2
base alla lettura di un qualsiasi quotidiano oppure ascoltando le parole
di un qualunque attore politico.
Dopotutto non si può ignorare che i canali della comunicazione -
fortemente connessi, ma anche strumentali all'attività di propaganda
politica - sono autoreferenziali, nel senso che sono collettori delle
impressioni e delle opinioni della gente, riportando dunque ciò che
essa stessa vuole sentire.
La realtà, però, si articola in maniera più complessa.
Questo, probabilmente, lo sanno sia i politici sia gli operatori
mediatici, i quali preferiscono però che non emergano ulteriori
difficoltà senza soluzione immediata, forse per non innescare ulteriori
conflitti interni alla società italiana, che è già abbastanza divisa e che
attualmente si trova a fare i conti con problemi, a detta di tutti, più
preoccupanti, come ad esempio quelli legati all'economia e/o
all'occupazione.
Nonostante questo, all'allarme criminalità viene riconosciuto
comunque carattere rilevante, ma si tratta sempre di un discorso
strumentale, a seconda delle situazioni : può configurarsi, ad esempio,
come mezzo per ottenere consenso politico oppure come punto di
partenza punto di partenza per 'rassicurare' la popolazione che i reati
verranno puniti nel modo più severo possibile.
Si interviene, alla fine, sugli effetti, non sulle cause ( così come
sostengono gli esponenti del cd. radicalismo criminologico di
sinistra ), non si risale a monte del problema, ma si colpevolizza chi,
trovandosi in una certa situazione - istituzionale ad esempio - , non è
in grado di rispondere alle richieste pressanti della collettività; cioè
repressione incondizionata.
Leggere il fenomeno 'in/sicurezza' in chiave così riduttiva non può,
pertanto, essere corretto da un punto di vista operativo, e,
fortunatamente, l'ambito scientifico internazionale, ma anche italiano,
ha condotto degli studi approfonditi e soprattutto 'neutrali', svolgendo
un'analisi che fosse attenta sul serio alle esigenze principali dei
3
cittadini e non fornisse risposte semplificate che solo simbolicamente
soddisfassero i desideri di tranquillità degli stessi.
Negli Stati Uniti l'interesse dei ricercatori per il tema della sicurezza
delle città - che include i sentimenti di insicurezza conseguenza della
paura del crimine - si sviluppa a partire dagli anni 70, in alcuni paesi
europei - Gran Bretagna, Francia, Olanda - dagli anni 80, in Italia
dagli anni 90.
Questa spinta nasce dalla necessità di far fronte alla crisi generalizzata
della prevenzione speciale e alla diffusione incontrollata dell'allarme -
criminalità.
Il punto di partenza coincide, in questo caso, con gli studi sulla paura
della criminalità, sui sentimenti d'insicurezza delle persona, sull'analisi
della 'vittimizzazione', cioè sul fatto che gli individui abbiano o meno
subito reati.
I risultati di tali indagini costituiscono sicuramente materiale utile per
l'elaborazione di adeguate politiche della sicurezza che tengano conto,
in modo consapevole, delle differenze che contraddistinguono le
nostre società così poliformi e stratificate.
Ciò perché è vero che la sicurezza dev'essere certamente garantita a
tutti, ma è anche necessario diversificare gli interventi a seconda delle
situazioni soggettive, a seconda dei bisogni degli individui, in base
alle loro caratteristiche personali - età, razza, sesso, condizione
sociale.
Senza dimenticare, come esito del processo di modernizzazione, che
esiste una dinamica dei rapporti interpersonali talmente complessa e
ricca di simboli, da presentarsi come fenomeno mutisfaccettato ed in
continua e rapida evoluzione.
Ecco allora che la 'paura della criminalità' si atteggia diversamente in
relazione al punto di vista adottato, alla dimensione presa in
considerazione. A tal proposito, gli studi relativi a quel sentimento
hanno cominciato a considerare come fondamentale l'ottica di genere,
così come sottolinea anche Pitch : "l'appartenenza al genere, nelle
4
nostre società, è un criterio ordinatore fondamentale dell'esperienza e
della riflessione sull'esperienza degli individui." ( 1998 : 9 )
La ricerca internazionale, già da tempo, sviluppa un discorso che
coinvolge la dimensione femminile attribuendole importanza centrale
ed un ruolo determinante al fine di interventi concreti e specifici in
ambito urbano.
Sicuramente, l'impulso decisivo in questa direzione è stato dato dal
movimento femminista che ha contribuito a far emergere aspetti prima
ignorati o poco conosciuti e concernenti in modo specifico l'universo
femminile. Ciò ha influito anche sui discorsi riguardanti la sicurezza
consentendo di ampliare il dibattito politico in modo più completo e,
in accordo col principio di eguaglianza, più equo.
La ricerca femminista rivendica l'autonomia delle donne e pone
prepotentemente all'attenzione pubblica tematiche proprie
dell'universo femminile, in contesti culturali permeati dall'ideologia
maschile e da questa guidati e condizionati.
Promuove, inoltre, tutta una serie di studi relativi ai loro problemi, alle
loro esigenze, ed anche agli abusi da esse subiti, risultanti la principale
fonte d'insicurezza.
Il lavoro delle femministe, quindi, ha favorito l'innesto, nell'ambito
degli studi sulla paura della criminalità, della prospettiva femminile,
contribuendo, in tal modo, ad ampliare e a problematizzare la
questione più generale dell'insicurezza urbana.
Le ricercatrici hanno dimostrato, tramite le indagini sulla violenza
contro le donne, quanto fossero diffuse molteplici forme di abusi nei
loro confronti e quanto, perciò, fosse importante, vista l'influenza
decisiva di tali episodi su eventuali sentimenti di paura, la
considerazione delle loro esperienze nell'ambito del discorso globale
sulla sicurezza.
Senza dimenticare che, se da una parte la donna rappresenta la vittima,
d'altra parte l'uomo gioca la parte del carnefice, sfruttando senza limiti
la propria supremazia fisica e 'culturale' sull'altro sesso.
5
Le inchieste sull'insicurezza femminile si caratterizzano, quindi, come
inchieste di vittimizzazione, volte da un lato ad individuare i soggetti
più a rischio, e dall'altro lato ad indagare le motivazioni e gli effetti
conseguenti alla paura della criminalità.
Se però, gli stati d'oltreoceano e di area anglosassone sono più
all'avanguardia, avendo già da tempo individuato possibili strategie
applicabili ( ad esempio trasporti per sole donne, modifiche alle
strutture architettoniche esterne, etc. ), l'Italia, e più in generale,
parecchi stati europei - tra cui Francia e Germania - solo ultimamente
stanno approfondendo lo studio della dimensione di genere e della
paura femminile.
Ostano, ad un pieno riconoscimento della centralità delle esperienze
delle donne, motivazioni di ordine culturale e storico ed un
insufficiente interessamento della classe politica verso l'ambito della
ricerca, che invece, si rivela un supporto indispensabile di conoscenza
ed indagine.
Nel nostro paese, oltre allo 'storico' ritardo che caratterizza ogni
esperienza di cambiamento, la situazione complessiva appare assai
intricata : il tema sicurezza, fondamentalmente, si intreccia, a volte
anche sovrapponendosi, all'emergenza immigrazione.
Ecco, allora, che si innescano processi di colpevolizzazione degli
attori politici, incapaci di gestire la situazione e di non fornire risposte
idonee alle aspettative dei cittadini.
E soprattutto, ancora una volta, si tendono a sottovalutare i due
fenomeni. Innanzitutto non si considera che le migrazioni non si
presentano come fenomeno isolato, ma riguardano molti paesi, ed
inoltre sono il prodotto di dinamiche che esulano dalla dimensione
territoriale nazionale ed abbracciano un'ottica globale,
onnicomprensiva, le cui peculiarità si rinvengono nel libero scambio
delle cose, delle persone, nella prospettiva economica transnazionale,
nella possibilità di comunicazione tra parti del mondo lontane, come
se si trattasse di un vero e proprio 'annullamento dei confini'.
6
Secondariamente, è errato interpretare riduttivamente il problema
sicurezza, trascurando il processo di globalizzazione di cui sopra ed
etichettando incondizionatamente gli immigrati come devianti,
responsabili delle modificazioni che travolgono le basi della nostra
società civile e quindi del degrado ed invivibilità delle nostre città.
Invero, eventuali processi di stigmatizzazione dello straniero sono utili
solo per legittimare l'impiego di mezzi repressivi e quindi continuare a
leggere il problema sicurezza esclusivamente dal punto di vista
dell'ordine pubblico. Bisogna, però, compiere uno sforzo per
sganciarsi da quell'ottica.
Sicurezza implica benessere dei cittadini, di tutti i cittadini, italiani e
non, e oltre a configurarsi come 'assenza di delinquenza', si
caratterizza per includere una condizione più generale di tranquillità,
di fruibilità dello spazio esterno, di modo da renderlo accessibile ad
ogni individuo.
Si tratta, in poche parole, di un bene pubblico perché esula dal
contesto privatistico ed investe un gruppo indefinito di individui.
È dalla nozione, appunto, di bene pubblico, che deve patire lo studio
della sicurezza che non può accontentarsi di accettare stereotipi
cristallizzati nella coscienza comune, ma deve rivolgersi all'analisi
della realtà sociale e della sue stratificazioni da un punto di vista non
solo oggettivo, di fatto, ma anche soggettivo ( analisi dei sentimenti
delle persone coinvolte nei processi sociali ed inserite nella realtà
stessa ).
A questo proposito, una lettura di genere è sicuramente il primo passo
da compiere se si vuole interpretare in modo esauriente il fenomeno
dell'insicurezza dei cittadini. Senza scordare che per donne
s'intendono tutte le donne e quindi anche le extracomunitarie, i cui
stati d'animo non sempre coincidono, anzi molto spesso si discostano,
da quelli delle indigene, e contribuiscono così a configurare il quadro
dell'insicurezza femminile come altamente poliedrico.
7
CAPITOLO PRIMO
PAURA DELLA CRIMINALITA' E DIFFERENZA DI
GENERE : DISTINZIONI CONCETTUALI
1. IL CONCETTO DI PAURA DELLA CRIMINALITA' :
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
A partire dagli anni '70 sulla scena del dibattito criminologico si
affaccia un nuovo ambito di ricerca, quello relativo alla paura della
criminalità.
Il campo scientifico sviluppa la propria riflessione sulla scia dei campi
politico e sociale, attenti alla dimensione sempre più preoccupante che
il tema della paura del crimine andava assumendo soprattutto
all'interno della società statunitense, la quale si sentiva quasi
"paralizzata" da quel sentimento ( Bandini et al. 1990 : 624). Sono
infatti i ricercatori americani, più precisamente coloro che lavorano
presso la Commissione Presidenziale per l'Applicazione della Legge e
8
l'Amministrazione della Giustizia, ad identificare per primi la paura
del crimine come problema contingente e reale.
La letteratura criminologica di matrice anglosassone e statunitense
comincia a preoccuparsi di questa tematica analizzandola innanzitutto
dal punto di vista concettuale.
Si distingue infatti tra "concern about crime" (o paura in astratto ) e
"fear of crime" ( o paura in concreto ) . Mentre il primo concetto
richiama un tipo di preoccupazione generale della gente circa
l'estensione e la gravità del fenomeno criminale, il secondo più
specificamente concerne la dimensione quotidiana della paura, il
timore per l'accadimento di eventi criminali direttamente riguardanti la
propria persona . Si tratta di "una risposta emotiva di timore o
inquietudine per il crimine o simboli che una persona associa al
crimine" , secondo la definizione di impronta interazionista di Ferraro
( 1994 : 23 ), o di " un sentimento di ansietà o insicurezza quando
qualcuno è solo, particolarmente quando è solo e cammina per la
strada di notte e che potrebbe influenzare le scelte dello stile di vita di
una persona o la sua mobilità", secondo la definizione di
Stanko(1987:123).
Furstenberg, per primo, utilizza questa distinzione affermando che "la
risposta di una persona alla notizia di cronaca riguardante l'ultima
crescita nei furti, così come documentata nelle statistiche criminali, è
diversa dall'ansia provocata dall'incontro con uno straniero dallo
sguardo sospettoso . . . la paura implica una minaccia personale
piuttosto che credenze astratte e atteggiamenti verso il problema
criminale" ( Furstenberg citato da Maxfield 1984a : 3 ).
La preoccupazione generale per la criminalità ( concern about crime ),
la percezione del rischio di diventare vittima di un reato ( perception
of personal risk ), ed anche la percezione della diffusione di un certo
evento nel proprio quartiere ( beliefs about crime ) sono tutti aspetti di
una generale definizione di paura, ma, solo la dimensione individuale,
caratterizzata dalla paura per i delitti contro la propria persona e per i
9
delitti contro le proprietà personali si riferisce in modo specifico alla
vera e propria 'fear of crime', alla quale si dedica, con crescente
attenzione, la ricerca criminologica.
Al tema della paura si correla strettamente, in un rapporto simbiotico,
quello della sicurezza, e quindi della collaborazione sinergica tra
analisi scientifica ed azione politica. Un'adeguata politica non può
prescindere dalla conoscenza della realtà e lo strumento privilegiato al
tal fine è rappresentato dalla ricerca sociale, così come dimostrano
l'esempio anglosassone, nordamericano, nordeuropeo. La letteratura
inglese, infatti, separa ulteriormente il concetto di fear of crime (usato
nelle indagini conoscitive ) da quello di community safety (usato
invece nelle indagini politiche ) : il primo riferendosi agli stati
emozionali, alla in/sicurezza personale, il secondo riguardando più
specificamente l'integrità personale dei singoli, la probabilità che essi
diventino vittime di un delitto ( Creazzo 1999 ).
Si potrebbe arguire che, mentre col primo termine ci si riferisce alla
sicurezza soggettiva, col secondo si parla di sicurezza oggettiva, ed
esso è interscambiabile con quello di prevenzione della criminalità,
laddove prevenzione significa "eliminazione o riduzione delle
condizioni che producono insicurezza oggettiva, quindi possibilità di
rimanere vittima di un delitto" ( Creazzo 1999 ).
La distinzione tra sicurezza soggettiva ed oggettiva, comunque,
rimane su un piano puramente concettuale in quanto, dal punto di vista
operativo, i due concetti s'intersecano a vicenda.
La sicurezza soggettiva diventa condizione essenziale per l'intervento
della sicurezza oggettiva, diventa cioè strumento di prevenzione,
definitorio degli obiettivi prioritari delle politiche della sicurezza.
Sicurezza oggettiva, strategia di riduzione reale del rischio di
vittimizzazione, va quindi intesa come mezzo impiegato per
incrementare la sicurezza e per diminuire l'insicurezza soggettiva,
l'insieme di quei sentimenti globalmente considerati come paura della
criminalità.
10
A questo punto viene introdotto un'ulteriore concetto chiave, ossia
quello di rischio, che Douglas definisce come "tentativo di ridurre
l'incertezza", ma che ha irrimediabilmente "subito uno slittamento
semantico per cui rischio diventa sinonimo di pericolo grave ed
inaccettabile" ( Pitch 1998 : 14 ); tesi, questa, confermata dalla
definizione di Ferraro ( 1994 : 11 ) secondo il quale "rischio per
definizione implica l'esposizione a possibilità di perdita o danno"
1
.
Se il rischio diventa allora probabilità che un evento ( negativo ) si
verifichi, allora si trasforma in uno strumento misurabile e la sua
gestione diventa un metodo per produrre maggiore sicurezza. Si
conoscono i rischi quindi si interviene agilmente in funzione di una
loro eliminazione.
Parte della letteratura internazionale si è concentrata di conseguenza
su un'accezione negativa di rischio , legata alla possibilità di essere
vittima di reati, e ciò ha condotto ad un atteggiamento generalizzato di
biasimo della vittima. Se ci è accaduto qualcosa è perché abbiamo
agito nonostante conoscessimo gli esiti della nostra azione, insomma
ce lo siamo proprio cercati : la scelta di correre rischi è del tutto
inspiegabile, irragionevole, la colpa non è dell'aggressore, ma della
vittima, come dire che si studia l'effetto e non la causa (Pitch 1998 :
14; Walklate 1997: 37)
2
.
L'esposizione al rischio è un elemento molto utile per spiegare il
fenomeno della paura della criminalità, com'è ampiamente dimostrato
dalle ricerche condotte a partire dalla fine degli anni '70. Lentamente
però, si comincia a capire che tale paura non è semplicemente
funzione del rischio e delle precedenti esperienze di vittimizzazione,
ma è un fenomeno più complesso, influenzato anche da altre variabili
1
"Rischio è la probabilità di un evento combinata con l'entità delle perdite e dei
guadagni che esso comporta. Tuttavia, il nostro discorso politico svilisce questa
parola. Da un complesso tentativo di ridurre l'incertezza essa è diventata un
ornamento retorico della parola 'pericolo'." ( Douglas 1992 : 43 )
2
"Sotto la bandiera della riduzione del rischio, un nuovo sistema di attribuzione di
colpa ha sostituito la precedente condanna moralistica della vittima e condanna
opportunistica dell'incompetenza della vittima." ( Douglas 1992 : 34 )
11
quali la socializzazione del ruolo, i mezzi di comunicazione di massa,
la percezione della protezione ricevuta dalle agenzie di controllo
sociale formale, che vanno associate alle caratteristiche personali, cioè
età, sesso, razza, reddito (Garofalo 1979 : 84 ) .
Vengono così poste le premesse per un'analisi più dettagliata ed
approfondita della questione .
2. LA DIMENSIONE DI GENERE
Nell'interpretazione e nell'analisi della paura della criminalità sono
state utilizzate più variabili ( ad esempio : età, sesso, razza . . . ), ma
tra esse la più importante, considerata sia da sola sia incrociata ad altre
variabili, è il genere.
E' fondamentale tener conto del fatto che uomini e donne si
comportano diversamente, hanno una differente percezione dei fatti
sociali, e questo non può essere ignorato dallo scienziato sociale se
vuole conoscere e capire a fondo le dinamiche sottese ai rapporti
interpersonali. L ' ottica di genere perciò è strumento necessario ed
indispensabile per indagare e per interpretare la complessità della
vittimizzazione. "Vi sono diverse tendenze che suggeriscono che la
paura delle donne è significativamente diversa dalla paura degli
uomini . . . l'ambito spaziale della percezione del rischio al quale sono
esposte e le loro risposte comportamentali hanno implicazioni per la
loro partecipazione egualitaria all'interno della società " ( Pain 1991 :
415).
La considerazione riservata alla paura femminile nasce da una
necessità di eguaglianza sociale ed è proprio grazie al movimento ed
alla letteratura femminista che il genere si propone come unità di
misura chiave negli studi sulla sicurezza, sulla paura e sul rischio di
vittimizzazione.
12
Soprattutto riguardo a quest'ultimo argomento, Walklate ( 1997 ),
sviluppa una riflessione interessante che costituisce un esempio
significativo di come e quanto sia rilevante, per la ricerca sociale, non
trascurare il genere e le sue varie sfumature.
L'autrice afferma che "la mancata considerazione di un'ottica di
genere in criminologia e vittimologia ha condotto ad un'implicita
accettazione di modi particolari di pensare il concetto di rischio e del
modo in cui tale concetto è stato posto in relazione con la
vittimizzazione" ( 35 ), impoverendo così il dibattito criminologico e
vittimologico.
La Walklate prosegue sostenendo che queste due discipline sono state
influenzate dal positivismo, corrente che può assumere svariate
sfumature, non ultima quella maschilista.
L'ottica maschile infatti, sinonimo di razionalità, caratterizzò ogni tipo
di processo scientifico che fosse profondamente coinvolto nello
sviluppo della società moderna, tanto che anche la criminologia e la
vittimologia non furono estranee a questa influenza
3
.
Walklate lamenta perciò che l'approccio scientifico, ignorando
qualsiasi differenziazione di genere, ha impoverito la comprensione
criminologica dell'esperienza di vittimizzazione, e contesta in tal
senso la riduttività esplicativa del concetto di rischio.
Quest'ultimo viene inteso, secondo una visione esclusivamente
maschile, solo dal punto di vista dell'evitamento, così come
un'interpretazione di stampo razionalista suggerisce, e trascura invece
3
"In questo modo il processo che si sviluppa dall'Illuminismo in poi non solo
critica l'ordine sociale esistente attraverso un percorso razionale, ma anche
privilegia l'aspetto maschile della ragione. Così la conoscenza maschile viene
profondamente coinvolta nello sviluppo delle scienze moderne. Di conseguenza
queste idee risultano collegate a concetti centrali della criminologia e
successivamente della vittimologia. Questi punti fermi, ormai assodati, sono posti
in evidenza ed articolati in modi molto diversi, uno dei quali è rappresentato dalla
concettualizzazione del rischio e dal modo in cui è stata posta in relazione alla
vittimizzazione criminale." ( Walklate 1997 : 37 )
13
l'aspetto della "ricerca del rischio", tuttavia parte integrante della
realtà e dell'esperienza quotidiana (così anche Mary Douglas )
4
.
Walklate nota inoltre che gli scienziati sociali si sono mostrati
riluttanti ad esplorare le paure maschili e hanno mascherato questo
atteggiamento attribuendo alle donne paure legittime : ciò ha portato
al "fallimento dell'esplorazione del rischio come concetto ed anche
come esperienza di genere " ( Walklate 1997 : 40 ) .
La precedente esposizione sulla definizione di rischio chiarisce quanto
sia importante assumere una dimensione di genere nell'approccio
scientifico e come le esperienze di vittimizzazione di uomini e donne
non debbano essere sbrigativamente spiegate sulla base di luoghi
comuni o modelli culturalmente dominanti, ma vadano approfondite
adeguatamente e tenute nella massima considerazione.
Mi sembra comunque che, grazie alla spinta decisiva delle autrici
femministe, i più recenti indirizzi in letteratura e le ricerche si
orientino verso una direzione che considera centrale punto di
riferimento la differenza di genere, studia l'ottica femminile al pari
della maschile e indaga con parametri più corretti il multiforme
fenomeno della paura della criminalità.
4
" . . . il tentativo di evitare una perdita viene presentato come la motivazione
umana razionale, normale. Ma ciò significa soltanto che la cultura utilitaristica
dell'elusione del rischio ha localmente sconfitto la cultura della ricerca del rischio,
e la cancella in quanto patologica ed anormale." ( Douglas 1992 : 45 )
14
3. LA RICERCA
Nell'ambito degli studi sulla paura del crimine il contributo iniziale è
stato fornito dalla ricerca statunitense, per svilupparsi successivamente
in Europa e particolarmente in Gran Bretagna.
Negli Stati Uniti, infatti, nel 1972, il Dipartimento di Giustizia
promosse tuttta una serie di inchieste di vittimizzazione conosciute
come National Crime Survey ( NCS )
5
. A sua volta, l'inchiesta
nazionale si scompone ulteriormente in inchiesta estesa all'intero
territorio ed inchiesta relativa alle città, entrambe svolte con
metodologie diverse, viste le differenti realtà e dimensioni
considerate.
Gli studiosi americani tendono a puntualizzare il fatto che gli studi
relativi alla paura della criminalità siano importanti, essa è meritevole
di uno studio soltanto suo, così come viene dimostrato dal fatto che i
sentimenti d'insicurezza rientrino nel programma d'azione di numerosi
interventi sociali (Garofalo 1979 : 83 ).
In Gran Bretagna, invece, le prime indagini vittimologiche, tese a
valutare l'impatto del crimine sulla popolazione, compaiono agli inizi
degli anni '80, grazie soprattutto all'interessamento della classe
politica. Così come in ambito statunitense, le ricerche vittimologiche
si articolano su due livelli. In primo luogo la dimensione nazionale, e
in questo caso prendono il nome di British Crime Survey ( B C S ) -
dal 1982 ne sono state svolte 6 ( 1982, 1984, 1988, 1992, 1994,
1996 )-, in secondo luogo il livello decentrato, nel senso che esistono
inchieste locali, promosse generalmente da istituzioni periferiche (ad
esempio l' Islington Crime Survey ). Queste ultime si sono rivelate
5
Dal punto di vista operativo le inchieste di vittimizzazione consistono nel
contattare una parte della popolazione e chiedere se abbia o meno subito reati;
costituiscono fondamentalmente strumenti utili sia al fine di svelare il cd. numero
oscuro dei reati, che non risulta dalle statistiche giudiziarie, sia al fine
d'individuare i soggetti più a rischio di diventare vittime di certi reati .
15
molto utili per mettere a fuoco gli errori di carattere metodologico ed
interpretativo delle inchieste nazionali, favorendo così il loro
miglioramento.
Le ricerche locali sono importanti, perché ridefiniscono la portata
della nozione di rischio oggettivo e dei sentimenti d'insicurezza alla
luce delle differenze di ordine geografico, sociale, economico,
prestando particolare attenzione alle differenze di genere, e perché
criticano la facilità con cui le indagini nazionali, che non utilizzano le
precedenti distinzioni, indicano la paura e l'insicurezza come
sentimenti in determinati casi irrazionali e non connesse a reali
situazioni di rischio ( Creazzo 1999 ).
Per quanto invece riguarda il resto dell'Europa, si assiste ad un certo
ritardo rispetto all'esperienza inglese; gli unici paesi che hanno
promosso studi sulla vittimizzazione di un certo rilievo sono l'Olanda
e, in misura minore, la Svezia.
In Olanda la ricerca vittimologica nasce intorno alla metà degli anni
'70 e segue il modello di studio anglo - americano ; essa è però stata
criticata perché insufficiente e poco significativa, e comunque
rimangono difficoltà di accesso ai documenti prodotti, tutti in lingua
olandese, eccezion fatta per qualche articolo in lingua inglese (vedi
Junger 1987 ).
In Svezia invece è stata condotta una ricerca nella città di Stoccolma a
cura di Smith e Torstensson i cui risultati sono stati pubblicati in un
articolo del 1997 sul British Journal of Criminology.
Anche in Italia qualcosa sta cambiando : nel 1997 è stata condotta la
prima indagine nazionale di vittimizzazione, a cura dell'Istat.
Ciò sta a significare che finalmente anche in Italia l'attenzione
politica, sociale, scientifica, si interessa con maggiore preoccupazione
ad un tema, quello della in/sicurezza, che già da tempo è argomento di
discussione e confronto in altre aree e che non può essere di certo
trascurato nella costruzione di una vera e propria democrazia europea.