Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
6
psicosomatica; effettuando un confronto tra il DSM-IV, l’ICD-10, Il PDM e
altre proposte alternative.
Tali spunti teorici sono stati di ispirazione per il lavoro di ricerca che si
propone di individuare le associazioni tra le varie forme di cefalee primarie
e diagnosi ex PDM-Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM Task Force,
2006), in particolare con i Livelli di organizzazione della personalità e i
Profili del funzionamento mentale che sono individuabili attraverso il
Sistema QFM-27.
Per questo nel secondo, terzo e quarto capitolo vengono brevemente
presentate le principali caratteristiche delle cefalee primarie: emicrania e
cefalea tensiva. Il nostro interesse è stato rivolto alle definizioni cliniche, ai
sistemi di classificazione e alle possibili forme di trattamento non
farmacologiche delle patologie cefalgiche.
Nella seconda parte,viene presentato il nostro studio, svoltosi presso il
Centro Cefalee dell'Università degli Studi di Torino (AUO S. Giovanni
Battista) che, come già detto, si prefigge di individuare le associazioni tra le
varie forme di cefalee primarie e i livelli del funzionamento mentale
individuati attraverso il QFM-27, strumento diagnostico nato dalla
rielaborazione clinica delle nove categorie dell’Asse M del PDM (2006),
volte ad indagare il livello globale di funzionamento psichico di un
individuo (Albasi, Lasorsa, Porcellini, 2007).
Per poter realizzare le suddette analisi è stata condotta una riflessione su
alcuni costrutti teorici e sullo strumento (presentate in Appendice), che sono
divenuti le linee guida per la formulazione delle ipotesi di questo studio
empirico.
Quindi, nel quinto capitolo trova spazio l’esposizione del lavoro di ricerca.
Questa parte contiene, oltre alla presentazione degli obiettivi e delle ipotesi,
la descrizione degli strumenti utilizzati per la loro verifica, e quella dei
campioni sui quali abbiamo compiuto le indagini; seguono la presentazione
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
7
dei risultati, relativi all’analisi statistica dei dati, la loro discussione e le
conclusioni cui siamo giunti.
Ringraziamenti
Un grazie sentito,
al Professor Cesare Albasi, per la fiducia accordatami, per l’entusiasmo e la
passione che ha saputo trasmettermi verso l’attività di ricerca.
Alla Dott.ssa Claudia Lasorsa, per la pazienza e per il sostegno continuo,
con i quali mi ha sostenuto durante tutto lo svolgersi di questo lavoro.
Alla Dott.ssa Lidia Savi, senza la cui guida e professionalità questo lavoro
non si sarebbe potuto realizzare.
Ringraziamenti particolari vanno a tutti i soggetti che hanno aderito alla
ricerca, donandoci la loro esperienza utile e fondamentale per il
proseguimento di questi studi.
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
8
PARTE
PRIMA
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
9
CAPITOLO I
Psicosomatica oggi: riflessioni teoriche e sistemi di
classificazione
“Anima humana est tota in toto corpore
et in qualibet eius parte..”
“Spiritus intus alit, totamque per artus Mens
agitat molem et magno se corpo mescit..”
(Virgilio)
1.1 L’ambiguità nella psicosomatica : confusioni storiche e
terminologiche
Per affrontare la questione del corpo, tenendo adeguatamente in vista la sua
specificità, è indispensabile fare riferimento alle dimensioni teoriche che
sottendono la psicosomatica, intendendola come un orientamento delle
scienze mediche, di quelle psicologiche e di quelle psicoanalitiche
finalizzato a privilegiare l'aspetto della totalità psicofisica degli individui.
E’ impossibile rinunciare all’uso del termine “psicosomatico”, per quanto
semanticamente inflazionato e quindi ambiguo, perché racchiude in una
parola la complessità della malattia e riconduce ad unità il misterioso salto
dalla mente al corpo proprio per questo si va spesso incontro, a volte del
tutto inconsapevolmente, ad una confusione (Fortuna,1998; Cfr. Sapir,
1985).
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
10
Tale confusione è riscontrabile anche a livello filologico, infatti diverse
sono le modalità di espressione del termine: psicosomatico, somatopsichico,
psico-somatico
1
.
Bisogna tener presente che il termine è usato a livelli semantici molto
diversi: per esprimere una medicina totale (sarebbe meglio quindi chiamarla
“comprehensive medicine”); per sottolineare il sospetto che il sintomo sia di
origine psichica (e sarebbe allora preferibile usare il termine “psicogeno”);
per indicare un disturbo che si ritiene determinato o sostenuto da una
componente emotiva conflittuale e per descrivere processi fisiopatologici
senza una chiara, evidenziabile, base organica.
Infine, viene usato semplicemente per esprimere una particolare modalità di
rapporto ed operativa del medico.
E’ evidente che un ventaglio così ampio e disomogeneo di significati rischia
di connotare un oggetto vago e soprattutto di introdurre, all’interno di un
unico supposto concetto, livelli completamente diversi di riferimento teorico
e di osservazione, anche perché il termine stesso contiene intrinsecamente
una “confusione”: giacché il problema della divisione mente-corpo è, come
dire, sempre in agguato (idem).
Di certo, però, si può affermare che il problema della psicosomatica è antico
quanto il mondo, tant'è vero, che già Platone affermava che la mente
1
Trovo di fondamentale importanza il “trattino” che separa le due porzioni del termine
psico-somatico (Cfr. Winnicott, 1966). Possiamo considerarlo la parte più importante della parola
perché definisce l’area che deve essere studiata, in quanto il trattino nello stesso tempo congiunge e
separa i due aspetti della parte medica. Su questo trait d’union lavora lo specialista di malattie
psico-somatiche, e sempre su questo punto si inserisce il disturbo fondamentale del paziente che
tende a separare i due termini e quindi a far posto al “trattino”. Il tratto d'unione è quindi un segno
dialettico: si unisce ciò che si è separato. (Ugual destino è toccato, per lungo tempo, ad un altro
termine carico di significati emotivi: psico-analisi). Tuttavia, con la nascita della psicosomatica
moderna, il trattino che univa le due parole venne abolito, nel 1922 da Felix Deutsch (Cfr. Deutsch,
1959). Al di là di ogni considerazione linguistico-grammaticale, è evidente che si pone, oggi,
sempre più una tendenza a riunificare seriamente le due componenti.
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
11
risiedeva nel cervello e Aristotele nel cuore, come dire che già da allora, ci
s’interrogava sulla questione della guarigione e di dove questa avvenisse:
nella mente o nel corpo? E la mente è materiale oppure no? Ippocrate portò
il suo "contributo" affermando che è nella natura stessa dell'uomo che è
insito il processo del risanamento, cosa apparentemente risaputa e ovvia
anche se non ci s’interroga mai abbastanza sul senso di quanto le ragioni di
alcuni processi inspiegabili stiano in realtà nell'individuo stesso: tutti
sappiamo cosa succede quando ci si punge un dito, o ci si sbuccia un
ginocchio, e, cioè che poi di fatto il sangue coagula e non si muore
dissanguati. Mentre i fattori che concorrono a creare una patologia
psicosomatica sono svariati, proprio per questo il processo di “risanamento”
in questi casi risulta più complesso e richiede una visione olistica del
paziente considerandolo come individuo in toto
2
(Reda, Canestri, 2007;
Ruggieri, 2001).
La mente e il corpo di ogni individuo si combinano tra di loro in forme più
svariate, così come i vetri e gli specchi di un caleidoscopio si compongono
dando forma ogni volta ad infinite immagini uniche e irripetibili; nessuno
sa, prima di appoggiare l’occhio al tubo di cartone e di girare l’altra
estremità, quale immagine prenderà forma e la volta successiva
quell’immagine sarà differente; lo stesso vale per le infinite combinazioni
mente-corpo che prendono vita in modo esclusivo e che devono
inevitabilmente essere collocate all’interno della storia di vita dell’individuo
perché solo così assumono significati. Significati che, nel caso di sofferenza,
devono essere compresi, destrutturati e riformulati dando vita a nuove
modalità d’essere.
Quindi, come dice Pancheri (1984) non si riesce a fare a meno di uno dei
due concetti (mente-corpo) quando si deve definire l’altro. Per avere la
percezione (evento fisico-sensoriale) di un oggetto (corpo materiale) e la
relativa rappresentazione mentale (evento psichico), si ha ovviamente
2
Cfr, Paragrafo 1.3
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
12
bisogno della presenza fisica dell’oggetto. Eppure perché ci sia l’esperienza
soggettiva del toccare un oggetto, l’evento deve essere accompagnato dalla
consapevolezza di aver toccato qualcosa.
Ritornando al processo di risanamento, possiamo affermare che la questione
della guarigione rimanda poi al concetto di salute, che, essendo “cultural
dipendent”, assume significati assai diversi. Sicuramente c’è un’enorme
differenza nel modo di concepire la malattia in oriente e in occidente, così
come sono diversi gli approcci terapeutici che si utilizzano (idem).
Attualmente le scienze biologiche e mediche, in occidente, con il relativo
campo di ricerca, derivano dalla visione cartesiana, per la quale, esiste una
divisione tra “res cogitans” e “res extensa”: l’uomo è visto come una
macchina, (Cartesio si riferiva appunto all’esempio dell’orologio mosso dal
Grande Orologiaio), l’individuo sta bene quando tutti i pezzi funzionano a
dovere e ciò costituisce la base della visione meccanicistica.
L’impostazione fondamentale che sottende il modello della società
capitalistica deriva dunque dall’intendere la produttività come il valore
fondamentale da cui essere guidati, quello che conta è il buon
funzionamento della macchina, ivi compresa la macchina uomo, e, in questo
senso, ogni evento che si frapponga al raggiungimento di questo valore è
visto come qualcosa di spiacevole e inaccettabile che non va compreso, ma
solo eliminato in gran fretta.
Tornando alla psicosomatica, mi sembra importante, come si è detto, cercare
di fare un po’ di chiarezza perché con questo temine s’intendono sia gli stati
morbosi che possono creare situazioni depressive nel soggetto, sia il fatto
che esistono delle possibili cause e concause psichiche nell’eziopatogenesi
delle malattie organiche. Personalmente reputo sia più utile inquadrare la
questione da quest’ultimo punto di vista e mi sembra utile a tal riguardo la
seguente suddivisione in disturbi funzionali e disturbi psicosomatici veri e
propri (è evidente che, inoltre, esistano patologie organiche con eziologia
del tutto diversa).
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
13
I disturbi funzionali sono quelli che, in pratica, sono dovuti ad un alterato
funzionamento d’apparati ed organi e, rientrano in questa categoria, tutte
quelle più o meno lievi patologie per le quali le persone, in genere, si
rivolgono ai medici di base e sono ad esempio: il vomito, i rossori, alcuni
casi d’enuresi, la tosse psicosomatica, alcuni disturbi della sfera sessuale
maschile e femminile, alcuni disturbi gastrici, certe forme di paralisi, la
cecità isterica ed altri (Agresta, 1997).
Tutte queste patologie sono in stretta correlazione con lo stato dell’umore e
all’espressione, più o meno intensa, di determinate emozioni che le
migliorano o le peggiorano.
I disturbi psicosomatici, veri e propri, sono invece quelli in cui vi è una
compromissione d’organo riscontrabile e per questi riporto la classificazione
che ne fece Alexander
3
che fu poi riconosciuta dall’OMS negli anni
quaranta, visto che la si può ritenere ancora valida:
- ulcera gastroduodenale,
- colite ulcerosa emorragica,
- artrite reumatoide,
- ipertensione arteriosa psicogena,
- tireotossicosi (o morbo di Bassedow),
- psoriasi,
- asma bronchiale,
3
Alexander, Franz (Budapest 1891 - Palm Spring, California 1964), psichiatra e
psicoanalista statunitense di origine ungherese. Laureatosi in medicina, si formò come psicoanalista
presso l'Istituto psicoanalitico di Berlino. Rifiutata la proposta di Sigmund Freud di lavorare a
Vienna, nel 1930 si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò all'Università di Chicago e fondò e
diresse per 25 anni l'Istituto di psicoanalisi. Dal 1956 diresse anche la Psychiatric and
Psychosomatic Research Division al Mount Sinai Hospital di Los Angeles.
Nella scia di Sándor Ferenczi mise a punto alcune tecniche, in particolare in materia di
transfert, che mirano a rinforzare e ad accelerare il processo e la cura psicoanalitica. Nell’ambito
della sintomatologia psicosomatica e psichiatrica, distinse l’isteria dalle nevrosi d’organo, e si
concentrò sulla complessità delle reazioni psicologiche alla somatizzazione, fornendo alcuni dei
principi fondamentali della medicina psicosomatica.
Attento osservatore della società contemporanea, ne studiò i mutamenti culturali in atto in
The Western Mind in Transitions: an Eyewitness Story (1960; Il pensiero occidentale in
transizione: una testimonianza). Tra le altre sue opere: Gli elementi fondamentali della psicoanalisi
(1948) e Medicina psicosomatica (1948).
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
14
- cefalea emicranica.
Quindi per fare luce intorno al concetto di psicosomatica paradossalmente
possiamo affermare che è fondamentale non tanto la definizione data a
questo costrutto, quanto riconoscere il significato che il sintomo fisico ha
per l’individuo ed ascoltare l’urlo del corpo espresso attraverso la sofferenza
fisica; senza sottovalutare, tuttavia, l’importanza dei modelli teorici e della
cornice di inquadramento (idem).
1.2 BRAVE EXCURSUS SUGLI AUTORI DI RIFERIMENTO
L’interesse contemporaneo per la psicosomatica è molto alto, ma come
abbiamo visto tale scienza affonda le sue radici nel passato; numerosi autori
e correnti medico-psicologiche se ne sono occupati, per questo ne propongo
qui una panoramica riassuntiva.
Il termine psicosomatico viene introdotto nel 1818 dal medico tedesco e
docente di psichiatria a Lipsia, Johann Christian Heinroth e riproposto più
compiutamente nel 1824 da Friedrich Gross. Gross riteneva che le malattie
rappresentassero gli effetti somatici delle passioni e delle emozioni negative.
Tale idea venne sviluppata dallo psichiatra inglese Henry Maudsley all’alba
della psicoterapia moderna. Così egli scriveva nel 1876: “Se l’emozione non
è scaricata all’esterno con l’attività fisica o con un’idonea azione mentale,
agirà sugli organi interni alternandone le funzioni” (Mausdsley, 1876,
pag.122), anticipando singolarmente l’idea psicoanalitica di sintomo di
conversione somatica.
Il problema psicosomatico, peraltro, rappresenta il nucleo originario attorno
al quale si è originato il movimento psicoanalitico. L’elaborazione teorica di
Freud, infatti, si avviava dal problema della sintomatologia organica
dell’isteria. Tale problema era stato spettacolarmente messo in evidenza già
dal 1897 da Jean Martin Charcot nel corso dei suoi famosi esperimenti di
ipnotismo del “venerdì mattina” all’ospedale parigino della Salpetrière.
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
15
Charcot era in grado di rimuovere sotto ipnosi i più diversi sintomi
dell’isteria, come le contrazioni e la paralisi e su questa base sperimentale
aveva ipotizzato (1890) la possibilità che la paralisi potesse essere prodotta
da un’idea, visto che “un’idea” opposta poteva farla sparire. Freud era
rimasto fortemente impressionato da una delle dimostrazioni di Charcot,
nella quale una malata psichica colpita da paralisi isterica indotta in uno
stato ipnotico si alzava, camminava ed eseguiva i vari comandi impartiti da
Charcot, per poi ricadere al suolo, rattrappita e rigida non appena l’ipnosi
veniva interrotta (Canali, 2000,Ruggieri, 2001).
La riflessione su tali fenomeni è all’origine della nozione di “conversione”,
un’idea fondante per la prima psicosomatica, esposta da Freud nel saggio
del 1894, Neuropsicosi da difesa,e negli Studi sull’Isteria, opera scritta con
Bruner nel 1895. La disposizione alla conversione è un tratto caratteristico
dei pazienti isterici, attraverso la quale tali soggetti “rendono inoffensive
rappresentazioni ed idee insopportabili, incompatibili, trasformando la loro
somma di eccitazione in qualcosa di somatico” (Freud et al., 1895, pag.
146).
Quando un contenuto psichico, un’immagine, una pulsione, un desiderio, è
incompatibile con l’Io, intollerabile, inammissibile alla coscienza e alla
morale, come certe fantasie sessuali, come l’impulso ad uccidere o a
spezzare particolari legami affettivi, l’affetto ad esso associato è rimosso
dalla coscienza con la repressione e convertito in un disturbo senso-motorio
che simboleggia ed esprime a livello corporeo il contenuto inaccettabile,
così risolvendo parzialmente il conflitto psicologico originario.
Nel fenomeno della conversione risiedeva dunque il “salto dallo psichico al
somatico” che Freud intendeva risolvere in termini fisiologici, ma per il
quale, come riconobbe egli stesso più tardi, non riuscì mai a fornire una
spiegazione soddisfacente.
Nel saggio del 1894, Freud evidenziava anche un’altra causa dei sintomi
somatici psichicamente condizionati: l’equivalente “dell’attacco
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
16
all’angoscia” nelle nevrosi d’angoscia. In questa sindrome, infatti, associati
all’angoscia, si manifestano sintomi fisici (gli equivalenti dell’attacco
d’angoscia, appunto) che possono includere palpitazioni, sudorazione,
nausea, diarrea, tremore, alterazione della respirazione, cefalee (Freud,
1894, Cfr. Ferenczi, 1919).
Correttamente Freud non riteneva che i sintomi somatici delle nevrosi
d’angoscia fossero il prodotto di una rappresentazione rimossa o di un
conflitto intrapsichico in quanto non riusciva ad affrontarli
psicoanaliticamente. Essi sono, infatti, il risultato dell’attivazione del
sistema nervoso autonomo; e così sostanzialmente ipotizzava Freud,
intendendo il sintomo organico come una derivazione dell’eccitazione
somatica a cui è impedito l’accesso allo psichico. In questo caso, dunque,
esso doveva essere lasciato all’indagine bio-medica (idem). A questo
proposito, quindi, Freud anticipava teoricamente quella spaccatura del
movimento psicosomatico in due approcci indistinti e non comunicanti,
l’uno orientato in senso fisologico, l’altro in senso psicoanalitico, che si
verificherà circa cinquant’anni più tardi con l’applicazione razionale del
concetto di stress alla fisiopatologia (ibidem).
L’approccio psicoanalitico imperò fino agli anni ’40 soprattutto nei paesi di
lingua tedesca, ed ebbe in Georg Groddeck e Felix Deutsch la sua ala
estrema.
Il primo, che si definiva psicoanalista selvaggio, aveva esteso il domino
delle affezioni psicosomatiche ben oltre il modello della conversione
freudiana. La malattia organica, secondo Groddeck (1917) infatti, in modo
analogo al sogno, rappresentava l’espressione somatica simbolica di
processi psichici. Egli riteneva così che tutte le malattie costituissero i segni
corporei attraverso cui l’inconscio comunica all’esterno l’esistenza di un
blocco psicologico: le stigmate di un conflitto emotivo irrisolto e non
razionalizzato. Analogamente in Deutsch (1924, 1953), la “continua
corrente di conversione nel somatico”, in azione anche nei soggetti sani, era
Patologie cefaliche e livelli di funzionamento mentale
17
vista come una sorta di linguaggio corporeo che serviva a scaricare, in
maniera simbolica, l’inconscio sovraccarico da frammenti di emozioni e
altri complessi psichici. In altre parole, ci si ammala per mantenere una sorta
di equilibrio, e così in ogni individuo ha luogo un processo di conversione
continuo di fronte a disagi esistenziali: improvvisi rossori, traspirazione
eccessiva, attacchi di emicrania come somatizzazioni di disagi relativamente
lievi; malattie più gravi sono conversioni di disagi più seri e profondi,
ancorchè spesso inconsci. Si configura così una sorta di dimensione
strategica della malattia, fino ad ipotizzare una conversione improntata
all’istinto di morte, una conversione autodistruttiva, in seguito ad una sorta
di retroiezione di impulsi aggressivi diretti agli oggetti odiati, ma
simbolizzati nel proprio corpo. Il problema della scelta d’organo occupa un
gran posto nella sua riflessione (Deutsch, 1924, 1959).
L’idea del linguaggio corporeo e del disturbo psicosomatico, come simbolo
di un conflitto psichico, poneva una serie di problemi oggettivamente non
affrontabili, oltre a quelli che hanno condotto la psicoanalisi e la psicologia
analitica ad un inaridimento irreversibile, attraverso le mille convulsioni del
fiorire di scuole e modelli interpretativi. Esiste una “grammatica” fisica
dell’inconscio, una regola di correlazione tra significati inconsci contenuti e
conflitti psicologici e segni materiali, sintomi delle malattie? E se sì, questo
codice di rappresentazione che l’inconscio utilizza nel processo di
somatizzazione è assolutamente individuale, personale, o è condiviso dagli
uomini come patrimonio biologico, genetico, culturale? Come avviene la
scelta dell’organo che sarà colpito dal disturbo psicosomatico? Se ogni
fenomeno di conversione è frutto di una storia individuale, unica ed
irriducibile, allora in che modo si possono fare ipotesi sulla trasposizione di
un conflitto psichico sul versante somatico? Come è possibile,
eventualmente, verificare la correttezza dell’interpretazione analitica del
fenomeno di conversione?