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PRESENTAZIONE
Parigi oltre la Torre
A distanza di piø di due mesi dal mio arrivo, una sera, rientrando a casa con
l’ultima corsa del metro, Parigi decide di darmi la sua stretta di mano, di offrirmi la
sua amicizia, di presentarsi a me in tutta franchezza. Ha atteso forse il momento in
cui io mi sentissi meno turista.
Era, in effetti, la prima volta che, nel silenzio del vagone, trovato posto sui
sediolini ribaltabili, riflettevo sulla città e riflettevo seriamente: sul senso della mia
esperienza francese, su cosa, in buona sostanza, ci facessi lì, cosa cercassi e
soprattutto perchØ mai tardassi tanto a trovarlo. Ero a Parigi da piø di sessanta giorni
ed ero ingrata nei suoi confronti. La vivevo con freddezza. Ogni luogo, peraltro già
visitato in un precedente viaggio, sembrava non trasmettermi nulla di piø di un
comune sentimento di ammirazione, per la bellezza, lo charme indiscutibile, la
funzionalità dei servizi e tutti i gradevolissimi clichØ che Parigi (un unico immenso
clichØ, pensavo) offriva ai miei occhi. Ancora immersa in questi pensieri e
indifferente come tutti a quanto accadeva a dieci centimetri da me, scendo dal
vagone, mi avvio a testa bassa verso la mia uscita e, prima ancora che possa
rendermene conto, mi trovo coinvolta in un evento che cambierà la mia visione delle
cose.
Scendono, raggruppati a testuggine: sono cinque ragazzi che con movimenti
simultanei, a ginocchiate, spingono fuori dal vagone un altro giovane, già chino su se
stesso per il dolore in mezzo a loro. Aggressori e vittima: due colori della pelle
diversi. Quando ho capito ciò che stava succedendo era già troppo tardi, mi ci sono
trovata quasi immischiata, a stento ho potuto rifugiarmi in una delle entrate laterali
della stazione, loro, piø mi allontanavo piø avanzavano proprio verso di me e
comunque era inutile scappare: di lì si entra soltanto e non si esce. Andava cercata
una soluzione. Rasente il muro, faticando per non essere in alcun modo colpita
anch’io, ho raggiunto tutta la folla di spettatori che intanto restava lì, irrigidita, a
guardare quel macabro spettacolo. Calci, gomitate infami, un ombrello, di cui mai
dimenticherò il colore, giallo, a colpire, quasi a infilzare, il ventre della vittima.
Ultima mossa, lo si prende entro il braccio muscoloso e si fa come per torcergli il
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collo. Il ragazzo colpito riesce, per un attimo, ad alzare la testa, il volto sanguinante.
Nessuno è intervenuto, eppure la stazione era piena. La cosa piø agghiacciante che
continua a ritornarmi alla mente ogni volta che ci penso, e ci penso spesso, è il piø
assoluto silenzio nel quale si è verificato il tutto. Non ero stata solo io, magari
sovrappensiero, a non capire subito, ma tutti quelli che erano con me si sono trovati
completamente spiazzati, perchØ l’unica cosa udibile era il sordo rumore dei colpi
inferti, che fendevano l’aria nell’atto di picchiare. Ecco quello che posso ricordare.
La violenza silenziosa. Una specie di violenza che non avevo mai visto o udito
prima. Posso anche ricordare gli occhi iniettati di sangue, la cattiveria che
esprimevano e la rabbia. Infine il mio vuoto allo stomaco e la decisione di non
prendere come sempre le scale mobili, ma di seguire la folla, che attardatasi ad
assistere all’avento, usciva tutta nella stessa direzione, salendo le stesse scale, in un
mutismo raggelante e riflessivo. Come se ognuno, in quel momento, avesse bisogno
del silenzio dell’altro, ognuno per sØ, ma insieme. Il ragazzo aggredito era stato
portato via da qualcuno. Gli aggressori già scappati.
Ci penso spesso. PerchØ Parigi offre sovente schizzi di sangue sui muri delle
stazioni, qualche poveraccio ferito e sbattuto in un angolo, risse. E offre simili scene
perchØ Parigi non è solo una delle mete del turismo mondiale, non è solo una delle
città piø affascinanti del Nord-Europa e, soprattutto, non è sempre arte, cultura, senso
civico, efficienza. ¨ una capitale nordica in cui il Sud del mondo si è riversato in
massa, il resto del mondo. Sonnecchia, placida, accarezzata dal fiume cui tanto deve,
ma all’improvviso può esplodere, può impazzire completamente senza che ci sia
scampo.
¨ questa schizofrenia urbana che, finalmente, colpisce la mia attenzione:
come si governa una città come questa? Quali i problemi? Quali gli strumenti per
risolverli?
Ecco, sono partita per cercare. La mia seconda tesi in geografia: laurea
specialistica in Filologia Moderna. Io che non sono geografa neanche un po’, ma
amo capire come la gente viva e dove e perchØ, indagare i meccanismi di interazione
tra essere umano e spazio, l’azione dell’uomo sullo spazio e viceversa, gli effetti del
pensiero, della creatività, della letteratura, della cultura e infine della politica sulla
vita di tutti noi, in relazione ai luoghi. Io, che costantemente e irreversibilmente
subisco il fascino del milieu urbano, ancora una volta, dopo Napoli, ho parlato di una
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metropoli, Parigi, certo assai diversa dalla città mediterranea, ma culturalmente ad
essa legata e non è un caso che Stendhal le ritenesse, all’epoca, le due uniche
possibili capitali d’Europa.
Flâneuse ho cercato di essere nel mio piccolo. Ho fatto ricerca, certo, ma ho
anche osservato molto a tempo perso ed è forse proprio dagli eventi casuali che
questo lavoro ha trovato di volta in volta gli stimoli e gli slanci necessari.
Cosa c'è oltre la torre sfavillante, le vetrine chic e meno chic degli Champs
ElysØe, oltre le brasseries del centro, i caffè letterari di Saint Germain des Pres, i
riposanti e verdi parchi, i souvenirs di Saint Michel e Montmartre, il falso glamour
del cibo giapponese che ormai invade a buon mercato tutti i quartieri eleganti? Forse
la città meno luccicante e piø luminosa, quella che a te, studentessa un po’ turista,
apre gli occhi, e ti ricorda che lì, in una delle città piø ricche del mondo, in uno di
quei quartieri che sono Parigi e non lo sono insieme, abita gente povera, talvolta
poverissima. Ci sono giovani sani che si impegnano per il futuro di tutti, che
investono il loro tempo in associazionismo, attività ricreative, sport e che fanno
sorridere luoghi poco accoglienti. Ma ci sono anche quelli che in guerre tra bande si
contendono il territorio e spesso la vita e non sanno che farsene del romanticismo; gli
artisti o i poeti sono per molti solo nomi di complessi residenziali; di torre gli basta la
loro, quella in cui abitano, che a starci sotto sembra pure piø alta e a mezzanotte non
luccica e, veramente, non luccica mai, ci vivono centinaia e centinaia di persone e
non ha un nome celebre, ma una lettera dell’alfabeto a distinguerla dalle altre.
É la Parigi oltre la torre, la Parigi delle torri, che si muove, che vive, che evolve e
che ho cercato di raccontare.
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INTRODUZIONE
«Per scrivere la biografia di una città, occorre iniziare da quello che fu il
luogo della sua nascita e finire con le sue fabbriche e i suoi depositi». Così scriveva
nell’opera L’Homme et la Terre pubblicata postuma nel 1905 uno dei piø insigni
geografi francesi, ÉlisØe Reclus.
Il nostro lavoro non vuole essere la biografia di una città, ma proponendoci di
capire i tempi, le modalità, le criticità dello sviluppo urbano francese e delle politiche
sociali che lo riguardano, abbiamo ritenuto opportuno, seguendo l’autorevole
consiglio, partire proprio dalle origini piø antiche di tale sviluppo.
Il fenomeno dell’urbanizzazione in Francia coincide con il progressivo
debordare delle città oltre i loro storici confini andando a invadere ciò che città non
era e costringendo molti territori a cambiare “abito culturale”. Trasformati da villaggi
o borghi rurali in agglomerazioni urbane sempre piø grandi, questi luoghi che
circondavano un tempo le città senza avere alcun legame con esse, si tramutavano
man mano in qualcosa di simile all’urbano, ma che città tuttavia non era: la banlieue.
“Banlieue” parola che affonda le sue radici in epoca medievale, quando
designava uno spazio anulare che si estendeva intorno a una nodo urbano; parola che
quasi mai viene tradotta e quando succede non trova in “periferia” il suo piø
esaustivo e veritiero corrispettivo.
Quando si parla di sviluppo urbano francese, in qualsiasi trattazione di
carattere generale sull’argomento, Parigi, la sua regione l’Île de France, le sue
banliueues, finiscono inevitabilmente con l’assumere un ruolo preponderante. Sin
dalle prime battute, quindi, apparirà palese, l’implicito legame della prima parte di
questo nostro lavoro con la Capitale, dovuto essenzialmente all’identificazione della
“banlieue” con la “banlieue di Parigi”.
Nelle prime fasi della ricerca ci siamo proposti di analizzare i vari aspetti
della questione, a cominciare dalle origini medievali della parola banlieue, passando
per la configurazione moderna di questa particolare entità geografica tra Ottocento e
Novecento; attraversando la cosiddetta aventure pavillonnaire, il fenomeno della
lottizzazione periferica e delle città-giardino degli anni Trenta che segnarono l’inizio
della banlieue contemporanea la quale, tuttavia, fino almeno alla metà del secolo
scorso mai era stata oggetto di studi geografici condotti scientificamente. La fine
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della storia passata della banlieue la vede incarnare una specificità francese del
dopoguerra, quella dei grands ensembles, grandi complessi residenziali di migliaia di
alloggi, anima di cemento della modernità. All’inizio essi furono speranza e modello
per il mondo di virtuosa crescita urbana, ma, già vent’anni dopo, quando la scarsa
qualità dei materiali e la marginalità geografica ne causarono il precoce degrado,
divennero simbolo, in molti casi, del completo fallimento di un’idea di sviluppo
residenziale massivo, condotto secondo i canoni quantitativi dell’economia
industriale e del risparmio applicati alla costruzione di immobili.
Non minore attenzione è stata dedicata alla configurazione presente della
banilieue, all’importante peso demografico delle fasce piø lontane di urbanizzazione,
quelle della banlieue lointaine (lontana banlieue), della crescita periurbana e alle
difficoltà relative alla definizione precisa di tali entità geografiche.
Nel tentativo di offrire una visione chiarificatrice dello sviluppo urbano delle
banlieues, dei grands ensembles e delle nuove forme dell’abitare, fondamentale è
sembrato inquadrare storicamente e scientificamente la tematica della “città”
attraverso l’esposizione dei piø importanti approcci interpretativi di geografia urbana
in merito. Dall’attenzione costante della geografia di Vidal de la Blache agli aspetti
culturali del fenomeno urbano, di cui il celebre geografo padre del possibilismo fu
uno dei primi teorizzatori, si è passati a descrivere le interpretazioni funzionaliste che
delle città hanno messo in luce le funzioni gerarchiche. Attraverso gli innovativi
apporti sociologici europei e nello specifico francesi alla questione urbana si è
arrivati ad analizzare le rivoluzionarie ricerche di ecologia umana - scaturite
dall’effervescente ambiente della Scuola sociologica di Chicago - che vedevano la
città comportarsi essenzialmente come un “organismo umano” e sottostare alle leggi
dell’ecologia vegetale e animale (competizione, dominanza e successione, economia
biologica e simbiosi). La geografia ispirata al materialismo storico ha considerato,
invece, la città come espressione geografica delle lotte di classe e dei conflitti
generati dall’organizzazione capitalistica. Molto spazio, infine, si è voluto dedicare
alle analisi della geografia francese degli anni Sessanta concernenti i nuovi scenari
che andavano delineandosi all’epoca con le relative previsioni di sviluppo e gli
ancora timidi interrogativi riguardanti la filosofia di fondo che costituiva la spinta
ideologica alla costruzione dei grands ensembles, quella del Movimento Moderno di
Le Corbusier, votato a razionalizzazione degli spazi (finanche degli elementi naturali
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come luce o aria), igiene e ferma opposizione al fenomeno di dispersione umana, e
quindi urbana, generatrice, si pensava, di una città malata. Movimento Moderno
ovviamente inconsapevole di quanto, in un futuro non lontano, le sue istanze, una
volta realizzate, sarebbero state portatrici proprio di quei rischi che intendevano
scongiurare
Una ricerca sul fenomeno dell’ urbanizzazione periferica, non poteva esimersi
dall’analizzare il contesto storico, economico e politico del secondo dopo-guerra e
dei trenta anni di ininterrotta crescita non solo economica, ma demografica, culturale
e sociale che lo favorirono. I gloriosi trenta, nella definizione di Jean FourastiØ,
furono anni di crescita eccezionale per il mondo e per la Francia, paese nel quale
tuttavia, a una florida situazione economica non corrispose altrettanta stabilità
politica: si è tentato di analizzare il complesso periodo storico fino alle prime
avvisaglie dell’imminente crisi petrolifera negli anni Settanta e al contemporaneo
manifestarsi dei primi segnali di disagio nelle periferie.
Stimolo iniziale della ricerca, d’altronde, sono stati gli interrogativi suscitati
in chi scrive da piø recenti fatti di cronaca, quelli risalenti al novembre 2005, quando
la Francia vide in tre settimane di fuoco aprirsi un’altra pagina drammatica della sua
storia urbana, probabilmente la piø drammatica in assoluto, quella della rivolta delle
banlieues: per diffusione, entità e implicazioni socio-politiche essa non è stata
paragonabile agli altri episodi di violenza urbana, pur gravi e di dirompente forza
mediatica, che la Francia ha conosciuto negli ultimi trent’ anni.
Le banlieues che periodicamente esplodono e delle quali ci giungono
esclusivamente immagini infuocate, hanno una storia molto complessa. Non è
possibile ridurle solo a focolai di degrado e disagi. Quand’anche tali aspetti
rappresentino la realtà di molte banlieues, quella alla quale le cronache giornalistiche
ci hanno abituati è un’immagine parziale dei luoghi che il nostro lavoro si è proposto
di analizzare. La parzialità è dovuta alla mancata individuazione delle motivazioni
reali dell’eventuale degrado e delle implicazioni socio-economiche dei periodici atti
di violenza. Motivazioni che, per quanto possibile, noi ci siamo proposti di
focalizzare. Questo ci è sembrato il filo rosso da seguire nella strutturazione del
nostro elaborato. Per comprendere le banlieues, occorre ripercorrerne la storia senza
lasciarsi intrappolare da facili giudizi confusionari o dalla memoria “mediatica” e
falsificatrice che troppo spesso le riguardano. Obiettivo di questo lavoro, quindi, è
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stato provare a capire e descrivere la portata reale del fenomeno urbano, cosa
rappresentino le banlieues nella vita quotidiana delle persone, quale importanza
abbiano oggi e da dove essa derivi. L’esperienza sul campo maturata durante sei mesi
di vita parigina, ha altresì delineato quali dovessero essere i paralleli binari di
sviluppo della nostra ricerca. In un Paese che molto presto si è trovato a gestire
importanti flussi migratori e che negli anni Settanta contava già 5 milioni di
immigrati, i tentativi di governare l’inevitabile crescita urbana, sono stati, fin dalle
origini, non privi di conseguenze sociali oltre che geografiche. Tali tentavi, con il
passare del tempo, configurarono la necessità nei loro riguardi di razionalizzazione e
profonda connotazione ideologica, e confluirono, a partire dall’inizio degli anni
Ottanta, nella definizione vaga ed efficace insieme di “Politique de la ville”. Tale
locuzione designa l’insieme delle politiche messe in atto dai poteri pubblici al fine di
rivalutare le zone urbane in difficoltà e di ridurre le disuguaglianze tra i territori.
Dato l’ampio spazio dedicato nella nostra ricerca al fenomeno di periferizzazione
mondiale che assume caratteristiche differenti a seconda dei paesi considerati,
probabilmente non è superfluo precisare che le zone urbane in difficoltà coincidono
in Francia, molto spesso, con i quartieri periferici delle città centrali e con gran parte
delle banliueues che le circondano, le quali, evidentemente, per motivi geografici,
intrinsecamente politici e ovviamente congiunturali, hanno finito per subire piø di
tutti le conseguenze di deindustrializzazione, divisione del lavoro internazionale e
terziarizzazione. Per nulla semplice è risultato descrivere l’evoluzione della politique
de le ville, tra le innumerevoli pieghe della ricostruzione storica, la selva di acronimi
che la caratterizzano e le insidie di un’alternanza politica che negli anni ne ha
prodotto orientamenti contradditori. Abbiamo provato a farlo raccontando
contestualmente il clima politico e sociale della Francia degli anni Ottanta e Novanta,
fino alla descrizione, il piø possibile chiara ed esaustiva, delle politiche urbane di
nuova generazione. Nella personale rielaborazione di chi scrive si è cercato di
schematizzare l’assetto delle politiche urbane degli anni Duemila e se ne sono
presentati missioni, metodi, costi, con un occhio particolarmente attento al dibattito
socio-culturale e alle aspre critiche che costantemente suscita una simile macchina
istituzionale, dal motore lento e dal pilota incerto, tesa a fare delle Zus, “zone urbane
sensibili” – come vengono eufemisticamente definiti i settori in difficoltà – dei
“quartieri come gli altri”, in una logica di sparizione delle Zus tramite abbattimenti e
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riqualificazioni urbane. Unica via per la risoluzione dei problemi è sembrata negli
anni la mixitØ sociale (mescolanza sociale), che insieme a quello di “coesione
sociale”, rappresenta uno dei concetti basilari delle politiche pubbliche francesi. Si è
tentato di analizzare con puntualità i motivi per i quali molto spesso la mixitØ non si
dimostri affatto panacea di tutti i mali, ma controproducente. La politique de la ville
è stata negli anni generatrice di un’eufemizzazione costante riguardo ai quartieri, che
ha, in qualche misura, nascosto dietro la denominazione dei luoghi i problemi veri:
segregazione spaziale e progressiva ghettizzazione. Il problema non sono i luoghi
però, ma chi ci abita e le condizioni oggettive in cui ci si trova ad abitarli. Inoltre,
con il termine benlieues o con la definizione di “sensibili”, si indicano senza
ammetterlo apertamente – a causa delle forti valenze ideologiche del sistema
francese di integrazione - i quartieri nei quali si concentrano per lo piø popolazioni
immigrate. Come appare dai nostri studi, segregazione e concentrazione non sono
fenomeni fatalmente negativi, ma drammaticamente generatori di disagi se uniti a
una rottura dell’ascensore sociale come quella verificatasi, secondo molti, negli
ultimi anni in Francia. La natura interministeriale della politique de la ville, infine,
se favorisce l’assunzione da parte del "diritto comune" delle innovazioni e delle
sperimentazioni che essa suscita cercando di integrare i suoi obiettivi nella priorità
delle politiche ministeriali al fine di rivolgerle alle proprie esigenze, l’ha resa anche
nel corso del tempo un meccanismo farraginoso, destinato a sottostare agli
orientamenti politici di turno, nazionali e locali, e condannato spesso all’invisibilità
soprattutto a livello territoriale. Quello urbano delle banlieues dunque è uno sviluppo
che da almeno trent’anni si intreccia all’evoluzione di una politique de la ville
claudicante e dal futuro instabile. La nostra ricerca ha assunto come dØmarche la
progressiva chiarificazione dei nodi piø intricati di tale intreccio, con l’obiettivo di
riuscire a offrirne un quadro, il piø completo possibile, che ne racchiuda le origini,
gli storici sviluppi e ne delinei i tratti piø recenti. Banlieues e politique de la ville
sembrano raccontare, dunque, due storie in una.
Piø dichiaratamente parigina, la seconda parte del lavoro è concentrata in
primo luogo, e brevemente, sul presente urbanistico della Capitale, i cui attori ci sono
apparsi piø impegnati a progettare la Parigi del futuro che non a vivere quella
contemporanea. Gli orientamenti delle politiche urbane infatti, appaiono in corso di
ridefinizione. Si è capito, forse, che così come aveva funzionato per vent’anni la
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politique de la ville non poteva piø permettersi di funzionare ancora a lungo. Si sta
procedendo a una revisione istituzionale profonda delle sue istanze, finanche dei suoi
tradizionali cardini, contrattualità, territorialità e cooperazione, nonchØ della sua
pletorica geografia prioritaria, che, enigmatica, non ha mai stabilito criteri precisi di
definizione dei quartieri sensibili o di ammissione di questi ultimi a partecipare delle
politiche urbane. La fase di stallo della realtà permette però di sognare, di pensare
alle avveniristiche soluzioni per una Parigi sempre piø capitale del mondo, o che,
almeno, vorrebbe tanto esserlo. Le Grand Pari(s) (giocando sull’assonanza tra
“pari”, “scommessa” in francese, e Paris), è l’idea, nenache tanto nuova, del
Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy oggetto del dibattito che da qualche
anno investe mondo accademico e opinione pubblica d’oltralpe, tra necessità di
riassetto istituzionale dell’intera regione parigina, entusiasmo del Governo che se ne
fa promotore e scetticismo degli eletti locali.
Ma dai “sogni” si passa molto presto alla realtà, alla Parigi vera e vissuta,
anche da chi scrive. L’idea generale di studiare sul campo le banlieues ha trovato
concreta applicazione nello studio ravvicinato, non di una banlieue, ma di un
arrondissement di Parigi, il diciannovesimo, specifico caso di studio di questa tesi di
laurea. Va inoltre aggiunto che, non essendo possibile studiare al dettaglio
l'arrondissement nella sua interezza - è infatti uno dei piø estesi di Parigi - se n’è
preso in esame solo il trapezoidale quartiere Flandre e ancor piø nello specifico un
îlot (isolato), il settore Tour du Maroc. Non è dovuta al caso una simile scelta: i
preziosi consigli di Madame Hancock, docente di geografia urbana presso
l'Università Parigi XII di Creteil, dove questo lavoro ha trovato accoglienza e valide
guide nei sei mesi del progetto Erasmus Tesi, e la vicinanza del nostro domicilio
parigino, nel decimo arrondissement che la chiocciola della divisione amministrativa
della città vede confinare col quartiere studiato, hanno certamente contribuito a tale
preferenza. Madame Hancock, cui va uno speciale ringraziamento, abita, inoltre,
proprio in questo arrondissement e ci ha fornito gli strumenti bibliografici e i contatti
professionali necessari alle ricerche. Una quarta ragione va a suffragare tale scelta:
fin dalle prime osservazioni è parso non azzardato definire il “diciannovesimo” una
banlieue che si chiama ancora Parigi. BenchØ sia comunque un quartiere storico, esso
era una banlieue, e quand’anche rientri dal 1860 nel perimetro urbano della Capitale
con i relativi vantaggi legati a questa condizione, riteniamo possa costituire un
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esempio non falsato della realtà di banlieue, o almeno della prima fascia periferica
intorno alla città, la petite couronne. Oggetto negli anni Sessanta e Settanta di una
massiccia costruzione di grands ensembles, il quartiere presenta un elevato tasso di
disoccupazione e di fallimento scolastico, così come una forte presenza di
popolazioni immigrate. Si può, quindi, definire il diciannovesimo arrondissement
una periferia storica di Parigi in continua e talvolta tumultuosa trasformazione, ma un
profilo di barres e tours (torri ed edifici bassi e lunghi di alloggi per lo piø sociali)
simbolo della configurazione tipica dei grands ensembles, nonchØ la particolare
conformazione sociale che lo contraddistinguono rispetto alla media parigina,
contribuiscono a renderlo a nostro avviso un esempio verosimile di banlieue. Il
quartiere preso in esame, inoltre, rappresenta un caso di studio interessante
soprattutto in quanto uno dei soli 16 esempi di “politique de la ville” attivata su
territorio parigino e non all’esterno. Ci proponevamo di capire, anche attraverso le
cifre, cosa sia un arrondissement e all’interno di esso un quartiere parigino, di
indagarne le dinamiche di coesistenza o di conflitto tra gli abitanti, di comprendere
meglio il lavoro di chi è lì tutti giorni a contatto con la gente, sentire le voci da noi
definite, queste sì a buon diritto “prioritarie” delle persone, e cercare di raccontarle.
Rappresentazioni cartografiche e immagini, strumenti d’eccellenza del lessico
geografico, costituiscono non solo il necessario corredo al nostro caso di studio, ma
talvolta l’elemento piø idoneo alla comprensione della realtà geografica e urbanistica
dei luoghi presi in esame.
Il capitolo finale del lavoro, analizzando a fondo i caratteri e le specificità del
Novembre francese che hanno permesso di distinguerlo notevolmente dalle due
precedenti ondate di rivolte urbane conosciute dalla Francia negli anni Ottanta e
Novanta, ha tentato di chiudere il cerchio con l’analisi degli originari interrogativi
ispiratori della nostra ricerca. Le svariate interpretazioni delle rivolte formulate da
studiosi ed esperti, insieme a tutto quanto il lungo lavoro di approfondimento ci ha
permesso di capire sulla Francia, sulle sue città, sulla sua società, su Parigi e le sue
banlieues, hanno suscitato una personale e sintetica elaborazione di riflessioni
generali che costituiscono le brevi conclusioni del nostro lavoro.
PRIMA PARTE
Banlieues e “ politique de la ville”: due storie in una
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CAPITOLO I
Banlieues parigine e di Francia: il passato e il presente di un
fenomeno urbano
«Pour mØmoire, la banlieue, un peu comme une sØrie drammatique, fut d'abord un
chantier commencØ aux portes de la ville, mais jamais terminØ; ensuite une histoire
plutôt pauvre, sans origine clairement attestØe, sans intrigue bien dØfinie ni
dØnouement prØvisible; enfin, un ressemblement d'acteurs : decideurs politiques,
peuple “citoyen”, minoritØs ethniques et ombres clandestines. Dans les affres du
prØsent, la banlieue ne se prête pas aux incantations. Elle est d'abord habitØe et
demande à être visitØe avec des yeux neufs. Pour la comprendre, il faut en retrouver
l'histoire, sans tomber dans le piège des amalgames et de la mØmoire falsificatrice.
On pourra en lire la trame principale et la diversitØ si l'on tient à distance l'ordre du
jour imposØ par l'actualitØ»
1
(Vieillard-Baron, 1996, p. 9).
I. 1 Cos'è la banlieue? Tempi, modalità e cifre del suo sviluppo
Le prime definizioni di banlieue sono essenzialmente legate alla città medievale. La
parola è formata dalla radice germanica ban (designante l'autorità del signore sui suoi
possedimenti, ma anche l'esclusione, la censura, la messa al bando) e dal termine
latino leuca
2
unità di misura (la “lieue” in francese) in uso all'epoca gallo-romana
3
.
La “lieue” serviva allora a indicare sia l'unità di misura della distanza, sia quella del
tempo impiegato a percorrerla, circa un'ora. Il termine designava uno spazio anulare
che si estendeva intorno a un nodo urbano; la cinta muraria della città non aveva
1 «Storicamente, la banlieue, un po’ come in una serie drammatica, fu prima un cantiere intrapreso alle porte
della città e mai portato a termine; in seguito una storia piuttosto povera, senza un’origine chiaramente
stabilita, senza un intrigo ben definito, nØ una conclusione prevedibile; infine, un insieme di attori, decisori
politici, popolo “cittadino”, minoranze etniche e ombre di clandestinità. Nei tormentati tempi di oggi la
banlieue non si presta alle favole. Essa è prima di tutto abitata e chiede di essere visitata con occhi nuovi. Per
comprenderla occorre ripercorrerne la storia senza cadere nelle trappole della confusione e della memoria
falsificatrice. Se ne potrà leggere la trama se si terrà a distanza l’ordine del giorno imposto dall’attualità»
(traduzione dell’autrice).
2 Leuca in latino indica la lega: misura itineraria celtica di 1 500 passi romani (circa 2 250 m.), (Castiglioni,
Mariotti, 1998).
3 La ricostruzione etimologica della parola segue la fonte del CNRTL (Centre National de Ressources
Textuelles et Lexicales), 2009.
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valenza giuridica, ma solo un ruolo militare, difensivo, quindi la frontiera vera e
propria tra la città e ciò che non le apparteneva era rappresentata dal territorio
lavorato in contrapposizione a quello incolto; la tradizione orale voleva che
l'estensione riconosciuta della “banlieue” dipendesse sostanzialmente dagli ostacoli
naturali come corsi d'acqua, precipizi, vegetazione ecc. (Vieillard-Baron, 1996).
Chi aveva autorità su questi territori esterni al perimetro cittadino, il signore,
l'abate o il borghese di turno, vi esercitava dunque il diritto di banno che con il tempo
si preciserà notevolmente: gli abitanti della banlieue infatti dovevano contribuire
all'alimentazione e alla difesa della città, provvedere alla manutenzione delle
fortificazioni e combattere nella milizia urbana, ma erano esentati dal pagamento
delle imposte sui prodotti venduti al mercato cittadino; le banlieues, tuttavia, avevano
un ruolo di contenimento della concorrenza commerciale: vi era interdetto, infatti,
l’esercizio di attività di artigianato al fine di non intaccare i privilegi corporativi che
prendevano forma proprio in questo periodo della storia delle città (Berengo, 1999).
Quando i faubourgs
4
, piccoli centri di attività commerciali e insediamenti
urbani situati presso le porte o le grandi strade o al fianco di ponti che davano
accesso alla città, vennero completamente integrati nei perimetri urbani, le banlieues
ne assunsero il ruolo. Tra il XVII e il XVIII sec. il destino della banlieue fu un po'
oscuro e il termine rimase relegato all'ambito storico-giuridico; se ne trasformò l'uso
durante la Restaurazione, quando esso configurò essenzialmente un sistema di valori
che opponeva Parigi, e piø in generale una città, a tutto ciò che le stava intorno,
assumendo così connotazioni qualitative; da quest'epoca in poi il termine “banlieue”
indicò dunque una periferia urbana dipendente (Vieillard-Baron, 1996). Dopo il
1793, l’organizzazione sistematica del territorio attribuì alle municipalità un minimo
di prerogative, come la gestione della viabilità o dei diritti di concessione. Questo
significò dare realtà alla esistenza politica e territoriale delle banlieues, soprattutto
dopo la legge del 1882 sulla designazione del sindaco non piø da parte del prefetto,
ma tramite l’elezione in seno al consiglio di municipalità (Pinson, 1992).
Sebbene tale fenomeno abbia interessato, come vedremo piø avanti, molte
regioni francesi, quando si parla di “banlieues” tuttavia, il piø delle volte, ci si
riferisce all’agglomerazione parigina, rievocando la dicotomia tra Parigi e il deserto
francese raccontato dalla geografia d’Oltralpe negli anni Sessanta (Gravier, 1958).
4 Il faubourg (dall'antico “fors-borc”, il borgo situato appena fuori la cinta muraria delle antiche città medievali),
si sviluppò in tempo di pace con una valenza economica esclusiva (Vieillard-Baron, 1996).
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¨ certamente intorno alla Capitale che dal XIX sec. si riversò tutta la
popolazione che essa non riusciva piø a contenere. La banlieue contemporanea
nacque dall'aumento demografico, dai ciclici esodi rurali, dal fenomeno di
industrializzazione e dallo sviluppo dei mezzi di trasporto. Come afferma Boyer
(2000), è possibile in questa fase distinguere due direzioni contrarie di popolamento
o, meglio, delle “traiettorie residenziali” riguardanti le banlieues.
La prima traiettoria è relativa ai contadini che dalle zone rurali erano attratti
dalla città ma si fermavano prima, in periferia, dati gli elevati costi di un’abitazione
in centro, o la vicinanza del posto di lavoro in fabbrica.
Una seconda tendenza è quella dei cittadini, i quali - anch’essi alla ricerca di
un alloggio meno caro o di un ambiente piø salubre - si trasferivano in banlieue pur
continuando, magari, a lavorare in città.
Il primo gruppo, afferma ancora Boyer, era il piø numeroso, soprattutto nelle
piccole città in cui le trasformazioni del centro sono state limitate. La vita in città era
tipicamente preferita dagli immigrati giovani e soli, mentre il trasferimento in
banlieue coincideva con il matrimonio o il sopravvenuto ampliamento della famiglia;
è ancora in quest’epoca che comincia a prendere corpo la doppia configurazione,
ancora attuale, della banlieue di Parigi: popolare e borghese.
Le banlieues popolari, nate a ridosso delle fasce di industrializzazione e sorte
per iniziativa privata e auto-costruzione negli anni crearono di se stesse un’immagine
negativa, come afferma ancora Boyer (2000, p. 26) «non è piø la campagna a portata
di città, ma un mondo infernale che la città guarda con pietà e timore insieme»,
tuttavia, le banlieues popolari non erano solo quelle industriali, ma cominciarono in
questa fase a essere popolate anche da impiegati, operai qualificati, artigiani e piccoli
commercianti alla ricerca di condizioni di vita migliori. La borghesia, invece, scoprì
la banlieue come luogo di residenza (e quindi non solo di svago domenicale), in
seguito al miglioramento delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto. Al di là
delle banlieues industriali, grandi differenze caratterizzano quelle popolari da quelle
medio-alto-borghesi, differenze soprattutto riguardanti le dimensioni delle case, la
qualità dei materiali, la distanza dal centro e l’ambiente naturale e sociale circostante.
¨ sempre negli anni cinquanta che si crea l’opposizione est-ovest tipicamente
qualificativa delle banlieues di Parigi, dove a est sorsero la zona industriale e le
relative banlieues operaie, e a ovest invece quelle piø ricche e borghesi: tale
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opposizione comune a molte città francesi, non le riguarda tutte ovviamente (Boyer,
2000). Nell’immediato primo dopoguerra, Parigi sembrava debordare dai suoi
confini e avere quindi l’esigenza “fisica” di espandersi pur rimanendo fisicamente e
culturalmente all’interno di essi.
Tale concetto apparentemente paradossale ce lo spiega in modo piø chiaro
Simon Ronai (2004) che, nell’ambito di una trattazione di carattere generale, afferma
(p. 18): «alla rottura geografica e territoriale eccezionalmente evidenziata, nel
paesaggio urbano, dalla linea dei “boulevards des MarØchaux” e dai 37,5 Km del
boulevard “pØriphØrique”, si aggiunge una fortissima rottura d’immagine e di potere
tra Parigi, che si identifica col lusso, le arti, la cultura, la raffinatezza, e i suoi vicini
piø anonimi». Parigi si estendeva sempre di piø, dunque, rimanendo confinata nel
suo storico perimetro urbano, ma estendendo a macchia d’olio la sua area
metropolitana e creando in tal modo una frattura urbana, sociale e culturale che era e
rimane sostanzialmente l’oggetto di studio principale di geografi, urbanisti e
sociologi (ma anche semplici tesisti) quando ci si accinge all’analisi di un fenomeno
urbano, come quello delle banlieues, dai caratteri propri e solo parzialmente
paragonabili a quelli di altre aree metropolitane del mondo.
Diversi fattori, prima ancora degli anni Trenta, determinarono la crescita
suburbana, avvenuta, tra l'altro, in modo spontaneo, graduale e non pianificato
(Gottman, 1990). Oltre all'aumento della popolazione e ai flussi migratori, grande
incidenza ebbero in tale crescita, soprattutto lo sviluppo tecnologico e il conseguente
generalizzarsi della motorizzazione individuale. Inoltre, da non sottovalutare è il
“sogno” della casa di proprietà in zone periferiche e piø tranquille per fuggire dai
luoghi di maggiore affollamento. Il carattere spontaneo di tali eventi, verificatisi
all’insegna di un generalizzato laisser-faire, determinò, tuttavia, caos strutturale e
notevoli difficoltà di gestione; all’indomani del primo conflitto mondiale fu
manifesta una maggiore volontà dello Stato a « “lasciar fare” nei confronti di questo
spontaneo movimento di lottizzazioni di piccoli appezzamenti periferici: all’inizio
ciò risponde all’aumento della popolazione intorno alle grandi agglomerazioni; in piø
è poco costoso per la collettività (autocostruzione) e permette di stabilizzare una
popolazione tradizionalmente mobile e contestataria» (Veillard-Baron, 2001, p. 58,
traduzione e corsivo dell’autrice). Le politiche sociali portate avanti dai governi
durante la prima guerra mondiale furono alla base di questo grande sviluppo