II
Si tratta delle testimonianze dell’animatore-attore Herbert Thomas e del 
sacerdote e cappellano del carcere di Parma don Augusto Fontana. Mentre il primo con 
l’uso delle parole è in grado di costruire personaggi - le persone infatti attraverso la 
messa in scena di opere teatrali possono capire meglio sé stessi e aprirsi agli altri -, il 
secondo celebra una Parola di speranza facendola diventare annuncio e dono da 
condividere con le persone. 
 
In seguito, nel quarto capitolo, mi concentrerò nell’analizzare il più 
dettagliatamente possibile l’esperienza vissuta alla Casa Circondariale di Piacenza in 
virtù dell’attività di tirocinio: a partire da una descrizione della struttura esterna ed 
interna del carcere per poi proseguire nel tratteggiare le figure professionali con le 
quali ho avuto maggiori contatti all’interno di questo contesto, soffermandomi in 
particolar modo su ciò che gli educatori fanno e su come vivono la loro funzione.  
 
Attraverso questo elaborato si coglie come non sia possibile negare all’uomo la 
possibilità di comunicare, perché le persone recluse riescono a riaffermare la propria 
umanità  attraverso le parole: ogni parola è infatti costruttrice di grandi mondi che 
permettono di aprirsi all’altro, secondo un’apertura capace di costruire relazioni. 
 1
CAPITOLO 1 
 
EDUCARE IN CARCERE.  
L’EVOLUZIONE DELL’ISTITUZIONE CARCERARIA 
 
1.1 Oltre le sbarre: pro-gettarsi per vivere l’esistenza. 
 
«Anche questo sogno si è infranto, come tanti altri! Che sofferenza e che 
tormento accendere ogni giorno la televisione per sperare nel buon senso o nella 
buona sorte….Non che abbia paura di scontare il resto della pena per il reato 
commesso ma solo per sperare in un atto di clemenza, per ripartire da dove mi sono 
smarrito, per avere un’opportunità di cambiare, per non vivere da parassita in questo 
posto a spese dei miei cari o a spese di quella popolazione di lavoratori che 
contribuisce al mio mantenimento in carcere…  »                                               
          Giovani
1
 
 
 
“Disagio, disagio grave, gli ultimi, i diritti degli ultimi, i diseredati, le 
minoranze, gli immigrati, i poveri, il carcere dei poveri, gli esclusi, l’esclusione 
sociale….”
2
 
Le immagini che appaiono nella mente al risuonare di queste condizioni 
rappresentano tormento, dolore, angoscia, sofferenza e pena.  
Nel mio elaborato di tesi intendo occuparmi dell’umanità dolente che abita un 
mondo sconosciuto: il carcere. 
La condizione di reclusione e isolamento in cui vivono i carcerati impone una 
riflessione preliminare sul tema della progettualità, che è essenza dell’esistere umano, 
fortemente condizionata e indotta ad una profonda revisione nella situazione detentiva.  
A partire da quella condizione di severa limitazione della libertà umana, 
l’intervento educativo deve trovare modi e spazi per una riprogettazione di sé da parte 
                                                 
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 Testimonianza di Giovanni, detenuto presso la Casa Circondariale di Piacenza, tratta dal giornale “Sosta Forzata”   
   Febbraio 2006, n.1, inserto de “Il Nuovo Giornale”,n.6, 17 Febbraio 2006. 
2
 Dall’editoriale di Carla Chiappini, tratta dal giornale “Sosta Forzata”  Febbraio 2006, n.1, inserto de “Il Nuovo    
  Giornale”,n.6, 17 Febbraio 2006. 
 2
di un’umanità ferita, corrotta, deve trovare rinnovati orizzonti di senso per una vera 
rinascita. 
Heidegger sostiene che il modo di essere dell’uomo è l’esistenza
3
, cioè la 
possibilità di progettarsi, l’esistenza non è infatti una realtà fissa, ma un insieme di 
possibilità fra cui l’uomo deve scegliere: mentre le cose sono ciò che sono, e perciò  
semplici presenze, l’uomo è ciò che egli stesso decide di essere. 
Il termine esistenza, riferito all’uomo, va inteso nel senso di ex-sistere, cioè 
trascendere la realtà scegliendo tra diverse opzioni possibili.  
Tale comprensione esistenziale assume in Heidegger, come suo metodo, quello 
fenomenologico che concerne non l’oggetto della ricerca filosofica, ma le modalità di 
questa ricerca: il fenomeno di cui essa parla è manifestazione dell’essere.  
L’essenza della fenomenologia consiste perciò nel far in modo che l’essere si 
riveli e si mostri, all’analisi, nelle sue strutture fondamentali, senza alterazioni.  
Heidegger, nell’analisi di quel poter-essere che è l’uomo,  comincia a 
esaminare la quotidianità dell’uomo, poiché lì l’Esserci è più presente
4
. 
La quotidianità di cui Heidegger  parla, è fondamentale per affrontare le 
differenti dinamiche che nascono in un contesto carcerario. 
Quando un individuo si ritrova a dover varcare la soglia del carcere per la prima 
volta viene guardato sempre con sospetto: benché ancora presunto innocente fino alla  
sentenza definitiva, è comunque al centro di un’attenzione giudiziaria. Ci sono 
differenti variabili da sostenere, un pudore violato dall’articolo sui giornali, dal gossip 
di paese, dal licenziamento da parte del datore di lavoro, dalla distanza emotiva degli 
amici.  
Se è vero che bisogna caratterizzare l’essere in quanto “essere-per-una 
possibilità”, come può un detenuto progettare la sua esistenza? Come può ex-sistere 
nella quotidianità carceraria?  
Vanna Iori, nelle sue riflessioni di filosofia dell’educazione, dice che «il 
soggetto, inteso come esserci, è là, nel mondo, gettato nella situazione insopprimibile 
di effettività e fatticità. Tale condizione è un carattere costitutivo dell’esistenza che, in 
                                                 
3
 Il filosofo nel primo capitolo del libro affronta la tematica dell’essere. Cosi Heidegger inizia il suo discorso 
sull’essere: « Il  concetto di essere è il più generale e vuoto di tutti, e resiste perciò a qualsiasi  tentativo di definirlo.  
D’altra parte in quanto generalissimo, e come tale, indefinibile, non ha neppure bisogno di essere definito»,   
in HEIDEGGER M., Essere e Tempo, Longanesi, Milano,  pp.24-25.  
4
 HEIDEGGER M.,ibidem,p.28 
 3
quanto gettata, è anche sempre nella possibilità di un progetto. L’esser gettato e il 
progetto sono propri del soggetto che è quindi sempre progetto-gettato»
5
. 
Attraverso la nascita veniamo gettati nel mondo non essendone però totalmente 
consapevoli, senza perciò, che questo dipenda dal nostro volere: l’uomo deve essere in 
grado di superare questa gettatezza per progettare la propria esistenza.  
L’essere umano è colui che nasce per portare a  compimento il suo progetto 
all’interno del mondo. 
                                                 
5
 IORI V., Filosofia dell’educazione, Guerini Studio, Milano, 2004, p.130. 
 4
1.2 Intervento educativo: situazione presente e libertà futura 
 
“L'essenza del fenomeno educativo in quanto evento intenzionale si 
connota come temporalità, poiché l'intenzionalità si esprime negli atti della 
trascendenza. La prima modalità emergente dal con-essere educativo è il suo 
situarsi nell'esperienza temporale, trascendendosi continuamente verso il futuro. 
La trascendenza comporta l'apertura ai versanti della possibilità, del progetto, del 
cambiamento. La persona umana è sempre nella trascendenza, poiché lo 
scorrere del tempo della vita non è costituito da una chiusa fissità di momenti 
che si svolgono nell'oggettività del passato, del presente e del futuro, ma si 
snoda attraverso momenti intenzionali che continuamente si trascendono da un 
passato sempre ripreso (nella storia personale e collettiva) a un futuro in cui 
sempre si pro-getta
6
”.         
Per ciascun essere umano il corso della vita si srotola attraverso il ricorrere di 
alcune apicalità esistenziali (i vissuti) che si ritrovano in ciascuno dei cosiddetti 
momenti della vita, ora in una forma ora in un’altra, ora con consapevolezza, ora 
sommerse ed operanti senza avvedersene, ora con forte intensità, ora in un sommesso 
bisbigliare, in un gioco fatto di continuità e discontinuità. 
L’essere umano, incontrando lungo il cammino della sua vita esperienze 
diverse, fatte di volti, situazioni, emozioni, pensieri diversi che magari lo mettono di 
fronte ad aspetti di sé che fino ad un attimo prima gli sembravano estranei, non per 
questo tradisce la sua natura.  L’uomo ha la possibilità di comprendere e realizzare se 
stesso come “essere in relazione”, configurato in quanto dialogo, apertura ed incontro. 
Possiamo quindi pensare ad una concezione della funzione della rieducazione 
differente, che parta quindi dalla consapevolezza di sé, della propria identità e 
dell’altro: si tratta di un percorso lungo e faticoso, che richiede tempo e voglia di 
sapersi mettere in gioco. 
Così scrive V. Iori: «L’esperienza temporale non è da intendersi in senso 
oggettivo e materiale, come tripartizione delle nostre azioni e relazioni in un 
passato (la storia, i ricordi), un presente (la situazione che stiamo vivendo) e un 
futuro (ciò che progettiamo). Questa delimitazione di momenti oggettivi 
corrisponde infatti a una logica che non comprende il fluire dell’esistenza in cui 
                                                 
6
 Ibidem p.127 
 5
le tre dimensioni temporali si fondano incessantemente.  Il futuro della 
progettualità esistenziale non è il futuro oggettivabile (dei calendari e degli 
orologi), ma appartiene al tempo della vita, un tempo senza fratture, che 
continuamente riprende, attraverso i ricordi, un passato ancora presente, e 
sempre si pro-getta in un futuro che riceve significato dal presente e dal 
passato. Il progetto si presenta filtrato attraverso il tempo vissuto che può essere 
un tempo chiuso che imprigiona la possibilità di progettare, o un tempo aperto 
che lascia passare il progetto come “memoria del futuro”».
7
                         
 Ogni progetto educativo mette le sue radici nella dimensione della temporalità. 
L’uomo attraverso i sentimenti e le emozioni vissute riesce a sperimentare il senso più 
autentico del tempo. Il tempo meccanico, quello dell’orologio che scandisce il 
trascorrere dei minuti, appare estraneo all’esperienza soggettiva del tempo. Il tempo 
vissuto, invece, rappresenta un qualcosa che dipende dal nostro modo di sentire. 
Esistono elementi di carattere personale e contestuale che trasformano la direzione 
dell’esperienza temporale. 
 
12.1 Rieducazione e cambiamento 
 
La possibilità di una rieducazione e di un cambiamento è possibile anche 
nell’ambito penitenziario: « l'educazione è evento temporale che si colloca nel pre-
sente con un'intenzionalità modificatrice: tende, volgendosi al passato, a 
modificare la situazione presente in una proiezione nel futuro, resa possibile dalla 
volontà.  La volontà costituisce il fondamento vitale di ogni esperienza educativa 
radicata nell'esistenza e capace di cambiamento. La temporalità dell'educazione 
implica impegno e scelta personale nel progetto di sé nel mondo. È questa 
intenzionalità modificatrice un ulteriore carattere fondamentale dell'educazione 
che non è tale se non produce evoluzione, mutamenti, se non è, innanzitutto, 
educazione al cambiamento
8
». 
Il cambiamento ha origine quando cessa un’esperienza passata, quando si 
abbandona una vecchia concezione o un vecchio modello. Occorre quindi, 
all’interno del rapporto educativo, indossare “occhiali nuovi” per osservare il 
                                                 
7
 Ibidem, p. 128. 
8
 Ibidem, pp. 128-129. 
 6
presente e per attivare, così, quella forza modificatrice che sarà in grado di 
portare un fresco cambiamento nella vita delle persone.  
«L'educazione è quindi uno dei modi della trascendenza. La possibilità 
costituisce la condizione per il superamento della fatticità attraverso la libertà-per-
l'educazione
9
». 
In un contesto quale quello carcerario un intervento viene definito                
ri-educativo perché ha l’intenzione di educare nuovamente soggetti che hanno 
violato le regole e che hanno invaso e devastato la libertà di altri individui.  
L’intenzionalità del trattamento di rieducazione sta proprio nel fare una lettura 
anamnestica delle esperienze e dei vissuti del soggetto: partendo dal passato si 
lavora sul presente per poi proiettarsi verso un futuro. 
Il cambiamento è il superamento della situazione data sulla base di un progetto 
educativo. Educatore ed educando fanno un percorso, un cammino: ogni “passo 
avanti” rappresenta un nuovo traguardo raggiunto. 
Nel caso di un carcerato però, la situazione è più delicata e complessa: è 
difficile infatti pensare ad un percorso educativo nei confronti di chi ha gravemente 
ferito la vita altrui. La rilevanza della colpa, la stessa valenza punitiva del contesto in 
cui si opera possono suscitare resistenza verso la possibilità di un “recupero” 
attraverso azioni rieducative.  
Di fronte a responsabilità cosi gravi, pur determinate da profonde sofferenze e 
miserie, cosa può e deve fare l’educatore penitenziario? 
Quali sono le condizioni che consentono di costruire un rapporto di fiducia con 
chi ha commesso reati e crimini?  
 
1.2.2  Le persone detenute 
 
 Cosa ci dicono le parole delle persone che vivono o hanno vissuto 
un’esperienza di reclusione? Cosa pensano gli educatori? Cosa prescrive la legge? 
E’ il momento di proseguire alla scoperta di un aspetto difficile, cioè l’arte di 
ascoltare. 
 Attraverso questo elaborato si tenta di dare voce alle persone, che sono le 
protagoniste della vita in carcere: le persone recluse. 
                                                 
9
 Ibidem, p.132.