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“Non ero mai stato a Parigi”
Sono un provinciale, non ho mai
viaggiato ed ora eccomi a Parigi, sulla
porta del Grand Hotel des Iles du Sud,
nei pressi di St. Lazare
1
.
Il primo scritto che possiamo definire reportage è La camera N. 7 d’uno strano
Grand Hotel, questo pezzo è corredato da indicazioni para-testuali, precisamente
un soprattitolo, Non ero mai stato a Parigi, il quale contrassegna il brano. Ma non
è l’unico soprattitolo, ce ne sono altri, ed hanno una funzione specifica, ovvero
quella di rimarcare il carattere odeporico dei testi, tali soprattitoli sono definiti da
Ilaria Crotti come una sorta di sigle che ricorrono con una certa fedeltà negli
articoli successivi, variati a seconda dell’argomento trattato dai testi: Non ero mai
stato a Parigi ricorre quattro volte, poi come soprattitoli abbiamo: Non ero mai
stato a Pigalle; Non ero mai stato al “Moulin Rouge”; Non ero mai stato al
“Marché aux puces”; Non avevo mai visto i minareti di Parigi; Solo una monaca
veglia Claudel; Buzzati, il poeta dell’incubo; Sei giorni curvi sul manubrio;
Italiani a Saint-Germain-des-Prés. Tra il titolo e soprattitolo Parise vuole
sottolineare “la presunta naïveté dell’esperienza del provinciale italiano”
2
. Quello
che subito salta all’occhio e che contraddistingue il reportage parigino – ma anche
gli altri a venire – è che il suo proposito è quello di raccontare e non descrivere,
Parise racconta Parigi così come gli appare a lui che si definisce un provinciale.
Quindi questi scritti sono dei reportage di un romanziere che trasforma in
narrazione la cronaca delle sue prime giornate parigine, giornate che non si
possono definire entusiastiche. Con Parise il reportage e il racconto si fondono e
di conseguenza il discorso di viaggio si intreccia, si lega alla narrazione del
racconto, oltre a questo si aggiunge anche l’utilizzo dei fatti di cronaca. Da questi
1
1955: Goffredo Parise reporter a Parigi, I. Crotti, Il Poligrafo, Padova, 2002, p. 59.
2
Ibidem, p. 11.
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reportage il tema metropolitano parigino traspare secondo varie prospettive e filtra
attraverso vari approcci. Prospettive e approcci che, giustamente, secondo Ilaria
Crotti sono la letteratura e il cinema, due elementi che sono parte fondante della
letteratura parisiana. Sicuramente la Parigi del 1955 e quella del successivo
soggiorno del 1958 non è di certo uguale a quella degli anni Ottanta, questo lo si
può evincere dai titoli degli articoli: Ritorno a Parigi, Uno strano amore che si
chiama Parigi, Com’è cambiata Parigi negli ultimi trent’anni, Visita con ricordi,
“chez Gallimard”. In questi titoli si trovano parole che rimandano a un campo
semantico il quale si riferisce a un ritorno, a un cambiamento, elementi che si
legano alla città che suscita sensazioni d’amore e ricordi. La capitale francese
implica una lettura di più prospettive, e Parise si rivela essere un autore molto
sensibile nel comprenderle. E forse la scelta di definirsi un provinciale e il vedere
le cose sotto questa lente – una lente usata svariate volte per osservare anche le
città italiane in cui ha vissuto – è una cosa voluta, e allora, la città che ci appare da
questi reportage non è la solita Parigi, è un’altra Parigi quella che ci viene
raccontata, quella che sbuca fuori dalla sua narrazione. Difatti alle volte sembra di
essere in un sogno, la città appare oscura, atrabiliare come Roma, ma ci appare
anche vitale di un’energia primigenia, originaria e nativa, carica di un’aura di fiera
provinciale e paesana, inoltre Parise con il pretesto di dichiararsi provinciale vuole
anche ostentare la propria totale inesperienza al viaggio. Come già suddetto uno
degli elementi prospettivi che l’autore usa per farci vedere Parigi è il filtro della
letteratura; filtro che è presente nel primo racconto-reportage, nel quale si
denotano suggestioni salgariane, che si riscontrano quando Parise si dirige verso
l’hotel e poi verso la sua stanza nel Grand Hotel des Îles du Sud, il cui nome
addita ad una favolosa isola dei Mari del sud dove l’attende un “Corsaro Nero”. Il
corridoio dell’hotel ricorda i ponti delle navi, infatti Parise nota un’entrata stretta
e un corridoio male illuminato, dove il lume non è niente di meno che una
lampada a forma di galeone, il quale, addirittura, pare navigare appeso al soffitto
nella penombra e alla fine di questo corridoio-ponte si trova il burò e una scala a
chiocciola che porta alle camere dell’hotel. Il modo dell’autore di raccontare
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Parigi è quello di non descriverla appieno, ci passa nel mezzo, ci si perde, vede la
città quasi di sfuggita, vede l’Avenue des Champs-Élysées, l’Arco di Trionfo, ma
il vero protagonista del primo racconto-reportage e anche del secondo (sì anche
del secondo perché i primi due reportage-racconti sono legati, in pratica è un
dittico, è un racconto diviso in due parti) è un alberghetto squallido gestito da un
inserviente spagnolo chiacchierone, un certo signor Gonzales che gli fa
confidenze seduto in poltrona, ed ecco che Parise viene preso d’assalto dalla
nostalgia per la terra natia, si pente di essere venuto a Parigi e si domanda anche
se c’era un valido motivo, una ragione per il viaggio intrapreso. Lo scenario della
città viene focalizzato per la prima volta dalla finestra della sua camera e quando
si ritrova in strada, la città di Parigi risulta essere anodina e insignificante, viene
descritta attraverso i locali affollati con prezzi esorbitanti e cameriere scortesi,
parigini supponenti e sprezzanti e le donne tanto agognate appaiono inesistenti. La
città che Parise sogna, e che era sognata anche dal padre il quale non ci ha mai
messo piede, nella realtà non si rivela all’altezza del sogno e l’autore deluso dalla
realtà parigina decide di fare ritorno in hotel, ma si perde per le strade della città e
alla fine si ritrova sugli Champs-Élysées e in fondo ad essi vede l’Arco di Trionfo,
e sorpresa, a Parise di questa visuale non gliene importa nulla, continua
imperterrito la ricerca dell’albergo, Parigi è diventata un labirinto e quando la
disperazione pare essersi impadronita di lui... ecco l’hotel. Salito in camera si
tuffa sul letto tra i guanciali e nel sonno ode rumori, lamenti, forse grida del
proprietario dell’albergo, il quale è molto malato. Non sa dire se ciò che udiva
fosse sogno e realtà, si ritrova in questa situazione, in questa sorta di limbo tra
sogno o incubo e realtà. Ecco come si presenta Parigi, come una città onirica, un
sogno che nella realtà diviene incubo. La seconda parte del racconto-reportage si
intitola Ma guarda chi si incontra! Pancho Villa redivivo: questo scritto è
strettamente legato al primo in quanto sia il primo che questo sono preceduti da
numeri romani, che rimarcano appunto la loro sequenzialità e il loro legame. Il
secondo racconto procede con la stessa articolazione caotica del precedente scritto.
Ad una Parigi enigmatica della prima parte del racconto subentra un ritmo
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accelerato, vertiginoso in cui la fa da padrone l’effetto sorpresa. Effetto dovuto
all’incontro con “uno dei più famosi generali della guerra civile spagnola, il
terrore della rivoluzione”
1
. Questo fantomatico generale, il quale era
accompagnato da due giovani, suscita in Parise un pensiero che lo porta a
immaginarselo come un Pancho Villa o un Zapata. La situazione che porta
l’autore alla sua conoscenza è senza dubbio una scena da film, Parise disturbato
dai rumori confusi che provenivano da sotto la sua stanza, si veste e scende le
scale fino al burò, arrivato scopre che stanno portando all’ospedale il proprietario
dell’albergo, nel frattempo rimasto solo con Gonzales compiono la loro entrata
sulla scena tre tizi, il generale e i suoi due giovani accompagnatori, che di tanto in
tanto lanciano occhiate scrutatrici al malcapitato Parise. Il generale dopo aver
fatto qualche domanda a Gonzales e non aver ottenuto nessuna risposta, gli dà un
bella scrollata e poi lo lascia andare, dopodiché volge il suo sguardo verso Parise
e comincia a scrutarlo, imitato dai suoi collaboratori; ecco, è questa la scena
filmica, ma anche romanzesca nella quale si imbatte l’autore, lo stesso Parise
scrive: “C’era, infatti, quella sospensione nell’aria, quel silenzio che si legge nei
romanzi o che si sente nei film, quando la situazione è drammatica”
2
. La
situazione si distende non appena Parise si qualifica come scrittore e giornalista e
soprattutto dopo aver dichiarato di aver riconosciuto il generale. Dopo le
brevissime presentazioni, il racconto ci catapulta in un modestissimo bar parigino
frequentato da spagnoli, dove Parise e il generale si intrattengono in
un’amichevole chiacchierata, e ovviamente il tema della conversazione è la
politica rivoluzionaria. Alla fine del racconto Parise vede che l’albergo è
piantonato dalla polizia e una volta entrato scopre che dovrà lasciarlo.
Commentando questo primo reportage-racconto diviso in due parti, si può
affermare che del reportage non ha proprio niente, della città di Parigi si è scritto
poco e nulla, e più che una visita mi pare si sia trattata di un’avventura tra gli
strascichi della guerra civile spagnola, e proprio alla fine della seconda parte del
1
1955: Goffredo Parise reporter a Parigi, I. Crotti, Il Poligrafo, Padova 2002, p. 67.
2
Ibidem.
31
racconto ci si accorge che oramai una descrizione turistica di Parigi è divenuta
impossibile. Parise ci mostra la città parigina con gli occhi dello scrittore,
attraverso questo dittico la città c’è ma non si vede, ma se ne sente la presenza, la
si percepisce. In fondo io credo che per creare una suggestione, una percezione di
questa città, basti solo il suo nome, un nome quello di Parigi carico di storia e di
fascino. Gli interventi seguenti al dittico presentano caratteri diversi sia tra loro
sia rispetto ai primi due racconti iniziali, interventi che hanno caratteri misti, spuri
e implicitamente aperti, tipici del reportage novecentesco.
Il terzo racconto-reportage porta il titolo Il signore che aveva prenotato un posto
in fondo al giardino, racconto che si può definire come epicedio, visto il tema
trattato e a chi è dedicato. Questo epicedio-reportage è appunto dedicato alla
scomparsa del poeta francese Paul Claudel, è uno scritto d’occasione il quale
descrive con molta precisione una visita postuma, è lo stesso autore a dichiararlo:
“Ho voluto anch’io, immerso in questa Parigi come in un pazzo sogno, rendere
omaggio ultimo alla salma del grande poeta”
1
. Questo epicedio-reportage inizia
con la descrizione del voto che espresse Paul Claudel prima di spegnersi a 87 anni,
il voto in questione consisteva nel suo futuro luogo di sepoltura, voto che ispirò il
luogo di sepoltura di Parise, difatti le sue ceneri sono seppellite nel giardino della
casa a Salgareda:
A Brangues, in fondo al parco, nell’angolo più nascosto del giardino, c’è un pioppo
alto, sottile come una guglia o come un atto di fede e d’amore. È là, sotto il vecchio
muro coperto di muschio, che io ho segnato il mio posto. Là, appena un poco
discosto dai campi, io riposerò
2
.
Il racconto prosegue con la descrizione della casa, un appartamento molto comune,
che ha una cosa in particolare che ha colpito Parise: la quasi totale assenza di
persone alla veglia e l’ambiente che risulta essere assolutamente anonimo. Il tema
funebre continua con la descrizione della salma e del luogo, un salotto borghese
1
Il signore che aveva prenotato un posto in fondo al giardino, in Opere vol. 1°, Mondadori
“Meridiani”, Milano, 1987, p. 1404.
2
Ibidem.
32
invaso da un tepore diffuso e dall’odore dei fiori. Un’altra cosa che lo colpì, anzi
che lo stupì, è il non aver provato nessuna sensazione macabra, ma al contrario il
posto gli procurò una sensazione fortissima di vita, ed è proprio in questo contesto
che vide per la prima volta Claudel, il quale viene descritto come: “Un uomo
semplice e serio, padre e nonno, comune e buono nell’immagine terrena come un
piccolo borghese, un artigiano”
1
. Claudel era un artista che possedeva una grande
forza datagli dalla fede alla quale si stava avvicinando negli ultimi anni della sua
vita, emblematiche sono queste sue parole: “Fuggo ovunque e in ogni angolo
trovo Dio”. Questa rito funebre ha solo effetti positivi perché si può vedere una
civiltà e un popolo i quali dimostrano un forte amore per la cultura, un’inaspettata
“profonda e universale vibrazione dell’animo”. Questa scoperta aggiusta il tiro,
mette a fuoco la città e verso di essa Parise prova un intenerimento, dovuto alla
sorpresa sconcertante dell’amore connaturato per la cultura della civiltà francese
ed è proprio questo amore l’elemento di salvazione dei francesi e della loro città
simbolo, Parigi.
Il quarto scritto della serie è Françoise l’esistenzialista è pulita e profumata ed è
ambientato in un locale parigino, il Poully, e la protagonista è una ragazza,
Françoise. Parise inizia il racconto-reportage spiegando cosa sia questo Poully, il
posto in questione è il luogo dove si riuniscono gli ultimi seguaci di Sartre, e in
questo posto i discepoli di Sartre vi rimangono sino all’alba. Ma che cos’è questo
Poully? Essenzialmente è un locale, più precisamente una minuscola osteria delle
dimensioni di una sala d’aspetto, situata nei pressi di Saint-Germain-des-Prés, in
un vicolo stretto costellato da sordidi alberghi. Ma questo locale ha anche una
funzione di rifugio, difatti è anche un riparo per gli ultimi esistenzialisti, ormai
una specie rara secondo Parise, visto che in giro per Parigi non se ne vedono più.
E questi esistenzialisti chi sono? Per esistenzialista si intende un essere umano dal
sesso indefinibile, “poiché le donne sono vestite come gli uomini e gli uomini
1
Il signore che aveva prenotato un posto in fondo al giardino, in Opere vol. 1°, Mondadori
“Meridiani”, Milano, 1987, p. 1405.
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assomigliano alle donne”
1
. In questo posto l’attenzione dell’autore viene attirata
da una ragazza, che è la protagonista del racconto, Françoise, ed è
un’esistenzialista. Di lei Parise scrive che è una ragazza misteriosa, una fumatrice
accanita di svariati tipi di droghe, ha per dimora notturna il Poully, ha un modo di
camminare che ricorda “certe fatali movenze del cinema primo Novecento”,
inoltre era molto pulita, il suo corpo odorava di sali da bagno e le sue mani e le
sue unghie erano perfettamente curate. Parise inspiegabilmente attratto da questa
Françoise, domanda ad un amico, un certo Ottone, con quali mezzi ella si
sostentasse, la risposta fu che la ragazza non li aveva, non possedeva mezzi di
sostentamento, perché Françoise e anche gli altri presenti nel locale vivevano, non
si sa come, alla giornata. Bevevano caffè, fumavano come turchi e di mangiare
nemmeno l’ombra. Ma Parise non si capacitava di tutto ciò, secondo lui, la
ragazza nascondeva qualcosa, era troppo raffinata, troppo pulita per vivere alla
giornata, per vivere ai margini della società. Fu allora che Parise per vederci
chiaro decise di seguirla, ma prima di dedicarsi al pedinamento, Parise si permette
un’osservazione, definisce l’atteggiamento della bella Françoise, che ai più può
sembrare puro esibizionismo, come “superbia”, atteggiamento che ha un peso non
indifferente nelle loro vite, la rinuncia e la ribellione ad ogni ideale borghese
(Ottone nel racconto dà del borghese a Parise perché non si capacita del modo di
vivere degli esistenzialisti) li porta ad atteggiamenti estremi. Dato tutto ciò decise
di seguire la ragazza perché riteneva impossibile quel tipo di vita per ella, data
anche la sua cura per il corpo. Nel frattempo si intrattiene in interessanti
conversazioni con la ragazza, parlano soprattutto di Kierkegaard, e anche questo
mostra l’estraneità della ragazza all’ambiente circostante, mostra che Françoise ha
una profonda cultura, basata su studi solidi, probabilmente era anche laureata, ben
educata, tutto questo rafforzava i dubbi di Parise sulla sua estrazione sociale.
Dopo aver fatto mattina con Françoise ecco che il racconto si anima ed entra in
gioco un po’ d’azione, la ragazza con la scusa di andare un momento alla toilette
1
Françoise l’esistenzialista è pulita e profumata, in Corriere d’Informazione, 2-3 marzo 1955, p.
5.
34
se ne va dal Poully, Parise attende qualche minuto, esce dal locale e riesce per un
soffio a vedere Françoise correre in fondo alla via, da questo momento in poi
inizia il pedinamento. La segue ed ecco che arriva la prima sorpresa, la ragazza
possiede un’automobile e continua a seguirla in tassì fino alla sua abitazione. Così
Parise scopre che Françoise vive in un palazzo molto elegante, che è la figlia di un
politico molto in vista, che è ricchissima e anche pazza, che è laureata in filosofia,
che è divorziata ed ha tre figli, che è stata più volte in una casa di cura per
disintossicarsi dalle droghe. Il racconto non finisce qui, ma continua, Parise scrive
di nuovo del Poully specialmente della sua prima visita al locale, in questo posto
la prima volta che ci ha messo piede si è trovato al centro di una scena sanguinosa,
quella sera l’atmosfera era particolarmente eccitata, causa rissa tra padrone del
locale e un cliente spagnolo, il quale era reo di tentare approcci con la giovane
ragazza del padrone, quest’ultimo tutto ad un tratto piombò sullo spagnolo e
cominciò a picchiarlo, i pugni infierivano, e ad un tratto il padrone aprì una botola
che dava alla cantina e ci scaraventò dentro il povero spagnolo, nel mentre la
giovane ragazza del padrone applaudiva con soddisfazione. I presenti che
assistettero alla scena guardarono senza dare troppo peso all’accaduto. Ma la
serata sanguinosa continua, difatti dopo un po’ avvenne il furto di un portafogli,
gli attanti erano dei marocchini, ed ecco che il diverbio degenera ed esce fuori un
coltello che si conficca nella gamba del sospettato principale. Ma qualcuno, non si
sa chi, ha chiamato la polizia, si odono le sirene delle volanti, fortuna volle che
l’autore si trovasse vicino alla porta d’ingresso e riuscì a fuggire in tempo.
L’autore continua con le sue peregrinazioni in una Parigi mai vista, del tutto
inedita. È vero che non è stato mai a Parigi, ma fare il turista o semplicemente
descrivere quanto Parigi sia bella non è per lui, come detto in precedenza
Goffredo Parise ama le cose vive, che vivono e vengono vissute: quindi predilige
il contatto con le persone, le più eterogenee possibili e i posti che esse frequentano.
Parise descrive una Parigi vissuta e vista dai parigini e non solo, inoltre il suo
sguardo provinciale, assetato di enorme curiosità, lo porta ad osservare
minuziosamente le persone che ha attorno, lo porta addirittura a pedinare una di