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Introduzione
Il Novecento letterario italiano si presenta come un secolo di
grandi innovazioni e stravolgimenti stilistici e tematici, un momento
di amore e odio con la grande e prolifica tradizione letteraria
nazionale.
Tra i protagonisti degli avanguardisti spicca senza dubbio la
figura di Aldo Palazzeschi, citato allo stesso tempo tra i principali
autori crepuscolari e futuristi. La sua fu una personalità sui generis,
eccentrica, allegra, difficile da inquadrare secondo i parametri
ordinari. All‟analisi generale della sua vita, del suo stile e delle sue
opere è dedicato il primo capitolo, con un rapido excursus sul
Futurismo, il movimento al quale l‟autore fiorentino maggiormente si
avvicinò, e dal quale si lasciò effettivamente affascinare, nelle fasi
iniziali della sua carriera poetica.
All‟interno della vasta produzione letteraria dell‟autore,
soffermeremo la nostra attenzione su di un‟opera troppo spesso
passata inosservata agli occhi del pubblico, della critica e di molti
manuali scolastici di letteratura: Bestie del 900.
4
All‟analisi della raccolta di novelle, datata 1951, è dedicato il
terzo capitolo, volto ad accertare lo stravolgimento palazzeschiano dei
valori abitualmente, allegoricamente, attribuiti agli animali nei bestiari
che attraversano la storia della letteratura italiana. Attraverso di essi,
Palazzeschi prende di mira ironicamente la società contemporanea, ne
sottolinea le storture a livello sociale, ne irride i valori divertendosi,
come suo solito, a capovolgerli.
Preliminarmente all‟analisi dell‟opera, nel secondo capitolo si
affronterà lo sviluppo e la fortuna della novella tra i secoli XIX e XX
attraverso le produzioni di Verga, Svevo e Pirandello, per poi
identificare il ruolo delle bestie nella letteratura italiana partendo dalle
favole di Esopo per giungere ai versi di Umberto Saba.
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Capitolo 1
Aldo Palazzeschi
Aldo Palazzeschi in una fotografia di Mario Nunes Vais (1913)
6
Scrivere scrivere scrivere…
perché scrive lo scrittore?
…
Per seguire una carriera come un‟altra
o per amore di qualche cosa?
…
Scrive con la speranza
di trovare una mano sconosciuta
da poter stringere
nell‟oscurità.
(Aldo Palazzeschi, Via delle cento stelle)
7
Aldo Palazzeschi è un esempio emblematico dell‟intellettuale che
cerca la sua identità e il suo ruolo all‟interno della società in cui è nato
e in cui vive, difatti:
Se il Crepuscolarismo corrode e svuota dall‟interno i significati e le
forme della letteratura tradizionale, i futuristi le aggrediscono
dall‟esterno, frontalmente, fino a disintegrarle, distruggendo i
fondamenti su cui si poggiavano (pur risultando completamente
diverse fra di loro, le due tendenze esprimono una comune esigenza di
rifiuto e di rinnovamento).
1
Quindi, proprio attraverso questa comune esigenza di rifiuto e di
rinnovamento, Palazzeschi entra nel mondo della poetica come
crepuscolare, per poi trovare l‟impeto e lo slancio futurista, per
allontanarsi, infine, anche da questo movimento. La continua
evoluzione artistica del poeta, la sua costante ricerca della propria
identità nella società di massa, pur rifiutando sempre le
identificazioni, lo rende un soggetto estremamente interessante ai fini
di un‟indagine sul rapporto tra intellettuale e società.
1
G. Baldi, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Varese, Mondadori, 2003, p. 8.
8
1.1. Vita e opere
Aldo Giurlani nasce a Firenze il 2 febbraio del 1885 da famiglia
borghese. Frequenta la scuola commerciale di Cà Foscari a Venezia
perché il padre, agiato commerciante di stoffe, voleva fare di lui,
unico figlio, un abile uomo d‟affari. Nel 1902 è iscritto ad una scuola
di recitazione (dove compie anche una breve esperienza d‟attore).
Affermerà nel 1955, in un‟intervista rilasciata a Mario Picchi
2
: «Il
teatro fu la mia scuola e tutto quello che ho imparato è dal teatro che
l‟ho imparato». Tuttavia, non l‟insuccesso, ma un‟intima
insoddisfazione personale lo convinse a desistere immediatamente da
quella carriera: la vera vocazione di Palazzeschi (Aldo scelse di
adottare il cognome della nonna materna a vent‟anni, agli inizi della
sua carriera poetica) era la poesia.
2
Mario Picchi (Pavia, 1930 – Roma, 29 maggio 2010) è stato un presbitero italiano, fondatore
del Centro italiano di solidarietà (Ceis), noto per la sua attività contro la droga. Ordinato sacerdote
nel 1957, dopo aver prestato la sua opera in Piemonte nel 1967 viene inviato a Roma con l'incarico
di cappellano del lavoro, presso la Pontificia Opera di Assistenza. Nei primi anni '70 dà vita alla
Ceis. A partire dagli anni settanta dirige la propria attenzione verso il problema
della tossicodipendenza e della lotta alla droga. Ispirate al "Progetto Uomo" nascono diverse
esperienze sia a Roma sia in diversi paesi. È considerato alla stregua di altri importanti attivisti
impegnati sul campo contro la droga, dagli anni '70 ad oggi tra i quali: don Pierino Gelmini,
don Luigi Ciotti, Vincenzo Muccioli, don Oreste Benzi e Vittorino Andreoli. Nel 1981, si fa
promotore e sarà poi presidente fino al 1994 della Federazione delle Comunità Terapeutiche
(FICT), come luogo dove avviare una forte condivisione delle esperienze, mettendo al centro
l'uomo, merito suo se dopo trent'anni dalla sua nascita la federazione riunisce 50 centri in tutta
Italia, impegnati tutti i giorni nella lotta all'esclusione, fornendo circa 600 servizi.
9
Ero stanco di provocare scandali nel chiuso cerchio della famiglia e,
soprattutto, di dovermi vergognare della parte migliore di me.
Riscattandomi dalle scienze commerciali, dalla ragioneria e
dall‟economia politica, il teatro mi aveva messo sulla strada buona,
quella della poesia, e buona due volte perché di mia esclusiva
proprietà.
3
Esordisce come poeta nel 1905 con la raccolta I cavalli bianchi
cui seguono Lanterna (1907) e Poemi (1908). Al 1908 risale pure la
prima opera narrativa, il romanzo Riflessi, poi intitolato Allegoria di
Novembre.
Nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti lo invita ad aderire al
movimento futurista: escono così, per le Edizioni futuriste di
«Poesia», la raccolta L‟incendiario (1910) e il romanzo Il codice di
Perelà (1911), poi intitolato Perelà uomo di fumo. Tra il 1912 e il
1914 scrive anche le prose di La piramide (pubblicate nel 1926). Nel
1914 sulla rivista «Lacerba», con cui collaborava, pubblica il
manifesto futurista Il controdolore¸ e nello stesso anno, tuttavia,
prende dichiaratamente le distanze dal movimento, del quale rifiuta il
militarismo interventista. Riguardo il rapporto del poeta fiorentino con
i futuristi, così si esprime Memmo
4
:
3
Cfr. G. Spagnoletti, Palazzeschi, Milano, Longanesi, 1971, p. 64.
4
F.P. Memmo, Invito alla lettura di Palazzeschi, Milano, Mursia, 1976, pp. 25-26.
10
Insomma, nonostante l‟affermazione – contenuta nella medesima
«Premessa»
5
- che «i cinque anni nei quali feci parte del movimento
futurista furono quelli della mia vita nei quali conobbi la giovinezza»
6
,
e nonostante pure la sua diretta partecipazione ad alcune turbolente
serate organizzate da Marinetti (a Trieste, a Napoli, a Torino, a
Modena; a Parma il recital fu proibito dalla prefettura)
7
– senza
parlare del ruolo che egli ebbe nella riconciliazione fra i marinettiani e
il gruppo fiorentino di Papini, Prezzolini e Soffici, venuti a diverbio (e
alle mani) a causa di un articolo di Soffici pubblicato su «La Voce»
8
-,
l‟adesione di Palazzeschi al futurismo fu episodio contingente e
vissuto senza molta convinzione.
In comune, fra lui e Marinetti, c‟era soltanto il punto di partenza: la
violenta volontà di abbattere gli idoli letterari romantico-ottocenteschi
e, con essi, l‟ideologia e le istituzioni borghesi. «Egli – scriveva
Marinetti a proposito dell‟Incendiario – entra in tutte le zone di
tristezza umana: cimiteri, ospedali, conventi, viuzze di città morte, ma
dopo aver congedato con una risata ironica tutti i sacri custodi di
questi luoghi: Lamartine, Leopardi, Baudelaire, Verlaine, Rodenbach
e Maeterlinck […]. L‟ingegno di Palazzeschi ha per fondo una feroce
ironia demolitrice che abbatte tutti i motivi sacri del romanticismo:
Amore, Morte, Culto della donna ideale, Misticismo, ecc.»
9
.
5
A. Palazzeschi, «Premessa» a Opere giovanili, Milano, Mondadori, 1958, pp. 3-4.
6
Ivi, p. 4.
7
«È certamente dimenticato, se non addirittura ignoto, che la sera del 2 giugno 1913 al teatro
Storchi di Modena Luigi Russolo fece agire uno strumento creato da lui e col quale ebbe inizio una
nuova arte: la musica dei rumori, mentre la polizia, per riuscire a sgombrare il teatro, dovette
impegnare al completo la propria forza. Ma i pionieri, animati da spirito di sacrificio, conoscono
dall‟inizio la sorte che loro tocca; sanno che verranno raccolti da altri i frutti della loro conquista»
(A. Palazzeschi, prefazione a Cuor mio, Milano, Mondadori, 1968, p. 22).
8
Cfr. A. Soffici, Arte libera e pittura futurista, in «La Voce», 22 giugno 1911.
9
F.T. Marinetti, Il poeta futurista Aldo Palazzeschi. Il testo, pubblicato sotto forma di volantino
nel 1913, è stato scoperto da Luciano De Maria e ripubblicato in Teoria e invenzione futurista,
Milano, Mondadori, 1968 (poi anche in Per conoscere Marinetti e il futurismo, ivi, 1973): si tratta
di un documento di eccezionale valore storico-critico.
11
Esprime il proprio disaccordo con la guerra, nel 1920, in Due
imperi… mancati, opera strettamente autobiografica, diaristica, che
dipinge la guerra, patita insieme ad un‟intera generazione di giovani,
«brutta e inutile». Fu proprio la vigilia della guerra che sancì la sua
rottura definitiva con Marinetti e i futuristi. Infatti, tornato a Firenze,
Palazzeschi scrisse a Prezzolini
10
una lettera che, pubblicata su «La
Voce» del 28 aprile 1914, si concludeva con queste parole: «Se F. T.
Marinetti si servisse del mio nome per il suo movimento lo farebbe
abusivamente».
Il dissidio divenne insanabile quando scoppiò la polemica fra
interventisti e neutralisti. Neutrale si intitolava esplicitamente un
articolo che Palazzeschi scrisse per «Lacerba» (n. 24, 1914):
Mi pare si cominci ad esagerare. Noi possiamo odiare i tedeschi e
amare i francesi, odiare i francesi e amare i tedeschi, amarli tutti e due,
mandarli tutti e due al diavolo. Quattro possibilità invece di una sola.
Perché gridare che il nostro non è un governo intelligente? Viva la
neutralità… I russi hanno dovuto correre fino ai confini della loro
terra per trovare i propri nemici. Lo stesso hanno dovuto fare i
tedeschi per trovare i loro. Io non ho che a starmene tranquillamente
affacciato alla finestra per veder passare i miei… Mi offrite una guerra
10
Giuseppe Prezzolini (Perugia, 27 gennaio 1882 – Lugano, 14 luglio 1982) è stato un giornalista,
scrittore, editore e aforista italiano. Nel 1908 fonda «La Voce», rivista da lui diretta fino al
dicembre 1913, e che durante il suo periodo di esistenza (verrà pubblicata fino al 1916) spazierà su
temi legati alla letteratura, politica e società. La rivista incontra grande successo e avrà tra i suoi
collaboratori numerose personalità di spicco dell'Italia del tempo. Prezzolini continua anche
l'attività di editore: fonda la Libreria della Voce, casa editrice gestita dallo stesso gruppo di
intellettuali de «La Voce».
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che ha per mezzo la morte e per fine la vita, io ve ne domando una che
abbia per mezzo la vita e per fine la morte.
11
Molto dure e aspre furono le sue considerazioni sulle posizioni
che altri intellettuali avevano avuto sull‟importanza della guerra.
Memmo racconta la polemica contro il militarismo («È il militarismo
la negazione dell‟individuo e della vita, la scuola di tutti i vizi») e
contro quella guerra («La guerra d‟Italia come fu fatta altro non è che
una spacconata d‟Annunziana senza senso, senza abilità, senza
profitto») infuria aspra e serrata, con velenosissime frecciate
all‟indirizzo dell‟ «Orbo veggente»:
Tutto quello che c‟è di deleterio in Italia è del D‟Annunzio.
Raccoglie egli la fiaccola lasciata a terra da quella vecchia
chitarra del Carducci, che a sua volta la raccoglie da quell‟altro
trombone sfiancato dell‟Alfieri.
12
Proprio nel 1914 Palazzeschi cessa quasi definitivamente di
scrivere in versi. Dopo aver curato una raccolta definitiva delle
proprie poesie (1930), si dedicherà a lungo esclusivamente alla prosa.
11
L‟anno successivo, però, Palazzeschi mutò sensibilmente la propria posizione, pur restando
all‟interno di una sua personale logica: «Gridare: “Evviva questa guerra!” vuol dire anzitutto:
“abbasso la guerra!”. Vuol dire operare all‟indispensabile schiacciamento della imbecille barbarie
germanica» (in «Lacerba», n. 22, 1915).
12
F.P. Memmo, Invito alla lettura…, cit., p. 28.
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Del 1932 sono le Stampe dell‟800, del 1934 il fortunato romanzo
Sorelle Materassi e del 1937 sono i racconti Il palio dei buffi.
Nel 1941, dopo frequenti e durevoli soggiorni a Parigi, si
stabilisce definitivamente a Roma, dove conduce una vita solitaria e
riservata. In Tre imperi… mancati (1945) prende esplicitamente le
distanze dal ventennio fascista. Nelle pagine di quest‟opera, ancora
una volta, vi leggiamo una dura condanna della guerra («La guerra è
la grande cloaca dell‟umanità. Tutte le cose brutte e cattive, tutte le
immondezze degli uomini vanno a finire nella guerra»), a conclusione
delle pagine in cui ripercorre la triste avventura fascista e fa il
resoconto, fra amaro e grottesco, dei danni e dei lutti provocati dal
conflitto, fino alla ritirata dei tedeschi, alla morte di Hitler e
all‟ingresso degli americani a Roma.
Dei tedeschi che, ormai vinti e rassegnati, sfilano per le vie della
città, scrive:
Le donne anziane, vedendoli in quello stato miserando, ad ogni nuova
mandata esclamavano: “Poveri figli! Anche loro sono figli di
mamma!”. Da nessuna finestra, a nessuno svolto di strada partì
all‟indirizzo dei fuggiaschi un colpo di revolver, o almeno un oggetto
non troppo leggero all‟indirizzo del loro cranio: niente. Ma neppure