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Così mi sono posto alcune domande: perché questo tipo di
disturbi colpisce prevalentemente il genere femminile? Perché la
televisione, i giornali danno così poco spazio a questo genere di
disturbi? È una malattia sociale? Si tratta di disturbi recenti? Che
tipo di famiglie sono quelle in cui si sviluppa, ad esempio, il
sintomo anoressico? Che tipo di genitori sono? Iperprotettivi o
assenti? Chi è l’anoressica/bulimica? Cosa sente, cosa pensa?
Queste sono solo alcune domande a cui ho cercato di dare una
possibile risposta, attraverso la consultazione delle pubblicazioni
dei più importanti, e non, autori che si sono occupati di questo
tipo di disturbi.
Questo mio lavoro è diviso in quattro capitoli: nel primo
tenteremo di ripercorrere brevemente la storia dei disturbi del
comportamento alimentare, in particolare dell’anoressia: dalle
prime descrizioni e classificazioni della sintomatologia sino alla
classificazione attuale del DSM IV. Poi passeremo in rassegna le
principali teorie sui disturbi del comportamento alimentare.
Il secondo capitolo è dedicato alla Teoria di Attaccamento di
Bowlby (1969, 1973, 1980, 1988) e alla individuazione da parte
di M.D. Ainsworth dei pattern di attaccamento Sicuro, Insicuro-
Ambivalente e Insicuro-Evitante.
Nel terzo, analizzeremo i principali sviluppi della teoria
dell’attaccamento grazie ai contributi di Patricia Crittenden
(1994, 1999), Peter Fonagy (1999, 2002) e Bretherton (solo per
citarne alcuni), e i metodi di valutazione dell’attaccamento nel
bambino e nell’adulto. Una particolare attenzione sarà riservata
all’elaborazione delle informazioni da parte del bambino e ai
Modelli Operativi Interni.
Nella quarta ed ultima parte, analizzeremo l’ipotesi della
trasmissione intergenerazionale dei pattern di attaccamento
7
facendo riferimento alle pubblicazioni di autori quali Mara
Palazzoli Selvini (1963, 1975, 1988, 1998), Doane e Diamond
(1994), Cirillo (1996) ed altri. Inoltre, analizzeremo le
personalità di entrambi i genitori dell’anoressica, dei
fratelli/sorelle, i rapporti della coppia coniugale con le rispettive
famiglie d’origine e i corrispondenti rapporti con i pazienti.
Illustreremo alcuni esempi di percorsi del sintomo anoressico:
dalla situazione familiare preesistente il sintomo sino alla sua
esplosione ed al significato che esso assume nell’equilibrio
familiare. Ipotizzeremo, inoltre, le somiglianze e le differenze
della famiglia dell’anoressica con la famiglia del
tossicodipendente (Cirillo e colleghi, 1996).
Infine, ci soffermeremo brevemente ad analizzare dal punto di
vista sociologico i fattori culturali e sociali che contribuiscono
alla vulnerabilità dei ragazzi e ragazze, sottolineando come la
percentuale dei casi di anoressia maschile sia notevolmente in
crescita.
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Capitolo I
Disturbi del comportamento alimentare
1.1 Cenni storici
Per Disturbi del Comportamento Alimentare intendiamo
attualmente due principali patologie: l’anoressia nervosa e la
bulimia nervosa. La letteratura sull’anoressia nervosa è
particolarmente ricca sin dal XVII secolo. Sotto la
denominazione di anoressia mentale furono descritte altre forme
di inanizione psicogena la cui inclusione ha confuso e complicato
il problema diagnostico e prognostico. Probabilmente già nel
Medio Evo erano presenti casi di anoressia mentale, ma la
paternità del primo contributo sull’argomento è da attribuirsi al
medico inglese Morton che nel XVII° secolo descrisse alcuni casi
di perdita dell’appetito e delle funzioni digestive accompagnate
da amenorrea, stitichezza, dimagrimento, iperattività e rifiuto di
ogni forma di cura che etichettò con il nome di “atrofia o
consunzione nervosa”. Morton ipotizzò che alla base di questo
quadro sintomatico vi fossero delle sofferenze morali. Due secoli
dopo (XIX° secolo), l’anoressia diventa una moderna entità
clinica. Lasèque (1873), un medico francese, parlerà di anoressia
isterica, Huchard (1883) di anoressia mentale. Gull (1873) per la
9
prima volta utilizzò il termine di “anoressia nervosa” attribuendo
la causa della malattia ad uno stato mentale particolare dovuto ad
un’emozione tenuta nascosta dalla paziente. Fino ai primi del
XX° secolo si riteneva che questo tipo di malattia avesse come
base solo un’alterazione psichica: tutti gli autori indicavano
come cura la terapia psicologica consigliando l’isolamento della
paziente. Anche Charcot (1885) considerava l’isteria come
substrato della struttura anoressica senza considerare che
strutture psicologiche differenti dagli isterici si ritrovavano
nell’anoressia mentale. Nel 1914, fu Simmonds, descrivendo la
morte di una ragazza con cachessia il cui esame autoptico
evidenziava un’atrofia del lobo anteriore dell’ipofisi, a porre
l’accento sull’origine fisiologica della patologia.
Successivamente questa ipotesi sarà smentita dall’evidente
inefficacia dei trattamenti ormonali nella cura della malattia: in
quel momento sarà dimostrata la secondarietà della
sintomatologia endocrina in rapporto al disturbo maggiore
costituito dall’assenza dell’appetito (E.J. Kestemberg, 1972). La
concezione isterica dell’anoressia mentale viene ampliata da S.
Freud e tutta la sua scuola: anche se non ha mai affrontato
apertamente la malattia, S. Freud, pone l’accento sull’aspetto
depressivo dell’anoressia proprio nella descrizione di alcuni casi
clinici. In “Un caso di guarigione per ipnosi” (1893) e “Studi
sull’isteria” (1895) l’autore rinvia l’anoressia ad un sintomo di
conversione, pur mettendo l’accento sulla rimozione
dell’erotismo orale. Nei “Tre Saggi Sulla Teoria Sessuale” (1905)
però Freud stabilisce una relazione diretta tra la sensibilità
esogena bucco-labiale e i disturbi della suzione che ne dipendono
e la rimozione dell’appetito: descrive la sessualizzazione delle
funzioni alimentari per fissazione all’erotismo orale, alla zona
10
erogena bucco-labiale, con quello che essa evoca d’arcaico e di
fusionale nel meccanismo delle identificazioni primarie destinate
ad instaurare il fantasma del corpo e nello stesso tempo le
fondamenta simultanee dell’Io e dell’Oggetto (E.J. Kestemberg,
1972). In seguito considerò l’anoressia come una forma di
melanconia in ragazze con una sessualità non ancora completa.
Karl Abraham (1920) parlerà dello stadio orale-cannibalico in cui
l’attività sessuale è fusa con l’ingestione alimentare avendo
entrambe lo stesso oggetto. Più tardi ipotizzerà che l’atto del
nutrirsi equivale inconsciamente per queste pazienti all’atto
sessuale, da qui la paura di rimanere incinta come causa
possibile della limitazione nel cibarsi.
Anche dopo la seconda guerra mondiale l’attenzione degli
psicoanalisti è rivolta al sintomo non sfruttando le nuove
teorizzazioni del maestro Freud sull’angoscia; solamente la Klein
(1934) apre una nuova prospettiva: sostiene che […] Davanti agli
oggetti sadicamente distrutti che potrebbero essere fonte
d’avvelenamento e di pericolo all’interno del corpo del soggetto,
l’angoscia paranoie spinge questo, malgrado la violenza dei suoi
attacchi sadico-orali a diffidare profondamente degli oggetti, nel
momento stesso in cui li incorpora. Ne segue un indebolimento
dei desideri orali. Le sue pubblicazioni offrono la possibilità di
considerare allo stesso momento le relazioni precoci del bambino
con le figure d’accudimento ed anche il ruolo dell’ambiente.
Successivamente ai lavori d’impronta psicoanalitica si sono
affiancati studi che hanno privilegiato lo studio delle dinamiche
affettive e dei fattori neurobiologici. Più tardi, psichiatri ad
orientamento fenomenologico come L. Binswanger (1958)
1
e
1
“Antropoanalisi di un caso di anoressia nervosa: ruolo dell’ombra e del mistero” (1958).
11
Kuhn (1960) daranno un importante contributo nello studio di
questa patologia.
A partire dalla metà del secolo scorso l’attenzione si è spostata
dal sintomo alle possibili cause grazie alla “Teoria
dell’attaccamento” formulata da J. Bowlby (1969, 1973, 1980,
1988) ed ai successivi studi sulla diade madre/bambino. Negli
anni sessanta un indirizzo psicologico, sviluppatosi a Palo Alto in
California, si diffonde in Europa e, partendo dal concetto di base
secondo cui tutto è comunicazione (anche l’apparente non-
comunicazione è comunicazione), pone l’accento sulla famiglia
come sistema unico.
2
Negli ultimi anni molti sono gli autori, come Doane e Diamond
(1994), che hanno integrato la Teoria dell’Attaccamento di
Bowlby e la Teoria Sistemica delle relazioni familiari
pubblicando importanti opere.
Recentemente uno dei maggiori contributi alla comprensione dei
disturbi del comportamento alimentare è dato dai non-
psicoanalisti come H. Bruch (1962, 1978, 1988), H. Thoma
(1961), H. Bliss e C. Branch (1960), E. e J. Kestemberg (1972),
Selvini (1963, 1975, 1988, 1998) solo per citarne alcuni, che
hanno evidenziato il ruolo delle esperienze traumatiche
dell’infanzia come una delle cause di questo gruppo di disturbi.
1.2 Clinica anoressia
Attualmente dal punto di vista psichiatrico l’anoressia nervosa è
una sindrome ben precisa, tuttavia non vi è ancora un accordo
2
Vedi par 4.2 e nota 16..
12
sulla gravità della malattia psichiatrica di fondo. Secondo il
DSM-IV l’anoressia è una sindrome in quanto si tratta di un
complesso di sintomi ben definito e per la diagnosi devono
esserci:
1) un rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso
minimo normale;
2) un intenso timore di acquistare peso;
3) una grave alterazione dell’immagine corporea;
4) nel sesso femminile amenorrea, cioè assenza di almeno tre
cicli mestruali consecutivi.
Il DSM-IV prevede due sottotipi d’anoressia nervosa in base alla
presenza o meno di condotte d’eliminazione o di abbuffate: il
sottotipo con restrizioni (resricting type), in cui la perdita di peso
è ottenuta principalmente con la dieta, e il sottotipo con abbuffate
e condotte di eliminazione (binge-eating/purging type), in cui
rientrano i soggetti che nell’ultimo episodio hanno presentato
regolarmente abbuffate e/o condotte di eliminazione.
L’ ICD-10 invece richiede in modo specifico che la perdita di
peso sia autoindotta mediante l’evitamento dei cibi ipercalorici e
che nel sesso maschile vi sia perdita dell’interesse e della
potenza sessuale. L’ ICD-10 esclude la diagnosi di anoressia
nervosa se sono state regolarmente presenti abbuffate a
differenza del DSM-IV che dà la precedenza alla diagnosi di
anoressia rispetto a quella di bulimia nervosa.
Parlando di anoressia nervosa possiamo isolare una forma tipica
che corrisponde al quadro in assoluto più frequente: di solito
compare tra i 14 e i 25 anni, anche se si possono osservare casi
tardivi, e riguarda quasi esclusivamente soggetti in età
adolescenziale e giovane-adulta di sesso femminile. I sesso
maschile è colpito nell’ordine del 5-10%. Nella maggioranza dei
13
casi si tratta di ragazze figlie uniche e di livello sociale piuttosto
elevato. La perdita di peso è ottenuta con la riduzione della
quantità totale di cibo assunta; spesso tale restrizione avviene a
seguito di uno shock emotivo o di un conflitto psicologico. Di
solito tale malattia non ha un esordio acuto ossia i soggetti si
limitano ad una semplice selezione degli alimenti escludendo i
cibi ipercalorici, seguendo magari una dieta. Poi la restrizione
investe tutta una serie di alimenti fino a quando l’alimentazione
viene limitata a poche categorie di cibi. Inoltre tutta una serie di
disturbi digestivi minori, come pesantezza, stipsi e nausea
possono rinforzare il comportamento anoressico: ad esempio la
condotta anoressica viene attuata di nascosto dai familiari, tanto
che la ragazza evita di consumare i pasti con il resto della
famiglia agli orari abituali. Il dimagrimento coinvolge l’intero
corpo e conferisce alla paziente un aspetto impressionante con un
viso pallido, occhiaie, guance scavate; la pelle diviene secca,
piena di rughe, i capelli si sciupano, le estremità degli arti sono
fredde e la cianosi è piuttosto evidente.
“Anoressia” significa perdita dell’appetito ma è chiaro che
inizialmente si tratta di un rifiuto attivo del cibo e la sensazione
di fame è ben presente: solo in seguito si arriva ad una vera e
propria perdita dell’appetito. Il controllo del peso diviene lo
scopo quotidiano dell’anoressica ed il mantenimento del peso
può essere perseguito anche con condotte di eliminazione tramite
il vomito autoindotto, l’uso di lassativi e diuretici ed una smodata
attività fisica, accompagnata ad un eccessivo investimento
intellettuale, scolastico ed una condotta ascetica che incita a
trascurare il corpo a beneficio dello spirito; nonostante la perdita
di peso, persiste il terrore di essere o diventare grassi.
Solitamente queste ragazze non ammettono la loro magrezza e
14
vedono sempre troppo grasso il loro corpo o anche solo parti di
esso: si parla in questo caso di “disturbo dell’immagine
corporea” che può anche assumere le caratteristiche di un delirio.
Dal controllo del peso dipende l’autostima del soggetto poiché un
calo ponderale è vissuto con soddisfazione di sé, come un segno
di auto-disciplina, un aumento anche lieve come un fallimento,
un’incapacità di autocontrollo. Possono essere presenti anche
sintomi ossessivo-compulsivi che vanno dal pensiero centrato
esclusivamente sul cibo all’accumulo di cibo in luoghi al riparo
dalla famiglia. I pazienti che il DSM IV classifica come “con
abbuffate e condotte di eliminazione” presenta spesso problemi di
controllo degli impulsi, abuso di alcolici ed altre sostanze,
labilità emotiva, sintomi depressivi, isolamento sociale, insonnia
e disturbi del comportamento sessuale.
In una piccola percentuale di casi si ha un’evoluzione favorevole
con la guarigione della sintomatologia più sopra descritta, più
spesso però assistiamo a fasi di remissione con un immediato
recupero del peso seguite da fasi di riacutizzazione. Sono
descritti in letteratura anche casi di decesso conseguenti ad un
progressivo deterioramento fisico causato dalla denutrizione e
soprattutto dagli squilibri elettrolitici che ne conseguono.
Per quanto concerne la terapia, solitamente è previsto un
intervento di tipo ambulatoriale per i casi meno gravi in cui il
calo ponderale non è superiore al 20% del peso ideale, non si ha
ricorso al vomito né abuso di lassativi o diuretici e si può contare
sulla collaborazione dei familiari. Si rende necessario il ricovero
ospedaliero quando vi è netto rifiuto delle cure ambulatoriali,
calo ponderale superiore al 25%, presenza di gravi complicanze
mediche e tendenza al suicidio (Galimberti U. 1999). In tutti i
15
casi comunque è auspicabile una psicoterapia individuale
accanto ad una terapia familiare.
1.3 Clinica bulimia
Contrariamente a quanto fanno pensare il termine bulimia e
l’apparente simmetria con l’anoressia, l’eccesso di peso non è la
regola: solo il quindici per cento dei bulimici sono obesi, mentre
la restante percentuale ha un peso normale, anche se spesso
soggetto a rapide fluttuazioni. In questo disturbo assistiamo ad un
patologico aumento del senso della fame, anche con totale
assenza del senso si sazietà.
L’aspetto fondamentale è l’”abbuffata”, cioè l’ingestione in un
tempo piuttosto breve di quantità notevoli di cibo di vario genere.
Come nell’anoressia questo comportamento avviene di nascosto,
spesso è preparata in anticipo in modo frenetico e si protrae fino
a quando il soggetto ha assunto una tale quantità di cibo da star
male. I soggetti bulimici mettono in atto tutta una serie di
comportamenti compensatori finalizzati alla prevenzione
dell’aumento di peso: il più utilizzato è il vomito poiché esso,
oltre al controllo del peso, permette di far cessare quella
sensazione di pesantezza a seguito dell’abbuffata. Il vomito ha
implicazioni importanti, in quanto contribuisce all’indebolimento
dello smalto dei denti, ad un aumento del volume delle ghiandole
salivari, a complicazioni a carattere metabolico che possono
risultare pericolose per la vita stessa del soggetto ed a
complicazioni cardiache. Altri metodi sono il ricorso a lassativi,
diuretici, il digiuno protratto per diversi giorni e l’attività fisica
16
eccessiva.
3
Come nell’anoressia anche nella bulimia l’autostima
dipende dall’aspetto e dalle dimensioni del corpo e spesso sono
presenti stati depressivi, stati d’ansia, abuso d’alcool ed altre
sostanze. Possono inoltre essere presenti atteggiamenti e
comportamenti antisociali.
Esiste una forma fino ad oggi poco conosciuta, una variante
della bulimia e dell’anoressia: “vomiting”, cioè sindrome da
vomito. In questo disturbo i soggetti hanno un impulso
irrefrenabile a mangiare al solo scopo poi di vomitare; questa
condotta è finalizzata alla ricerca di un particolare tipo di piacere
precedentemente sperimentato, non a preservare la magrezza
(Tardone, Verbitz e Milanese, 2000).
1.4 Cenni sulle teorie dell’anoressia
Numerosi sono le teorizzazioni a proposito dell’anoressia e
bulimia e come abbiamo visto nei paragrafi precedenti spesso
contrastanti fra loro; in generale possiamo parlare di teorie
biologiche, genetiche e teorie psicologiche: le prime si basano su
recenti studi ed ipotizzano che alla base dell’anoressia nervosa vi
siano alterazioni delle funzioni ipotalamiche: vi sarebbe un
eccesso di CFR (fattore di rilascio dell’ormone corticotropo) nel
liquor di questi soggetti. Sono state rilevate anche disfunzioni di
alcuni neurotrasmettitori come la dopamina, serotonina e
noradrenalina che influenzano l’appetito e la sazietà. Le teorie
genetiche si basano su studi familiari sull’anoressia: è stata
rilevata una tendenza all’insorgenza familiare del disturbo
3
Vedi par 1.2.
17
evidenziando l’esistenza di una predisposizione genetica della
malattia che può svilupparsi in particolari condizioni come
durante diete inappropriate o stress emotivi.
4
Le teorie
psicologiche invece concepiscono l’anoressia come una risposta
d’evitamento fobico del cibo causata da tensioni sessuali e sociali
dipendenti dai cambiamenti fisici dovute alla pubertà. La
rinuncia spontanea al cibo rappresenterebbe, come vedremo in
seguito, il tentativo di essere autonomi ed indipendenti. Le
anoressiche avrebbero dei rapporti difficili con i genitori e la
malattia non sarebbe altro che un capo espiatorio per distogliere
l’attenzione dei coniugi dalla loro stressante relazione.
4
Studi di biologia molecolare hanno testato differenti geni candidati quali i geni che
codificano per il recettore Y5 del neuropeptide Y, per il recettore D3 della dopamina, per il
recettore della serotonina 5HT2A, per il promotore del 5HT2A, per il trasportatore della
serotonina 5-HTT, per il recettore beta3-adrenergico. I risultati ottenuti non sono
conclusivi. (Galimberti, 1999)