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1.1 Waterfront e trasformazioni possibili
I territori costieri delle città europee costituiscono da sempre un continuo
avvicendarsi di paesaggi storico-culturali, nei quali si susseguono centri urbani di
diverse dimensioni, porti commerciali e turistici e insediamenti balneari. Grazie,
dunque, ai traffici marittimi e al turismo balneare le coste sono tra i luoghi più
insediati ed urbanizzati. Presentano molti caratteri comuni, dovuti ad una simile
evoluzione ambientale, storica, commerciale ed urbana; pertanto, anche i problemi
tendono ad assomigliarsi e a riproporsi similmente in diverse città costiere e in
diversi litorali. L’agguerrita competizione internazionale tra le città, assieme alla
disponibilità di aree che hanno perso la loro funzione originaria e che si prestano
ad una riconversione, sono poi solo alcune delle motivazioni che hanno indotto
molte città e località costiere a misurarsi con la progettazione e la
rifunzionalizzazione dei propri waterfront. Questi, in quanto parti integranti del
tessuto urbano esistente, divengono sempre più frequentemente gli interlocutori
privilegiati degli interventi di trasformazione delle città, innescando quei processi
che li hanno resi motori di sviluppo per l’intero contesto territoriale. I flussi di
persone e veicoli, che si riversano nelle città costiere e balneari e sulle loro spiagge,
hanno generato l’esigenza diffusa di ripensare il fronte mare insieme alla
riorganizzazione della mobilità e degli accessi agli arenili. Entrando nel merito
degli interventi di recente realizzati nelle aree urbane e metropolitane di diverse
“città d’acqua”, il recupero dei waterfront è stato indiscutibilmente affidato alla sua
valorizzazione come spazio aperto e a forte vocazione pubblica; spazio accessibile a
diversi mezzi di trasporto pubblico; spazio sicuro; spazio verde, rinaturalizzato,
attrezzato per il tempo libero e dotato di strutture sportive; spazio di sosta e
passeggio per godere della vista sul paesaggio; spazio progettato per essere fruito
dall’uomo e in cui l’accesso all’automobile è ridotto o organizzato attraverso
parcheggi. Contemporaneamente, quindi, si trasformano architettonicamente i
vuoti urbani e si favorisce lo sviluppo economico e culturale della città creando
nuove e favorevoli occasioni: nuove attività produttive con nuovi orientamenti al
consumo e nuovi e v en t i cu l tu r al i ch e r en d on o l e c i t t à p o l i a t t r a t t o ri d i n u ov i
interessi. Partendo da queste generali considerazioni è stato altresì possibile
intercettare ricorrenti e diffuse linee d’azione utilizzate per rigenerare il paesaggio
delle aree costiere. Gli interventi basano la loro efficacia principalmente su due
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nodali questioni. Prima delle quali è l’arricchimento della complessità percettiva e
fruitiva, ampliando la gamma delle esperienze e delle relazioni possibili, fisiche e
sociali, esaltando quelle specificità che conferiscono ad ogni luogo il suo carattere di
unicità. La seconda è infine rappresentata dalla capacità d’interpretare
l’interazione tra funzioni, spazi e habitat apparentemente inconciliabili; il progetto
delle aree costiere risulta infatti in molti casi un progetto di mediazione, per cui
occorre assumere il paesaggio come il risultato di situazioni ibride in cui
contemporaneamente convivono elementi naturali ed artificiali. La rigenerazione
dei waterfront urbani così condotta ha, in definitiva, cambiato l’economia e
l’immagine di quelle città che sono state capaci di vivere “l’acqua” come risorsa, ha
infatti trasformato i luoghi, risanato le aree portuali degradate, attratto flussi,
incentivato nuovi dinamismi progettuali, ha proiettato insomma le città stesse
sull’acqua.
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1.2 Il metodo e l’importanza di evitare politiche urbane
acriticamente importate
Nella fase iniziale di studio, l’indagine sulle best practices (letteralmente: “buoni
esempi”) basata su esperienze di altre città appare utile al fine di mettere a
confronto metodologie ed esiti di esperienze prodotte da altri comuni italiani, al
fine di ridurre i rischi del progetto appellandosi a un precedente riuscito. Oggi il
confronto e la valutazione d’esperienze, metodologie e sistemi sviluppati dalle
singole città ha assunto importanza fondamentale per l’attuazione d’un valido
strumento di pianificazione. Dalle diverse esperienze si traggono esempi, spunti e
riflessioni su temi che, pur nella contingenza dei diversi contesti, determinano
pratiche di azioni su problemi simili. Dalla loro analisi si desumono ragioni di
successo o motivi d’inefficienza. Con tali presupposti si è deciso di analizzare
alcune esperienze di sviluppo e di crescita locale e territoriale in Italia. Il confronto
con altre esperienze è utile sia nella fase iniziale, in quanto fornisce anticipazioni
ed esempi di possibili effetti prodotti da scelte simili, sia durante l’elaborazione e
l’attuazione dei progetti, perché permette di avere parametri di riferimento sulla
qualità degli obiettivi prefissati. Le informazioni così raccolte costituiranno la base
per l’elaborazione del progetto e, senza la pretesa di esaustività sull’argomento, ne
delineeranno l’approccio metodologico. Il criterio che ha guidato la selezione del
caso è stato quello dell’analogia: per obiettivi, contenuti e rilevanza dimensionale
con il contesto urbano, sociale ed economico dell’area palermitana; per
configurazione dello spazio fisico, problematiche ambientali, vincoli derivanti da
infrastrutture di trasporto, obiettivi di riconfigurazione del ruolo della città,
risorse, peculiarità, etc. La similitudine riguarda quindi non solo le condizioni di
partenza o le cause che le possono aver prodotte, ma suggerisce di conseguenza
un’affinità di soluzione. Attenzione particolare sarà dedicata ad evidenziare i
processi decisionali ed attuativi, i contesti partenariali e le forme organizzative,
nonché gli effetti realmente conseguiti sul contesto urbano e territoriale. La
consapevolezza di dover infine intervenire su parti complesse e consolidate di città
richiede un approccio critico, capace di produrre un intervento di riqualificazione
che non si configuri come un insieme di azioni estranee al contesto, esito di ricette
precostituite; occorre quindi una lettura accurata dei caratteri endogeni. La
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proposta di politiche acriticamente importate da altre esperienze corre infatti il
rischio di provocare la perdita delle risorse ancora rinvenibili (anche se a volte non
pienamente riconosciute). Si tratta di risorse che il progetto è chiamato ad
assumere come proprio riferimento strutturante. L’approccio progettuale dovrà per
cui essere il più possibile rispettoso dei caratteri spaziali e sociali del luogo, dovrà
farsi occasione per re-interpretare i locali assetti spaziali. Per riuscire a tradurre
questo spettro di risorse in valori, il progetto dovrà interpretare i caratteri
strutturanti e qualificanti, selezionando indizi e tracce, dovrà estrarre regole e
indirizzi, a partire dai quali generare il futuro “nuovo tessuto”.
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1.3 Perché Pescara
Città di recente formazione, nasce nel 1927 dall’unione del comune di
Castellammare Adriatico col borgo di Pescara. Situata sulla costa adriatica, alla
foce dell’omonimo fiume, se ne può parlare come di una città lineare, caratterizzata
da una crescita disorganica e da una potente infrastrutturazione. Pur nella sua
modesta dimensione, il comune conta infatti circa 125.000 abitanti, Pescara ha i
caratteri di quella che potrebbe definirsi una “metropoli piccola”: una conurbazione
adriatica costiera ed un espansione lungo la Valle del Pescara, un fascio di strade
di grande importanza tra cui la dorsale Adriatica (direttrice Bari-Bologna) e la Val
Pescara (direttrice Pescara-Roma), nonché la presenza, accanto al settore
commerciale, di un elevata offerta di servizi di rango superiore (sanità, istruzione,
cultura, sport), ne fanno una città cui corrisponde una buona qualità della vita. La
città è di fatto un’area metropolitana più vasta (circa 300.000 abitanti), che si
estende a sud fino ad Ortona e a nord fino al teramano, all’interno della quale
alcune specializzazioni si sono spontaneamente affermate. Pescara città riassume
la totalità di queste componenti: la residenza, densa e regolarizzata, dalla maglia
ortogonale nelle aree centrali tra la ferrovia e la costa, si dirada invece sui rilievi
collinari; l’industria, presente in ambito urbano con le sue aree dimesse, ma ben
radicata lungo l’asse attrezzato in direzione Chieti; g li a lb ergh i su l lung om a re
nord; l’Adriatica, divenuta nel suo tratto urbano una sequenza d’attività
commerciali e di servizio; la città balneare, da sempre componente importante,
diffusa e identificativa, ed infine l’antico borgo, sulla riva sud del fiume, all’interno
della fortezza borbonica, oggi completamente svuotato delle tradizionali funzioni,
sede di attività produttive, commerciali e luogo per il tempo libero. La città lineare
di costa, originariamente costituita in prevalenza da case per la villeggiatura, viene
così contaminata da una “geminazione valliva”, inglobando i poli industriali extra-
urbani e le relative arterie di connessione, divenute non a caso i principali vettori
(fuori scala) della mobilità metropolitana. Questo sistema così variegato, questo
disordine urbanistico, questa sorta di isotropia, di capacità d’espandersi in ogni
direzione, non sono certo casuali, fanno parte oggi dell’identità di Pescara, sono
legati alla storia stessa di questa città recente, alla sua mancanza di fondazione e
tradizione. La città appare uniforme, orizzontale, senza un centro: la sua
orizzontalità sta nella mancanza di una struttura gerarchica di polarità
riconoscibili. Le sue parti, nonostante le grandi infrastrutture, sono disconnesse,
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separate, l’attraversamento urbano è difficoltoso; esiste un evidente scollamento
tra la rete delle infrastrutture e la rete insediativa. Alla forza della grande rete
stradale corrisponde la debolezza della trama viaria urbana. Nonostante ciò
Pescara è indubbiamente migliorata, cresciuta, e la sua fortuna deriva da alcune
convergenze positive quali: la realizzazione negli anni ’70 e ’80 d’infrastrutture
autostradali trasversali che hanno rotto l’isolamento dell’Abruzzo, connettendo la
costa adriatica a quella tirrenica; il suo essere al centro del corridoio adriatico, una
delle dorsali portanti dell’area transfrontaliera tra Italia e penisola balcanica; uno
sviluppo sostenuto dei settori del commercio, del turismo e dei servizi. Questo
insieme di fattori non è però stato orientato in un disegno strategico, la città non
ha dato forma alle sue vocazioni, non ha espresso un progetto di sviluppo
consapevole, è risultata incapace di promuovere un salto di qualità, passando
dall’essere “piccola metropoli” all’affermazione come “metropoli effettiva” di una
regione adriatica proiettata all’Europa. Il tentativo di reazione, di dar forza alle
diverse identità urbane, di inserirle in una strategia di sviluppo all’interno di un
progetto capace di dar forma e struttura a questa fuggevole e dispersa città, è
cominciato a metà degli anni ’90 attraverso l’ausilio di nuovi strumenti catalogati
sotto la definizione di “programmi complessi”. Questi ultimi nascono con l’obiettivo
di rimediare alla rigidità del piano tradizionale e testimoniano l’attuale
orientamento verso una versione flessibile e negoziale delle politiche territoriali e
urbanistiche.
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1.4 Vocazioni, opportunità e scenari futuri
Una duplice motivazione ha sostanzialmente orientato il processo di rigenerazione
urbana della città di Pescara. Da una parte l’esigenza di dar forza alle centralità,
tradizionali e nuove, attualmente non emerse, latenti, appartenenti sia alla città
storica (Piazza Salotto), che alla città consolidata, o disperse lungo la rete
infrastrutturale (stazione, porto). L’obiettivo è quello di fornire una nuova
interpretazione, di attribuire un nuovo ruolo a questi luoghi; centralità dunque
come nodi d’una rete, tra loro interconnessi mediante tracciati che rendono la città
permeabile, non articolata in una visione totalizzante, bensì in un mosaico di
paesaggi ed identità locali. Altra questione è rappresentata dalla necessità di dar
nuovi impulsi, conferire nuovi significati, ad un’estesa area urbana interessata dal
degrado, legato alla presenza del t r a c c i a t o f e r r o v i a r i o . A P e s c a r a l a l i n e a
ferroviaria ha sempre giocato un ruolo molto importante e complesso sulle vicende
urbanistiche della città: vincolandone lo sviluppo, attestandosi come limite alla
congiunzione tra la periferia ed il centro urbano, o ancora generando lo
sventramento della fortezza borbonica a sud, conferendo così all’antico borgo il
carattere di polo produttivo e commerciale, data la presenza dello scalo merci di
Porta Nuova. Il tentativo è quindi quello di render l’asse ferroviario più
permeabile, riducendo il suo carattere di forte cesura e articolando attorno ad esso
interventi significativi. La totalità dei progetti del processo di trasformazione in
atto tendono in sintesi a strutturare relazioni e flussi tra periferia e centro, tra
terraferma e mare.
Gli ambiti di trasformazione
La periferia
• Polo direzionale De Cecco
Ben oltre la linea ferroviaria e più vicino ai monti che al mare, la famiglia De Cecco
ha deciso di insediare la futura sede della Fater spa. Per la progettazione del polo
direzionale è stato incaricato l’architetto Massimiliano Fuksas, autore di un doppio