dichiarato di essere d'accordo. Inoltre un sempre più alto numero di
italiani afferma soprattutto di provare distacco e disgusto dalla
politica (Mannheimer 2003). Questa deriva la possiamo rilevare
anche nella progressiva diminuzione degli iscritti di tutti i partiti
(Scarrow 2000), oppure nell'aumento dell'astensionismo o ancora
più esplicitamente nell'aumento della volatilità elettorale andando
ad erodere l'ormai consolidato “voto di appartenenza” (Natale
2000) o ancora nell’“astensionismo intermittente” in cui in modo
crescente ad ogni elezione l'elettore considera non solo quale partito
votare ma anche se votare o meno e a seconda dell'interesse o della
convenienza (Legnante e Segatti 2001b). C'è da dire che questa
situazione non si è venuta a creare per repentini cambi di opinione
ma si inserisce in uno specifico reticolo di concause che hanno
determinato l'affacciarsi del fenomeno. Innanzitutto il decadimento
delle grandi ideologie del '900 andate in crisi con la caduta dei
regimi dell'Est e con il progressivo cambio di struttura del lavoro
molto più terziarizzato che hanno creato smarrimento e disincanto
nell'opinione pubblica. Altro fattore determinante sono stati i media,
e in particolare la Tv, che hanno invaso pienamente la vita di tutti i
giorni dei cittadini e quindi anche il campo della politica. Dai mass-
media la politica viene sempre più rappresentata in modo
semplificato dando quindi spazio a giudizi più banali e sbrigativi
(Sartori 1997), inoltre l'avvento della televisione commerciale ha
accentuato ancor più questi effetti confinando sempre più la politica
ad un ruolo di secondo piano (Mannheimer 1994).
Altra caratteristica degli ultimi anni sono stati i dissesti finanziari
dello Stato e dei suoi enti in tutto il mondo occidentale, creando
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inefficienze, lentezze e una forte protesta popolare contro i partiti e
le istituzioni dello Stato (Mastropaolo 2005).
Contemporaneamente in tutta Europa a partire dagli anni ‘70 con il
partito del progresso danese ma soprattutto negli anni ‘90, si
formano e si sviluppano partiti con una medesima matrice anti-
istituzionale, liberista e securitaria ma che si muovono su un piano
democratico, questi partiti hanno un ampio successo che a parte
alcuni casi consolidano assumendo un ruolo determinate nelle scelte
dei governi europei (Ibidem). In Italia hanno assunto un particolare
successo questi partiti e se ne registrano tre: Alleanza Nazionale,
Forza Italia e la Lega Nord. Oggi questi partiti si sono aggiudicati la
maggioranza del consenso popolare andando a ricoprire ruoli di
governo centrali. Inoltre in più momenti nel corso degli anni 90 sino
ai giorni nostri si sono manifestati con successo vari movimenti di
critica ai politici e la politica tradizionale come la Rete, il popolo
dei fax o i Girotondi (Tarchi 2003).
Questo lavoro di tesi si propone di indagare la possibilità che,
considerato il generale e progressivo distacco dalla politica di una
parte sempre più considerevole della popolazione e che negli ultimi
anni si sono sviluppati movimenti e partiti politici che hanno
esplicitato questo malessere per bocca dei propri rappresentanti, si
esige dunque indagare sulla possibilità che tutti questi partiti e
movimenti politici abbiano elementi in comune o che in realtà si
possa distinguere famiglie con caratteristiche comuni al loro
interno.
Per fare ciò, appare in primo luogo necessario definire il concetto di
antipolitica, in modo particolare come esso si presenta oggi.
Successivamente, concentrandosi maggiormente sulla situazione
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italiana, si passeranno in rassegna le vicende inerenti ai partiti e ai
movimenti antipolitici sviluppatisi dagli anni 90 ad oggi. Infine, si
indagheranno le analogie e le differenze tra questi fenomeni politici,
tentando di tracciare anche qualche linea di demarcazione futura.
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Capitolo 1.
Una definizione di antipolitica
1.1 Cosa è l’antipolitica?
Definire l’antipolitica non è semplice anche se ciò dovrebbe essere
la parte fondamentale di un qualsiasi studio. Questo per due ordini
di motivi: il primo è che nel dibattito scientifico non c’è per ora un
accordo sulla definizione di questo fenomeno (Mete 2003); il
secondo è che diversamente da altre etichette solitamente usate i
vari attori politici non si riconoscono nell’etichetta di antipolitici
(Mastropaolo 2005). Innanzitutto possiamo dire che l’antipolitica è
quel fenomeno che comunemente viene ricondotto a manifestazioni
di insofferenza verso la politica tout court e i suoi attori. In campo
scientifico però la ricerca si è sviluppata in diverse direzioni senza
dare per ora punti di riferimento esaurienti: c’è chi si è concentrato
maggiormente sul tema del sentimento antipartitico (Mete 2005;
Scarrow 1996, Poguntke e Scarrow 1996) e chi sui fenomeni di
populismo sia nel collegamento con l'antipolitica (Mastropaolo
2000a, 2000b; Viola 2000) che nel discorso politico (Campus
2006), altri ancora concentrandosi più sul progressivo declino della
politica dagli anni 80-90 in poi hanno attribuito questo fenomeno
alla diffusione di sensazioni di sfiducia (Tarchi 1996; Pasquino
2002; Donolo 2000; Lupo 2000; Marletti 2002; Torcal e Montero
2006) o alla progressiva mediatizzazione della politica in rapporto
agli atteggiamenti antipolitici (Cepernich 2002; Gerstlè 2002; Gaxie
2002; Biorcio 2002).
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Proviamo però ad individuare tra la letteratura a nostra disposizione
le trattazioni più esaurienti che ci permettano di fissare i pilastri
essenziali su cui poggia l’antipolitica. Generali sentimenti di
repulsione verso il potere sono sempre esistiti nella storia ma per
come è intesa oggi – sostiene Paolo Viola (2000) – l’antipolitica
nasce nel XVIII secolo con il periodo delle Rivoluzione francese
perché proprio in quel periodo il potere si collega con il popolo e i
suoi bisogni non con entità divine e certezze prestabilite, come in
precedenza, quindi il termine ha dei caratteri eminentemente laici
come quello della centralità dello Stato nel progettare il proprio
futuro. Il termine nacque per connotare una mobilitazione dal basso,
della purezza del popolo contro il potere di una élite distante e
corrotta senza presumere un ideale filosofico specifico ma una
protesta politica, nel senso che si oppone ad un sistema di regole e
di istituzioni presenti le quali però varieranno nel tempo e di
conseguenza faranno anche i temi dell’antipolitica perché, come
constata lo stesso autore, “per accordarsi su quello che l’antipolitica
significa bisogna stabilire a quale politica fare riferimento” (Viola
2000, 153). Essa non ha dunque (come molti altri “anti-” nella
storia) un programma ben specifico ma definisce un “loro” politico
e ad esso si oppone, quindi ha in sé un carattere eminentemente
politico ed etico. Da quel periodo storico si affermarono due aspetti
dell’antipolitica che sotto diverse forme troviamo ancora oggi nei
periodi di risveglio antipolitico. Il primo è l’aspetto patriottico come
protezione del popolo detentore di antichi valori e tradizioni ed era
quella che si costituì in Regno Unito contro le lentezze e faziosità di
un governo, quello scaturito dalla “Rivoluzione Gloriosa”, atto a
mediare tra mille interressi e punti di vista. L’altro aspetto è quello
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proprio del giacobinismo della ritrattazione delle regole del gioco
per rigenerare la politica verso una gestione più limpida e pura
(Viola 2000). Una lodevole ricostruzione delle idee che nella storia
sono state ascritte a forme di critica della politica è quella di
Schedler che ha tentato di compiere un’esauriente e completa
descrizione delle correnti di pensiero ascrivibili in qualche modo a
forme di critica alla politica. L’autore raggruppa queste correnti in
due diverse famiglie di pensiero antipolitico la prima è quella che
egli definisce dei “detronizzatori della politica” perché la ritengono
chiusa su se stessa e poco utile e per questo è necessario confinarla
in un ruolo molto marginale. In questa famiglia Schedler include
tutto il pensiero liberale classico e i suoi sviluppi storici che
affermano l’autosufficienza dell’individuo nel raggiungere le sue
massime aspirazioni e alla politica è assegnato il solo ruolo di
arbitrato mentre tutte le altre funzioni sono solo un intralcio e un
danno al raggiungimento del massimo benessere sociale ed in
particolare dei “migliori”. Altre idee che possiamo considerare uno
sviluppo di questa teoria sono quelle che considerano la sfera
economica come migliore ed efficiente mentre la politica sempre
più inutile e arroccata su contrapposizioni sempre più effimere. La
seconda diversa famiglia di pensieri antipolitici formulata da
Schedler è quella che lui chiama dei “colonizzatori della politica”
che esprimono l’esigenza di cambiarla in modo radicale. In questo
c’è chi crede che la politica debba essere sostituita da tecnocrati ed
“esperti” e chi crede che la politica debba essere investita da una
ventata moralizzatrice, basata cioè su principi assoluti e immutabili
insiti nella tradizione di ogni popolo. Un altro filone di pensiero
colonizzatore è quello che si può definire dell' ”antipolitica estetica”
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