1.3 La pedagogia degli oppressi
Senza dubbio, "La pedagogia degli oppressi" è un'opera classica che ha
acquisito crescente rilevanza nel corso degli ultimi cinquant'anni. Importanti
intellettuali come Chomsky, Bauman, Amy Goodman, e molti altri, hanno
riconosciuto l'importanza fondamentale di questo testo come fonte di
ispirazione per lo sviluppo di una coscienza critica negli individui,
riguardante il loro rapporto con il mondo circostante.
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Il principale obiettivo di Freire con il suo classico "La pedagogia degli
oppressi" non era quello di proporre una metodologia alternativa, poiché ciò
sarebbe stato in antitesi con la sua critica dei modelli educativi rigidi e
predefiniti. Invece, il suo intento era creare un processo pedagogico di
emancipazione che, attraverso un'alfabetizzazione critica, stimolasse e
sfidasse gli studenti a imparare e affrontare il loro mondo con una riflessione
critica. In questo modo, egli mirava a far emergere nelle persone oppresse
conoscenza, creatività e capacità di pensiero critico costante, elementi
necessari per comprendere i rapporti di potere che causano l'emarginazione
degli oppressi da parte dei loro oppressori. Il libro si proponeva quindi di
risvegliare nelle persone oppresse una consapevolezza che li avrebbe aiutati
a riconoscere e affrontare le tensioni e le contraddizioni presenti nelle
relazioni tra oppressi e oppressori.
32
Al tempo della stesura de "La pedagogia degli oppressi," Paulo Freire era più
preoccupato dell'oppressione di classe rispetto ai rapporti di razza. Questo
interesse predominante era dovuto al contesto storico in cui si era formata
l'oppressione in Brasile e alle esperienze personali del pedagogista brasiliano,
che aveva sperimentato la perdita del suo status di classe media e la necessità
di trasferirsi in una zona povera come Morro da Saude. La denuncia
dell'oppressione presente nel lavoro di Freire non era un semplice esercizio
intellettuale, come spesso si riscontra tra educatori liberali superficiali e
pseudo-critici. Al contrario, essa era frutto di una profonda esperienza
personale e di una ricerca critica sulle dinamiche sociali ed educative. Freire
31
FREIRE Paulo, La pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, 2022, p.7
32
Ivi p.8
si batteva per una pedagogia dell'emancipazione e dell'uguaglianza, cercando
di far emergere la consapevolezza nelle persone oppresse e stimolandole a
lottare contro la loro oppressione e a trasformare la società. La sua critica
all'oppressione era radicata nella realtà e aveva lo scopo di promuovere un
cambiamento effettivo e positivo nel mondo.
1.3.1 La contraddizione oppressori/oppressi e il suo superamento
Secondo Freire, il vero problema si presenta quando ci si interroga su come
gli oppressi, che hanno interiorizzato l'oppressore, possano partecipare alla
creazione di una pedagogia per la loro liberazione. Il primo passo
fondamentale per gli oppressi è prendere consapevolezza della propria
condizione, poiché solo attraverso questa consapevolezza possono
intraprendere il cammino verso la liberazione. La pedagogia degli oppressi,
essendo inaccessibile all'elaborazione da parte dell'oppressore, diventa uno
strumento cruciale per questa scoperta critica: gli oppressi scoprono sé stessi
e, allo stesso tempo, si rendono conto della presenza dell'oppressore,
rivelando così un processo disumanizzante in atto. Durante questa scoperta, è
importante riconoscere che spesso gli oppressi tendono a perpetuare
l'oppressione nei confronti di altri oppressi, diventando essi stessi oppressori
di secondo grado. Questo accade a causa della contraddizione in cui sono
sempre stati coinvolti, e il superamento di questa situazione non è un processo
semplice. L'ideale degli oppressi è quello di diventare uomini veri, ma la
società li ha condizionati a credere che essere uomini significhi essere
oppressori, poiché gli oppressori rappresentano l'unico modello di umanità
che conoscono.
33
Questo fenomeno si verifica perché gli oppressi, in un certo
momento della loro esistenza, finiscono per "aderire" all'oppressore. In queste
circostanze, per gli oppressi, "l'uomo nuovo" non è colui che nasce dalla
trasformazione dell'antica oppressione in liberazione, bensì sono loro stessi
che diventano oppressori di altri. Questa adesione all'oppressore li spinge a
desiderare la riforma agraria non per liberarsi dai loro padroni, ma per
prendere il loro posto e diventare padroni di nuovi servi. A volte, i braccianti
33
FREIRE Paulo, La pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, 2022, p.50
agricoli promossi a fattori diventano addirittura più oppressivi dei loro vecchi
padroni.
Questo conferma la visione di Freire secondo cui gli oppressi, o almeno la
maggior parte di loro, considerano l'oppressore come il modello di ciò che è
l'uomo. Questa dinamica mostra come gli oppressi, una volta liberati,
debbano affrontare la sfida di superare non solo la loro oppressione, ma anche
la tendenza a perpetuare tale oppressione sugli altri. Solo abbracciando una
visione dell'uomo basata sulla libertà, la giustizia e l'uguaglianza, gli oppressi
potranno veramente liberarsi dalla morsa dell'oppressione e costruire una
società più umana e solidale.
1.3.2 Liberazione nella comunione
Il dialogo critico e liberatore con gli oppressi rappresenta la prima azione
liberatrice da intraprendere, indipendentemente dal livello della lotta di
liberazione. Tuttavia, è essenziale che questo dialogo sia condotto con
cautela, evitando di provocare una reazione di furia che potrebbe portare a
una maggiore repressione. A seconda delle condizioni storiche e del livello di
consapevolezza degli oppressi, il contenuto del dialogo può e deve variare.
Sostituire il dialogo critico con l'antidialogo, gli slogan, il verticalismo o i
comunicati equivale a utilizzare strumenti che addomesticano gli oppressi,
come spesso è accaduto nella storia. Liberare gli oppressi senza coinvolgere
la loro riflessione significa considerarli oggetti da "salvare" da un incendio, e
li esporrebbe al rischio di cadere nel populismo e di essere manipolati come
una massa. L'unità inscindibile tra azione e riflessione è fondamentale per
l'essere umano, e pertanto è cruciale avere fiducia nell'uomo oppresso e
riconoscerne la capacità di pensare correttamente.
34
L'azione politica tra gli oppressi deve essenzialmente essere un'azione
culturale per la libertà, coinvolgendo gli oppressi stessi e trasformandoli in
soggetti indipendenti.
35
Tuttavia, questa non può essere una semplice
34
Ivi p.72
35
Ivi p.74
elargizione di aiuto da parte di un gruppo di dirigenti, anche se ben
intenzionati. La liberazione degli oppressi non riguarda oggetti, ma persone,
ed è quindi fondamentale che sia un processo di auto-liberazione, poiché
nessuno può liberarsi da solo. Non può neppure essere una liberazione
parziale attuata da altri. La liberazione deve essere completa. Gli oppressi
sono già stati deformati dalla loro condizione di oppressione; quindi, l'azione
che li libera non può seguire lo stesso processo che li ha deformati. La loro
liberazione richiede un approccio diverso, che li coinvolga come soggetti
attivi e consapevoli nella trasformazione della loro realtà. La convinzione
degli oppressi di dover lottare per la propria liberazione non può essere
considerata un dono concesso loro dalla propaganda rivoluzionaria, ma deve
derivare dalla loro coscientizzazione.
La lucida comprensione della realtà e della situazione storica ha spinto gli
oppressi a criticarla e desiderare di trasformarla. Tuttavia, è essenziale che
questa convinzione sia formata in loro come soggetti, non come oggetti. Gli
oppressi non si impegnano nella lotta senza essere veramente convinti, e se
non si impegnano, mancano delle condizioni necessarie per la propria
esistenza. Devono inserirsi in modo critico nella situazione che li condiziona,
cosa che la propaganda non può fare. La convinzione fondamentale alla base
della lotta è necessaria sia per i leader, che si formano attraverso questa
pratica, sia per gli oppressi. Senza di essa, le trasformazioni saranno fatte per
loro e non con loro, e ciò non rappresenta vere trasformazioni.
La rivoluzione ha un carattere eminentemente pedagogico, come riconosciuto
implicitamente da leader rivoluzionari di tutti i tempi, quando affermano la
necessità di convincere le masse oppresse ad abbracciare la lotta per la
liberazione. Tuttavia, molti di essi, prevenuti contro la pedagogia, finiscono
per adottare metodi tipici dell'educazione dell'oppressore nella loro azione.
Nonostante neghino il ruolo pedagogico nel processo di liberazione,
utilizzano la propaganda per convincere le persone. La lotta è giustificata
dall'obiettivo di garantire agli uomini non solo la libertà di sopravvivere
materialmente, ma anche la libertà di esprimere la loro creatività, costruire,
ammirare e rischiare. Questa è la responsabilità totale che si richiede agli
oppressi nella lotta per umanizzare e superare la contraddizione
oppressori/oppressi. Questa libertà implica che l'individuo sia attivo e
responsabile, e non ridotto a uno schiavo o a una ruota ben lubrificata
nell'ingranaggio sociale. Non è sufficiente che gli uomini non siano schiavi;
se le condizioni sociali favoriscono la creazione di robot, privi di pensiero
critico e autonomia, allora la vera libertà rimane un obiettivo inespresso. La
lotta per l'emancipazione richiede che gli individui si emancipino anche dalla
mentalità di schiavitù e diventino soggetti critici e consapevoli del loro ruolo
nella società. Gli oppressi devono lottare come esseri umani e non come
"cose". Essi sono vittime della loro oppressione, ridotti a uno stato di degrado
che li priva della loro umanità. La vera ricostruzione di sé inizia quando
superano questa fase di essere "quasi-cose" e riconoscono la propria dignità.
Questa necessità è fondamentale e non può essere rimandata; la lotta per la
ricostruzione di sé inizia con l'autoriconoscimento degli uomini che sono stati
distrutti dalla situazione di oppressione.
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Non c'è altra via che non sia quella di una pedagogia umanizzante, in cui i
leader rivoluzionari non si sovrappongano agli oppressi, mantenendoli in uno
stato di sottomissione, ma instaurino con loro un costante dialogo. In questa
pratica pedagogica, il metodo non è più uno strumento dell'educatore per
manipolare gli educandi, ma diventa parte integrante della coscienza stessa.
Il dialogo diventa essenziale per la liberazione e il riconoscimento di sé come
esseri umani. La propaganda, l'autoritarismo e la strumentalizzazione, tipiche
delle forme di dominio, non possono essere gli strumenti per questa
ricostruzione, ma solo il dialogo e la pratica pedagogica umanizzante possono
condurre verso la vera emancipazione degli oppressi. In questo contesto, la
partecipazione degli oppressi nella ricerca della loro liberazione non è una
semplice apparenza o una falsa partecipazione, ma diventa un autentico e
sincero impegno.
36
FREIRE Paulo, La pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, 2022, p.77
1.3.3 La contraddizione educatore/educando
La pedagogia problematizzante pone come condizione essenziale la
contraddizione tra educatori ed educandi. Senza questa superazione, il
rapporto dialogico, fondamentale per la conoscenza dei soggetti coinvolti nel
processo di apprendimento, non può essere realizzato. L'antagonismo tra
queste due concezioni, una al servizio della dominazione e l'altra della
liberazione, si manifesta proprio in questo punto cruciale. Mentre la prima
conserva necessariamente la contraddizione educatore/educandi, la seconda
la supera. Per mantenere questa contraddizione, la concezione "depositaria"
nega il dialogo come essenza dell'educazione e diventa antidialogica; al
contrario, la pedagogia problematizzante afferma la centralità del dialogo e
diviene dialogica.
37
Attraverso il dialogo, avviene una trasformazione in cui emergono nuove
realtà: non ci sono più educatori e educandi distinti, ma entrambi diventano
educatori e educandi l'uno per l'altro. L'educatore non è più solo colui che
trasmette conoscenza, ma anche colui che, durante il processo educativo,
continua a imparare e a crescere grazie al dialogo con gli educandi. Questi
ultimi, a loro volta, mentre apprendono, diventano parte attiva del processo
educativo e contribuiscono a educare l'educatore. In questa prospettiva, non
c'è più un'unica autorità impositiva, ma un'autorità funzionale che si basa sulla
libertà e sulla condivisione. Nessuno educa più gli altri o se stesso, ma gli
uomini si educano reciprocamente in comunione, attraverso la mediazione del
mondo e degli oggetti conoscibili. Non esiste più la pratica educativa basata
sul dualismo, in cui l'educatore possiede la conoscenza e la deposita
passivamente negli educandi, i quali devono solo memorizzare senza un vero
atto di conoscenza. Al contrario, la pratica educativa problematizzante si
fonda sul dialogo e sulla partecipazione attiva di entrambi i soggetti.
L'educatore non si limita a narrare o a depositare contenuti, ma partecipa
attivamente al processo di conoscenza insieme agli educandi. Non c'è
distinzione tra il momento della preparazione e quello dell'incontro con gli
37
FREIRE Paulo, La pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, 2022, p.87
educandi; l'educatore è sempre un soggetto conoscente e partecipante, sia
durante la preparazione, sia durante il dialogo con gli educandi.
38
Nella
pratica educativa problematizzante, l'oggetto conoscibile diventa il luogo in
cui si svolge un costante atto di riflessione sia da parte dell'educatore che degli
educandi. Questi ultimi non sono più semplici destinatari passivi di depositi
di conoscenza, ma diventano ricercatori critici coinvolti in un dialogo attivo
con l'educatore, che a sua volta è un ricercatore critico.
L'educatore che problematizza offre agli educandi le condizioni per superare
la conoscenza superficiale e raggiungere una vera comprensione critica della
realtà. In questo modo, la pratica educativa diventa un atto permanente di
rivelazione della realtà, che sfida gli educandi a rispondere alle sfide
presentate. Quando gli educandi affrontano i problemi proposti, si sentono
sempre più sfidati e, nello sforzo di comprendere e rispondere alle sfide,
sviluppano una comprensione critica che li rende sempre più liberi
dall'alienazione. Questa comprensione li stimola a prendere coscienza del
loro impegno nel processo educativo e a vedere la pratica educativa come
un'azione di libertà, lontana dall'alienazione dell'uomo che si riscontra nelle
pratiche di dominio.
Nella riflessione proposta in "L'educazione come pratica della libertà",
l'attenzione non si focalizza sull'uomo astratto o sul mondo privo di umanità,
ma piuttosto sugli uomini nella loro interazione con il mondo. La vera
riflessione riguarda i rapporti tra la coscienza degli individui e il contesto in
cui vivono, rapporti in cui entrambi si influenzano reciprocamente e vengono
costantemente verificati.
39
Nella concezione "depositaria", l'educatore riempie gli educandi di contenuti
imposti, senza consentire loro di sviluppare una comprensione critica del
mondo. Al contrario, nella pratica problematizzante, gli educandi
acquisiscono la capacità di percepire e comprendere il mondo come un
processo dinamico attraverso i rapporti che stabiliscono con esso. L'obiettivo
è sviluppare un autentico modo di pensare e agire, senza separare il pensiero
dall'azione. L'educazione problematizzante diventa un costante sforzo
38
Ivi p.88
39
FREIRE, L’educazione come pratica della libertà, Mondatori editore, 1974
attraverso il quale gli individui percepiscono criticamente il loro essere in
divenire nel mondo. Sebbene i rapporti dialettici con il mondo esistano
indipendentemente dalla loro percezione, la loro azione è influenzata da come
essi si vedono in relazione al mondo.
Le due concezioni si oppongono nettamente: quella "depositaria" maschera la
realtà con miti e nega il dialogo, mentre quella problematizzante cerca di
liberare dalla demitizzazione, trovando nel dialogo il fondamento essenziale
per scoprire la verità e disvelare la realtà. In conclusione, la pratica educativa
problematizzante promuove la partecipazione attiva e critica degli educandi
nel processo di apprendimento, e li rende consapevoli della propria capacità
di comprendere e trasformare la realtà.
1.3.4 Il dialogo fra l’educazione
Per un'educazione intesa come pratica della libertà, il dialogo inizia quando
l'educatore si pone la domanda su cosa dovrà essere oggetto di dialogo con
gli educandi. Questa inquietudine riguarda il contenuto e il programma
dell'educazione.
Per l'educatore depositante, che adotta un approccio anti-dialogico, la
domanda sul contenuto del dialogo non sorge, poiché egli non considera il
dialogo essenziale. Invece, si preoccupa di definire un programma di lezioni
che presenterà agli alunni. La risposta a questa domanda sarà fornita solo da
lui stesso, senza la partecipazione e l'interazione con gli educandi.
Per l'educatore/educando che adotta un approccio dialogico e problematizza
la realtà, il contenuto programmatico dell'educazione non è un mero elargire
nozioni o imposizioni da depositare negli educandi. Al contrario, esso è il
risultato di una restituzione organizzata, sistematica e arricchita di ciò che gli
individui desiderano sapere.
L'educazione autentica, fondamentale sottolineare, non avviene da una parte
ad un'altra o da un individuo su un altro, ma è un processo collaborativo tra
educatore e educando, con il mondo come mediazione. Questo mondo
impressiona e sfida entrambi, stimolando la formazione di visioni e punti di
vista su sé stessi e sulla realtà circostante. Queste visioni, cariche di ansie,
dubbi, speranze o disperazioni, diventano temi significativi da cui derivano il
contenuto programmatico dell'educazione.
Un equivoco comune legato ad un'interpretazione acritica dell'umanesimo è
quello di ignorare la situazione concreta e l'esistenza stessa degli individui,
cercando invece di imporre un ideale modello di "uomo buono".
L'umanesimo vero, come afferma Furter, risiede nel consentire la piena
consapevolezza della nostra umanità come condizione e impegno, basato
sulla nostra situazione presente e sul progetto futuro.
40
Invece di avvicinarsi agli operai, ai cittadini urbani o rurali, o ad altre realtà,
con l'intento di consegnare loro nozioni come si fa un deposito in banca, o di
40
FURTER, Educazione e vita, Vozes, Rio de Janeiro, 1966, p.26-27 (traduzione personale)
imporre un modello predeterminato, è importante riconoscere la complessità
del loro contesto. Ciò significa evitare di partire da una visione personale
della realtà, poiché ciò può portare al fallimento di piani politici o educativi,
rendendoli distanti dalle esigenze e desideri reali delle persone coinvolte.
41
Perché non hanno preso in considerazione, neppure per un istante, gli uomini
come esseri in situazione cui dirigere il loro programma, ma li hanno trattati
solo come oggetti occasionali della loro azione. Per l'educatore umanista o il
rivoluzionario autentico, il luogo di incidenza dell'azione è la realtà, che deve
essere trasformata insieme agli altri uomini, non sugli uomini stessi. I
dominatori agiscono sugli uomini per addestrarli, per adattarli sempre di più
a una realtà che deve rimanere intatta. Purtroppo, alcuni gruppi di
avanguardia rivoluzionaria, nel loro impegno per ottenere l'adesione del
popolo, cadono nell'errore di questo "racconto" del programma elaborato al
vertice, un approccio caratteristico della concezione "depositaria". Questi
gruppi si avvicinano alle masse rurali o urbane con progetti che possono
corrispondere alla loro visione del mondo, ma non necessariamente a quella
del popolo. Dimenticano che il loro obiettivo fondamentale è lottare con il
popolo per il recupero dell'umanità rubata, e non conquistare il popolo.
Questo verbo "conquistare" non deve far parte del loro linguaggio, bensì del
linguaggio del dominatore. Al rivoluzionario compete liberare e liberarsi con
il popolo, non conquistarlo.
Le élite dominanti, nelle loro realizzazioni politiche, risultano efficienti
quando si servono della concezione "depositaria" (in cui uno degli strumenti
è la conquista), perché essa favorisce la passività, coincidendo con lo stato di
"immersione" della coscienza oppressa. Sfruttando l'immersione della
coscienza oppressa, queste élite la trasformano secondo i loro scopi,
perpetuando così la dominazione. Al contrario, l'educatore umanista o il
rivoluzionario autentico cerca di risvegliare la coscienza oppressa, di
emanciparla dalla passività e di lottare insieme a essa per la liberazione,
costruendo un rapporto dialogico e di trasformazione reciproca con il popolo.
Il compito vero è: mai fare dissertazioni astratte.
Un lavoro autenticamente liberatorio è incompatibile con questa pratica.
L'obiettivo deve essere quello di stimolare negli oppressi una riflessione
41
FREIRE Paulo, La pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, 2022, p.104
critica sui dettami degli oppressori, affinché possano liberarsi da queste
influenze interne. Gli umanisti non devono impegnarsi nella lotta degli slogan
contro gli oppressori, usando gli oppressi come semplici portatori passivi di
messaggi. Il loro vero impegno consiste nel far prendere coscienza agli
oppressi che, a causa del loro essere "ospiti" degli oppressori e quindi soggetti
dualisti, non possono liberarsi se non comprendendo appieno questa
condizione.
Questa pratica richiede un approccio alle masse popolari che non miri a
portare loro un messaggio "salvifico" da depositare, ma che miri a conoscere,
attraverso il dialogo, la loro oggettività e la coscienza che hanno di essa: i vari
livelli di percezione di sé stessi e del mondo in cui si trovano.
Non possiamo aspettarci risultati positivi da un programma educativo o
politico se esso invade la cultura popolare, senza rispettare le visioni del
mondo che il popolo ha o sta elaborando. Il contenuto di un programma deve
essere organizzato a partire dalla situazione esistenziale, concreta e presente
del popolo, rispecchiando le sue aspirazioni.
42
Il vero compito è proporre al popolo, attraverso le contraddizioni esistenti, la
sua situazione attuale come un problema che lo sfida e gli chiede una risposta,
sia a livello intellettuale sia di azione. Non bisogna mai cadere in dissertazioni
astratte, ma essere sempre radicati nella realtà e nella concretezza
dell'esperienza dei popoli.
42
Ivi p.107