. GARBERO (A CURA DI), Teatro a Reggio Emilia - Vol I. Dal Rinascimento alla Rivoluzione
francese, Sansoni, Firenze, 1980, pp. VIII – IX (premessa)
10
soprattutto in termini di rivalità con altri comuni limitrofi. È
l’esempio delle entrate trionfali che, dal 1453 (ingresso di
Borso d’Este) per tutto il ‘500, vedevano il popolo
rivaleggiare con successo sui vicini modenesi, quanto a
originalità e sontuosità di apparati e celebrazioni; ma anche
fatti più particolari, come prevedere che il Duca leggesse il
suo encomio nel dialetto locale. Da Reggio passarono molti
grandi potenti dell’epoca come l’imperatore Carlo V (1533),
la Regina Renata di Francia (1528), Alfonso II D’Este
(1560) e la sua sposa Barbara d’Austria (1568, anno della
famosa rappresentazione dell’Alidoro, la tragedia di
Gabriello Bombace), o di Margherita D’Este Gonzaga il 30
Settembre 1584.
Altri esempi di teatralità diffusa erano le mascherate,
derivanti dai carnevali e dai carri allegorici delle feste di
primavera e d’inverno, di remota tradizione medievale;
comparse verso fine secolo, le mascherate erano esplosioni
di impertinenza, di sfrenata allegria, ma erano caratterizzate
anche dalla presenza di spettacoli complessi.
La festa reggiana per eccellenza fu, dal 1597, la Fiera
della Madonna della Ghiara, celebrata ogni 3 di Maggio, e
che aveva una grande importanza sociale in quanto
radunava in egual misura tanto i nobili, quanto il popolo
sotto il segno della devozione per la credenza religiosa, nata
in seguito a un fatto miracolistico.
5
La fiera forniva alla
città non solo l’occasione di incentivare la sua attività
5
S. ROMAGNOLI, E. GARBERO, op. cit., pp. 29-31: la credenza religiosa risale al 1578 quando il 14 Agosto la torre del
Duomo fu vittima di un incendio e la statua di rame dorato della Madonna della Ghiara fu l’unica cosa che sopravvisse.
Diciott’ anni dopo avvenne un miracolo, il famoso “Miracolo di Marchino”, in cui un ragazzo sordomuto, dopo aver
passato la notte ai piedi del dipinto della Madonna nel Duomo, la mattina del 29 Aprile si alzò guarito. Da allora la festa
della Madonna viene celebrata ogni 3 Maggio.
11
spettacolare, con rappresentazioni drammatiche e musicali,
ma era utile nel dare quella spinta finale al processo, già in
atto da anni, che voleva la creazione di un unico luogo
teatrale, sui modelli preclari impostati a Ferrara, a Parma, a
Sabbioneta, e poi trasmessi a tutta Europa. Questo si legava
strettamente alla storia della cittadinanza, in cui secondo le
idee iniziali tale luogo promosso dagli aristocratici e dagli
uomini di cultura per spettacoli privati e pubblici potesse
poi offrire spettacoli di buona dignità artistica e ospitare nei
secoli un pubblico sempre più composto. Dopo la Sala delle
Udienze, che veniva utilizzata prevalentemente per gli
spettacoli di corte, venne costruito un primo teatro ufficiale
reggiano. Al popolo era destinato uno stanzone per la
Commedia, eretto nel quartiere popolare, artigiano dove si
esibivano istrioni, saltimbanchi e funamboli, e in seguito gli
spettacoli delle compagnie dei comici dell’arte, di cui si ha
una prima notizia già nel 1568, in occasione della visita di
Barbara d’Austria
6
e nel 1580.
7
A tal proposito la città di Reggio, per la sua posizione
geografica, costituiva un’utile tappa agli itinerari delle
compagnie durante i loro spostamenti da una città all’altra
(soprattutto sull’asse Firenze-Mantova-Milano) o da una
corte all’altra, specie se la compagnia era formata da attori
colti e raffinati, ai quali era riservata la protezione dei
Signori.
8
E vedremo che Pellesini è da ritenersi tra costoro.
6
S. ROMAGNOLI, E. GARBERO, op. cit. pag. 18: per ospitare la rappresentazione della compagnia fu messa a punto la
scena della Sala sopra la Salina.
7
S. ROMAGNOLI, E. GARBERO, op. cit. pag. 217
8
S. ROMAGNOLI, E. GARBERO, op. cit. pag. 78-79: l’ospitalità offerta ad Isabella Andreini, nel 1591, che interpretò un
brano de La Pazzia di Isabella nella Sala delle Udienze, conferma il passaggio da Reggio di comici raffinati e conferma
il ruolo di sottordine svolto dagli stanzoni.
12
Questo il quadro spazio temporale in cui collochiamo le
origini dell’attore: una città autonoma, pressata ma
fortemente radicata a una sua tradizione e identità, una città
crocevia, al servizio di chi la attraversa senza metterci
radici, una città votata al teatro e alla mascherata, una città
sempliciotta, agricola, genuina e cordiale, ma anche fiera e
ottusa nelle sue rivendicazioni. Ma una città non è i suoi
edifici; la sua identità è la summa dei tratti somatici dei suoi
abitanti, che la animano. È probabile che nascere in una città
come Reggio, con la sua posizione e la sua storia, possa
aver contribuito seppur in maniera embrionale, a definire la
personalità di Pellesini, in maniera certamente differente di
come sarebbe avvenuto se fosse nato in città completamente
diverse come Ferrara o Venezia!
13
I.II. Cinquant’anni di misteri
- Chiariamone subito alcuni….
Prima di tutto chiarisco l’attendibilità della mia ipotesi
storica per la quale il primo Pedrolino è stato Giovanni
Pellesini da Reggio Emilia.
Il primo accostamento di Pedrolino a un nome proprio di
persona che lo interpretasse fu fatto nella lettera del
commissario Capponi al Granduca di Toscana nel 1576.
9
Prima di questa data Pedrolino non è accostato ad alcun
nome proprio di persona. In base a quale ipotesi si può
pensare che fosse stato inventato da un altro attore?
Nel 1584 in una richiesta del Comune di Modena per
ingaggiare Pedrolino e i comici Uniti, Pellesini è definito
“Pedrolino da Reggio”.
10
Se vogliamo intendere tale
espressione come una precisazione, cioè di chiamare proprio
“quel” Pedrolino, invece di probabili altri “Pedrolini” che
fossero in giro, è un’ulteriore conferma che è Pellesini il
Pedrolino che recita con gli Uniti, che ne è capocomico, e
che come tale è richiesto dai nobili.
L’ultima e unica vera nube che tenta di oscurare la
paternità di Pellesini è generata da un “sospetto” (non è
chiaro su cosa fosse fondato) del Belgrano, nel Caffaro, del
6 Giugno 1886, secondo il quale il primo Pedrolino fosse
stato Bernardino de’ Lombardi, e che “sicuramente” il
Pedrolino autore con Isabella Andreini di una supplica
9
Herla, C-1994,e Archivio Mediceo, www.medici.org filza 687, c.135
10
Herla, C-1184
14
(richiesta di lavoro) del 6 Ottobre 1589, per andare a recitare
a Genova, era Giovan Donato de’ Lombardi, figlio o fratello
di Bernardino.
11
Non è invece un sospetto, ma è “dimostrabile” come il
Pedrolino che scrisse quella supplica fosse Giovanni
Pellesini, in quanto come tale si definiva egli stesso
all’interno della lettera.
12
Quanto a Bernardino de’ Lombardi, sappiamo che fu
autore di una supplica dell’Aprile del 1583 per conto degli
Uniti per recitare a Genova. La supplica, non è detto che
fosse fatta solo dal capocomico, abbiamo tante suppliche
sottoscritte dall’intera compagnia; e anche ammesso che
Bernardino fosse il capocomico, come ci assicura Sanesi
13
,
e che in quanto tale scrivesse la supplica “a nome de’
Compagni Uniti Confidenti”, dire che potesse essere il
primo Pedrolino è un’ipotesi alquanto acrobatica; Ferrone
addirittura ipotizza “da vulgata” che Bernardino potesse
essere l’interprete della maschera del Dottor Graziano
Forbizone
14
, il che non vuol dire che non possa aver
esplorato altre maschere, certamente: però come Graziano
compare, come Pedrolino mai;
A difesa del Belgrano va detto comunque che le ricerche
sulla Commedia dell’Arte, benché mai interrotte, hanno
conosciuto nel XX secolo un momento molto fertile, per cui
è possibile che le ipotesi fatte nel 1886 fossero legittimate
da ciò di cui si fosse a conoscenza allora; ma che possano
11
A. D’ANCONA, Origini del teatro Italiano – Vol II, Loescher, Torino, 1891, pag. 476
12
Herla, C-2119
13
I. SANESI, La Commedia – Vol II, Vallardi, Milano, 1953, pag. 19
14
S. FERRONE, Commedie dell’Arte – Vol I, Mursia, Milano, 1986, pag. 73
15
essere precisate con il contributo di nuove scoperte che le
confermino o le smentiscano, come probabilmente capiterà
tra qualche anno a mia volta!
Per concludere questa precisazione, non contesto l’ipotesi
che Bernardino possa aver interpretato Pedrolino, anzi era
possibile che i personaggi “girassero” all’interno di una
stessa compagnia, non esisteva un’ esclusiva, ma il primo
Pedrolino comparso ufficialmente sulle scene italiane e
francesi è certo (fino ad ora, s’intende) che fu Giovanni
Pellesini a Firenze nel 1576.
Il secondo presupposto che mi preme chiarire è relativo
all’uso della maschera o meno.
La tradizione, che fa discendere la maschera francese di
Pierrot da Pedrolino, e le illustrazioni di Gillot, di Watteau e
di Durchartre, fino a Sand, (tutte che ritraggono Pierrot, e
non Pedrolino), ce lo mostrano sempre senza maschera,
quindi a volto scoperto. Innanzitutto stiamo parlando di
Pierrot e non di Pedrolino. E i tre artisti francesi, ritraggono
la maschera divenuta famosa in Francia, grazie all’attività di
Giuseppe Giaratone, non l’originale italiana; e in Francia il
non utilizzo della maschera ha un motivo ben preciso:
Tiberio Fiorilli, quando interpretò Scaramouche comparve
in scena senza maschera, e da allora si moltiplicarono le
notizie di attori che abbandonarono la maschera
tradizionale, per accontentare il pubblico francese, che
preferiva vedere le emozioni espresse sul volto degli attori.
15
Noi sappiamo invece che originariamente, nella
Commedia dell’Arte l’utilizzo della maschera aveva uno
15
A. NICOLL, Il Mondo di Arlecchino, Bompiani, Milano, 1980, pag. 163
16
scopo ben preciso e dei significati importanti. La maschera
non era un optional, era lo strumento da lavoro del comico,
artigiano del teatro.
All’inizio, negli anni della sua nascita, essendo la
Commedia improvvisa generata dal Carnevale e dal suo
significato di ribaltamento sociale degli ordini gerarchici,
non poteva prescindere dalla maschera. In principio
sappiamo c’erano i ludi zanneschi, a cui seguirono le quattro
maschere base: i due zanni e i due vecchi, indispensabili sia
per il rapporto di classe, e sia per i rapporti di rivalità e
competizione tra i due, all’interno della stessa classe. I due
zanni, il Magnifico e il Dottore avevano la maschera,
accomunati dalla presenza delle forze “basse”, che in
ognuno dei quattro agiscono in maniera diversa, ma che
sono presenti: la fame, il potere, il sesso. Dario Fo utilizza il
criterio degli animali da cortile per trovare un tratto
distintivo che accomuni le maschere della Commedia
dell’Arte: il gallo, il tacchino, il gatto, il porco, l’uccello, il
fagiano, la capra, il cane etc.
16
L’uso della maschera, oltre
al tratto distintivo del Carnevale, era in primo luogo
motivato dalla volontà di sottolineare la “teatralità” dello
spettacolo, è vero teatro nel vero artificio. La maschera
inoltre era funzionale all’attore per concentrarsi meglio sul
personaggio che, richiamato dalla maschera stessa nell’atto
in cui viene calzata, spunta fuori dal nulla e ti costringe a
rispettarne la personalità, nella voce, nei gesti, nel modo di
muoversi; in questo caso si parla di valore esorcistico della
maschera, del suo accostamento con i demoni e la
16
D. FO, Manuale minimo dell’attore, Einaudi, Torino, 2001, pag. 28
17
possessione; la maschera, però è funzionale anche a guidare
l’attenzione dello spettatore, che in questo modo non è
fissato solo sul volto dell’attore, evidentemente coperto, ma
su tutto il suo corpo, che incarna totalmente le emozioni
altrimenti esprimibili solo con i lineamenti del viso. Questo
è uno dei motivi principali secondo cui la Commedia
dell’Arte fosse dal principio un teatro molto dinamico, in
cui il corpo attoriale avesse il ruolo centrale: da tutte le
iconografie, soprattutto Fossard e Callot, notiamo benissimo
la muscolatura sviluppata degli attori, evidentemente
protagonisti di grandi abilità fisiche, di un livello di energia
di base richiamato proprio dalla necessità di rendere
espressivo al massimo il corpo.
È inoltre una maschera a mezzo volto, non intera, per due
motivi: il primo è che, sviluppando una tale dinamicità
fisica, coprire l’intero volto potrebbe farla sembrare un
oggetto inanimato in cima ad un corpo mobile, e poi perché
smorzerebbe la voce. Gli attori italiani però evitarono di
usare le maschere intere, per meglio accogliere i successivi
personaggi senza maschera, come gli Innamorati e le serve;
la mezza maschera ci consente, nella convenzione, di
ascriverli comunque tutti a una stessa realtà; invece con la
maschera intera darebbero l’idea di provenire da un altro
mondo rispetto ai personaggi a volto scoperto.
17
I personaggi senza maschera quindi vennero in un
secondo momento, quando al quartetto di base si aggiunsero
altri personaggi, raffiguranti la nobiltà e i sentimenti “alti”.
Diverso è il caso della servetta, che, benché fosse portatrice
17
A. NICOLL, op. cit., pp. 43-45
18
di forze “basse”, siccome la donna era considerata per
l’epoca una novità assoluta per la scena, era necessario
mostrasse il viso, per sfruttarne tutta l’attrattiva e quindi il
favore del pubblico.
Se Pedrolino è stato identificato dall’inizio come uno
Zanni bergamasco (come cercherò di dimostrare), se quindi
si è rifatto alla maschera dello Zanni, essendo tra l’altro
contemporaneo della genesi della Commedia dell’Arte, non
poteva non aver inizialmente usato la maschera. Per fare un
esempio “contemporaneo” è come se oggi a Carnevale una
persona si vestisse con una corazza e un mantello nero e gli
chiedessero: “Da chi ti sei travestito?” – “Da Batman” – “e
la maschera?” – “no, io non la metto”. Liberissimo, ma
nessuno lo riconoscerebbe come Batman. I Comici invece,
soprattutto all’inizio, quando vivevano soprattutto del
favore del pubblico, avevano una necessità estrema di
colpire subito il loro immaginario, rifacendosi a dei modelli
conosciuti, come appunto la caricatura dei facchini
bergamaschi, da cui tutti si travestivano a Carnevale.
Perrucci, ancora nel 1699 diceva che le parti dei servi
erano caratterizzate dall’uso della maschera.
18
Per concludere, non escludo assolutamente che in una
seconda fase, gradualmente Pedrolino possa aver “perso” la
maschera, sostituendola con un altro tipo di maschera, la
tintura bianca sul volto! O che a volte non la usasse, a
seconda delle circostanze! Ma non si può dire che Pedrolino
sia un personaggio “senza maschera”, poiché in quanto
Zanni di Commedia, Pedrolino incarnava in pieno lo spirito
18
A. PERRUCCI, Dell’arte rappresentativa, premeditata et all’improvviso, Napoli, 1699, pp.163-166
19