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Pier Paolo Pasolini: poeta e semiologo
Tutto poteva nella poesia, avere una soluzione.
P. P. Pasolini
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Nel maggio del 1965 Lino Miccicchè e Bruno Torri inaugurano il Festival del
Cinema di Pesaro.
L‟intento dei fondatori del festival è portare nella città di Rossini i registi del
Nuovo Cinema, le loro scelte, i loro film, presentarli al grande pubblico, ai critici e
agli intellettuali. Insieme, avviare processi di rinnovamento, crescita ed evoluzione
del cinema nella dialettica del confronto e del dibattito.
Non vi è gara, né premi, i registi vi accorrono da tutta Europa, l‟esigenza di
scambio e riflessione è urgente e improrogabile.
Accanto alla rassegna s‟indice il convegno dal titolo “ Critica e Nuovo cinema”
nel tentativo di delineare le nuove metodologie teoriche-critiche rese impellenti
dall‟irrompere della Nouvelle Vague nel panorama del cinema internazionale.
Il festival si fa inaspettatamente laboratorio e vetrina di innovative e
rivoluzionarie teorie sulla settima arte, animato dai più grandi intellettuali del tempo.
Filosofi, registi, scrittori, un lungo elenco di personalità esimie, si riuniscono per
riflettere sull‟evento artistico, culturale e sociale più rivoluzionario del novecento: il
cinematografo.
Da Christian Metz a Roland Barthes, da Bertolucci a Godard tutti contribuiscono
al dibattito pesarese decidendone l‟orientamento semiotico- strutturalista, in voga nel
clima culturale di quegli anni. Gli anni dell‟illuminata analisi politica e sociale di
Michel Focault, di Hjemslev e della glossematica, di Calvino e di Eco: l‟ispirazione
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P. P. Pasolini, Poeta delle ceneri, Bestemmia- in Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 1993, p. 165.
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comune è parlare di cinema come linguaggio e comunicazione. Lo strumento per
farlo è la semiotica, l‟unica scienza in grado di riunire in un discorso unico le
caratteristiche comuni a tutte le espressioni audio-visive.
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E di semiotica cominciò a
parlare chi, al suo debutto ufficiale da teorico del cinema, scelse questa cornice di
prestigio per presentare il suo saggio intitolato: il «cinema di poesia».
A pochi mesi dall‟uscita nelle sale de Il Vangelo secondo Matteo, Pier Paolo
Pasolini, la personalità intellettuale più discussa e feconda del panorama culturale
italiano arriva a Pesaro nella nuova e inaspettata veste di relatore e con queste parole
dà inizio al suo intervento:
Credo che un discorso sul cinema come lingua espressiva non possa ormai cominciare senza
tener presente almeno la terminologia della semiotica.
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Perché Pasolini, pur non essendo un semiologo, compie degli studi in questo
settore? Cosa avrà mai potuto indurre il poeta e regista ribelle, alla riflessione teorica
formale dinanzi a un uditorio „altamente qualificato‟ quale quello del Festival del
cinema di Pesaro?
Il percorso artistico di Pasolini è visceralmente caratterizzato da una continua
vocazione a sperimentare linguaggi diversi e a utilizzare forme di scrittura/lettura
plurime. Egli fu innanzitutto poeta, (componeva versi dall‟età di otto anni
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) quindi
pittore, scrittore per il teatro, romanziere e infine autore cinematografico. Per ogni
forma artistica sperimentata egli reinventò un modo personale di vivere e concepire il
linguaggio utilizzato.
2
«Lo studio del film riguarda due volte la linguistica: in due momenti diversi del suo percorso, e, nel caso del secondo,
non si tratta della stessa linguistica del primo. È stato Saussure, si sa, ad assegnare come oggetto alla linguistica lo
studio della lingua. Ma è anche stato Saussure a gettare le basi di una scienza più ampia, la semiologia, di cui la
linguistica sarebbe un settore particolare, per quanto particolarmente importante», C. Metz, Le cinéma: langue ou
langage?, in D. Angelucci (a cura), Estetica e Cinema, il Mulino, Bologna, 2009, p. 182.
3
P. P. Pasolini, Empirismo Eretico, Garzanti, [1972], 1991, Milano, p. 167.
4
Cfr. E. Siciliano, Vita di Pasolini, Mondadori, Milano, 2005, p.54.
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Alle soglie degli anni Sessanta, Pasolini trovava nel cinema l‟alternativa a una
lingua letteraria della tradizione diventata chiusa in un codice poco universale e
diretto. Di quel momento emblematico scrive così:
Perché sono passato dalla letteratura al cinema?
Questa è, nelle domande prevedibili in un'intervista,
una domanda inevitabile, e lo è stata.
Rispondevo dunque ch'era per cambiare tecnica,
che io avevo bisogno di una nuova tecnica per dire una cosa nuova
o, il contrario, che dicevo la stessa cosa, sempre, e perciò
dovevo cambiare tecnica: secondo le varianti dell'ossessione.
Ma ero solo in parte sincero nel dare questa risposta:
il vero di essa era in quello che avevo fatto fino allora.
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Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Il Vangelo, i film girati sino ad allora,
quattro esempi diversi di «intendere e rappresentare il mondo nei suoi grumi
insolvibili di verità».
6
Pellicole premiate e amate all‟estero, contestate e duramente
osteggiate in Italia
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attraverso cui aveva saputo restituire agli spettatori «la sua istintiva e
creaturale visione del mondo»
8
.
E adesso qui, con l‟acume e l‟umanità di pochi, a discorrere sull‟amato cinema
come lingua e poesia:
5
P. P. Pasolini, Poeta delle ceneri, in Bestemmia- in Tutte le poesie, cit., p. 178.
6
R. Cavalluzzi, Cinema e letteratura, Edizioni B.A. Graphis, II edizione, 2000, p. 63.
7
Presentato alla 26ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il 31 agosto1961, Accattone ricevette dure
contestazioni. Alla "prima" del film al cinema Barberini a Roma, un gruppo di giovani neofascisti cercò di impedire la
proiezione, lanciando bottiglie d'inchiostro contro lo schermo, bombette di carta e finocchi tra il pubblico. Ci furono
colluttazioni e la visione del film fu sospesa per quasi un'ora. Il film viene bloccato in sede di censura e ritirato da tutte
le sale italiane.
8
E. Siciliano, cit., p. 128.
8
Perché il problema in parole molto semplici, è questo: mentre i linguaggi letterari fondano le
loro invenzioni poetiche su una base istituzionale di lingua strumentale, possesso comune di tutti i
parlanti, i linguaggi cinematografici sembrano non fondarsi su nulla.
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Le persone, normalmente, per comunicare tra loro non si esprimono attraverso
immagini ma attraverso parole apprese entro la comunità di appartenenza. Pasolini
constata le sostanziali differenze tra il linguaggio della lingua e delle immagini,
riconoscendo la difficoltà nell‟individuare nel linguaggio del cinema la stessa
classificazione della lingua parlata suddivisa in frasi, parole e lettere. In ambedue i
sistemi, quindi, le percezioni della realtà come le immagini, vengono lette attraverso
il codice primario della percezione sensoriale, il «codice dei codici» (come lo chiama
lo stesso autore) con la differenza che
Non esiste un dizionario delle immagini. Non c‟è nessuna immagine incasellata e pronta per
l‟uso. Se per caso volessimo immaginare un dizionario delle immagini dovremmo immaginare un
dizionario infinito, come infinito continua a restare il dizionario delle parole possibili.
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Pasolini è convinto che parallelamente al potenziale infinito dei segni della
realtà, il cinema rappresenti una sequenza potenzialmente infinita di inquadrature.
Egli, infatti, è interessato soltanto in secondo luogo alla valenza semiotica dei segni
considerati in principio materia prima, cioè materiale plasmabile, esposto a infinite
possibilità di metamorfosi.
In che modo, allora, il cinema comunica se la grammatica attraverso cui esso si
esprime non poggia su base alcuna ma si presenta piuttosto come pura e artificiale
astrazione?
Pasolini risponde:
9
P. P. Pasolini, Empirismo eretico, cit., p. 7.
10
Ibidem, p.169.
9
(…) il destinatario del prodotto cinematografico è anche abituato a «leggere» visivamente la
realtà (…) che si esprime appunto con la pura e semplice presenza ottica dei suoi atti e delle sue
abitudini. Il camminare soli per la strada, anche con le orecchie otturate, è un continuo colloquio fra
noi e l‟ambiente che si esprime attraverso le immagini che lo compongono.
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Lo stesso interrogativo fu posto in maniera lucida e acuta dal padre indiscusso
della semiologia del cinema, Roland Barthes, che, in uno dei suoi saggi scrive:
L‟immagine significa? È una domanda a cui si sta lavorando, ma per il momento si possono
solo individuare difficoltà, impossibilità, resistenze. La grande resistenza dell‟immagine a darsi
come sistema di significazione è quello che viene detto il suo carattere analogico, che la distingue
dal linguaggio articolato. Questo carattere analogico dell‟immagine è legato al suo carattere
continuo, continuità che, nel caso del cinema, non soltanto comporta un aspetto spaziale, ma è
rafforzata da una continuità temporale, la successione delle immagini.
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Citare ora Roland Barthes è indispensabile per capire come la significazione
delle immagini nel tessuto filmico non fosse assolutamente una prerogativa condivisa
dalla prospettiva semiologica ma un campo di ricerca ancora aperto e dibattuto.
Barthes, per primo, partito dal medesimo interrogativo, arriva a una conclusione
diametralmente opposta a quella del poeta. A suo dire Pasolini, come altri, patì
duramente „Il demone dell‟analogia‟ che lo spinse con automatismo gratuito e
infondato a leggere gli effetti di Natura nei modelli semantici del cinema quando,
invece, l‟analisi strutturale dell‟opera cinematografica mostrava come essa imitasse
un modello e non la realtà.
…l‟emozione o il piacere non nascono dalla cosa rappresentata, ma dal segno o dai segni
attraverso i quali questa cosa viene rappresentata, nella misura stessa in cui il ricorso a un segno
attesta un dominio trionfante del reale.
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11
Ivi, p. 168.
12
R. Barthes, Semiologia e cinema,in id., Sul cinema, il Melangolo, Genova, 1997, p. 93.
13
Ivi, p. 14.
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All‟appuntamento di Pesaro, Barthes discusse a lungo con Pier Paolo sul far
grammatica delle immagini cinematografiche, un dibattito di cui questo lavoro non
può, né chiede di rendere cronaca puntuale ritenendo i proposito distante
dall‟interesse d‟indagine che lo muove: leggere e interpretare la teoria del «cinema di
poesia».
Ritornando all‟intervento del poeta, scopriamo il motivo per cui le immagini,
pur non essendo segni linguistici, riescono a comunicare con lo spettatore. Esse si
fondano su un patrimonio comune, cioè l‟aspetto visivo del nostro mondo costituito
da gesti mimici che quotidianamente integrano il nostro linguaggio verbale. Il mondo
e la realtà circostante, difatti, ci comunicano continuamente qualcosa con la sola e
unica presenza degli oggetti di cui si compongono.
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Secondo Pasolini la presenza
corporea viene trasmessa dai segni qualora questi, in qualità di segni iconici,
esprimano la topica degli oggetti attraverso essi stessi.
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Termini come topica e icone
spontaneamente ci rimandano a una tradizione filosofico-linguistica consolidata di
origine antichissima che, prima nella semiotica di Peirce
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poi nel formalismo di
Jakobson avevano ritrovato, nel corso del ventesimo secolo, una loro brillante
riformulazione nell‟ambito delle nuove teorie del significato e dell‟interpretazione.
Teorie e studi che trovarono accoglienza facile in quello che era il vasto ventaglio
d‟interessi che muoveva il poeta nella sua ricerca.
14
Questo concetto verrà sviluppato in maniera più esaustiva nel paragrafo intitolato Il cinema come «lingua scritta della
realtà»., in Empirismo eretico, cit., pp.198-226.
15
«L‟immagine e la parola, nel cinema sono una cosa sola: un topos.» P. P. Pasolini, Scritti Corsari, Garzanti, Milano,
2010.
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Secondo lo studioso i segni non sono segni arbitrari bensì segni motivati, la cui identificazione non ha luogo
nell‟immagine stessa, ma nell‟applicazione del codice che mette in rapporto di similitudine il significante e il significato
mentale. Cfr., C. S. Peirce, Collected papers, vol II , Cambridge, 1931.