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INTRODUZIONE
«C’è un’autocritica mia e di tutto l’establishment, di
tutto il giornalismo indipendente. Per almeno tre-
quattro anni abbiamo avuto tutte le possibilità di
capire che cos’era questo terrorismo, e di stabilire
anche dei legami informativi, il mondo del terrorismo
non è poi chiuso ermeticamente. Invece ci siamo fatti
prendere da un peccato di presunzione: eravamo
talmente convinti che in Italia non sarebbe cresciuta
né una forza seria a sinistra del Pci né un’opposizione
armata»
1
. (Giorgio Bocca, giornalista, 1978).
«Ce l’avevamo con la stampa, specie con quella
“democratica” che continuava a chiamarci fascisti,
quando a Milano fra il 1970 e il 1973 chiunque
poteva sapere che cosa fossero e che stessero facendo
le Br. Solo che a volerlo sapere erano in pochi.
Diciamo che l’impressione che ci facevano i media
era questa: un muro»
2
. (Giorgio Semeria, brigatista,
1985).
È dall’amore per un periodo storico, gli anni Settanta, che è nato il mio desiderio di
portare avanti questo lavoro di tesi. È un periodo segnato da una grande vitalità, che formatasi
nelle piazze e nelle università del ’68 si protrae in Italia per buona parte del decennio
successivo. Ma sono un entusiasmo e un desiderio, quelli sessantottini, disperati, illogici e
senza limiti, che, nel momento in cui non riescono a trovare una corrispondenza nella vita
1
Citato in G. PANSA, Carte false, Rizzoli, Milano 1986, p. 35.
2
Citato in G. FARINELLI, E. PACCAGNINI, G. SANTAMBROGIO, A. I. VILLA, Storia del giornalismo italiano, Utet,
Torino 1997, p. 380.
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della società, ecco che si affidano totalmente alla vita politica. E così si fanno ideologia, e in
tanti casi violenza. E il mio studio ha voluto leggere e guardare quegli anni dagli occhi di un
mondo anch’esso a me molto caro: il giornalismo. Un settore che, mai come in questo
periodo, ho scoperto aver giocato un ruolo chiave sullo scenario politico e sociale del Paese.
L’intuizione l’ho avuta leggendo il libro di Michele Brambilla L’Eskimo in redazione:
vi si ricostruisce bene quel quadro di cui le due citazioni poste in esergo danno
un’anticipazione essenziale. E questo quadro parla chiaro: per molto tempo, la stampa italiana
ha guardato a quanto accadeva in quegli anni con una logica di parte, creando «un clima di
faziosità, di violenza verbale, di omissioni e di distorsioni che aveva contagiato praticamente
tutti i grandi giornali dell’epoca – quelli “borghesi” compresi – e che aveva un unico fine:
dimostrare che la violenza era solo o fascista, o “di Stato”; e che il terrorismo di sinistra non
esisteva, le Brigate rosse erano un’invenzione del potere reazionario»
3
. In un momento in cui,
sia chiaro, la violenza era sia di destra che di sinistra, i giornali puntavano il loro dito solo da
una parte.
Incuriosito quindi da quanto letto, ho voluto andare più a fondo, cercando di vedere in
che modo si sia verificata questa dinamica nello specifico di un caso di cronaca di quegli anni.
La scelta è caduta sul duplice omicidio Mazzola-Giralucci (17 giugno 1974), due membri
dell’Msi di Padova uccisi nella sede missina locale in Via degli Zabarella. E si è rivelata
azzeccata: è il primo delitto compiuto dalle Brigate rosse, e l’analisi ha rivelato come, sin dai
giorni successivi il fatto, i giornali abbiano preferito spostare l’attenzione sui problemi interni
al Movimento Sociale, indagando su possibili faide interne legate ai “trascorsi” dei padovani
Freda e Ventura, piuttosto che credere alla rivendicazione che, immediatamente, le Br hanno
trasmesso. Ma non voglio anticipare troppo il lavoro di analisi che trova ampio spazio nel
terzo capitolo.
3
M. BRAMBILLA, L’Eskimo in redazione, Ares, Milano 2010, pp. 7-8.
7
Il mio lavoro di ricerca si è quindi concentrato sulla lettura di articoli delle due-tre
settimane successive il delitto comparsi su cinque testate. Quattro sono quelle più diffuse
dell’epoca a livello nazionale, quindi Corriere della Sera, La Stampa, l’Unità e Il Giorno.
Come quinta, ho scelto Il Gazzettino, decidendo di dare spazio così anche a un esempio di
testata a vocazione locale. In tutto, ho letto circa duecento articoli, guardando anche le pagine
di alcune riviste, come Panorama o L’Espresso, che poi non sono diventate parte della mia
analisi.
Leggendo questi articoli ho visto di che pasta sono fatte le notizie, cioè come sono
costruite. Non è semplicemente il fatto a parlare, ma molto di più, come spiega bene Petrosino
in un suo articolo apparso su Vita e Pensiero: «La notizia non si trova, ma si costruisce, ed è
proprio per questa ragione che il valore di una notizia non è mai riducibile al valore logico di
verità relativo all’evento di cui tratta, poiché esso (il valore della notizia) dipende anche dai
criteri di selezione e dai processi di elaborazione testuale che sono all’origine della forma
della notizia stessa»
4
. La mia analisi ha tenuto conto quindi non solo dei contenuti (se e come
riportati), ma anche di tutto ciò che compone una notizia: tono e informazioni del titolo,
elementi messi nel sommario, organizzazione dell’articolo, linguaggio usato, accostamento
delle parole, scelta delle immagini, posizionamento dell’articolo nel giornale e in una pagina,
e altro ancora... Tutto questo per far vedere in che modo il giudizio di chi scrive traspaia nel
suo pezzo attraverso tante piccole scelte (volute o meno), e in che modo si riesca così ad
influenzare il lettore.
Prima dell’analisi degli articoli, ho voluto dedicare il primo capitolo a un quadro
storico sul giornalismo negli anni Sessanta e Settanta, con qualche riferimento alla
contestazione giovanile del ’68 e alla violenza degli anni di Piombo, per procedere poi con un
rapido secondo capitolo in cui ho raccontato lo svolgimento dei fatti di Padova, sulla base
delle ricostruzioni oggettive che sono state fatte negli ultimi anni a mano a mano che
4
S. PETROSINO, Giornalismo ed etica: neutralità o immoralità?, in “Vita e Pensiero”, XCVI (2010), 4, pp. 102-
107.
8
emergevano e si assemblavano pezzi di verità. Infine, nell’ultimo capitolo, ho tirato le
somme: prima mettendo in evidenza alcune cifre specifiche di ognuno dei cinque quotidiani
analizzati, poi sottolineando quelli che invece sono i fattori comuni e che più spesso ho visto
ripetersi, linguisticamente e contenutisticamente, tra le varie testate.
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CAPITOLO I
ANNI DI PIOMBO E CARTA STAMPATA
BREVE PROFILO STORICO DEI GIORNALI
TRA ANNI SESSANTA E SETTANTA
1.1 - Che cosa sono gli “anni di Piombo”
Col termine “anni di Piombo” s’intende quel periodo che prende tutti gli anni Settanta,
iniziando già nel ’68-’69, segnato da un’estremizzarsi e un’assolutizzarsi della vita politica, in
particolar modo delle componenti extra-parlamentari (di destra e di sinistra). Dopo le
contestazioni giovanili del ’68, le tensioni politiche si acuirono con la strage di piazza
Fontana del 12 dicembre ’69: una bomba esplose all’interno della Banca dell’Agricoltura di
Milano, provocando la morte di diciassette persone. La strage, che inizialmente fu attribuita
agli anarchici, venne poi fatta risalire all’estrema destra.
Da qui in avanti sarà un’escalation, che vedrà una sempre maggiore crescita dei
gruppi di sinistra extra-parlamentare (Movimento Studentesco, Potere Operaio, Lotta
Continua), accompagnata da un aumento della violenza politica, che si esplicò in lotta armata
e terrorismo. Il clima era ulteriormente teso per la serie di stragi che fecero seguito a quella di
piazza Fontana: Gioia Tauro (1970), la questura di Milano (1973), piazza della Loggia a
10
Brescia (1974), il treno “Italicus” (1974), e la stazione di Bologna (1980): pochi furono i
condannati per questi fatti, che vedono il sospetto di una responsabilità di alcuni uomini di
Stato, tanto da essere stata usata la formula «strategia della tensione», per delineare questo
tentativo di rendere instabile l’equilibrio politico democratico italiano. Non intendo però
spendere ulteriori parole su questo problema, su cui aleggia un’atmosfera di mistero da anni:
la mia tesi non vuole trattare questi episodi, che rischierei di analizzare in modo incompleto.
Mi limito solo ad accennarvi per un completo quadro storico.
Protagonisti di questo clima bollente furono anche, come accennato, i gruppi
terroristici, con bande armate di entrambi i colori politici: a destra si distinsero il Movimento
Politico di Ordine Nuovo (Mpon), Ordine Nero, e i Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar). A
sinistra invece primeggiavano le Brigate Rosse (Br), Prima Linea, i Proletari Armati per il
Comunismo, e altri ancora.
Fondamentale fu in questo periodo il ruolo che svolsero i giornali. Al di là del ruolo in
primo piano che giocarono i giornali, la stampa non si limitò a raccontare quanto succedeva
nelle piazze italiane, ma, specie con le azioni terroristiche, c’era sempre il grosso di rischio di
fungere da cassa di risonanza: «Ogni attentato, ferimento, rapimento o esecuzione compiuta
dalle Br era regolarmente accompagnata da documenti o risoluzioni strategiche fatte trovare
presso sedi di fabbriche, giornali o agenzie di stampa»
5
. Non solo: sul finire degli anni
Settanta i giornalisti vennero ulteriormente coinvolti, diventando loro stessi vittime di alcune
azioni delittuose. Prima ci furono le “gambizzazioni” di Valerio Bruno de Il Secolo XIX (1
giugno 1977), di Indro Montanelli de Il Giornale Nuovo (2 giugno 1977), e del giornalista del
Tg1 Emilio Rossi (3 giugno 1977). Carlo Casalegno de La Stampa fu invece colpito il 16
novembre del 1977, morendo qualche giorno dopo in ospedale. A questo omicidio fece
seguito quello del cronista del Corriere della Sera Walter Tobagi (28 maggio 1980).
5
M. FERRARI, Gioco e fuorigioco, le grandi svolte nella storia del giornalismo, Educatt, Milano 2010, p. 388.