2
poco noti e assolutamente peculiari, e per il loro valore euristico: proprio per
la loro marginalità (in un senso quasi geografico) e paradossalità, sono forse
in grado di illuminare in maniera diversa alcuni caratteri di base dello scrivere
di musica. Si tratta di una critica che si esercita su un oggetto estetico – il
disco, con le musiche che esso contiene – che, molto semplicemente, non
esiste, se non nella mente dello stesso critico che ne scrive. Una critica, per
così dire, ufonica, ‘senza suoni’, o meglio, che immagina e crea da sé le
musiche oggetto delle proprie analisi. In altre parole, mi sono occupato di
recensioni di dischi immaginari.
E mi sono posto due obiettivi. Uno di carattere strettamente
referenziale-informativo e uno interpretativo-argomentativo.
Innanzitutto, mi interessava rendere conto dell’esistenza di questo
fenomeno – esistono recensioni di dischi che non esistono (cfr. cap. 3) – che
chiameremo qui, con sfumature diverse, discografia potenziale (cfr. infra). Si
tratta di un fenomeno assai circostanziato e limitato, per di più all’interno di
una critica musicale che già di per sé rappresenta una nicchia non troppo
frequentata: quindi, quasi certamente, un fenomeno sconosciuto ai più. E
spesso, anche nei casi più celebri ed eclatanti, sconosciuto anche agli stessi
addetti ai lavori. Allo stesso tempo, però, si vedrà come sia una pratica molto
più diffusa di quanto si potrebbe pensare. Per consentire una migliore
contestualizzazione, e gettare un po’ di luce su figure solitamente appartate
dietro le quinte e di cui poco si conosce, ho tracciato – ove necessario e ove
possibile – un breve profilo bio-bibliografico del critico autore della
recensione di volta in volta presa in esame.
Mi interessava anche e soprattutto cogliere il valore specifico di
operazioni solo apparentemente analoghe – appunto, recensioni di dischi che
non esistono – e in realtà nate con intenzioni e in contesti assai diversi: ‘bufala
mediatica’, forma di parodia, ‘disco da sogno’, ecc. (caratteristiche queste che
non necessariamente si escludono a vicenda). Allo stesso tempo però,
contraddistinte da costanti comuni e tutte capaci di incrementare in un modo o
nell’altro la nostra conoscenza del fatto musicale (cfr. cap. 4) . L’idea guida è
che scrivere la recensione di un disco immaginario non sia (necessariamente
3
solo) un semplice scherzo o un esercizio di solipsismo. Ma che – nonostante il
carattere fittizio del referente, un disco che non si trova nei negozi di dischi –
possa rappresentare una forma di critica a tutti gli effetti, cioè di
interpretazione del fatto musicale. Certo una critica eterodossa, ‘obliqua’ se si
vuole, declinata in forme che ne esasperano i caratteri di base: critica come
scrittura, soggettività, narrazione, trasfigurazione (ecco il valore euristico di
cui sopra). Una critica, si vedrà, intimamente meta-critica. E, d’altra parte, ma
proprio per questo, un possibile sconfinamento dai territori del giornalismo
puro verso quelli della fiction. Insomma, un utile (e divertente) ibrido: «un
tentativo per allargare le possibilità della scrittura sulla musica a qualcosa che
possa essere ‘altro’ dalla semplice cronaca e/o dal racconto»
1
.
Nota • Alcuni dei materiali su cui ho lavorato sono di difficilissima
reperibilità e infatti sono stati rintracciati a seguito di ricerche davvero
eldoradesche
2
. In particolare, l’articolo di Greil Marcus, da cui comincerà il
nostro excursus, articolo vecchio di quasi quarant’anni, non è mai stato
tradotto in italiano, non è mai apparso in Italia neppure in lingua originale, né
tantomeno è disponibile in alcuna forma (immagine o testo) sul web. Piccoli
preziosi reperti di ‘archeologia di critica rock’.
Volendo disporre di materiale di ‘prima mano’, ho raccolto, in una fase
ancora esplorativa del lavoro, una serie di interviste a vari giornalisti
musicali
3
. Una volta definiti più puntualmente il taglio e gli obiettivi di questa
tesi, le interviste concretamente più utilizzate, e quindi citate nel testo, sono
state quelle a Vittore Baroni, Riccardo Bertoncelli, Dionisio Capuano e Simon
Reynolds
4
.
1
Bianchi 2007.
2
Cfr. Appendice 2.
3
Cfr. Personalia.
4
Cfr. Riferimenti.
4
Studiare la critica rock
Questa tesi – in estrema sintesi – si occupa di un modo possibile di
scrivere di musica, uno dei tanti, e si propone di mostrare come e perché esso
sia valido come discorso intorno alla musica, e quali affinità e quali
divergenze esistano tra i diversi casi presi in esame. Propongo qui di seguito
un ‘punto della situazione’ degli studi sulla critica rock; studi che – va subito
precisato – si sono occupati della materia essenzialmente sotto il profilo
storico e sociologico. Assai più vicini quindi agli interessi e ai modi di questa
tesi – semplificando, critica come forma di scrittura – sono i contributi interni
allo stesso giornalismo musicale.
Nonostante il giornalismo e la critica rock (i due termini sono
imperfettamente interscambiabili)
5
esistano ormai già da più di quarant’anni
(in Stati Uniti e Inghilterra, trenta in Italia)
6
, si tratta di un settore per il quale
solo di recente e solo nei paesi anglosassoni si è intrapresa una seria opera di
studio e di analisi, tanto da un punto di vista storico – contributi per una storia
della critica rock – quanto teorico. Le motivazioni di questo ritardo sono da
rintracciare probabilmente nella difficoltà di inquadrare il fenomeno e di
valutarne l’importanza a seconda della prospettiva adottata: difficile reperire e
monitorare con completezza le fonti (oltre a riviste e libri, oggi anche
interventi sul web); difficile stabilire quanto e in che modo, ad esempio, una
recensione possa influire sulla percezione del fatto musicale, sul lettore-
ascoltatore, sul mercato discografico, sugli stessi artisti; difficile e rischioso
valutare la dignità letteraria di questi testi. Soprattutto, non va dimenticato che
uno studio del genere si pone come ‘studio di secondo grado’: forma di
riflessione (lo studio sulla critica rock) su qualcosa (la critica rock) che già di
per sé è una forma di riflessione (sul rock). E la stessa musica rock è divenuta
oggetto di attenzione da parte di studiosi e accademici con forte ritardo
rispetto alla sua nascita e affermazione: se come data di riferimento
prendiamo per buono il 1981, anno di fondazione della IASPM (International
Associaton for the Study of Popular Music), si vedrà come studi sistematici e
5
Cfr. par. 1.1.
6
Cfr. parr. 2.4 e 2.5.
5
integrati – interdisciplinari, capaci di coniugare analisi musicale e
interpretazione socio-culturale – sul rock siano relativamente recenti
7
.
Un primo isolato esempio di studio sulla critica rock si può rintracciare
già nel pionieristico Sociology of Rock (1978)
8
del sociologo inglese, e per
lungo tempo giornalista musicale, Simon Frith. Il capitolo dedicato alla
stampa e alla critica musicale traccia un profilo delle origini del fenomeno in
Stati Uniti e Inghilterra (catalizzante fu il boom planetario dei Beatles), lo
identifica come uno dei fattori chiave nella definizione dell’ideologia rock e
ne rintraccia il legame iniziale con l’underground e la controcultura fino al
compromesso con il business musicale negli anni Settanta
9
. Studi sistematici
sul settore però, per quanto auspicati da più parti, hanno tardato ad arrivare.
Pop Music & the Press (2002)
10
, curato dallo studioso di comunicazione,
americano, Steve Jones, si pone in tal senso come vero e proprio prototipo,
animato dalla volontà di tracciare possibili prospettive metodologiche per gli
studi di là da venire. Il volume presenta un patchwork molto differenziato di
saggi e case study di taglio storico e sociologico. Vari gli argomenti: il
contesto della underground e free press americana e del New Journalism tra
gli anni Sessanta e Settanta (contesto in cui nacque la primissima critica
rock)
11
; le diverse tipologie di scrittura della critica rock; le strategie di
promozione di una popstar veicolate dalla stampa musicale; il modo in cui
vengono proiettate nelle recensioni le tensioni sociali di carattere razziale e i
contrasti di genere (uomo-donna); l’analisi della costruzione del proprio
pubblico di riferimento da parte di una rivista; l’uso ideologico del concetto di
autenticità (uno degli stereotipi della critica militante); l’individuazione dei
legami della critica musicale con le due industrie cui essa fa capo (editoriale e
discografica), ecc. L’idea di fondo è che studiare la critica rock voglia dire
studiare una forma di critica della cultura: critica come uno dei principali
7
La ‘musica leggera’ o ‘di consumo’ comincia a ricevere attenzione da parte di uomini di cultura e studiosi
già dal secondo dopoguerra, soprattutto in quanto oggetto sociologico e fenomeno di costume: i contributi
sono sporadici e occasionali, spesso a carattere saggistico, quasi mai musicologico. La fondazione della
IASPM rappresenta allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza. Per una veloce rassegna
dei precedenti dei popular music studies propriamente detti, cfr. Fabbri 2001 e Middleton 2001b.
8
Cfr. bibl. Frith 1982.
9
Cfr. par. 2.4.
10
Cfr. bibl. Jones 2002.
11
Cfr. par. 2.4.
6
luoghi di attribuzione e diffusione del significato della musica rock (il critico
come gatekeeper); studiarla permette di leggere in una prospettiva nuova la
stessa storia del rock. E critica come punto di osservazione privilegiato sulla
società che quella forma di cultura, il rock appunto, ha prodotto
12
.
In Italia finora il riferimento unico è rappresentato da I Linguaggi della
Musica Pop (2003)
13
dello studioso di comunicazione, e giornalista musicale,
Gianni Sibilla. L’autore individua sei ‘luoghi’, tra loro interrelati (canzone
registrata, performance, radio, media visivi, new media, stampa musicale), in
cui si svolge il racconto mediale della musica pop; ciascuno di essi produce
testi leggibili attraverso sei diversi livelli narrativi (contesto, singoli testi,
paratesto, intertestualità, intermedialità, macro-narrazione). La critica è
appunto uno di questi luoghi. Nel capitolo ad essa dedicato, viene presentato
un breve profilo storico dell’evoluzione della stampa musicale americana,
inglese ed italiana dalle origini a internet e un’analisi – molto vicina al senso
comune ma sicuramente efficace – che individua le principali strategie
comunicative della critica (formati editoriali e testuali, linguaggio, ecc.).
Spunti di riflessione e approfondimento – assai più cospicui rispetto a
quelli del mondo accademico – e un grosso contributo al processo di
storicizzazione del rock e dei discorsi sul rock, provengono dallo stesso
mondo del giornalismo musicale: «i critici musicali sono dannatamente auto-
riflessivi e adorano i discorsi meta»
14
. Nei paesi anglosassoni, forti di un
mercato di riferimento assai più ampio di quello italiano, da anni si
pubblicano antologie di scritti (articoli, saggi, interviste, interventi di vario
genere e non solo di giornalisti) sulla musica e la cultura pop-rock. Operazioni
del genere sono leggibili come segnali di un processo volto alla creazione di
un vero e proprio canone, un repertorio di classici, e rendono testimonianza di
come, in alcuni contesti, sia ormai accettata l’idea di una scrittura e di una
letteratura che per modi e per temi si può definire ‘rock’.
12
Considerazioni molto vicine a quelle di Cavallini 2000 e 2005 sulla necessità di affrontare uno studio
sistematico della storiografia musicale dell’Ottocento.
13
Cfr. bibl. Sibilla 2003.
14
Reynolds 2008a.
7
Ecco un elenco orientativo degli esempi più importanti. Di autori vari,
di ampio respiro, coprono un vasto arco temporale: The Faber Book of Pop
(1995)
15
, ‘mostro’ di quasi novecento pagine a cura degli inglesi Hanif
Kureishi, scrittore, e Jon Savage, giornalista; The Penguin Book of Rock &
Roll Writing (1992), settecento pagine, a cura del giornalista inglese Clinton
Heylin; Da Capo Best Music Writing, curato di anno in anno da giornalisti e
scrittori diversi, serie inaugurata nel 2000 e ancora in corso
16
. Antologie
dedicate a singoli autori: Lester Bangs, Psychotic Reactions and Carburetor
Dung (1987) e Main Lines, Blood Feasts and Bad Taste (2003)
17
; Richard
Meltzer, A Whore Just Like the Rest (2000); Simon Reynolds, Blissed Out
(1990) e Bring the Noise, (2007). Bisogna registrare anche il caso del
giornalista Robert Christgau, l’auto-dichiarato «decano dei critici rock
americani», che è stato addirittura omaggiato di una raccolta di scritti in suo
onore, Don’t Stop ‘til You Get Enough (2002)
18
, alla maniera di come si usa
fare dalla nostre parti per gli studiosi e gli accademici più influenti. Questi
volumi, non semplici antologie ma preziosi spazi di riflessione meta-critica, si
pongono – con sfumature diverse, ma è esemplare il caso del volume di
Kureishi e Savage – come testimonianze della varietà della scrittura rock,
come storie della critica, come storie del rock, come storie del costume dal
dopoguerra ad oggi.
Non mancano pure spazi di grande interesse sul web: siti di riflessione,
approfondimento e confronto dedicati esclusivamente alla critica rock, con
articoli, interviste e tavole rotonde di-con-tra critici. Per la quantità e la qualità
dei materiali pubblicati, il più ricco e interessante è senza dubbio
http://rockcriticsarchives.com, enorme archivio del portale Rockcritics.com.
15
Cfr. bibl. Kureishi 1995.
16
In Italia l’unico volume tradotto è quello relativo al 2001, dotato di appeal anche sul mercato nostrano
perché curato dallo scrittore Nick Hornby, autore del fortunatissimo romanzo – fortemente connotato in
senso musicale – High Fidelity (Penguin Books, 1995; ed. it. Alta Fedeltà, Guanda, 1996).
17
Cfr. bibl. Bangs 2005 e 2006.
18
Cfr. bibl. Frith 2002.
8
«Paesaggi Immaginari»
Il titolo di questa tesi è, per così dire, la ripresa di una ripresa, un
omaggio ad un omaggio: da John Cage, passando per Riccardo Bertoncelli.
Imaginary Landscapes è infatti una serie di cinque brani scritti dal
grande artista americano tra il 1939 e il 1952
19
. Alcuni sono pensati per essere
eseguiti in performance dal vivo, altri per essere riprodotti a partire da un
supporto fonografico; gli ensemble previsti variano da un tradizionale set di
sole percussioni a uno di sole radio o soli registratori. In tutti, comunque, è
centrale l’elemento aleatorio, vero cuore pulsante dell’intera opera cageana. E
tutti rispondono all’esigenza di una musica non solo da ascoltare con le
orecchie ma sulla quale speculare e meditare: e magari visualizzare con gli
‘occhi della mente’, paesaggi immaginari, appunto.
Riccardo Bertoncelli, uno dei critici protagonisti di questo lavoro
20
, ha
voluto omaggiare l’amato Cage titolando proprio «Paesaggi Immaginari» la
rubrica che dal 1991 ha tenuto sul mensile «Rockerilla» e dal 2005 tiene sul
trimestrale «Il Mucchio Extra»: una rubrica «dove mi diletto a fantasticare sui
personaggi che preferisco, meglio se ‘laterali’ e di culto»
21
. Il titolo cageano
ha un fascino e una forza evocativa innegabili e infatti è stato ripreso anche
per il volume antologico, pubblicato nel 1998
22
, che raccoglie il meglio della
produzione di Bertoncelli, compresi molti esperimenti di critica immaginifica
e tra questi anche la celebre recensione del fantomatico Red Woods di Crosby
Stills Nash & Young, di cui ci occuperemo.
Paesaggi immaginari sono splendidamente allusivi di quei mondi
musicali possibili in cui trovano naturalmente posto i nostri dischi
immaginari: abbiamo così traslato l’impiego di questa felice espressione dai
territori della «grande musica esoterica»
23
– così intesa nella rubrica di
19
Cfr. Discografia.
20
Cfr. par. 3.3.
21
Bertoncelli 1998: 12.
22
Cfr. bibl. Bertoncelli 1998.
23
Bertoncelli 1998: quarta di copertina.
9
Bertoncelli – a quelli della discografia potenziale. Come a dire, dalle musiche
immaginifiche a quelle ‘immaginate’
24
.
Discografia potenziale
Discografia vuol dire ‘scrittura di dischi’ e indica almeno tre cose
distinte: [1] un elenco di dischi («quel libro contiene una accurata discografia
dei Beatles», una lista con tutti i dischi pubblicati dai Beatles); [2] il sistema
di produzione dei dischi (il modo in cui vengono registrati, stampati,
distribuiti, ecc.; discografia come industria discografica); e, per estensione
dalla prima accezione, [3] i dischi concretamente intesi, in quanto oggetti
fisici («tengo la discografia dei Beatles accanto allo stereo»). Per quel che ci
interessa qui, discografia come ‘insieme di dischi’: oggetti concreti, oggetti di
cui si scrive, su cui si pensa, su cui si fantastica. E che ci si può anche
inventare.
Discografia potenziale allora – in ipotetica aristotelica contrapposizione
a una discografia attuale – come insieme dei dischi possibili, quindi non
esistenti, immaginari. La scelta di questo termine, a fronte di un altrettanto
valido discografia immaginaria, da un lato, vuole sottolineare come molti dei
dischi immaginari di cui tratteremo siano assolutamente plausibili
(particolarmente le ‘missioni possibili’ di Dionisio Capuano)
25
, dall’altro,
tradisce le suggestioni di una già esistente letteratura potenziale. In tal caso,
occorre però precisare che si tratta di un calco consapevolmente imperfetto.
La letteratura potenziale è il parto delle menti dell’OuLiPo, (Ouvroir
de Littérature Potentielle), fondato a Parigi nel 1960, nell’ambito del locale
Collegio di Patafisica
26
, da François Le Lionnais e Raymond Queneau: «una
singolare consorteria di letterati, dediti a escogitare bizzarre invenzioni
24
‘Licenza di traslazione’ mi è stata concessa dallo stesso Bertoncelli – non potendo scomodare John
Cage – durante l’intervista rilasciata il 29 marzo 2008, cui si farà in seguito riferimento; cfr. bibl. Bertoncelli
2008.
25
Cfr. par. 3.7.
26
La «scienza delle soluzioni immaginarie e delle leggi che governano le eccezioni» inventata da Alfred
Jarry nel suo Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico (postumo, 1911).
10
partendo da regole formali severamente costrittive, improntate a uno spiccato
gusto matematizzante»
27
.
Il carattere ‘potenziale’ della letteratura praticata dall’OuLiPo risiede
nel fatto che si tratta di una letteratura ancora inesistente, ancora da
farsi, da scoprire in opere già esistenti o da inventare attraverso l’uso
di nuove procedure linguistiche, una letteratura mossa dall’idea che la
creatività, la fantasia trovano uno stimolo nel rispetto di regole, di
vincoli, di costrizioni (contraintes) esplicite, come ad esempio quella
di scrivere un testo senza mai usare una determinata lettera
(lipogramma) [Albani 2004].
Letteratura potenziale non indica quindi il novero dei libri possibili e
immaginari ma un modo possibile e immaginifico di scrivere, di fare
letteratura: una avanguardia ludica che si propone di saggiare possibilità non
ancora pienamente esplorate della lingua e della narrazione. Altri sono i
termini che nel tempo sono stati coniati per indicare i libri immaginari:
pseudobiblia, abiblia, mirabiblia
28
. Ma, come è facile capire, mal si
prestavano ad un adattamento in termini di disco e dischi: pseudodisca? Un
fedele corrispettivo del nostro discografia potenziale dovrebbe essere a rigore
bibliografia potenziale; così come un calco meno imperfetto di letteratura
potenziale dovrebbe essere musica potenziale. Ma, va da sé, parlare di dischi
possibili vuol dire anche e soprattutto parlare di musiche possibili
29
.
Nota • La prima parte del lavoro prevede il consueto inquadramento
teorico e storico: una definizione di critica musicale e di critica rock nelle loro
caratteristiche principali (cap. 1) e un profilo storico delle origini della critica
rock nel panorama della pubblicistica anglosassone e italiana (cap. 2). La
seconda parte presenta i casi scelti di discografia potenziale (nove casi-studio;
cap. 3) con relative analisi, confronti e profili interpretativi (cap. 4).
Gli esempi di discografia potenziale presi in esame non intendono
costituire un repertorio esaustivo ma, se possibile, un piccolo canone dei casi
più importanti e rappresentativi, secondo una prospettiva che – salvo piccoli
27
Mario Barenghi cit. in Albani 2004.
28
Cfr. Albani 2005*.
29
Cfr. par. 4.1.1.
11
necessari riferimenti a casi americani e inglesi – è per forze di cose tutta
italiana. Gli autori delle recensioni prese in esame sono, in ordine di
trattazione: Greil Marcus (par. 3.1), Lester Bangs (par. 3.2), Riccardo
Bertoncelli (par. 3.3), Maurizio Bianchini (par. 3.4), Massimo Cotto (par. 3.5),
Vittore Baroni (par. 3.6), Dionisio Capuano (par. 3.7), Simon Reynolds (par.
3.8) e Richard Meltzer (par. 3.9).