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trasformazione di un PST da istituzione a monte della tecnologia ad
istituzione a valle.
La nascita, lo sviluppo, la localizzazione dei PST italiani ed
ulteriori aspetti storico-“demografici”, vengono discussi nel secondo
capitolo.
Il terzo capitolo, analizza le differenze tra i modelli internazionali,
focalizzando le condizioni che li caratterizzano e sottolineando la non
appropriatezza del modello statunitense “tradizionale” al contesto
italiano. La linea di fondo, resta ancora quella dell’evoluzione e del
mutamento delle forme e dei concetti ed in particolare negli ultimi
capitoli si fa riferimento a quanto la corretta ridefinizione delle strategie
di Marketing e finanziare, sia una delle basi su cui costruire il successo
del “modello italiano” di PST: se esso deve coniugare domanda ed
offerta di tecnologia ed orientarsi particolarmente all’uso e non alla
produzione della stessa, è importante sviluppare il sistema delle
interfacce che riposa prevalentemente sulle competenze di Marketing
(capitolo 4). In assenza della condizione di insediamento in un’area
economicamente sviluppata assume pari rilevanza il problema del
finanziamento dell’innovazione e lo sviluppo di capacità interne che
permettano, come indispensabile elemento per la sopravvivenza, di creare
risorse per autosostenersi (capitolo 5).
Nel corso della trattazione, verranno utilizzate informazioni e dati
ottenuti con un questionario sottoposto ai responsabili di un campione
PST italiani.
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CAPITOLO PRIMO
Nuove formule progettuali di organizzazione dell’attività
economica.
SOMMARIO: 1.1 Premessa. -1.2 Dall’impresa struttura all’impresa progetto. -1.3 Rilevanza
economica del nuovo concetto d’impresa. -1.4 Ridefinire le funzioni. -1.5 Chiave
interpretativa.
1.1 Premessa.
I profondi cambiamenti che hanno contraddistinto l’evoluzione dei
sistemi economici nei principali paesi, hanno inciso in modo rilevante
anche sull’organizzazione delle istituzioni private che in essi operano e
sulla struttura del mercato.
Le ragioni di tali mutamenti hanno tratto origine nell’affermarsi di
una crescente e diretta correlazione tra conoscenza scientifica, ricerca,
istruzione e sviluppo economico. L’innovazione tecnologica costituisce
non solo un elemento di cambiamento radicale nelle strutture produttive
ed organizzative ma anche uno dei principali fattori propulsivi dei nuovi
processi di sviluppo economico.
Lo scenario che si sta prefigurando è la risposta alle spinte che a
partire dagli anni settanta hanno visto l’instaurarsi di un forte processo di
4
globalizzazione dei mercati, un crescente aumento dell’importanza, a fini
competitivi, dello sviluppo scientifico e tecnologico, nuovi termini del
rapporto offerta-domanda. L’insieme di questi fenomeni, ha provocato il
venir meno, nel mondo delle imprese, dell’efficienza di «risposte
tradizionali (esternalizzazione attraverso il mercato, internalizzazione
attraverso la crescita dimensionale), [le quali] appaiono incapaci di far
fronte alle nuove necessità di relazioni sempre più estese e differenziate
fra l’impresa ed il suo contesto esterno» [Vaccà, 1986].
Da qui la necessità per le imprese di confermare il ruolo di
centralità nei processi di sviluppo economico attraverso la ridefinizione
delle forme e l’utilizzo di nuovi concetti.
1.2 Dall’ impresa struttura all’impresa progetto - un approccio
longitudinale.
Per interpretare l’evoluzione di un fenomeno e comprendere
l’effettiva natura del mutamento, quando questo abbia carattere di
complessità, è utile in prima battuta caratterizzarlo e formalizzarlo in
riferimento ad un istante temporale.
Il fenomeno unitario di cui si cerca di descrivere la dinamica, è
l’“organizzazione produttiva”. Sebbene essa possa assumere diverse
forme (e proprio in tale considerazione sta la sua natura dinamica), non
muta come categoria astratta e quindi come unità di analisi. Il
chiarimento è necessario perché il presupposto dell’analisi longitudinale
sta proprio nella possibilità di confrontare le caratterizzazioni della stessa
unità di analisi in due momenti distinti.
5
Il secondo passo è la caratterizzazione e formalizzazione dell’unità
di analisi, l’“organizzazione produttiva”, nel secondo momento o periodo
temporale. Il confronto quindi di due immagini statiche consente di
percepire i cambiamenti intervenuti. In tal modo si evita di incorrere nella
confusione tra cause ed effetti e si ha la possibilità di inferire da questi
ultimi le cause stesse del cambiamento.
I due “macromomenti” cui riferire gli estremi del confronto sono
gli anni sessanta e gli anni ottanta1.
Ad un livello generico, l’“organizzazione produttiva”, può essere
definita come un’istituzione economica strutturata che agisce in un
ambiente di riferimento seguendo una strategia: se ne desumono pertanto
aspetti che permettono di coglierne la natura essenziale. L’ambiente di
riferimento può essere considerato come l’insieme delle condizioni, delle
risorse, dei soggetti, delle attività considerate rilevanti, nella visione che
ne ha l’organizzazione, ai fini della sopravvivenza; la “struttura”
rappresenta l’ordine in cui sono disposte le parti che la compongono (e le
reciproche relazioni); la strategia viene qui intesa come «costituita dai
contenuti della azioni che [un’organizzazione] intraprende con
riferimento ad una specifica situazione dinamica dei soggetti e dei
sistemi operanti entro e fuori dell’[organizzazione] stessa, non importa se
le azioni sono viste [...] ex-ante, oppure [...] ex-post» [Rispoli, 1989, p.
748], essendo numerose e di carattere contenutistico le definizioni che è
possibile rintracciare.
La caratterizzazione può essere allora fatta in relazione ai concetti
di ambiente di riferimento, “struttura” e strategia nei due periodi.
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1.2.1 L’organizzazione produttiva anni sessanta.
La dottrina prevalente del periodo2, sia quella delle teorie
organizzative che di management strategico, focalizza l’impresa come
entità che si confronta con un ambiente di riferimento competitivo ma
“senza volto”: gli attori della competizione sono largamente
indifferenziati; comunque, si delinea una struttura della concorrenza, si fa
riferimento ai prodotti nell’ambito di nicchie o settori differenziati.
L’ambiente è considerato totalmente prevedibile e pertanto pianificabile.
I confini dell’organizzazione sono perfettamente visibili e definiti.
L’ordine tra le parti è costruito attraverso linee di influenza e rapporti
gerarchici: l’organizzazione potrebbe essere disegnata. Esiste, quindi,
una netta linea di demarcazione tra impresa e ambiente per cui essa
potrebbe essere descritta facendo riferimento a modelli che privilegiano i
meccanismi interni per spiegarne il comportamento.
L’ipotesi che le strategie fossero “situazionali”3, non permette di
considerarne i contenuti generici. La Scuola harvardiana indica che la
strategia è «l’armonizzazione (match) delle capacità dell’impresa (in
termini di forze e debolezze) alle opportunità (o anche alle minacce)
ambientali attraverso cui l’impresa realizza il suo posizionamento»
[Marchini, 1995]. Tale definizione può essere considerata rappresentativa
del concetto allora prevalente di strategia.
1La scelta deriva dalla considerazione che immagini statiche distinte
dell’“organizzazione produttiva”, sono proprio, nei due periodi, l’impresa struttura ed il
network, impresa a rete, costellazione o impresa progetto.
2Ad es. Ansoff, 1965, Chandler, 1962. Alcuni autori di teorie organizzative come
Thompson, Selznick, Dill, Levine e White, Warren, sottolineavano, tuttavia, già l’esistenza di
un pluralismo di task environment (ambiente direttamente rilevante per l’organizzazione) e la
variabilità del general environment (ambiente istituzionale dell’organizzazione); per riferimenti
più puntuali cfr. Lomi, 1992.
3«Le strategie dipendono da così tanti fattori specifici di una data situazione da non
potersi sviluppare delle proposizioni generali.»: cfr. Hofer, 1975.
7
1.2.2 L’organizzazione produttiva anni ottanta.
L’ambiente di riferimento comincia ad “acquistare un volto”; esso
si configura come “contesto”, cioè come risultante dall’insieme delle
altre organizzazioni e dell’esistenza (o dell’assenza) di relazioni con le
stesse
4
. Gli attori della competizione non sono più indifferenziati ma
perfettamente riconoscibili ed identificati. Il “contesto” resta competitivo.
I confini dell’organizzazione tendono a dissolversi e non è più
possibile percepirli in modo definito; essa comprende risorse esterne
controllate dai partner con cui ci si relaziona: il “contesto”, quindi,
comincia a far parte dell’organizzazione. Gli attori risultano come nodi
connessi da relazioni transazionali, non necessariamente governate
attraverso la gerarchia5. La struttura si apre ed interagisce con l’ambiente
e senza tenerne conto non è possibile comprendere il funzionamento
dell’organizzazione.
É possibile in tal modo, perseguire strategie “oltre misura”: la
scelta delle opportunità non è più condizionata dalla disponibilità interna
delle risorse ma si possono sfruttare capacità eccedenti dei partner,
attraverso la definizione di opportuni rapporti interaziendali, per cogliere
qualsiasi occasione ritenuta di per sé profittevole6. La ridefinizione
4Cfr. Lomi, 1992, pag. 261 ed anche l’idea della scuola di Uppsala sviluppata però solo
in riferimento alle relazioni “verticali” in: Hakansson, Snehota, 1989.
5Alcuni autori sottolineano l’esistenza di una certa confusione etimologica nel definire il
concetto di «network». Ad esso vengono attribuiti significati difformi e le definizioni generali
possono risultare vaghe e descrittive ma, ai fini di questa analisi, interessa solo rilevare che
esso è comunque una modalità di organizzazione dell’attività produttiva sebbene si caratterizzi,
rispetto alle organizzazioni degli anni ‘60, per la massima valenza attribuita alle connessioni
interattive tra gli attori e per il loro uso diffuso.
6Tale idea deriva dalla considerazione della “teoria della dipendenza dalle risorse”
enunciata in Aldrich, Pfeffer, 1976 e in Pfeffer, Salancik, 1978, secondo la quale la variabilità
8
incrementale della propria posizione nel “contesto”, dà contenuto alla
strategia, la quale diventa frutto di un processo di apprendimento che si
sviluppa mediante le interazioni con le altre organizzazioni.
1.2.3 Dinamica del cambiamento.
Alla base del mutamento del concetto di ambiente di riferimento,
da complesso di attori indifferenziati a “contesto”, possono esservi
teoricamente due situazioni:
1. interdipendenza economica tra le organizzazioni;
2. la mancata considerazione dell’insieme delle altre
organizzazioni e dell’esistenza (o assenza) di relazioni, porta a
risultati subottimali.
La prima, non si riferisce all’interdipendenza tra comportamenti
strategici derivanti dall’operare dell’impresa in regimi di mercato
oligopolistici ma, a quei fenomeni di reciproca influenza (ad esempio
produzione di know how, condivisione di investimenti,
commercializzazione congiunta, ecc.) frutto della accresciuta mobilità
internazionale dei beni, del lavoro e del capitale, dei progressi tecnici nel
campo delle comunicazioni e dei trasporti, del maggior grado di apertura
internazionale delle economie.
L’impresa non può considerarsi isolata ed autosufficiente ed
operare un confronto solitario con un mercato la cui dimensione non è
più padroneggiabile con le tipiche strategie d’espansione (penetrazione
strutturale è spiegata dalla scarsità relativa delle risorse dalle quali un’organizzazione dipende
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del mercato, sviluppo del prodotto, sviluppo del mercato). Se
l’organizzazione non interiorizza il nuovo concetto, rischia di operare in
regime di basse performances, di carenza di risorse e quindi di
vulnerabilità: è questo il senso della seconda situazione indicata.
L’interdipendenza economica e le soluzioni subottimali
(dell’operare “solitario”), tuttavia, sono effetti di un processo più vasto
che investe numerosi aspetti della realtà: la crescente globalizzazione7
della società e dell’economia. In tale contesto, i confini nazionali e
continentali perdono significato e l’orizzonte dell’operare dell’impresa si
amplia in misura rilevante.
L’aumento della concorrenzialità tra gli operatori economici,
dipende da mutamenti intervenuti nel modo di competere i quali,
presuppongono un recupero di economicità attraverso un uso più efficace
e flessibile delle risorse; tali interventi di razionalizzazione ed
ottimizzazione della gestione realizzano anche maggiore efficienza
[Metallo, Pencarelli, 1995]. L’uso più efficace e flessibile delle risorse
dipende, in buona misura, dall’uso di nuove tecnologie (di produzione
automatizzata e dell’informazione), le quali sono il risultato dello
sfruttamento di avanzamenti nelle conoscenze scientifiche. Pertanto, ai
fini della competizione, diventa fondamentale attribuire valenza
strategica allo sviluppo scientifico e tecnologico e ai processi innovativi8.
per lo svolgimento della propria attività di produzione e scambio. Cfr. anche Albertini, 1990.
7«Termine con cui si esprime la tendenza delle imprese a sviluppare congiuntamente
processi di internazionalizzazione e informatizzazione. In effetti l’aumento della complessità
delle organizzazioni multinazionali che operano in paesi diversi e che adottano ormai moduli
organizzativi flessibili, non più standardizzabili secondo un modello unico, diventa gestibile
solo se corrispondentemente aumenta la potenza del sistema informativo», Enciclopedia
dell’economia Garzanti, Garzanti Editore, 1992.
8Anche le piccole imprese “statiche”, cioè quelle che realizzano prodotti tradizionali che
non incorporano tecnologie sofisticate e complesse e che operano in mercati locali, sono tenute
ad attribuire importanza all’innovazione nel caso di sostituzione di vecchi macchinari con altri
che incorporano nuova tecnologia (almeno nella misura in cui ciò comporti nuova richiesta di
specializzazione del personale addetto e/o modifiche organizzative). Cfr. Rizzoni, 1993.
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Il mutamento intervenuto nella “struttura” organizzativa, è il portato sia
dell’affermarsi di un contesto globale per le scelte economiche, sia, in
maggior misura, dell’esigenza di disporre di soluzioni organizzative
“piatte” le quali definiscano assetti flessibili e garantiscano la massima
apertura verso le fonti informative. In questo caso, però, risulta meno
netta la distinzione tra cause ed effetti: si sottolinea infatti che «una
nuova forma organizzativa è sia un risultato che una causa del
cambiamento della natura della competizione. Così come le
organizzazioni formulano nuove strategie per fronteggiare le nuove
condizioni competitive, esse trovano anche che le loro strutture e sistemi
manageriali richiedono modifiche. Simultaneamente, nella misura in cui
le nuove forme organizzative vengono meglio comprese e più largamente
usate, le nuove strategie competitive divengono più facili da
implementare.» [Miles, Snow, 1986].
Al livello della strategia, quindi, il nuovo concetto si lega in parte
ai mutamenti intervenuti nella “struttura”: lo stesso fattore di
cambiamento della configurazione organizzativa, indirettamente,
influenza attraverso quest’ultima l’ampiezza e la qualità delle opzioni
strategiche che, a loro volta, possono rimetterla in discussione. Quando la
domanda dei consumatori diventa autopropulsiva e tende ad esprimere
spontanei e variegati bisogni che creano molteplici opportunità di
profitto, è necessario maturare una sempre maggiore capacità di
progettare, sviluppare, gestire e controllare le alleanze strategiche e
mantenersi in sintonia con il mondo degli utilizzatori sul mercato globale.
Limitarsi alle strategie realizzabili con risorse controllate con vincoli di
proprietà, e pertanto oggettivamente limitate, significa circoscrive il
numero delle opzioni quando, invece, è manifesta la necessità di
ampliarle.