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Capitolo I
Il principio della par condicio nelle sue coordinate
essenziali
Nel nostro ordinamento, il principio della par condicio è enunciato
dall’art. 2741 c.c., primo comma: “I creditori hanno eguale diritto di
essere soddisfatti sui beni del debitore, salvo le cause legittime di
prelazione”. La regola discende dal c.p.c. del 1865, che, all’art. 1949,
recitava: “ I beni del debitore sono la garanzia comune dei creditori e
questi vi hanno tutti eguale diritto”. A sua volta, questa non è altro che la
traduzione dell’art. 2093 del Code Napoleon: “Les biens du débiteur
sont le gage commun de ses créanciers ; et le prix s'en distribue entre
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eux par contribution, à moins qu'il n'y ait entre les créanciers des causes
légitimes de préférence.”
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Ed è proprio nel processo esecutivo francese (del droit coutumier) che
possiamo rintracciare le radici storiche del principio: secondo il diritto
comune, il primo saississant era titolare di un diritto di prelazione ed in
generale il trattamento dei creditori mutava in base alla priorità delle
iniziative processuali, tuttavia, vigeva un’importante eccezione in caso di
déconfiture del debitore: la mancanza di altri beni nel patrimonio del
debitore faceva venir meno ogni prelazione, non solo processuale, e tutti
i creditori erano ammessi a partecipare alla procedura in una posizione
d’uguaglianza.
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Tale situazione rimase pressoché inalterata fino alla vigilia della
codificazione che, in un mutato contesto socio-politico, rovesciò il
rapporto tra regola ed eccezione e generalizzò la tendenziale parità di
trattamento tra i creditori del comune debitore.
Questa esperienza storica offre spunto per alcune riflessioni:
innanzitutto, essa dimostra come, in una stessa vicenda processuale,
possano convivere due opposti criteri di regolamento del concorso dei
1
Jaeger P.G., “Par condicio creditorum”, in Giur. Comm., 1/1984, pp. 88 ss.
2
Colesanti V., “Mito e realtà della par condicio”, in Il Fall., 1/1984, pp. 45 ss.
6
creditori, uno ispirato al prior tempore potior in iure, l’altro alla par
condicio creditorum. Quest’ultima, quindi, non si può considerare
“innata” al concorso tra creditori, ma, più correttamente, “un principio
direttivo, variamente applicato nelle singole disposizioni di legge, alle
quali, e non al non meglio identificato principio, deve farsi capo”
3
.
Altro elemento significativo: il trattamento paritario dei creditori è
collegato allo stato di insolvenza del debitore, dunque, almeno alle
origini, la ratio giustificativa della par condicio risiede nell’incapienza
patrimoniale del debitore ed è collegata all’idea della ripartizione
proporzionale delle perdite. Col successivo dilatarsi del suo ambito
applicativo, però, la par condicio creditorum viene ad atteggiarsi a
regola di attuazione di ogni forma di concorso, a prescindere sia dalla
“qualità” sia dalla situazione patrimoniale del debitore. Essa perde
quindi l’originario collegamento con la déconfiture del debitore e inizia
ad assumere il ruolo di “modulo tecnico della partecipazione di una
pluralità di creditori in ogni forma di realizzazione della responsabilità
patrimoniale”
4
.
Ma qual è, dunque, la “portata reale” della par condicio creditorum?
3
Così Andrioli V., Fallimento, Enc. Dir., XVI, p.398.
4
Cfr. Colesanti V., “Mito e realtà della par condicio”, op. cit., p.46.
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In merito le opinioni della dottrina sono numerose ed eterogenee: c’è chi
ritiene che il principio esaurisca “la sua portata reale nel disattendere il
criterio della priorità cronologica del sorgere del credito, quale possibile
misura della posizione reciproca dei creditori rispetto alla loro comune
aspettativa di soddisfarsi sul patrimonio del debitore”, ma non è in grado
di spingersi fino a riconoscere in capo a tutti i creditori il diritto ad essere
soddisfatti sui beni del debitore “in modo effettivamente paritario”
5
; chi,
criticandone la “mitizzazione”, lo definisce “un modulo tecnico di
possibile attuazione del concorso, utilizzato in ogni caso di pluralità di
creditori”
6
; chi, ancora, sulla stessa lunghezza d’onda, afferma che non si
tratta di “un principio assoluto, ispirato a interessi superiori, di carattere
economico, sociale o ideologico”, ma che, piuttosto, “risponde a criteri
di ‘ordine’ nelle procedure concorsuali, che passano in secondo piano di
fronte al riconoscimento di interessi prevalenti meritevoli di tutela”
7
.
5
Roppo E., “‘Par condicio creditorum’. Sulla posizione e sul ruolo del principio di cui
all’art. 2741 c.c.”, in Riv. dir. comm. e dir. gen. obblig., 1981, pp. 305 ss; ID. in Tratt. di dir.
privato, diretto da Rescigno, XIX, Torino, 1985, Tutela dei diritti, nonchè La responsabilità
patrimoniale del debitore, p. 530. La lettura del principio proposta dall’A. è piuttosto
limitatrice, egli, infatti, puntualizza come suo “effetto fondamentale è fare sì che la pretesa
esecutiva di un creditore non possa essere bloccata solo perché sui medesimi beni cui essa si
dirige devono ancora soddisfarsi crediti sorti prima del diritto fatto valere”.
6
Colesanti V., op. ult. cit., p. 41.
7
Jaeger P.G., op. ult. cit., p. 104. L’autore conclude osservando che la par condicio
creditorum “come tale, ha effettivamente un valore ‘residuale’ il che non toglie che le si
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Altri autori, invece, la definiscono come un vero e proprio “principio
generale dell’ordinamento”
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o addirittura un principio superiore
pregiuridico o di “diritto naturale”.
In questo intricato labirinto di autorevoli opinioni, sembra opportuno
ritornare al terreno del diritto positivo e, quindi, all’analisi dell’art. 2741
c.c.
La norma proclama l’”eguale diritto” dei creditori di essere soddisfatti
sui beni del debitore, ma, allo stesso tempo, specifica che ci sono
creditori “più eguali” di altri, in quanto assistiti dalle cause legittime di
prelazione
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, le quali, al secondo comma, sono esemplificate in privilegi,
pegno ed ipoteche.
Una corretta interpretazione della norma non può prescindere dal
precedente art. 2740 c.c. ai sensi del quale:” Il debitore risponde
dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e
futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei
casi stabiliti dalla legge.”
possa riconoscere un’impronta di generalità, dopo che sia chiarito l’ambito e la portata delle
ipotesi ‘eccezionali’, nelle quali non trova applicazione”.
8
“La par condicio creditorum corrisponde ad un’intuitiva esigenza di parità di trattamento e
ha la forza di un principio generale” (Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. di dir. priv., a cura di
Iudica e Zatti, Milano, 1991, p. 61).
9
Colesanti V., op. ult. cit., p.36.
9
Affermare l’universalità della garanzia patrimoniale, che ha per oggetto
l’intero patrimonio del debitore, significa anche estendere questa
garanzia nei confronti di tutti i creditori, in quanto i beni del debitore non
garantiscono l’adempimento di un’unica obbligazione, ma di tutte quelle
assunte da una stessa persona nei confronti di chiunque altro. Questa
proiezione della responsabilità patrimoniale a tutela di ogni creditore fa
sì che essa sia, per sua stessa natura, concorsuale, valga cioè per tutti i
creditori, come sancito espressamente dall’art. 2741 c.c..
La concorsualità è quindi conseguenza necessaria del fatto che la
garanzia patrimoniale si estende a tutte le obbligazioni che esistono tra
un singolo debitore e i suoi creditori, che hanno diritto ad essere garantiti
dal suo patrimonio.
Dunque gli artt. 2740 e 2741 c.c. vanno letti unitariamente come se
dicessero “il debitore risponde nei confronti di tutti i suoi creditori,
secondo le regole di diritto sostanziale, dell’adempimento delle
obbligazioni, con tutti i suoi beni presenti e futuri”.
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Tuttavia, affermare la natura concorsuale della responsabilità
patrimoniale non significa dire anche che tale concorso debba
10
Luiso F. P. , Diritto processuale civile, III, Il processo esecutivo, 5
a
ed., Giuffrè, Milano,
2009, p. 121.
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necessariamente attuarsi su base paritaria: “non è che il concorso sia, per
così dire, una sorta di ‘derivato’ o di consequenziale dell’’eguale diritto’,
ma, al contrario, è quest’ultimo che rappresenta la regola tendenziale (e
solo tendenziale) dell’attuazione del concorso, che infatti vi può
tranquillamente derogare.”
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Nel nostro ordinamento, l’attuazione del concorso dei creditori assume
diversi connotati a seconda che si tratti di espropriazione “generale” o
“singolare”.
L’espropriazione forzata a carico del debitore inadempiente ha carattere
“generale” quando colpisce simultaneamente tutti i beni che si trovano
nel suo patrimonio, il che accade, a norma dell’art. 5 R.D. 16 marzo
1942, 267, quando il debitore, in qualità di imprenditore commerciale, si
trovi in uno stato d’insolvenza e venga, di conseguenza, dichiarato
fallito.
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La struttura del processo di espropriazione fallimentare è molto diversa
da quella del processo di espropriazione “singolare” disciplinato dal
11
Colesanti V., op. ult. cit., p.36, l’autore continua spiegando che “poiché il patrimonio del
debitore ‘risponde’ per tutte le obbligazioni di lui, ognuno dei creditori ha diritto di
avvalersene per cercare la propria soddisfazione, così venendo a dar vita al concorso; e che
questo poi si attui (o non) su base paritaria è un passo ulteriore, che attiene alla disciplina
concreta del concorso e della possibile soddisfazione, senza avere in sé nulla di ineluttabile”.
12
Garbagnati E., Il concorso di creditori nel processo di espropriazione, Milano, 1983, p.
17.
11
c.p.c., in particolare, a norma degli art. 51 e 52 del R.D. cit., l’apertura
del processo di fallimento esclude l’ulteriore esercizio di azioni esecutive
individuali sopra i beni oggetto dell’espropriazione fallimentare, ed ha
per effetto “il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito”. Il
processo di espropriazione fallimentare ha, quindi, “essenzialmente
natura concorsuale”
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perché vi partecipa necessariamente una pluralità
di creditori del fallito, i quali esercitano la propria azione esecutiva
indirizzata all’attuazione dell’espropriazione satisfattiva, con la quale,
rispettate le ragioni di prelazione, il ricavo verrà assegnato a ciascun
creditore concorrente in misura proporzionale all’entità del suo credito
insoddisfatto.
Nell’espropriazione “singolare” (cioè di singoli beni dell’obbligato
inadempiente), invece, la partecipazione ad un medesimo processo di
una pluralità di creditori insoddisfatti ha un carattere puramente
eventuale ed il concorso dei creditori trova una diversa regolazione.
Un concorso di creditori si può attuare sin dall’inizio del processo con
gli istituti del pignoramento cumulativo o dei pignoramenti
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Garbagnati E., Il concorso dei creditori, in Enc. Dir., VIII, Milano,1961, p. 533.