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Il termine “simbolismo” risale alla poesia di Charles Baudelaire. I primi versi del sonetto
“Correspondances” infatti, recitano: “La Nature est un temple où de vivants piliers / laissent
parfois sortir de confuses paroles; / l’homme y passe à travers des forêts de symboles / qui
l’observent avec des regards familiers”. 2)
Abbandonando tutta una letteratura dominata dalla scienza, questa nuova generazione
mirò a riprendere tutto ciò che aveva per soggetto e fondamento il mistero, il sogno.
Fu un periodo d'innovazioni più spesso soggettive, di ricerca in tutte le sfere della
conoscenza umana. La stanchezza del senso borghese e del positivismo portò l'artista alla
valorizzazione di una realtà soggettiva più interiorizzata in contrasto con l'oggettività
naturalistica.
Si formarono i differenti rami d'una medesima corrente, ma il cui scopo era unico: fuggire
la realtà finita, le leggi mentali. Una certa religiosità, un'inquietudine metafisica, un bisogno
di evasione dalla prosaicità del reale invasero la mente di questi uomini nuovi. Per i simbolisti
la poesia, e l’arte in genere, è unico strumento di comprensione e di conoscenza, unica
interprete della realtà.
Era perciò naturale che si elevassero alle altezze di maestri Charles Baudelaire (Les Fleurs
du Mal, 1857; Petits poèmes en prose ou Le Spleen de Paris, 1869), e i due viventi, Stéphane
Mallarmé, considerato, come già detto, il caposcuola (L’Après-midi d’un faune, 1876; il saggio
Divagations, 1897, uno dei più importanti manifesti del simbolismo) e Paul Verlaine
(Romances sans paroles, 1874) per il loro anticonformismo che stava alla base del movimento
simbolista e che portava alla bizzarria, all'oscurità letteraria, allo scandalo. Si pensò che tutto
ciò fosse una manifestazione di decadenza sociale; ma ogni nuovo movimento comporta una
separazione da leggi che sono divenute consuetudinarie a vantaggio di altre che soltanto
l'agguagliamento renderà accettabili.
Impressioni, stati d'animo, aspirazioni vennero da Baudelaire resi attraverso la suggestione
musicale che sfociò nel lirismo di Verlaine quale bisogno di superamento della realtà
circostante alla ricerca di un mondo ideale.
Significativo il contributo dato da un altro precursore del simbolismo, Arthur Rimbaud,
autore di Le Bateau Ivre, 1871; Illuminations, 1872; Une saison en Enfer, 1873, e che scrisse
quasi tutti i componimenti prima dei diciannove anni. Per Rimbaud il poeta è un creatore, un
nuovo Prometeo alla conquista del fuoco divino attraverso l'investigazione dell'inconoscibile.
Questa concezione portò al surrealismo di cui fu precursore anche un altro esponente del
simbolismo, Lautrémont, autore de I canti di Maldoror, 1868, e il cui fondatore, adoperando
un termine di G. Apollinaire, fu André Breton che nel 1924 pubblicò il Manifeste du
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Surréalisme che dopo la pubblicazione del Secondo Manifesto nel 1930 prese il nome di
Premier Manifeste du Surréalisme.
Secondo Breton, richiamandosi ai meccanismi del sogno di Freud, per surrealismo si intende
un “automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per
iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero… in assenza di
qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o
morale”.
Un altro aspetto del simbolismo fu evidenziato da Mallarmé che alla realtà trascendentale
voleva arrivare attraverso la concentrazione del pensiero e la purificazione del linguaggio.
Fu questa via che condusse a Paul Valéry.
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PARTE PRIMA
L'UOMO: STORIA DI UNA VITA, DI UN'ANIMA, DI UNO SCRITTORE
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Per comprendere il grande sconvolgimento interiore di Paul Valéry che cambiò ogni
direzione della sua mente e che ebbe luogo a Genova durante la notte dal 4 al 5 ottobre 1892, è
necessario considerare alcuni eventi della sua vita.
Paul Valéry aveva detto a proposito della conoscenza della biografia di un poeta trattarsi di
una conoscenza inutile se non nociva. La vita di un autore, a suo dire, è dunque qualcosa che
falsa la realtà del contenuto di un'opera perchè altro è l'uomo, altro è l'autore. 1)
"Rien ne fausse plus l'idée la plus utile et la plus profonde que nous puissions faire de la
production humaine que le mélange d'un état civil, d'histoires de femmes ou autres avec la
considération intrinsèque d'un ouvrage. Ce qui fait un ouvrage n'a pas de nom". 2)
E' certo, però, che i casi della vita influiscono in maniera rilevante sulla formazione della
personalità di un individuo.
Per quanto inutile possa apparire lo studio della biografia, essa ha un'importanza notevole
per meglio comprendere l'evoluzione e la maturazione di un autore. Naturalmente una
biografia che non si riduca semplicemente alla cifra degli anni, ma che comprenda
un'osservazione attenta degli eventi della vita in relazione all'evoluzione del pensiero.
Paul Valéry nacque a Cette, l'odierna Sète, nel dipartimento dell’Hérault in Linguadoca, il
30 ottobre 1871.
"Essa è costruita sul fianco d'una penisoletta montagnosa, che si congiunge alla terraferma
per mezzo d'una lingua di sabbia; traverso questa, dal mare alle paludi della costa corrono
misteriose correnti d'acqua dolce e salata di cui i geologi non sono mai riusciti a spiegare il
celato percorso e la rispettiva purezza. Vi si potrebbe riconoscere un'allegoria, o addirittura
la somiglianza alla sua terra dell'ingegno di Valéry, tutto intersecato da vene prossime e
remote di poesia e di cultura, arcano labirinto in cui le "calcolate lacune" e le "tenebre
volontarie" 3) dei versi si affiancano alla cristallina, classica chiarezza della prosa". 4)
Sul senso delle "tenebre", in una lettera del settembre 1942 inviata a Beniamino Dal
Fabbro, Paul Valéry affermava:"Personne, mieux que moi, ne peut apprécier le merite d'une
traduction de poèmes dont la substance et la forme offrent des difficultés égales. Ce n'est
point que j'aie cherché a étre un auteur obscur, ce qui serait un dessein bien absurde; mais je
m'étais fixé certaines conditions de "densité" et certaines autres d'harmonie, et le résultat a
été ce qu'il a été: avec beaucoup de travail, sans doute".5)
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Lasciata la sua città natale all'età di tredici anni si trasferì a Montpellier dove fece i suoi
studi secondari - non molto entusiasticamente - e frequentò la Facoltà di diritto. Abitò in una
vecchia casa in via Urbain V " au fond d'un vieux jardin à demi rôti, à demi moisi".
Quel giardino è definito da lui stesso "mon refuge et mon âme" e rappresentò certamente
per lui un monito alla sua poesia originale, ma non senza una certa influenza esercitata dai
poeti simbolisti che miravano a "reprendre à la musique leur bien", una fusione di musica e
poesia che risaliva ad Orfeo: un concetto notevole nella poesia di Paul Verlaine.
“Ce qui fut baptisé : Le Symbolisme, se résume très simplement dans l’intention commune
à plusieurs familles de poètes (d’ailleurs ennemies entre elles) de « reprendre à la musique
leur bien »“ 6)
Quel giardino fu un luogo di iniziale e suprema ispirazione in cui verrà concretandosi la
caratteristica fisionomia del giovane Paul. Sin da quel tempo e per successivi eventi egli iniziò
un dialogo con la sua anima, la sua coscienza e ciò che lo circondava. In quell'età di
formazione, di passaggio dall'adolescenza alla giovinezza, Paul Valéry cercò di dare una
spiegazione al problema esistenziale.
In "Variété I", nel capitolo intitolato "Au sujet d'Euréka", ci parla della sua giovinezza
letteraria:"Avevo vent'anni e credevo nella forza del pensiero. Stranamente soffrivo di essere,
e di non essere. Talvolta mi sentivo virtù infinite; ma esse cadevano di fronte ai problemi; e io
mi disperavo per la debolezza dei miei effettivi poteri. Ero tetro, leggero, facile alla superficie,
duro nel fondo, estremo nel disprezzo, assoluto nell'ammirazione, agevolmente disposto agli
influssi, impossibile da persuadere. Avevo fede in alcune idee che mi erano venute; e
prendevo la conformità ch'esse avevano col mio essere, che le aveva generate, per un segno
certo del loro valore universale..." 7)
E' l'epoca delle prime importanti letture: V. Hugo, G. Flaubert, T. Gautier e delle prime
composizioni da "Elévation de la lune" pubblicata nel 1889 nel Courrier Libre da Karl Boes
alle due pièces "Le Jeune Prêtre" e "La Suave Agonie" inviate a Stéphane Mallarmé, a "Pour
la Nuit" pubblicata nella Revue Indépendante nel 1890 come le due precedenti. Collaborò
anche ad altre riviste letterarie simboliste e parnassiane: Sirynx, L’Ermitage, La plume,
Centaure (di cui fu uno dei fondatori).
Lo spirito mistico che circola in queste prime poesie ci è spiegato da lui stesso in uno scritto
giovanile, "Moi":
"Il adore cette religion qui fait de la beauté un de ses dogmes et de l'Art, la plus magnifique
de ses apôtres. Il adore surtout son catholicisme à lui, un peu espagnol, beaucoup
"wagnérien" et "gothique". Quest'ultima affermazione mostra già chiaramente gli elementi
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costitutivi del pensiero valeriano: "wagnérien" è per lui penetrazione nell'essenza della
natura per scoprirvi i valori eterni; "gotique" è elevatezza e certezza ineluttabile. Elementi
che mostrano un'anima solitaria, attratta dalla vita claustrale in momenti di esaltazione
mistica, ma in cui Dio è l'espressione interiore dell'"ideale particolare" di ogni uomo e Satana
il suo contrario.
Nelle sue prime poesie oltre che di Mallarmé, Paul Valéry subì l'influsso di Baudelaire e di
Edgar Allan Poe.
Nell'introduzione all'edizione italiana di "Charmes", Beniamino Dal Fabbro, citando la
prefazione di Valéry nell'edizione francese col commento di Alain sulla non unicità del senso
dei suoi versi per tutti i lettori, affermazione "di una libertà grandissima quanto alle idee" di
cui gode il lettore, 8) cita gli apporti che contribuirono alla formazione letteraria del Valéry: I
principii di Edgar Poe riguardo alla lirica (vedi particolarmente il saggio sulla "Filosofia della
composizione" applicata alla sua poesia "Il corvo". Per i rapporti di Valéry con Poe, che
proseguono quelli di Baudelaire e di Mallarmé, vedi "Au sujet d'Eurèka" in Variété I); le
estetiche parnassiane e simboliste dedotte da Baudelaire e da Banville; e la "alchimie du
verbe" di Rimbaud (vedi "Une saison en Enfer"), con quel supremo affinamento cui mirava
la "poesia assoluta" di Mallarmé (vedi "Crise du vers" in "Divagations"). Non ho citato dalla
stessa introduzione l'apporto della "teoria di Walter Pater sul fondamento musicale d'ogni
arte, in quanto il Valéry, nella già citata lettera del settembre 1942 inviata a Beniamino Dal
Fabbro, faceva notare un "minimo errore": "Je n'ai jamais lu W.Pater...".
Fin d'allora i suoi interessi non si limitarono solamente alla poesia, ma anche alla pittura,
all'architettura e grazie all'amicizia con Pierre Féline, alla matematica e alla ricerca
scientifica.
Nel 1890 conobbe all'Università di Montpellier Pierre Louÿs, che lo distolse dall'influsso
del decadentismo di Huysmans. Dice Paul Valéry stesso dell'importanza di tale incontro:
"L'amitié de Pierre Louÿs fut une circonstance capitale de ma vie... La conséquence fut
pour moi d'être presque aussitôt contraint à écrire: (sembra una contraddizione alla sua
affermazione sull'inutilità della conoscenza della biografia di un autore) c'est lui qui m'à
présenté quelque soir à Mallarmé. La plupart de mes premiers vers ne furent fait que pour
être échangés contre les siens ou bien pour nourrir la petite revue qu'il avait fondée...9) C'est
lui qui soumettait à Hérédia, à Henri de Regnier, ces essais que je tentais loin de Paris".
9
Pierre Louÿs fu uno scrittore sensuale, ma principalmente assertore della perfezione
dell'arte dello scrittore, come si evince dalla lettura di "Vues sur Pierre Louÿs":
"Artiste, il y a trente ans, signifiait pour nous un être séparé, consacré, à la fois victime et
lévite, un être choisi par ses dons et de qui les mérites et les fautes n'étaient point ceux des
autres hommes... Notre dieu inconnu et incontestable était celui qui se manifeste par les
oeuvres de l'homme en tant qu'elles sont belles et gratuites".
La loro lunga amicizia - come é testimoniato dalla corrispondenza degli anni 1915-17 -
comportò un arricchimento e un ampliamento degli orizzonti mentali di Paul Valéry; ma fu
l'incontro con Stephane Mallarmé, di cui frequentò il salotto in rue de Rome, l'effetto più
importante dell'amicizia con Pierre Louÿs, con le sue risultanze letterarie e filosofiche, prima
fra tutte l'operazione mentale atta a rendere impotenti i fantasmi della mente, da cui un
nuovo concetto di ritmo poetico assoggettato alle misure matematiche: "fuoco interiore in luce
fredda di diamante".
Sempre nel 1890 Paul Valéry conobbe a Montpellier André Gide con cui mantenne un lungo
rapporto di amicizia come si desume dalla ricca corrispondenza pubblicata nel 1955.
Una sera passeggiando nel Giardino Botanico, si sedettero sulla tomba della figlia del poeta
Young che vi aveva fatto scolpire queste parole latine: "Narcissae placandis manibus".
Questa circostanza porterà il Valéry alla composizione di alcune poesie traenti ispirazione
da Narciso e allo sviluppo e definizione di temi che saranno ripresi o aggiunti in
componimenti successivi. Temi che esprimono la sua tristezza intellettuale dinanzi all'oscurità
in cui è immersa la mente umana e all'incapacità di svelare il mistero universale. Dal suo
animo giovanile eppur maturo si sprigiona un grido:
"Et je clame aux échos le nom des dieux obscures" 10) quasi a voler ridurre la sua
incapacità, anzi affermando intrinsecamente la possibilità che "les échos" rispondano,
attraverso un accrescimento della mente e dello spirito. Da questo momento inizierà per lui un
periodo introspettivo che durerà parecchi anni. Egli scomparirà dalla scena letteraria e si
dedicherà ad un lavoro ben più importante quanto può esserlo un lavoro di meditazione, di
introspezione, di analisi. Un lavoro che risolverà molti suoi problemi, per quanto gli sarà
concesso. Un lavoro che accrescerà il sapere umano aprendo nuovi orizzonti; una pietra
miliare sulla strada che porta alla spiegazione.
Fu a Genova, lo stesso mese in cui avrebbe compiuto il ventunesimo anno di età, che di
notte, mentre fuori infuriava un temporale, prese la decisione di rinunciare alla poesia.
10
Genova. Una città dalla storia luminosa, gloria d'Italia, patria di Colombo, di Mazzini,
eminenti pedine del grande e misterioso gioco universale. Più volte questa città aveva assistito
ad importanti eventi che avrebbero influito in modo decisivo sulla storia umana. Nessuno
potrà negare che alla formazione della nostra storia partecipino tutti gli uomini della terra, e
direi ancor meglio, tutti gli esseri viventi e non viventi che influenzano la nostra condotta e le
nostre riflessioni, ma tocca a pochi privilegiati fissarne i caratteri con inchiostro indelebile e
necessario. Non si può negare il legame che intercorre fra individuo e individuo, fra essere
vivente e pura materia. Quale influsso eserciti su un uomo la visione esterna delle cose è
risaputo: anche la cosa più insignificante può rivelare una nuova via intravista
inconsciamente; il passaggio dal buio meditativo, pieno di contraddizioni, di promesse e di
inadempimenti, alla luce cosciente e senza contraddizione d'una sfera superiore donde si apre
una sola via: la via all'Essere, all'Io Supremo.
Notte dal 4 al 5 ottobre 1892. Fuori infuriavano gli elementi. L'uragano e la burrasca erano i
soli dominatori delle case, delle vie di Genova. In quegli stessi momenti in una di quelle vie, in
una di quelle case una tempesta ben più violenta si abbatteva sull'animo di Paul Valéry.
Sin dalla più tenera infanzia Paul Valéry lasciava ogni anno la sua città natale per andare a
trascorrere una stagione a Genova, presso una zia, sorella della madre.
La madre, Alessandrina Grassi, che tutti chiamavano familiarmente Fanny, era una donna
amabile e molto affezionata al figlio. Apparteneva ad un'antica famiglia italiana che ebbe un
arcivescovo di Milano nel XVII secolo, il cardinale Federico Visconti. Il nonno materno di
Paul, Giulio Grassi, precursore dell'unità italiana, ostile all'Austria, finì la sua vita console
d'Italia a Sète. Il bisnonno Jules-Dominique-Constantin Grassi aveva combattuto con le
armate napoleoniche nel 1814 ed era stato ferito davanti a Troyes in Champagne. A Sète,
Alessandrina conobbe Bartolomeo Valéry, controllore generale delle dogane, nato a Bastia, e
che sposò nel 1861. Egli discendeva da una famiglia corsa il cui nome era Valeri, francesizzato
in Valéry.
Dalle sue vacanze a Genova con la madre, dai bagni di Nervi con la zia, sposata Cabella, il
Valéry ricavò grande nutrimento per la sua anima.
Confessò una volta a Valéry Larbaud cui dedicò "Gênes, ville de chats. Coins noirs":
"Ces impressions de soleil familier et d'eau mordante, de vie consumée à demi-nu, de temps
ardemment perdu, longtemps sont demeurées en moi à l'état de resource et d'idéal".11)