Capitolo 1
Questioni aperte intorno agli Astronomica
No one commentary suffices; and even when he
has all the commentaries before him, the student
will still be in want of a means of approach to
them - for none of them furnishes a real
Introduction to Manilius (H. W. Garrod) .
1
Le certezze riguardo gli Astronomica sono pochissime e i dati offerti dalla
tradizione sono spesso frutto della speculazione degli studiosi e di una ‘filologia
fantastica’ . In questo capitolo cercherò innanzitutto di fare il punto sulle principali
2
questioni riguardanti il poema: la misteriosa figura di M. Manilius, il periodo storico
in cui visse e compose la sua unica opera e l’annosa questione della (in)compiutezza
del testo a noi pervenuto. In un secondo tempo farò luce sulla storia della
trasmissione del testo degli Astronomica, presentando le principali tappe della
ricostruzione dello stemma codicum nonché le maggiori edizioni che ho preso in
esame per la stesura del mio elaborato.
1.1 Chi era Manilio?
Il misterioso M. Manilius presentato come autore nel codice medievale
scoperto da Poggio Bracciolini è per noi un “illustre sconosciuto e lo fu, a quanto
pare, anche per la tradizione letteraria a lui contemporanea” . Nessuno degli scrittori
3
latini lo nomina, nonostante l’opera debba aver trovato almeno qualche lettore poiché
troviamo echi degli Astronomica in autori come Lucano, Petronio e Giovenale.
Garrod (1911), p. v.
1
Filologia Fantastica è il titolo dell’importante volume di A. Maranini (1994) che ho sfruttato
2
ampiamente per la stesura di questo capitolo.
Maranini (1994) p. 25.
3
6
Tuttavia, nemmeno Firmico Materno, scrittore astrologico del IV secolo che ha
fortemente attinto dall’opera di Manilio, ritenne necessario menzionare la sua fonte.
L’unico – ambiguo – riferimento si trova nella Naturalis Historia (XXXV 199) di
Plinio, che parla di un Manilius Antiochus conditor astrologiae condotto a Roma
come schiavo al tempo di Silla, intorno al I secolo a.C. . Nel medioevo l’autore degli
4
Astronomica fu confuso con il ben più famoso Manlio Torquato Severino Boezio ,
5
con un Marcellus e spesso nascosto sotto il nome di Arato (come è successo anche
per gli Aratea di Germanico). G. Tiraboschi fu uno dei primi studiosi a tentare di
risolvere l’enigma del nome dell’autore, facendosi strada tra le varie forme attestate
nei manoscritti e nelle prime edizioni umanistiche: Caius, Marcus, Titus per il
prenome e Manlius, Mallius, Malius, Manilius, Mannilius, Milnilus per il nomen.
Di M. Manilius, insomma, non si sapeva e non si sa ancora nulla di certo.
Tuttavia, la tentazione di ricostruire la personalità e la vita di questo misterioso
autore ha dato vita, a partire dal Quattrocento, ad un fiorire di biografie maniliane e
ad un vivace dibattito circa l’origine – romana o straniera – dell’autore, ancora oggi
rimasto senza risposta. Nemmeno chi ha tentato di riscoprire Manilio attraverso il
poema ha avuto maggiore fortuna, poiché le affermazioni che si ricavano dal testo
sono spesso tutt’altro che chiare, come si evince anche dalla problematica questione
sulla cronologia dei libri. La personalità dell’autore si manifesta quasi
esclusivamente nel rapporto con il suo pubblico: negli appelli al lettore Manilio
6
esprime tutta la sua fatica nel cercare di porre in versi complessi calcoli matematici e
astronomici, impresa mai tentata da nessun Romano prima di lui, e di trasmettere
tutto il sapere astrologico ai suoi discenti. Se nel poema non manca l’intenzione
Tenendo conto della – seppur problematica – cronologia dell’opera, la citazione di Plinio non può
4
riferirsi al nostro Manilio poiché il poeta degli Astronomica è vissuto nel secolo successivo rispetto a
quello nominato da Plinio. Bouchè-Leclercq (1899) p. 547. Per i rapporti tra i due Manilii cfr. Flores
(1996) pp. xix-xxiv e Goold (1998).
Il riferimento è ad una lettera di Gerberto di Aurillac, al secolo papa Silvestro II, che intorno al 988
5
d.C. richiese una copia di “M. Manlius de astrologia […]” dalla biblioteca di Bobbio, il cui catalogo
del X secolo testimonia soltanto i libros Boetii III de aritmetica et alterum de astronomia. Maranini
(1994) pp. 77-90.
Cfr. Romano (1978) e Flammini (1990).
6
7
didattica, formulata in una serie di itinerari pedagogici e protrettici, ancora ci si
7
interroga sull’effettiva riuscita del progetto e sui rapporti che intercorrono tra gli
Astronomica e la tradizione didascalica greca e latina . Un ulteriore dibattito ancora
8
vivo riguarda il credo filosofico del poeta. Nonostante sia innegabile l’influsso dello
Stoicismo negli Astronomica, la definizione di Manilio come autore stoico appare
decisamente riduttiva, così come lo era la communis opinio che attribuiva a
Posidonio gran parte del sostrato filosofico del poema. Nel testo sono infatti
9
rintracciabili, oltre a elementi propriamente stoici, anche riferimenti ad altre correnti
filosofiche (tra cui l’Ermetismo ) e, ancora, teorie che risultano essere originali
10
elaborazioni dello stesso Manilio . Questa commistione di pensieri filosofici ed
11
originalità non deve stupire: secondo quanto Salemme scrive riguardo allo
Stoicismo, esso rappresenta “una corrente di pensiero che seppe in modo armonico
adattarsi ai vari contesti culturali e sociali, sempre suscettibile di nuove elaborazioni
e di personali contributi” . Ecco, quindi, la difficoltà nel risalire di volta in volta alle
12
diverse fonti esaminate da Manilio, anche perché esse spaziano da quelle
strettamente letterarie e filosofiche, a quelle più tecniche per quanto riguarda gli
argomenti astronomici, geografici e astrologici.
1.2 Pluralità di fonti e modelli
La questione ancora viva riguardante il credo filosofico del poeta mi porta a
trattare il problema della molteplicità delle fonti e dei modelli del poema maniliano.
Per molto tempo il pregiudizio secondo cui gli Astronomica, di ispirazione stoica,
sarebbero stati concepiti come Konkurrenzgedicht all’epicureo De rerum natura ha
pesato sulla valutazione della tecnica imitativa di Manilio. Lucrezio è stato così
Cfr. Landolfi (1990).
7
Cfr. Maranini (1994) pp. 45-50.
8
Sulla questione posidoniana cfr. Salemme (1983) pp. 10-21.
9
Salemme (1983) pp. 21-26.
10
Cfr. Habinek in Green-V olk (2009) pp. 32-44 e MacGregor (2005).
11
Salemme (1983) pp. 9-10.
12
8
individuato come unico e fondamentale modello dell’opera astronomica, relegando i
rimandi ad altri importanti autori a semplici richiami formali. Si è così perso di vista
il rapporto emulativo che intercorre tra l’opera maniliana e Virgilio, in particolar
modo nelle sezioni proemiali, nelle digressioni e negli epiloghi.
Maggiore difficoltà si incontra nell’individuare le fonti astronomiche. Come
hanno sottolineato gli studi di E. Romano (1979), C. Salemme (1983) e Hübner
(1984 e 2005), Manilio ebbe ben presente i Phaenomena di Arato per la stesura del
13
primo libro. Durante il periodo repubblicano e imperiale di Roma il poeta di Soli
ebbe una grande fortuna, come dimostrano le traduzioni della sua opera da parte di
Cicerone, Germanico e Avieno. Oltre alla materia astronomica, i due autori hanno in
comune l’influenza della filosofia Stoica: nonostante i contenuti filosofici siano
decisamente scarsi nei Phaenomena, Arato fu considerato un poeta Stoico dagli
autori romani fino al terzo secolo . Tuttavia, gli Astronomica si discostano dal loro
14
modello greco sia per il loro scopo principale sia per la struttura dei contenuti. In
Manilio l’astronomia è propedeutica alla ‘interpretazione’ degli astri, mentre Arato
concentra la sua attenzione su uno studio della sphaera; inoltre, l’autore latino
recupera gli argomenti dei Phaenomena (costellazioni e circoli celesti) ampliandone
la descrizione e modificandone l’ordine . L’impressione è quindi che Manilio si sia
15
mosso liberamente all’interno della tradizione iniziata da Arato, che comprendeva
anche la scoliastica, la tradizione mitografica relativa alle costellazioni (in particolare
i Catasterismi attribuiti a Eratostene) e di tutta la letteratura che era fiorita attorno
alla dottrina astronomica. La seconda questione problematica riguarda le numerose
fonti astrologiche di Manilio, fondamento delle teorie esposte nei libri II-V . Evidente
in questa seconda parte dell’opera è la frammentarietà dei procedimenti esposti e
talvolta anche la presenza di teorie in aperta contraddizione. Una delle principali
opere in prosa seguita da Manilio fu un manuale tramandato sotto il nome di un
Oltre agli autori citati, cfr. Abry (2007).
13
Riguardo il rapporto tra Arato e lo Stoicismo cfr. Gee (2000) pp. 70-84; ancora, con posizioni in
14
parte differenti, Pellacani (2015) pp. 22-24 e V olk (2010) pp.197-209.
Il primo libro viene analizzato in modo più approfondito in 2.1 dell’elaborato.
15
9
sacerdote egiziano, Petosiride, e di un re d’Egitto, Nechepso, risalente al periodo fra
il 170 e il 100 a.C. . Grazie agli studi successivi a quelli di Housman e Hübner è
16
stato possibile definire i rapporti tra gli Astronomica e le fonti babilonesi, egizie,
latine e greche; sono state inoltre evidenziate le caratteristiche originali del sistema
astrologico maniliano, basato esclusivamente sullo zodiaco .
17
L’opera maniliana esercitò la sua influenza sicuramente su Firmico Materno,
ma anche su Seneca, Lucano, il poeta dell’Aetna, Giovenale, Claudiano e Marziano
Capella. Tuttavia, i riferimenti non appaiono sempre evidenti e spesso sono da
imputare a somiglianze formali con le fonti comuni di queste opere e degli
Astronomica, in particolare ai modelli stilistici offerti da Cicerone, Virgilio, Ovidio e
Lucrezio. Ancora dibattuti sono i rapporti tra Manilio e Germanico: a causa dei
problemi di cronologia del poema maniliano non si è ancora stabilito con certezza
quale dei due autori vanti il primato di primo poeta astronomico latino e quali
rapporti di imitazioni intercorrano tra i due autori .
18
1.3 Una cronologia problematica
Così come scarsi sono i dati biografici sull’autore, altrettanto lacunosa si
presenta la questione sulla datazione degli Astronomica. L’unico dato cronologico
certo presente nel testo è l’episodio della disfatta di Teutoburgo del generale Varo,
ricordata ai vv. I 898-903, che pone il 9 d.C. come terminus post quem per la
composizione del primo libro. Gli altri riferimenti temporali riscontrabili nel testo
danno luogo a varie interpretazioni e non possono essere considerati ai fini di una
datazione precisa.
“Il problema della cronologia dell’opera maniliana è strettamente legato alla
interpretazione dell’atteggiamento di Manilio nei riguardi dell’Imperatore,
identificato ora con Augusto ora con Tiberio” . Nel periodo seguente la riscoperta
19
Cfr. Bouché-Leclercq (1899) pp. 563 sgg.
16
Maranini (1994) pp. 35-38.
17
Sui rapporti Manilio-Germanico cfr. Maranini (1994) pp. 50-55 e Abry (2007).
18
Flores (1960-61) p. 5.
19
10
degli Astronomica, il mondo accademico fu pressoché concorde nel sostenere che
Manilio avesse scritto durante gli ultimi anni del principato Augusteo , almeno fino
20
all’ipotesi Teodosiana avanzata da Gervatius che, nel XVII secolo, propose di
identificare l’autore degli Astronomica con Flavio Manlio Teodoro, console nel 399
d.C.; questa voce solitaria rimase, tuttavia, isolata dal mondo critico e morì insieme
al suo autore. La querelle maniliana si accese nuovamente nel 1815, con la perentoria
affermazione di Lachmann che attribuiva a Tiberio alcuni versi precedentemente
21
riferiti ad Augusto, datando l’opera in piena epoca Tiberiana . L’ipotesi dello
22
studioso tedesco rimase per lungo tempo lettera morta, poiché la tesi Augustea restò
la più avvalorata dalla critica , almeno fino al 1880, anno in cui un altro tedesco,
23
Berthold Freier, diede valore alla posizione di Lachmann, dando inizio al dibattito
cronologico tutt’ora irrisolto. Accanto alle due maggiori ipotesi, si è sviluppato un
terzo scenario, che vede la composizione degli Astronomica iniziare sotto il regno di
Augusto e proseguire, dopo la sua morte, con l’imperatore Tiberio.In particolare,
secondo questa tesi primo e secondo libro sarebbero augustei, quarto e quinto
tiberiani, mentre il terzo non conterrebbe riferimenti a sostegno né dell’una né
dell’altra ipotesi.
Se l’ipotesi di Lachman ha oggi perso terreno, restano molto dibattute le altre
due. Quella ibrida è adottata in particolare dal mondo anglosassone sulla scia del
24
suo più illustre sostenitore Housman , mentre l’ipotesi augustea, proposta da Flores
25
Sostenitori dell’ipotesi augustea furono: Johann Müller (detto Regiomontanus dal suo luogo di
20
nascita), Giuseppe Scaligero, Richard Bentley, Michael DuFay e il Pingré. Il titolo dei manoscritti
umanistici e delle prime edizioni leggeva: Marci Manilii poetae carissimi astronomicon libri V ad
Caesarem Augustum.
Cfr. Lachman (1815). In particolare concentra l’attenzione sui vv. I 798-802 in cui sembra che
21
Augusto sia ormai morto e divinizzato, ma, come indicato da Salemme (1983) “basta correggere le
forme verbali (…) per proiettare nel futuro la ‘divinizzazione e quindi per ipotizzare un augusto
ancora vivo”.
Di una composizione interamente tiberiana è persuaso anche Steele (1931), che offre una puntuale
22
analisi dei passi riferibili a Tiberio.
Lo Jacob (1846) sostiene l’ipotesi Augustea nella sua edizione, pur ipotizzando una possibile
23
datazione Tiberiana per il quinto libro.
Goold (1998) e Fels (1990); prima di loro Jacob (1846) e van Wageningen (1915).
24
Cfr. Housman (1932).
25
11
in un importante studio del 1960-61 e ribadita in un più recente articolo (2011), si è
diffusa in particolare nel panorama critico italiano (Liuzzi 1991-7 e Feraboli, Flores,
Scarcia 1996-2001). Infine, anche Katharina V olk (2009), analizzando i passi in cui
appaiono riferimenti al princeps e al suo oroscopo, ha accettato l’ipotesi di una
composizione interamente augustea per i primi quattro libri degli Astronomica .
26
“Why does it matter whether the Astronomica was written under Augustus or under
Tiberius?”. L’irriverente quesito della V olk trova, forse, una risposta nel diverso
rapporto dei due imperatori con l’astrologia . Augusto seppe sfruttare le stelle come
27
mezzo di propaganda e incoraggiava l’uso del suo stesso oroscopo per legittimare
28 29
il proprio potere e dipingere un quadro positivo del princeps; tuttavia, con un editto
dell’11 d.C., proibì la privata consultazione degli astrologi in merito alla morte di
qualcuno, in particolare dell’imperatore. Sotto Tiberio, che pure interpellava
regolarmente i suoi astrologi, l’uso pubblico di questa pratica venne sottoposto ad un
controllo ancora più rigido. Steven Green suggerisce che le imprecisioni e le
30
contraddizioni presenti nel poema siano proprio dovute a questo clima di censura di
31
un’arte potenzialmente pericolosa per l’imperatore. Considerando che, almeno nei
primi anni del Principato, l’astrologia era una pratica diffusa e sfruttata da Augusto
stesso, avrebbe molto più senso secondo la V olk “for Manilius to have written his
poem – or to have written it the way he did – under Augustus” .
32
V olk (2009) pp. 137-161. La studiosa ammette tuttavia una stesura successiva del quinto libro,
26
considerato come un afterthought (cfr. cap. 2)
Sul rapporto tra l’imperatore e l’astrologia cfr. Domenicucci (1996), V olk (2009) pp. 132-7 e 160-1.
27
In particolare mi riferisco alla vicenda del sidus Iulium e dell’apoteosi di Cesare, che contribuirono
28
a creare l’immagine di Augusto quale divi filius.
È testimoniata la coniazione durante il Principato di monete recanti il segno del Capricorno,
29
probabilmente riferito al concepimento di Augusto. Cfr. Gurval (1997) e Pandey (2013).
Green (2011).
30
È forse riconducibile allo stesso periodo di censura, inaspritosi sotto Tiberio, la mancanza di un
31
sesto libro: Manilio avrebbe così rinunciato a trattare i pianeti, argomento astrologico di grande
importanza per determinare un oroscopo. V olk (2009).
V olk (2009) p. 161.
32
12
1.4 Un’opera incompiuta?
Un’altra questione, mai risolta, è quella riguardante il sesto libro degli
Astronomica, di cui si è occupato di recente S. Costanza ; qui mi soffermerò sulle
33
tappe principali di questo lungo dibattito.
Fu Lorenzo Bonincontri, nel 1484, il primo ad avanzare l’ipotesi
dell’incompiutezza dell’opera, seguito poi da Giraldi (1545) e Scaligero (1579), il
quale ipotizzò che non solo fosse andato perduto il libro sul tramonto delle
congiunzioni astrali (libro VI), ma anche i libri che trattavano i decreta planetarum
sulla base di quanto anticipato ai vv. II 965 e seguenti. L’idea che Manilio avesse
progettato un sesto libro , ebbe gran seguito, anche nell’ottica di un parallelismo
34
strutturale con il De rerum natura di Lucrezio, e fu ripresa da altri studiosi, quali
DuFay, Fabricius, Bechert, Skutsch e, pur con qualche riserva, Housman. Tuttavia,
già nel XVI secolo il Salmasius iniziò a mettere in dubbio l’esistenza di ulteriori libri
degli Astronomica. Questa ipotesi controcorrente venne ripresa da Franz Boll, che
tentò di dimostrarla, con scarso successo, attraverso un confronto puntuale delle
opere di Manilio e di Firmico Materno. Furono, tuttavia, Flores e Lühr a rintracciare
la conclusione dell’opera maniliana nel manifesto politico proposto ai versi finali del
V libro, in cui è ritratta una società celeste specchio di quella della Roma imperiale;
secondo Lühr questo epilogo serviva a sublimare l’idea, presente in tutta l’opera,
dello stretto legame tra il cosmo e la terra, legando le due sfere nel concetto della
κοσµόπολις. Tuttavia, la presenza di motivi politici e filosofici non può costituire un
argomento decisivo contro l’ipotesi di un sesto libro, poiché anche il primo e
soprattutto il quarto libro si concludono con marcati riferimenti all’imperatore (I) e
alla filosofia stoica (IV).
L’incompletezza degli Astronomica venne quindi imputata a cause oggettive,
quali la morte improvvisa dell’autore e un insieme di cause politiche e sociali, le
Per la stesura di questo paragrafo mi sono basata su Costanza (1987) e Maranini (1994).
33
Riguardo l’ipotesi di uno o più libri andati perduti (o mai completati da Manilio) ha influito anche
34
l’epistola 8 di Gerberto di Aurillac riferita agli VIII volumina Boetii de astrologia. Questa tesi,
sostenuta da Thielscher viene ripresa da Gain, il quale collocherebbe i volumina mancanti tra il IV e il
V libro di quelli a noi pervenuti.
13
stesse che servirono a giustificare il silenzio delle fonti antiche. È inoltre possibile
che Manilio avesse sì progettato un’opera in sei libri, ma abbia avuto poi dei
ripensamenti – dovuti forse al peggioramento delle condizioni degli astrologi a Roma
– andando a modificare la struttura del poema in corso d’opera. In questo caso
cadrebbe l’intero castello di ipotesi sull’incompletezza del poema. Sulla base di
questo ragionamento, Hübner ha messo in discussione la composizione unitaria degli
Astronomica, che vennero forse scritti e pubblicati a più riprese .
35
Certamente gioca una parte fondamentale anche lo stato in cui il testo
maniliano è giunto fino a noi: la tradizione manoscritta ha lasciato un’opera confusa,
lacunosa e, in alcuni casi, ci sono testimonianze che inducono a ipotizzare anche la
36
sua incompletezza . Costanza, in particolare, ha aperto una nuova prospettiva sulla
37
questione: i codici superstiti confermano la conclusione del libro V , tuttavia non
presentano iscrizioni né explicit e non offrono, quindi, elementi utili a sciogliere il
problema. Di grande importanza risulta invece la scoperta dell’excerptum
manoscritto riportato nel codice umanistico Parmensis Palat. 283 e proveniente da
un presunto codice presente a Spira. Il testo dell’appunto di un ignoto viaggiatore
inizia con “M. Manilii astronomicon liber primus si incipit et est in biblioteca
Spirensis”, riporta i 15 versi iniziali del primo libro e termina con la nota “Sunt libri
sex ultimus est completus”. Interessante notare come lo scrittore abbia evidenziato in
lettere il numero sei, comunemente scritto in cifre, quasi a voler sottolineare l’errata
convinzione che i libri degli Astronomica fossero cinque e che il sesto libro sia non
solo ultimus, ma anche completus. Una testimonianza analoga è quella del catalogo
medievale dell’abbazia di Lobbes, che annovera tra i suoi volumi “Astronomica lib.
VI. T. Claudi Caesaris Arati phenomena. Periegesi Prisciani. Vol. I” . L’opera in
38
questione è proprio quella di Manilio, nascosto qui sotto il nome del più famoso
Cfr. anche Flores (1996) p. xv.
35
Due lacune già note allo Scaligero sono quelle dopo i vv. 635 e 657 del libro quarto, oltre a quella
36
del libro quinto di dimensioni ancora incerte ai vv. 709-710.
Costanza (1987) pp. 245 sgg.
37
È possibile individuare in questo volume il capostipite del Gemblacensis. Per i rapporti di questo
38
codice con gli altri testimoni della tradizione medievale cfr. Reeve (1980) pp. 519-522.
14
autore greco, e ad essa fa riferimento il numero 6 posto prima dell’indicazione dei
Phaenomena di Arato.
In conclusione, le prove a favore di un sesto libro sarebbero alcuni argomenti
annunciati e non trattati da Manilio, una ipotetica volontà dell’autore di contrapporsi
ai sei libri del De Rerum Natura , gli adattamenti di Firmico, le lacune e le
39
trasposizioni della tradizione medievale, nonché i riferimenti di Gerberto e dei codici
citati. L’unico elemento a favore di un’opera completa nei cinque libri che leggiamo
è la considerazione del quinto epilogo come degna chiusura di un poema
astronomico, politico e filosofico. Resta solo ipotizzabile se Manilio avesse o meno
intenzione di scrivere un sesto libro e l’effettiva redazione di questo ultimo capitolo
potrà essere confermata solo da future scoperte.
1.5 La tradizione manoscritta
Come ho già accennato, il poema degli Astronomica, con qualche eccezione,
passò quasi ignorato dai suoi contemporanei. Anche nel medioevo non ebbe
maggiore fortuna, copiato e diffuso spesso sotto il nome di altri autori,
principalmente di Arato, ma anche di Boezio, come si legge dalla lettera di Gerberto
di Aurillac (dal 999 papa Silvestro II), il quale richiese dal monastero di Bobbio una
copia “M. Manlius de astrologia” .
40
Fu invece durante l’Umanesimo che il poema maniliano rivide la luce, grazie
alla fortunata scoperta di Poggio Bracciolini nel 1417. Il testo, rinvenuto
probabilmente nel monastero di Murbach , fu subito fatto copiare da uno scriba non
41
Il parallelismo strutturale con Lucrezio viene però a cadere se si esamina a fondo la struttura
39
dell’opera maniliana. Lucrezio aveva diviso il suo poema in tre coppie di libri, per un totale di sei. Il
sesto libro di Manilio avrebbe invece rappresentato sì la coppia del quinto, ma l’impianto complessivo
dell’opera vede il primo libro come introduzione astronomica, i tre libri centrali come nucleo
astrologico portante e quinto e sesto come elementi aggiuntivi rispetto al piano originale. Romano
(1979) pp. 74-75.
Cfr. Maranini (1994) pp. 77 sgg.
40
Circa le ipotesi su dove fosse conservato questo antico manoscritto cfr. Maranini (1994) pp.
41
117-118 e Flores (1980) pp. 35 sgg.
15
italiano, che Poggio stesso definì “ignorantissimus omnium viventium” e proprio il
42
pessimo lavoro di un tale copista ha permesso agli studiosi di riconoscere la copia
poggiana nel Matritense . La tradizione medievale del testo si diffuse attraverso altri
43
due codici: il Cusano, scoperto da Nicolò Crebs da Cusa ed intitolato ad Arato, e il
Leonino appartenuto a Lorenzo il Magnifico. Questo grande successo degli
Astronomica durante l’Umanesimo e il Rinascimento è da ricercare sia nei temi
astrologici e filosofici, sia nel suo valore poetico ed artistico e proprio per questo fu
44
oggetti di studio da parte di illustri letterati, quali Marsilio Ficino, Poliziano e Leon
Battista Alberti . Tra il XV e il XVI secolo il poema degli Astronomica ebbe il suo
45
massimo splendore e fu oggetto non solo di numerose trascrizioni ma anche di
edizioni a stampa: risale al 1473 ca. l’editio princeps ad opera di Giovanni Müller
(Regiomontanus, Norimberga). Tra le numerose edizioni successive degna di nota è
quella di Lorenzo Bonincontri (Roma, 1484), contenente il primo commento
dell’opera e caratterizzata dal notevole sforzo dell’autore nel voler prendere in
considerazione la tradizione manoscritta ed edita precedente, di cui era a conoscenza.
Verso la fine del XVII secolo B. De Montfaucon intraprese nuove ricerche
codicologiche sugli Astronomica rinvenendo importanti manoscritti, fondamentale
punto di partenza per le ricerche filologiche, che nei secoli successivi videro
impegnati i più illustri studiosi nella riscoperta del testo maniliano, tra cui Bentley
(1739) e Housman (1903-30), al cui lavoro seguirono anni di silenzio.
Da circa un cinquantennio è in atto una nuova riscoperta degli Astronomica e si
sono nuovamente riaccesi i dibattiti, mai del tutto sopiti, sui punti più oscuri del
poema maniliano; in particolare gli studi si sono indirizzati verso la datazione
dell’opera, nell’ottica di un’analisi culturale e politica del periodo augusteo-
tiberiano, il rapporto di Manilio con i modelli latini e le fonti astrologiche greche e la
La pessima trascrizione fatta dal copista viene forse spiegata dalla volontà di guadagno dello stesso,
42
come scrive in calce all’opera di Stazio (“finis adest vere precium vult scriptor hebere”); altre
motivazioni potrebbero essere da imputare alla difficoltà di lettura
Per l’elenco e la descrizione dei codici cfr. 1.5.1.
43
Riguardo l’utilizzo di Manilio e della sua opera in ambito iconografico cfr. Saxl (1985).
44
Circa i numerosi editori e lettori di Manilio durante l’Umanesimo cfr. Maranini (1994) pp. 163-192.
45
16