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Introduzione
Il seguente lavoro, si propone di analizzare le dinamiche complesse che
inducono gli appartenenti a una comunità, in presenza di determinate
condizioni sociali e politiche, ad assumere comportamenti finalizzati a
vincere la precarietà e l’incertezza, attraverso meccanismi atti ad espungere
le tensioni e le paure interne, rovesciandole in odio nei confronti di una
categoria identificata come nemico.
Si cercherà di delineare, nel primo capitolo, una grammatica della paura che
si esprime attraverso i molteplici dispositivi che gli individui adottano, dopo
aver assorbito gli input e le motivazioni persuasive provenienti dall’esterno.
La paura corrisponde al mero sentimento di terrore conseguente ad uno
sconvolgimento della coscienza, oppure in essa si cela un sistema di
significati mitico-simbolici funzionali a pacificare l’individuo
delimitandolo entro confini specifici ?
Si analizzerà il modo in cui la tecnologia e il progresso hanno mutato le
condizioni e le relazioni sociali, evidenziando il reale apporto in termini di
benefici sostanziali e le conseguenze che questo impatto ha determinato
nella percezione collettiva dell’instabilità e dell’insicurezza.
La nascita delle proto-istituzioni umane, la loro origine ed evoluzione, di
cui si tratterà nel cap. II, sarà lo strumento attraverso cui si cercherà di
comprendere i complessi e sempre più cruenti fenomeni di violenza
moderna, che colpiscono i paesi appartenenti all’asse economico-politico
più evoluto del pianeta, retto da burocrazie e sistemi di potere che,
progressivamente, hanno causato la sparizione dell’universo
mitico-simbolico dello spazio, lasciando, lo stesso, in balìa delle crisi
scatenate da quel mimetismo umano di cui René Girard è preminente
teorizzatore.
La favola di Esopo del vecchio leone e della volpe, morale di un potere che
nella sua visione totalitaria finisce per divorare gli altri e sé stesso,
racchiuderà ed integrerà le analisi che saranno sviluppate di volta in volta.
5
La Tanatocrazia, per la quale la violenza, come ci ricorda Hannah Arendt,
non è mai il fine ma solo un mezzo, si nutre del silenzio delle vittime
quanto di quello dei persecutori; all’ultimo capitolo di questo lavoro è
affidato il compito di individuare gli elementi che ne determinano
differenze e similitudini, inquadrando i possibili e i potenziali meccanismi
di misconoscimento e controllo, capaci di indurre uomini comuni, vicini
ordinari e cordiali, a marciare compatti l’uno contro l’altro, ognuno
rinchiuso nel proprio fanatismo. Ognuno vittima della propria paura.
6
I Capitolo
1. Dentro i confini
Si racconta che una volta Arthur Shopenhauer, aggirandosi nella serra di
Dresda in piena contemplazione della natura, interrogandosi ad alta voce
sulle forme e i colori dei suoi elementi caratteristici, alla vista di un
guardiano che, meravigliato, gli domandava chi mai fosse, rispondesse
chiedendo:<<Si, se potesse dirmelo lei stesso chi sono, le sarei
profondamente debitore>>
1
.
Ernesto De Martino ci riporta, invece, il caso di un pastore di un paesino
dell’entroterra calabrese, il quale, trovandosi quasi obbligato ad assumere il
ruolo estemporaneo di guida del succitato e dei suoi collaboratori, che si
erano persi durante una spedizione di ricerca in quelle terre, ne descrive la
diffidenza, l’offuscamento e il progressivo terrore quando, salito in
macchina con loro, vide il campanile del suo paese allontanarsi
progressivamente dalla sua visuale. Una volta scorto lo stesso, il suo volto e
il suo cuore si andarono pacificando e, ritornati sul luogo dell’incontro, il
vecchio pastore si precipitò freneticamente fuori dall’auto, dileguandosi tra
le ritrovate terre del suo spazio originario
2
.
Lo stupore, ovvero quell’esperienza di fine del mondo, dove il limite si
dilata e la soggettività rischia lo sradicamento e la frantumazione, svolge
una funzione differente in entrambi gli esempi riportati: lo spaesamento del
contadino è in realtà una fuga, il precipitarsi tra le radici securizzanti di un
mondo ovvio, scontato, i cui confini risulteranno maggiormente cementati
da una coscienza che, per un attimo, ha vissuto la terribile e folgorante
esperienza del caos.
1
A. Ghelen, Antropologia filosofica e teoria dell’azione, Guida, Napoli, 1990, pp. 64, in
R. Escobar, Metamorfosi della paura, Il Mulino, Bologna, 1997, p.11.
2
E. De Martino, La fine del mondo. Contributo alle analisi delle apocalissi culturali,
Einaudi, Torino, 1997, p.194, in R. Escobar, Metamorfosi della paura, cit., p.11.
7
Quella che si configura come la fuga del filosofo, invece, rappresenta la
scoperta di un nuovo mondo, la ricostruzione di un centro rinnovato dalla
formulazione di nuove armonie di simboli e significati che consentono di
osservare l’altro lato dell’ovvio, di reggere la sfida scatenata dal niente
inaspettato su cui ci si è affacciati.
Non si può rinunciare al senso, alla convinzione inespressa che la vita sia
sempre comprensibile, perché “un mondo che si possa spiegare sia pur con
cattive ragioni è un mondo familiare [...]”
3
.
Lo straniero che passeggia indisturbato tra i nostri giardini, nelle piazze
delle nostre città, che frequenta i luoghi pubblici del nostro vivere
quotidiano, porta con se la minaccia recondita che il banale, il certo su cui
la comunità fonda le proprie placide abitudini e sicure convinzioni, possano
essere smentiti, e che lo spazio domestico mostri quei limiti oltre i quali la
ragnatela di significati non riesce ad estendersi garantendo il suo ordine
perpetuo.
Al contempo, però, siamo tentati da quella colpa, poiché la diversità che lo
contraddistingue ci mostra il confine come una possibilità di ordini nuovi:
che i limiti del vecchio centro possono rivelarsi una soglia, un transito verso
un mondo composto da singolarità irriducibili, dalla sostanziale “inesistenza
della banalità tra gli umani”
4
.
Dietro lo spaesamento, la grande minaccia stampata sul volto dello straniero
ramingo, si nasconde tutto quello che abbiamo rimosso per essere ciò che
siamo, per avere una collocazione e una biografia, una minaccia inquietante
e invitante al tempo stesso. Inquietante, forse, proprio perché invitante.
La malattia dei confini si manifesta ogniqualvolta lo scotimento ci costringe
a rinunciare allo spirito del sonno che permea la nostra esistenza,
3
A. Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano, 1966, p.30, in R. Escobar, Metamorfosi
della paura, cit. p.13.
4
J. Kristeva, Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano, 1990, p.11, in R. Escobar,
Metamorfosi della paura,cit., p.14.
8
trascinandoci oltre l’orizzonte del domestico, quel luogo della sicurezza
composto da intrecci di metafore e nessi conosciuti.
Dal Foris (dal latino fores, porta) si intravede il mondo forestiero, lo spazio
strano e straniero, la minaccia di ritrovarsi al di là dell’ordine umano
artificialmente sostenuto da intrecci di allusioni ed opposizioni:
mostruoso/normale, esterno/interno, nemico/amico, disordine/ordine,
caos/cosmo.
Ai primi, riferibili al non luogo che sta fores – la porta vista dall’interno -
si contrappongono i secondi, ascrivibili al domus – dove stiamo e siamo – i
luoghi e i confini securizzanti in cui vivono e a cui ritornano gli uomini
dopo aver corso il rischio di svegliarsi
5
.
Estensione di questo spazio simbolico, geometria crudele di metafore e
artifici, è lo spazio politico, definito da centri il cui compito si sostanzia
nell’espellere la paura oltre i confini, in una funzione meramente liberatoria
e appaesante.
L’istituzione, per Escobar, rappresenta la macchina esecutiva deputata a
tale compito, il puntello che regge il peso dell’apertura al mondo esterno,
sollevando l’uomo dalla fatica di pensare e decidere
6
.
In tal senso è interessante evidenziare, secondo la lettura che Maria Stella
Barberi dà delle teorie girardiane, come la comparsa e lo sviluppo,
attraverso le diverse epoche storiche, dell’uomo sulla terra sia stata
caratterizzata da una serie reiterata di violenze unanimemente condivise al
fine di espellere le tensioni e i conflitti interni ad un gruppo sociale
7
.
Il gesto violento, ritualizzato mediante l’istituzione sacrificale, non
presuppone così alcun sentimento di colpa e nessuna conseguente
espiazione, bensì il misconoscimento della violenza perpetrata sembra quasi
5
R. Escobar, Metamorfosi della paura, cit., p.86.
6
Ibidem, p.88.
7
M. S. Barberi, Luoghi del mito e luoghi del potere, in Idem, Spazio Sacrificale, Spazio
Politico, Transeuropa, Massa, 2013, p.13.
9
assunto come conseguenza indiretta di un’oggettiva responsabilità morale,
unica via possibile per la salvezza della collettività.
È il meccanismo del capro espiatorio che fa di una vittima lo strumento di
una violenza giusta, pacificatrice, rivolta verso individui non vendicabili,
esterni alla cerchia di appartenenza
8
.
Un processo di transfert generale che si abbatte sulla vittima espiatoria,
generato dall’inganno culturale che divide la violenza buona, funzionale ad
eludere la colpa snaturando la vittima dal suo ruolo, e la violenza cattiva,
quella su cui l’inganno prende forma, ripristinando l’ordine generale messo
ciclicamente in discussione da crisi potenzialmente distruttive
9
.
Alla radice dello scatenamento della crisi sacrificale, c’è quello che Girard
chiama “desiderio mimetico”
10
o “mimesi di appropriazione”
11
.
L’imitazione è alla base di ogni relazione ed apprendimento umano o
animale. Se negli animali a guidare l’imitazione sono gli istinti, nell’uomo
interviene un elemento più complesso: il desiderio.
“Il soggetto desidera l’oggetto perché lo desidera il rivale stesso.
Desiderando questo o quell’oggetto, il rivale lo indica al soggetto come
desiderabile. Il rivale è il modello del soggetto, non sul piano superficiale
dei modi d’essere, delle idee, ecc..., ma sul piano essenziale del
desiderio”
12
.
8
La teoria del capro espiatorio è di René Girard. Essa rappresenta un punto centrale nel
dibattito contemporaneo sulla formazione della cultura umana in relazione alla scoperta
degli eventi di violenza che sono all’origine della comunità nonché, sempre secondo lo
stesso autore, passaggio fondamentale attraverso il quale rintracciare la nascita e lo
sviluppo delle istituzioni umane e delle leggi (vedasi R. Girard, Delle cose nascoste sin
dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano, 1996, p.110-133). M. S. Barberi è
un’insigne interprete del pensiero girardiano, specie per quanto concerne il dibattito e
l’analisi sulla crisi dell’ordine politico europeo.
9
M. S. Barberi, Luoghi del mito e luoghi del potere, cit., p.25.
10
R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 1980, p.193, in R. Escobar,
Metamorfosi della paura, cit. p.177.
11
R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano, 1996,
p.110, in R. Escobar, Metamorfosi della paura, cit. p.189.
12
R. Girard, La violenza e il sacro, cit. p.193, in R. Escobar, Metamorfosi della
paura,cit., p.176.