vii
con una dose minore, dal fascio di radiazioni. Tuttavia, mentre i tessuti
sani sono parzialmente in grado di riparare i danni causati dalle radiazioni, i
tessuti neoplastici, presentando un alto tasso di crescita, hanno una minore
capacita` di riparare i danni indotti dalle radiazioni ionizzanti. Il processo
radioterapico, quindi, richiede una grande accuratezza nella determinazione
della dose somministrata sia agli organi bersaglio che ai tessuti sani.
Per ottenere la massima efficacia del trattamento e` necessario sommi-
nistrare il massimo di dose alla regione anatomica in cui si e` sviluppato
il tumore e danneggiare al minimo i tessuti sani in prossimita` della zona
da trattare. Occorre, quindi: localizzare e ricostruire tridimensionalmente
(partendo da immagini ottenute con la tecnica di tomografia assiale compu-
terizzata (TAC)) la parte anatomica da irraggiare, con tutte le sue caratteris-
tiche di densita`; realizzare, mediante un sistema computerizzato per piani di
trattamento (SPT), una simulazione del trattamento stesso che consenta la
scelta ottimale dell’energia del fascio radiante e della geometria dei campi di
irraggiamento; dare la dose prescritta dal medico schermando il piu` possibile
i tessuti sani; verificare durante il trattamento se la dose pianificata cor-
risponde a quella effettivamente erogata e se il posizionamento del paziente
si mantiene corretto. Questa attivita` coinvolge diverse figure professionali,
come il fisico specialista, il medico radioterapista, il medico radiologo ed il
tecnico di radiologia.
viii
L’attuale possibilita` di fare uso di immagini dell’anatomia del paziente
sempre piu` dettagliate, associata a potenzialita` sempre maggiori di software
in grado di calcolare la distribuzione tridimensionale della dose all’interno del
paziente, ha rilanciato la ricerca scientifica nel campo dei rivelatori di radia-
zioni ionizzanti, in grado di fornire una maggiore accuratezza nella taratura
dei fasci radioterapici.
L’accuratezza dosimetrica puo` essere migliorata se si fa uso di rivelatori
costituiti da materiali quasi equivalenti all’acqua (o tessuto equivalenti), cioe`
mezzi che presentano un’equivalenza in termini di parametri fisici caratte-
rizzanti l’interazione radiazione-materia, come il coefficiente d’assorbimento
d’energia massico, il potere frenante massico e cos`ı via. L’uso di tali rivelatori
minimizza l’incertezza associata ai fattori correttivi necessari per passare
dalla dose assorbita nel rivelatore alla dose assorbita in acqua, inoltre non
perturbano il fascio di radiazioni ed assicurano un assorbimento dell’energia
proporzionale a quello dell’acqua.
Per danneggiare al minimo i tessuti sani nell’intorno del volume da trattare,
e` necessario utilizzare fasci di radiazione che presentino elevati gradienti di
dose. La taratura di tali fasci, impiegati nelle recenti tecniche radioterapiche
in quanto modulabili in termini di dimensioni, intensita` e/o energia, richiede
l’uso di rivelatori di piccole dimensioni e, quindi, dispositivi a stato solido che
permettano un’adeguata risoluzione dosimetrico-spaziale e presentino un’ele-
ix
vata risposta in termini di segnale per unita` di dose. Inoltre, il rivelatore
a stato solido ottimale dovrebbe avere un’alta resistenza al danno da radia-
zione, in modo che le sue caratteristiche dosimetriche rimangano invaria-
te anche dopo irraggiamenti di diversi kGy, il che consente il suo utilizzo
come dosimetro di riferimento(2) per particolari fasci utilizzati in radiote-
rapia, come fasci ultra collimati per la tecnica stereotassica e la dosimetria
di sorgenti brachiterapiche.
Attualmente molti laboratori stanno studiando la possibilita` di usare
nuovi materiali per realizzare dosimetri “on-line” con risposta in tempo reale.
Un candidato ideale, per la dosimetria di fasci radioterapici di alta energia
sia di fotoni che di elettroni (fino a 25 MeV ), e` il rivelatore a diamante,
date le sue piccole dimensioni e, quindi, l’alta risoluzione spaziale, l’eleva-
ta risposta per unita` di dose, la bassa corrente di buio, l’alta resistenza al
danneggiamento provocato dalla radiazione, la buona stabilita` alle variazioni
di temperatura e la buona risoluzione temporale. Inoltre, il diamante ha un
numero atomico, Z (uguale a 6), molto prossimo a quello dell’acqua (Z = 7.4)
e cio` comporta che i parametri fisici che descrivono la sua interazione con le
radiazioni ionizzanti varino in funzione dell’energia in modo molto simile a
quelli dell’acqua. Quindi, il diamante puo` essere considerato un materiale
2Un dosimetro si dice di riferimento quando viene tarato per confronto a partire da un
campione primario o secondario.
xquasi acqua equivalente.
Un rivelatore a diamante naturale (il modello 60003) e` prodotto gia` da al-
cuni anni dalla PTW (PTW-Freiburg Loerracher Strasse 7 D-79115 Freiburg)
ed e` stato utilizzato nella dosimetria di fasci di raggi x da bremsstrahlung, fa-
sci di elettroni e protoni da diversi autori (Vatnitsky (1993) [25], Hoban (1994)
[15], Piermattei (1998) [20]) che ne hanno verificato le ottime caratteristiche
di equivalenza all’acqua e di resistenza al danno delle radiazioni. Questo
tipo di rivelatore viene realizzato utilizzando diamanti estremamente puri
(la concentrazione delle impurezze, gli atomi d’azoto, e` < 10−19 cm−3) e,
quindi, molto rari in natura. Infatti, solo questi diamanti con poche im-
purezze possono essere utilizzati come dosimetri, poiche´ i difetti presenti nel
cristallo sono fondamentali per incrementare la linearita` del segnale in fun-
zione del rateo di dose; tuttavia, il numero di impurezze non deve eccedere,
in quanto si avrebbe una diminuzione del segnale del rivelatore per unita` di
dose assorbita ed un aumento della polarizzazione del cristallo. Per cui solo
alcuni diamanti sono adatti per essere utilizzati come rivelatori di radiazioni
nel campo della radioterapia. Quindi, i vantaggi dosimetrici dei rivelatori a
diamante naturale sono limitati dall’alto costo e dal lungo tempo necessario
per la selezione dei cristalli e della loro taratura. Per questo motivo e` nata
l’esigenza di realizzare rivelatori formati da cristalli di diamante sintetico.
I film di diamante sintetico possono essere realizzati a basso costo con
xi
tecniche di deposizione chimica di vapori (CVD). Questa tecnica utilizza una
miscela di idrogeno e metano, mantenuti a bassa pressione; successivamente,
tali gas, portati in particolari condizioni di pressione e temperatura, si dis-
sociano e creano cristalli di diamante su un substrato di silicio. La tecnica
CVD permette di realizzare film di diamante con spessori che variano dai
pochi micron alle centinaia di micron e di controllare, durante la loro cresci-
ta, la quantita` di impurezze e difetti presenti all’interno del reticolo cristallino
(Kania (1993) [17], Manfredotti (1997) [19], Behnke (1998) [2], Bruzzi (2000)
[3]). Questa possibilita` e` molto importante, perche´ le caratteristiche di con-
duzione e di raccolta dei portatori di carica, generati nel cristallo di diamante
dalle radiazioni ionizzanti (tali cariche costituiscono il segnale fornito dal ri-
velatore da correlare alla dose), sono fortemente influenzate dalla percentuale
di presenza e dalla tipologia dei difetti situati all’interno del reticolo. Per cui,
per realizzare un rivelatore di radiazioni ionizzanti ottimale, e` necessario cor-
relare le caratteristiche strutturali ed elettriche con quelle di tipo dosimetrico.
Nel 1998 si e` formato un primo gruppo di lavoro con l’obiettivo di effettuare
un’analisi completa sui cristalli di diamante CVD. La collaborazione di ricer-
ca ha impegnato fisici esperti in vari campi, come: la metrologia delle radia-
zioni ionizzanti (Istituto di Fisica dell’Universita` Cattolica Sacro Cuore di
Roma), la struttura della materia (CNR di Monterotondo Scalo) e la scienza
dei materiali (Dipartimento di Ingegneria dell’Universita` di Roma Tre).
xii
I primi studi condotti sui rivelatori a diamante CVD sono stati realiz-
zati nell’ambito di un progetto nazionale finanziato dal MURST (Ministero
dell’Universita` e della Ricerca Scientifica e Tecnologica) nel 1998. I risultati
incoraggianti hanno spinto i ricercatori interessati al progetto “Diamante in
radioterapia” a chiedere finanziamenti a livello europeo, coinvolgendo altri
ricercatori di diversi paesi europei (la Scanditronix ed il Karolinsca Institute
in Svezia, l’Eurorad in Francia e la Technion in Israele). Il progetto europeo,
approvato nel 2000 e tuttora in corso, ha consentito di approfondire lo stu-
dio su vari campioni di diamante sintetico per determinare, dai parametri
strutturali e dosimetrici, le condizioni migliori affinche´ essi possano essere
utilizzati come dosimetri acqua equivalenti.
Questo lavoro riporta alcuni risultati della caratterizzazione strutturale e
lo studio di caratterizzazione dosimetrica di due prototipi di rivelatori rea-
lizzati con film di diamante sintetico, cresciuti con tecnica CVD. I parametri
dosimetrici sono stati confrontati con quelli ottenuti con il rivelatore a dia-
mante naturale della PTW e con una camera a ionizzazione di riferimento.
Capitolo 1
Caratterizzazione strutturale
del diamante CVD
In questo capitolo sono descritte le procedure relative alla crescita ed alla
caratterizzazione strutturale dei diamanti sintetici realizzati con la tecnica
“Chemical Vapor Deposition” (CVD).
In particolare, la standardizzazione della tecnica di crescita del diamante
ha permesso di omogeneizzare le caratteristiche dei campioni realizzati.
Inoltre la microscopia elettronica a scansione (MES) ha fornito infor-
mazioni sulla morfologia e sull’omogeneita` di crescita dei campioni; la spet-
troscopia Raman ha consentito di valutare la presenza o meno di impurezze
grafitiche; la diffrazione a raggi x ha permesso lo studio delle caratteris-
tiche di crescita dei film di diamante sintetico; infine, l’analisi di fotocon-
ducibilita` spettrale e` stata utile per caratterizzare in termini energetici i
difetti all’interno del cristallo.
1.1 La struttura cristallina del diamante 2
1.1 La struttura cristallina del diamante
Il diamante e` composto da atomi di carbonio in disposizione tetraedrica
con una spaziatura uniforme di 1,54 A˚ tra i primi vicini. Ciascun atomo di
carbonio e` legato covalentemente (il legame e` di tipo s), mediante i quat-
tro orbitali ibridizzati sp3, ad altri quattro atomi di carbonio. Gli elettroni
sono tutti impegnati nei legami covalenti e, quindi, il diamante e` un isolante
elettrico; se contiene impurezze manifesta modeste proprieta` di semicondut-
tore. Infatti, il diamante ha un’eccezionale conducibilita` termica (circa 5
volte maggiore di quella del rame); l’energia termica non e` trasmessa princi-
palmente dagli elettroni, come nei metalli, ma, come in tutti i non metalli,
dalle vibrazioni delle particelle; la rigidita` del reticolo ed il basso peso del-
l’atomo di carbonio spiegano la sua elevata conducibilita` termica, utilizzata
in microelettronica. Per le stesse ragioni, anche il suono si trasmette nel
diamante con elevata velocita` (18000 m/s contro i 9000 nell’acciaio ed i 344
nell’aria). Inoltre, il diamante e` chimicamente inerte.
Il reticolo del diamante viene generalmente rappresentato con un cubo a
facce centrate (CFC) con due atomi nella cella primitiva (figura 1.1). Gra-
zie alla sua struttura cristallina il diamante presenta una densita` atomica a
pressione ambiente estremamente elevata pari a 1, 77 · 1023 cm−3. Gli stati
elettronici di valenza e quelli di conduzione sono separati da una differenza
1.1 La struttura cristallina del diamante 3
energetica minima di circa 5,5 eV. Tale differenza energetica rappresenta il
gap energetico tra la banda di conduzione e quella di valenza del cristallo.
STRUTTURA CFC DEL
DIAMANTE
Figura 1.1: A sinistra cella unitaria del reticolo di diamante a CFC. A destra
struttura cristallina tetraedrica del diamante e della grafite. Quest’ultima presenta
strutture planari ben evidenti.
La conoscenza sulla struttura del diamante, formato da soli atomi di
carbonio, ha indotto molti ricercatori a concepire l’idea di realizzare artifi-
cialmente diamanti. In condizioni di pressione e temperatura ambiente, la
grafite e` la forma allotropica(1) termodinamicamente stabile del carbonio.
Benche´ le entalpie standard del diamante e della grafite siano simili (dif-
feriscono di soli 2,9 kJ/mol), le due fasi sono separate da un’elevata energia
di attivazione e, quindi, a pressione e temperatura ambiente non avviene
nessuna trasformazione apprezzabile.
In figura 1.2 e` riportato il diagramma di fase del carbonio e sono indicate
1Si ha allotropia nel caso di un elemento chimico che si presenta in piu` forme, in un
qualsiasi stato di aggregazione, che differiscono nei legami fra gli atomi e/o nel numero di
atomi che costituiscono le unita` molecolari diverse.
1.1 La struttura cristallina del diamante 4
le regioni di temperatura e pressione utili per la crescita di diamante con le
tecniche HPHT (alta pressione ed alta temperatura) e CVD (deposizione di
vapore chimico).
Figura 1.2: Diagramma di fase del carbonio. Sono evidenziate le zone utilizzate
per la crescita di diamante sintetico mediante tecnica HPHT e CVD.
Per realizzare un diamante si potrebbe pensare di utilizzare le condizioni
in cui tale cristallo e` stabile termodinamicamente ed il diagramma di fase del
carbonio suggerisce che le regioni ottimali sono quelle di alta pressione ed
alta temperatura. Quest’idea e` alla base della cosiddetta tecnica di crescita
HPHT, che e` stata usata per diversi decenni per produrre cristalli di dia-
mante. In tale processo, la grafite viene compressa con decine di centinaia
di atmosfere e riscaldata a piu` di 2000 K e lasciata in queste condizioni fino
1.1 La struttura cristallina del diamante 5
alla cristallizzazione del diamante.
Ma la tecnica HPHT richiede costi di energia e di attrezzatura abbas-
tanza elevati, quindi, con gli anni, si e` pensato di ideare un nuovo metodo
per la realizzazione di diamante sintetico. Questa nuova tecnica, nota come
Deposizione di Vapore Chimico (CVD), ha il vantaggio di sfruttare la regione
del diagramma di fase del carbonio in cui la grafite e` nella sua forma stabile
e, quindi, la crescita del diamante richiede bassi costi.
La difficolta` principale che si incontra nella crescita di campioni di dia-
mante sintetico e` la tendenza del carbonio a cristallizzare in forma grafi-
tica non solo in condizioni ordinarie di pressione e temperatura, ma anche,
sebbene in percentuale molto inferiore, nelle condizioni sperimentali adot-
tate per la crescita di tali campioni. Nella fase grafitica gli atomi di carbonio
presentano un’ibridizzazione sp2, che porta alla formazione di tre legami di
tipo s ed uno di tipo p. La struttura reticolare che ne deriva e` composta
da piani paralleli nei quali gli atomi di carbonio sono disposti esagonalmente
(hcp). La distanza tra i primi vicini dello stesso piano e` di 1,415 A˚, mentre
la distanza interplanare e` di 3,354 A˚. Quindi, nel processo di deposizione e`
necessario ridurre al minimo la formazione di carbonio grafitico, favorendo
la crescita dei cristalli di diamante.
1.2 Realizzazione dei film di diamante sintetico 6
1.2 Realizzazione dei film di diamante sin-
tetico
I film di diamante sintetico utilizzati in questo lavoro sono stati realizzati
presso i Laboratori dell’Istituto dello Stato Solido del Dipartimento di Fisica
di Haifa in Israele, mediante un reattore a microonde Astex 1 che consente
la deposizione di vapore chimico (CVD) su substrati di silicio di tipo p.
In figura 1.3 e` mostrato il reattore utilizzato per la formazione dei campio-
ni di diamante sintetico ed in figura 1.4 lo schema del sistema di deposizione.
Figura 1.3: Reattore ASTEX utilizzato per la crescita di diamanti CVD.