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Ho ritenuto importante dedicare un cenno nel terzo capitolo ai poteri del Primo
Ministro inglese poiché mi ha aiutato a comprendere quali sono gli effettivi compiti e
doveri di un premier britannico.
Il capitolo quarto descrive le elezioni generali del 1997 e il rinnovamento del
partito. Il Labour Party è diventato New Labour ed è riuscito a convincere un elettorato
molto disomogeneo, soprattutto le classi medie, che avrebbe guidato adeguatamente il
nuovo corso britannico. Grazie a un’efficace campagna mediatica, che ha rappresentato
un’indubbia novità per la Gran Bretagna, Tony Blair ha affrontato il peso del passato e
dopo diciotto anni ha riportato al governo il Partito Laburista rendendo moderna e
all’avanguardia la sua immagine di politico. In seguito ho analizzato il “Manifesto”del
New Labour Party scritto da Anthony Giddens, direttore della London School of
Economics e stretto consigliere di Blair. Questo non ha solo l’intento di far conoscere
gli ideali e le proposte concrete del New Labour, ma di offrire una “terza via” fra le
ingiustizie del liberismo e le rigidità della socialdemocrazia. Tra i suoi cardini vi sono
l’uguaglianza e il sostegno degli svantaggiati, ma anche la “società civile attiva”, il
“welfare positivo” e lo slogan “nessun diritto senza responsabilità”.
Infine nel capitolo quinto ho elaborato un’analisi delle elezioni generali del
2001, che hanno confermato l’egemonia laburista, malgrado un electoral apathy, cioè
un forte astensionismo da parte dell’elettorato. Alla fine del capitolo ho esposto,
brevemente, uno studio condotto dall’Università di Bournemouth sulla la strategia di
comunicazione del primo ministro inglese Tony Blair e sulla copertura dei media nel
dibattito pubblico nell’evolversi della Seconda Guerra del Golfo.
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CAPITOLO PRIMO
I PARTITI POLITICI
Si dicono partiti le fazioni che dividevano le
antiche repubbliche come i clan che si
raggruppavano attorno ad un condottiero
nell’Italia rinascimentale, i clubs dove si
riunivano i deputati delle assemblee
rivoluzionarie, i comitati che preparavano
le elezioni censitarie nelle monarchie
costituzionali, come pure le vaste
organizzazioni popolari che inquadrano
l’opinione pubblica nelle democrazie
moderne.
[M. Duverger, I partiti politici].
I partiti politici, considerati come attori fondamentali delle democrazie
rappresentative, sono organizzazioni stabili e strutturate miranti alla conquista e
all'esercizio del potere politico.
In quanto strutture stabili che svolgono principalmente la funzione politica di
aggregazione degli interessi, i partiti politici rappresentano un fenomeno storico
relativamente recente, distinguendosi da preesistenti strutture politiche similari
(clientele, sette, fazioni) per lo più occasionate da periodi di crisi o da eventi eccezionali
e tendenti a obiettivi particolari. Possiamo dire dunque che sono un’associazione, nel
senso che sono un gruppo formalmente organizzato e basato su forme volontarie di
partecipazione.
Secondo Max Weber: «i partiti sono associazioni fondate su una adesione (formalmente
libera), costituite al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno
di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi possibilità (ideali o materiali), per il
perseguimento di fini oggettivi o per il perseguimento di vantaggi personali o per tutte e
due gli scopi. […] per questo i partiti sono possibili soltanto nell’ambito di comunità
che siano a loro volta in qualche modo associate, e cioè che possiedano qualche
ordinamento razionale e un apparato di persone che si tengano pronte per la sua
6
attuazione. Il fine dei partiti è appunto quello di influenzare questo apparato, e di
formarlo possibilmente con aderenti al partito» [Weber M. 1974 citazione in della Porta
2001].
La definizione più contemporanea e sintetica è stata data da Giovanni Sartori che
definisce il partito un qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che
si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare attraverso le elezioni (libere o no)
candidati alle cariche pubbliche [Sartori G. 1965].
Il concetto di partito si è sviluppato in relazione alla sfera della politica, per
questo è opportuno ricordare l’esperienza della polis greca. Per i greci, l’esperienza
della polis era legata al potenziamento di capacità uniche della specie umana, come il
ragionamento e l’uso del linguaggio. Nella polis greca, per l’uomo politico la politica
non si differenzia dalla società: la polis è l’unità costitutiva e la dimensione compiuta
dell’esistenza.
È solo nella città romana che emerge un elemento considerato come importante per
garantire il vivere civile: la civitas è infatti organizzata giuridicamente. Bisognerà
comunque attendere Machiavelli perché la politica assuma quella dimensione verticale,
“di potere, di comando e, in ultima analisi di uno stato sovraordinato alla società”, che
le è riconosciuta ai giorni nostri.
Per comprendere le caratteristiche dei comportamenti politici occorre guardare ai
luoghi dove si attuano i comportamenti politici e alle risorse che entrano in gioco nella
politica.
Il concetto di stato si riferisce a uno specifico ordinamento politico, che emerge in
Europa a partire dal XIII secolo, lo stesso concetto di stato si sviluppa nel XIV secolo.
Nella classica definizione di Max Weber l’elemento fondamentale che caratterizza lo
stato è il monopolio della forza legittima: si ha uno stato quando un soggetto politico di
carattere istituzionale è capace di rivendicare con successo, per la sua direzione
amministrativa, il monopolio della forza legittima. L’obbedienza allo stato è legata al
controllo della forza necessaria a sanzionare le violazioni. Nello stato moderno,
l’obbedienza al dominio politico non è dettata tanto dalla paura della punizione, quanto
da un senso di doverosità morale.
7
La genesi dei partiti in senso proprio s'intreccia con quella dello stato moderno e in
particolare con le guerre di religione europee dei secoli XVI e XVII, che conferirono
per la prima volta alle "parti" in lotta connotati ideologici: le diverse aggregazioni si
fecero allora portatrici di una concezione del mondo e dei rapporti fra gli uomini che
condizionò anche la formazione degli schieramenti politici, come avvenne per esempio
durante la guerra civile inglese. Solo dopo il compimento della Glorious Revolution in
Inghilterra e la vittoria delle due grandi rivoluzioni settecentesche, in America e in
Francia, che abbatterono il monopolio monarchico della sovranità e crearono nuove
forme costituzionali, i neonati partiti politici si videro assegnata una funzione centrale
nella formazione della volontà nazionale. In Gran Bretagna i whigs
1
e i tories
2
si
caratterizzarono sin dall'inizio come schieramenti interni al parlamento, in competizione
per determinare gli indirizzi governativi. A essi mancò tuttavia il requisito fondamentale
dell'organizzazione, che si ritrova invece in alcune espressioni della sociabilità politica
della Francia rivoluzionaria, soprattutto nel movimento giacobino. Dalla fine del
Settecento in poi i partiti hanno assunto un'importanza sempre maggiore, diventando
elemento essenziale della storia politica dei diversi paesi e interagendo con le
trasformazioni delle società contemporanee. Mentre lo sviluppo dei partiti politici
attraversa tutto l'Ottocento, la riflessione teorica e metodologica sulle loro
caratteristiche e sui loro meccanismi di funzionamento risale al Novecento [della Porta
2001].
1
I Whigs rappresentavano, nel XVII – XIV secolo il principio della resistenza al sovrano e della
tolleranza religiosa, la città di Londra, gli interessi dei ceti commercianti arricchiti da traffico marittimo e
coloniale.
2
I Tories rappresentavano la corrente dei partigiani del re, della chiesa anglicana, della tradizione della
proprietà fondiaria e del ceto rurale. Il termine tory vien utilizzato oggi per indicare il Conservative party.
8
1.1 Funzioni e struttura dei partiti
Il partito è un sistema interamente differenziato e dal suo concetto si può ricavare la
sua struttura organizzativa:
a) Il partito è un insieme di individui, un’associazione che dura nel tempo sulla
base di principi condivisi;
b) È in grado di far eleggere i candidati, i quali andranno a far parte dell’assemblea
rappresentativa e, sotto determinate condizioni, anche del governo;
c) Ha bisogno, dunque, di un elettorato che lo voti;
d) Almeno per questi compiti elettorali protratti nel tempo deve possedere un
minimo di risorse umane, organizzative, finanziarie, di expertise.
Da questa analisi emergono tre dimensioni del partito: una dimensione interna
(l’associazione degli aderenti); una dimensione esterna (l’elettorato, più in generale la
società); una dimensione istituzionale (gli eletti).
Il partito, insomma, come si è detto, è un’organizzazione complessa, attraversata da
divisioni politiche orizzontali, correnti, fazioni, aree di tendenza ecc., e da divisioni
funzionali, come gli iscritti gli attivisti, i dirigenti, gli eletti, i governanti, ecc. Ognuno
di questi elementi costitutivi ha una sua relativa autonomia di comportamento, data dal
compito funzionale che persegue e dalla posizione sia all’interno della struttura partitica
sia all’interno della struttura istituzionale entro cui deve agire. La posizione di ciascun
elemento del partito è perciò inserita in un sistema di vincoli, di risorse e di incentivi e
di opportunità, che va analizzata nella sua specificità strutturale e rapportata a quella
degli altri elementi per capire il funzionamento del partito anche come un attore
unitario.
I partiti svolgono nelle democrazie tutte una serie di attività o compiti, nel
perseguimento dei loro obiettivi, che la letteratura ha definito funzioni.
Quando si parla delle funzioni dei partiti bisogna considerare non solo le singole unità
d’analisi, ma anche il sistema partitico nel suo complesso. Alcune funzioni, peraltro,
non sono proprie dei singoli partiti, ma del sistema partitico. La funzione di
legittimazione del sistema democratico, per esempio, è adempiuta dall’esistenza di più
partiti e dal fatto che gli elettori, nelle elezioni hanno una possibilità di scelta tra più
alternative.
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In generale la quantità e la qualità delle funzioni espletate dai partiti, sono legate ai tipi
di partito e alla specifica articolazione della loro struttura organizzativa, seguendone
tutte le trasformazioni. Possiamo dire che le funzioni sono collegate alle strutture
organizzative interne e sulla base di questo criterio, messo in evidenza da Massari
[Massari O. 2004], possiamo elencare le principali:
1. partito nell’elettorato: gli elettori costituiscono il prolungamento necessario
dell’associazione. Il partito in quanto associazione non ha in se stesso la sua ragione
d’essere: la sua finalità vi è esterna, perché ogni partito ha per vocazione quella di
ottenere consensi al di fuori di se, al fine di accedere al potere.
Il legame continuativo e saldo tra elettori e partiti costituisce una dimensione
essenziale del buon funzionamento della democrazia. In questa visione che si può
definire partecipativa, i partiti politici sono gli strumenti permanenti delle identità
politiche della società cui devono dare voce, rappresentanza, organizzazione. I
partiti, strutturando su basi stabili e durature il voto attraverso processi di
identificazione socio-psicologici, hanno in realtà strutturato le condizioni stesse di
funzionamento della democrazia.
La stabilità del mercato elettorale è condizione, attraverso la solidità dei partiti, della
stabilità del sistema democratico. Il declino dell’identificazione partitica, ossia dei
legami non fluidi tra elettorato e partiti, può significare allora il declino non solo dei
partiti ma della stessa democrazia come l’abbiamo finora conosciuta.
C’è poi un’altra accezione che va considerata nell’espressione del partito
nell’elettorato, ed è quella del partito dentro l’elettorato, ossia l’insieme delle attività
che il partito deve svolgere nell’elettorato in vista delle e durante le elezioni. La
strutturazione del voto è la funzione minima di un partito politico in una democrazia
moderna. I partiti, con le loro etichette e posizioni consolidate su tutta una serie di
temi, permettono agli elettori di semplificare la loro scelta di voto.
Soprattutto durante le campagne elettorali, ma anche prima e dopo, i partiti
svolgono un’azione costante di informazione politica, di illustrazione dei temi
ritenuti prioritari, di persuasione attraverso una propaganda capillare, contribuendo
in questo modo alla formazione politica delle opinioni dei cittadini. I partiti si
sforzano di mobilitare i cittadini coinvolgendoli in varie forme di partecipazione nel
10
processo elettorale e democratico i generale. Sotto questo aspetto, i partiti sono
importantissimi canali e agenti di partecipazione e di mobilitazione politiche.
2. il partito come organizzazione: il partito in quanto associazione di individui è
un’organizzazione, ossia un’associazione che dura nel tempo, quindi permanente,
contraddistinta da una sigla e da un simbolo, i quali riassumono un’identità storica
e/o una posizione ideologica, e che ha oggettivato e istituzionalizzato le ragioni
dell’adesione e le norme e le regole di comportamento della vita interna. Il partito
come organizzazione è composto da:
− un’organizzazione centrale: gli iscritti vanno organizzati sul piano
orizzontale di base o sul territorio. La partecipazione degli iscritti va poi
canalizzata e regolamentata da statuti, norme, regolamenti, convenzioni. Una
vasta membership ha bisogno inoltre di istituzioni rappresentative per
nominare i propri delegati ai congressi e agli organi direttivi ed esecutivi ai
vari livelli secondo varie modalità di democrazia interna.
− La membership: essa può includere anche attivisti regolari, sostenitori
finanziari e persino elettori fedeli riconosciuti. È un concetto ampio, solo
apparentemente univoco, giacché essa è una realtà in cui sono presenti molti
attori o figure diverse. Da questo punto di vista, può essere raffigurata come
una sorta di stratarchia, composta cioè da diversi strati. Occorre tenere
presente che la membership è un vastissimo serbatoio dal quale provengono i
dirigenti, i leader e i candidati alle varie cariche pubbliche. E tutti questi
sono anche iscritti. Il primo strato, quello più largo è costituito da semplici
iscritti che possono avere un rapporto assai sporadico con la vita
dell’organizzazione. Un secondo strato è composto dai cosiddetti militanti e
attivisti, i quali sono impegnati assiduamente nei vari compiti
dell’organizzazione. Essi si mobilitano durante le campagne elettorali,
diffondono la propaganda del partito, raccolgono finanziamenti, partecipano
alle attività interne.
− I leader nazionali: al vertice dell’organizzazione si trova la cerchia ristretta
dei dirigenti o dei leader nazionali, tra i quali un ruolo distinto occupa il
leader. Costui è costretto a massimizzare o almeno a mantenere il potere
politico. Sono dunque motivati dagli incentivi materiali legati alla
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conquistate al mantenimento di cariche o all’interno del partito o nelle
istituzioni parlamentari e governative. L’ambizione diventa uno stimolo
fortissimo ed è una componente, non necessariamente negativa,
fondamentale del loro comportamento. In questo senso i fini dei leader
differiscono da quelli dei militanti. Per i primi il partito è uno strumento per
l’acquisizione di potere, per i secondi è un fine in sé. I primi devono
necessariamente essere legati a una logica di competizione (come
guadagnare voti per accrescere il proprio capitale personale).
3. il partito degli eletti: la ragion d’essere primaria del partito è di far eleggere i propri
candidati al parlamento per conquistare, se possibile, il governo; nei sistemi
presidenziali o semipresidenziali, anche di far eleggere un proprio candidato alla
carica monocratica.
Lo sviluppo del partito di massa ha spostato il baricentro del partito delle istituzioni
alla membership e all’organizzazione interna prima, all’elettorato poi. Il ruolo degli
eletti è risultato così ridimensionato o è apparso appannato rispetto alle macchine
partitiche extraparlamentari, cui essi erano subordinati. Sono gli eletti organizzati
per linee partitiche in gruppi parlamentari, che costituiscono il legame tra suffragio
elettorale, partiti e parlamenti e governi. Essi sono situati al cuore della democrazia
rappresentativa.
Gli elettori sono legati al successo elettorale: per essere tali devono essere appunto
eletti. E si è eletti sotto un simbolo di un partito, essendo ormai i candidati
indipendenti una rarità.
La legittimità degli eletti è duplice: dipende dall’elettorato ma prima ancora dalla
designazione da parte del partito. Il processo interno di selezione dei candidati alle
cariche pubbliche è il vero momento decisionale e, in connessione sia con il sistema
di finanziamenti sia con il sistema elettorale, determina il tipo di obbligazioni che si
stabiliscono tra candidati-eletti e partito. A chi vanno i finanziamenti e come si
viene eletti, determina la posizione del singolo parlamentare rispetto al partito e al
gruppo parlamentare stesso, posizione che può variare da una grande a una
limitatissima autonomia. Il grado di questa autonomia dipende dalla variazione che
sussiste tra il cosiddetto voto personale e il voto di partito.
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Il voto dato essenzialmente al partito, come accade in Inghilterra, rende il singolo
eletto dipendente dal partito. Il voto dato alla persona accresce indubbiamente il
potere del singolo nei confronti del partito [Massari O. 2004].
Riassumendo si può dire che le funzioni dei partiti sono:
Partito nell’elettorato:
− Strutturazione del voto
− Azione di educazione politica dei cittadini
− Produzione di simboli di identificazione e lealtà
− Mobilitazione e campagne elettorali
Partito come organizzazione:
− Reclutamento dei leader politici e dei candidati alle cariche pubbliche
− Formazione delle élites politiche
− Articolazione e aggregazione degli interessi
Partito degli eletti:
− Mantenimento di un rapporto di rappresentanza e di responsabilità con i
rappresentanti
− Formazione di maggioranze di governo
− Organizzazione e coordinamento del governo
− Elaborazione ed organizzazione delle politiche pubbliche
− Organizzazione dell’opposizione
− Controllo dell’attività e della condotta del governo.
In termini più analitici i partiti assolvono quattro funzioni tipiche:
1. la definizione degli obiettivi (ideologie e strategie);
2. l'articolazione e l'aggregazione degli interessi in domande politiche;
3. la mobilitazione e la socializzazione dei cittadini, specie con riferimento alle
elezioni;
4. il reclutamento delle elite e la formazione dei governi;
13
1.2 Tipologie ed evoluzione
Avvalendosi delle tipologie elaborate dalla sociologia e dalla politologia gli
storici hanno delineato l'evoluzione dei partiti politici secondo una sequenza alquanto
articolata. Una prima categoria, secondo la definizione di Max Weber, è rappresentata
dal partito di notabili. Tale struttura, a carattere informale e individuale, è per lo più
espressione dell'egemonia dei proprietari terrieri e borghesi e dell'organicità pressoché
completa tra società civile e società politica caratterizzante la prima metà dell'Ottocento
nell'Europa continentale.
Con il termine notabili vengono definiti individui che: 1) sono in grado, in virtù della
loro condizione economica, di agire continuativamente all’interno di un gruppo,
dirigendolo o amministrandolo, come professione secondaria, senza uno stipendio,
oppure con uno stipendio onorario o nominale; 2) godono di una considerazione sociale,
fondata non importa su quale base, che dà loro la possibilità di accettare uffici.
La risorsa principale di questa classe politica era inizialmente la deferenza. Il
rappresentante eletto in parlamento era il signore locale che godeva di fiducia politica
grazie alla deferenza che a quella classe era naturalmente dovuta per il tradizionale e
paternalistico ascendente proprio all’aristocrazia. L’elezione offriva ai signori locali una
risorsa aggiuntiva di legittimazione nell’antagonismo con la monarchia, mentre
aumentava anche il loro controllo sulle risorse provenienti dall’esecutivo, da distribuire
clientelarmente alla loro base (ristretta) di elettori.
I partiti di notabili si attiravano prevalentemente nella fase della campagna elettorale
con il fine di eleggere il candidato che essi sostenevano. Una volta in parlamento, i vari
candidati interagivano l’uno con l’altro, con un debole coordinamento verticale. Questo
tipo di partito aveva come unità di base il comitato, composto da una dozzina di uomini.
L’elemento importante di questo non è la quantità dei partecipanti, ma lo status sociale.
Una forma ulteriore è costituita dai partiti macchina o d'opinione a base
tendenzialmente di massa, diretti, secondo l'espressione di M. Weber, da “imprenditori
politici” capaci di controllare apparati di consenso più complessi e tipici del secondo
Ottocento negli Stati uniti e in Gran Bretagna. Un'altra categoria è quella dei partiti di
classe e dei partiti confessionali di fine Ottocento, espressione di gruppi separati della
società in lotta per il riconoscimento dei diritti politici e sociali, il cui prototipo è
rappresentato dal Partito socialdemocratico tedesco. Il fine del partito di classe è
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perseguire il cambiamento sociale a favore delle classi lavoratrici, mobilitando la classe
operaia formando identità politica con appelli di tipo universalistico e promesse di
benefici collettivi. Questo tipo di partito è fondato sugli iscritti con legami con i
sindacati e con organizzazioni sociali fiancheggiatrici.
Il partito confessionale difende gli interessi fondamentali degli aderenti religiosi,
mobilitando le organizzazioni religiose e pronunciando appelli interclassisti.
In queste organizzazioni, definite di «integrazione sociale» o di «integrazione
negativa», e culminate nel modello leninista-bolscevico, si incontrano i caratteri passati
poi ai partiti di massa del Novecento: caratterizzati da forte connotazione ideologica,
struttura burocratica e gerarchizzata, disciplina degli attivisti, controllo dei deputati.
Con tale forma, che raggiunge la sua manifestazione estrema nei partiti-stato, i partiti
politici assurgono definitivamente a protagonisti della mobilitazione politica e della
nazionalizzazione delle masse, trasformandosi, sia nei regimi democratici sia in quelli
totalitari, in organi costituzionali e in organizzazioni interclassiste, fondate su una
tendenziale autonomizzazione della società civile. Come sostiene Weber «avvenne
infatti che per conquistare le masse si rese necessario dar vita ad un enorme apparato
di gruppi di aspetto democratico, costituendo in ogni quartiere cittadino un gruppo
elettorale, tenendo ininterrottamente in movimento l’esercizio e intraprendendo una
totale e rigorosa burocratizzazione: aumentavano sempre più i funzionari e gli
impiegati a pagamento”. Era l’integrazione della classe operaia che richiedeva una
nuovo tipo di partito. “Il potere dei notabili e la guida dei parlamentari viene meno.
L’esercizio viene assunto dai politici a titolo di “professione principale” fuori dai
parlamenti» [Weber M. 1974 citato in della Porta 2001].
Quando entrano in politica anche coloro che non hanno rendite proprie che gli possano
permettere di vivere senza ottenere risorse dalla politica, coloro che si dedicano alla
politica come vocazione hanno bisogno di trarre dalla politica anche le risorse di
sopravvivenza. Si forma così una classe politica, cioè un gruppo di persone che fanno
della politica la loro professione. Con il partito burocratico di massa si afferma infatti la
nuova figura del politico di professione. Secondo Weber «esistono due modi di fare
della politica la propria professione: si può vivere “per” la politica oppure
“di”politica. […] Chi vive “per” la politica ne fa in senso intrinseco la sua ragione di
vita: egli gode del nudo possesso del potere che esercita, oppure alimenta il suo
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equilibrio interno e la sua coscienza di se con la coscienza di attribuire un senso alla
propria vita servendo una causa. […] “della” politica come professione vive colui il
quale aspira a farne una fonte di introito durevole; “per” la politica vive colui il quale
ciò non avviene» [Weber M. 1974 citato in della Porta 2001].
La struttura di base tipica del nuovo partito è la sezione che si differenzia dal
comitato sotto molti aspetti. Innanzitutto la sezione è un organismo aperto a tutti, che fa
propaganda per aver il maggior numero possibile di iscritti. Nelle moderne democrazie
di massa, il partito svolge una funzione di integrazione sociale: è cioè capace non solo
di rappresentare ma anche di offrire basi di identificazione ai suoi aderenti. Un esempio
è il partito socialista dove l’azione di socializzazione avveniva all’interno delle
subculture e gran parte del tempo lavorativo veniva vissuto entro un’area di
uguaglianza. Importante a questo proposito è l’ideologia, che assunse una funzione
fondamentale per l’organizzazione, in quanto strumento per forgiare gli interessi di
lungo periodo e la stessa identità degli attori. Come sottolinea Pizzorno «l’ideologia
permette di rafforzare la solidarietà tra i membri del partito contribuendo a formare e
saldare la convinzione di condividere fini comuni. Essa diventa, inoltre, una guida
all’azione, indirizzando le scelte strategiche e tattiche del partito. Infine essa rafforza il
potere dei leader, che diventano sempre più coloro che conoscono e sono in grado di
applicare l’ideologia» [Pizzorno A 1996 citato in della Porta 2001].
Grazie anche all’affermarsi della libertà di pensiero e di stampa, la capacità di
comunicare, di interpretare ed argomentare diventerà sempre più importante,
permettendo l’elaborazione del concetto di bene comune.
Il secondo dopoguerra vide l’avvento pieno del mercato politico, ossia della
competizione a tutto campo, con la trasformazione dei maggiori partiti europei in partiti
pigliatutto e con il cambiamento della loro struttura organizzativa interna. Kirchheimer
fu il “padre” del partito pigliatutto e la formula utilizzata era catch-all people’s party
[Massari O. 2004]. La ragion d’essere di questi partiti era di costruire, nella società
industriale, lo strumento dell’interazione non solo sociale, ma anche politica, all’interno
del sistema politico degli individui e dei gruppi sociali.
L’affermarsi del partito pigliatutto sarebbe il risultato di una serie di trasformazioni
sociali e culturali che portano all’indebolimento dei sentimenti di appartenenza di classe
così come delle credenze religiose.