6
introduzione
Dinamiche di trasformazione nei paesaggi contemporanei. Il titolo del lavoro di tesi che si va
ad introdurre, avrebbe potuto essere questo.
Il tema centrale che viene trattato è relativo al paesaggio, agli elementi che lo costituiscono
ed alle modalità in cui le trasformazioni che vi avvengono possono essere gestite (o non
gestite) attraverso l’attuale panorama legislativo e gli strumenti di pianificazione disponibili.
Attraverso l'analisi della situazione legislativa e di pianificazione regionale, con la creazione
di un orizzonte di riferimento concettuale in merito alle trasformazioni ed al degrado del
paesaggio, si intende orientarsi all'interno dell'attuale panorama teorico e applicativo in
merito a questa tematica. Con lo studio di un ambito territoriale definito, si cerca in seguito
di avvicinarsi il più possibile ad un contesto paesaggistico concreto, capirne le dinamiche e
sperimentare una metodologia di definizione degli elementi di degrado, che sia propositiva e
orientata al recupero e alla riqualificazione e tenga in conto per quanto possibile l'apporto
dei saperi locali.
Le molteplici questioni sulle quali questa tesi intende indurre riflessioni, si alimentano anche
del dubbio su quanto la formula “totalizzante” del concetto di paesaggio introdotta con la
Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 sia effettivamente spendibile ed efficace per
l’obiettivo di una migliore gestione delle mutevoli e interrelate dimensioni paesaggistiche e
sulle modalità con cui questa formula venga oggi traslata all'interno dei piani paesistici
regionali di seconda generazione, con riferimento in particolare alla situazione emiliana.
A ciò si giunge avendo la possibilità di esaminare da vicino la genesi di uno strumento
regionale d’indirizzo, oggi in corso di elaborazione, quali sono le “linee guida per la
riqualificazione dei paesaggi degradati e compromessi” della Regione Emilia-Romagna, nel
contesto dell'elaborazione del nuovo piano paesaggistico regionale.
Che il paesaggio venga osservato con il focus puntato sui suoi fenomeni di degrado è quindi
una naturale conseguenza di una serie di elementi non a caso concomitanti: l’introduzione
nella stessa Convenzione del riferimento ai paesaggi della vita quotidiana e del degrado
come ambiti da gestire e governare al pari di altri di maggior “pregio”; l’elaborazione
conseguente da parte della Regione Emilia-Romagna (e con modalità differenti di tutti i piani
paesaggistici regionali di seconda generazione) di strumenti di indirizzo per il recupero di
7
queste aree; la necessità di “fare il punto” in una situazione di esperienze e riferimenti
(accademici, legislativi) a riguardo di un tema per il quale l’introduzione negli strumenti di
pianificazione non è stata probabilmente sinora accompagnata da un’accurata riflessione
teorica sui confini concettuali del termine “degrado” applicato al paesaggio.
In un simile quadro tematico, le questioni che si aprono sono sostanzialmente di due tipi: il
primo relativo all’efficacia dei documenti di pianificazione paesaggistica regionale ed il
secondo riguardante il degrado paesaggistico, la sua definizione e le modalità di
implementazione di questa negli strumenti attuativi di pianificazione.
Il filo rosso che collega questi due aspetti prende corpo a partire dall’elaborazione di linee
guida per la riqualificazione dei paesaggi degradati o compromessi da parte della Regione
Emilia-Romagna, elaborazione tutt’ora in corso e per la quale questo lavoro di tesi vuole
rappresentare una possibile fonte di spunti di riflessione, sia sull’efficacia e adattabilità dello
strumento-linee guida nel calarsi nelle differenti realtà particolari regionali, sia sul concetto
stesso di degrado paesaggistico, sulla sua definizione ed “utilità” teorica per la costruzione di
strumenti di governo del paesaggio.
Ripartendo dall’obiettivo di indagare le trasformazioni del paesaggio contemporaneo e le
modalità di analisi e gestione di questo, si può riassumere in una serie di domande ciò a cui
si cerca di rispondere nella tesi.
Come affrontano i principali riferimenti normativi la questione della gestione delle
trasformazioni del paesaggio?
Quali sono gli strumenti messi in campo dalla Regione Emilia-Romagna per affrontare la sfida
della gestione integrata del paesaggio proposta dalla Convenzione ed in parte ripresa dal
Codice dei Beni Culturali
1
?
Le linee guida in corso di elaborazione sui paesaggi degradati, come s’innestano in questo
processo e in che modo possono configurarsi effettivamente come strumento applicabile,
non formale, di controllo e gestione locale del paesaggio?
Quale definizione operativa di “degrado del paesaggio” può essere elaborata per questo
scopo e a quali contributi i termini di spunti progettuali, di gestione / trasformazione del
paesaggio e di feedback per gli strumenti di pianificazione regionale introdotti può portare?
1
D.lgs. 42/2004, “Codice dei beni culturali e del paesaggio” e successive modifiche
8
Da questa serie di domande deriva il percorso di tesi, che si struttura nel suo sviluppo
intrecciando tre differenti livelli di contenuti: quello teorico, quello analitico – progettuale e
quello relativo ai saperi, intesi anche come saperi locali che possano arricchire il processo di
riconoscimento di valori e potenzialità del paesaggio espresso da un territorio.
Nel livello teorico (riguardante specialmente i primi due capitoli) vengono introdotte le
tematiche trattate e definito l'orizzonte concettuale e metodologico di riferimento: partendo
dal concetto di paesaggio espresso dalla Convenzione Europea e dal Codice dei Beni
Culturali, si cerca di delineare la situazione di scarso approfondimento del tema del degrado
paesaggistico, enunciato ed in seguito non sviscerato a sufficienza e degli strumenti di
gestione del paesaggio e delle sue forme di degrado che si sono sviluppate all'interno dei
documenti di pianificazione del paesaggio regionali, in particolare in riferimento alla
presente elaborazione delle linee-guida regionali emiliane. Con l'introduzione di altre
coordinate teoriche si cerca in seguito di costruire una definizione “operativa” di degrado del
paesaggio.
Nel livello analitico – progettuale (riguardante gli ultimi due capitoli) si passa ad esaminare
un caso-studio, l'ambito fluviale del medio corso del fiume Panaro, analizzandone i fenomeni
alla base dell'attuale configurazione paesaggistica, ricostruendone le trasformazioni
significative; ciò allo scopo di riuscire ad analizzare con cognizione di causa i fenomeni di
degrado del paesaggio nell'ambito definito, arrivando quindi a mettere alla prova la
definizione costruita nel momento di impostazione teorica precedente e creando
possibilmente “corti-circuiti” virtuosi tra l'applicazione pratica e le indicazioni generali della
pianificazione paesaggistica, che mettano in risalto eventuali punti di debolezza
dell'impianto normativo o di pianificazione o che facciano risaltare le potenzialità di un
determinato tipo di analisi. Questo non a scopo di critica fine a sé stessa, ma di una migliore
comprensione ed approfondimento del rapporto tra le dinamiche del paesaggio ed i suoi
strumenti di gestione.
Differentemente dai primi due, il livello dei saperi è in parte contenuto ed esplicitato negli
ultimi due capitoli ed in parte trasversale a tutto il percorso di tesi. Nei capitoli terzo e
quarto, viene fatto in particolare riferimento al Contratto di Fiume del medio Panaro,
strumento attivato in collaborazione tra tre Comuni contermini e che è stato accompagnato
da una serie di processi partecipativi, l'apporto del quale è ritenuto importante per arricchire
“dal basso” il lavoro di analisi e ricerca dei fenomeni di degrado del paesaggio, diversamente
impostato “dall'alto” attraverso strumenti di indirizzo e pianificazione. L'occasione
9
rappresentata dall'elaborazione del Contratto di fiume è stata infatti riconosciuta in fase di
definizione del percorso di tesi come momento di arricchimento del dibattito sul paesaggio
nell'ambito di studio.
Trasversalmente a tutta la tesi invece, l'apporto di saperi differenti è stato fondamentale alla
definizione della sua struttura, della sua geometria, in quanto essa è stata costruita
attraverso un continuo confronto con differenti tipologie di attori, istituzionali e non: tecnici
regionali del Servizio di valorizzazione e tutela del paesaggio, tecnici comunali dei comuni
coinvolti nel Contratto di fiume, professori del Dipartimento di architettura e pianificazione
dell'Università di Bologna coinvolti nell'elaborazione delle linee guida regionali per i paesaggi
degradati, attori locali rappresentativi di differenti istanze all'interno dell'ambito di studio,
etc..
10
capitolo 1.
dal paesaggio alla pianificazione paesaggistica
1.1 complessità paesaggistica
Confrontarsi con i paesaggi del degrado della contemporaneità comporta innanzitutto una
presa di coscienza sulla natura complessa e stratificata che il concetto di paesaggio ha
sviluppato, all’interno del campo della pianificazione territoriale e delle numerose discipline
che hanno come oggetto le relazioni tra territorio, attività antropiche e componenti naturali.
Ciò significa l’analisi del degrado paesaggistico è imprescindibile da una riflessione sul
significato stesso di paesaggio, su cosa intendiamo per esso e quali aspetti chiamiamo in
causa nell’analizzarlo; aspetti eterogenei come natura, in quanto in alcuni casi quantificabili
(come ad esempio determinati valori ecologici
2
) ed in altri qualitativi, in quanto spesso legati
alla percezione di territorio da parte di un soggetto o di una comunità.
Come avremo modo di vedere nel prossimo capitolo, il termine “degrado” fa riferimento ad
una perdita di grado rispetto ad una determinata condizione. Ma quale sia la condizione data
e quali siano le manifestazioni di questa perdita di grado, dipende dalle caratteristiche che
assumiamo come fondanti il paesaggio e da quale tipo di processi poniamo che ne
determinino non la scomparsa, ma appunto il suo “deperimento”.
Stabilito come obiettivo l’indagine del degrado paesaggistico nelle sue caratterizzazioni e
dimensioni differenti, proprio per le motivazioni esposte occorre effettuare come premessa
una serie di riferimenti di natura teorica da una parte e normativa dall’altra.
Quando trattiamo tematiche relative al paesaggio, abbiamo a che fare con uno dei concetti
maggiormente stratificati e carichi di valori simbolici, tra tutti quelli utilizzati nell’ambito
delle discipline legate al territorio e contemporaneamente di uso comune.
2
Il riferimento è in particolare alla serie di indicatori elaborati dall’ecologia del paesaggio per misurare la
portata di fenomeni o dinamiche riguardanti un determinato territorio e gli ecosistemi che ospita; si pensi ad
esempio agli indici di connettività, agli indici spaziali, quelli di diversità, etc..
11
Derivante dalla commistione del francese “paysage” (termine riferito all’ambito pittorico) e
dall’italiano “paese”, il termine possiede un’etimologia che ci permette di intuire la storia,
l’evoluzione concettuale del paesaggio dall’inizio dell’epoca moderna sino ad oggi,
caratterizzata da una continua ed apparentemente insolvibile ambiguità di significato. Da
una parte gli oggetti, reali, che costituiscono gli elementi di una determinata configurazione
territoriale, dall’altra l’immagine di questi elementi, percepita da un osservatore (inteso
come singolo o comunità) collocato in un determinato punto di osservazione.
In tutta l’epoca moderna occidentale, dalle vedute pittoriche del rinascimento italiano,
quelle a “volo d’uccello” delle città fortificate, sino ai dipinti dei paesaggisti ottocenteschi
3
, è
possibile rintracciare una continuità dell’attenzione pittorica verso determinate
“composizioni” di elementi territoriali. Composizioni spesso poste in secondo piano rispetto
all’oggetto principale della rappresentazione pittorica (una figura umana, una situazione di
vita, una battaglia, un centro urbano, etc..), ma che quasi mai sono il risultato dal casuale
accostamento di elementi; al contrario la loro funzione è stata costantemente il racconto
delle relazioni tra l’oggetto in primo piano ed il territorio circostante.
Fig. 1.2
Veduta a volo d’uccello di Firenze, incisione del 1472 attribuita a F. Rosselli.
Visibile la rappresentazione sullo sfondo del paesaggio circostante la città, racchiusa nelle sue fortificazioni.
Immagine tratta dal sito http://www.federica.unina.it/
3
Si pensi ad esempio ai dipinti di Friedrich, dove una piccola figura solitaria in primo piano osserva di spalle un
panorama dominato da elementi naturali, situato sempre su di un altro piano rispetto all’osservatore, che vi
rimane “esterno”.
12
Questa funzione conoscitiva, sottesa ed inclusa in quella principale di “godimento” artistico
dell’opera pittorica, arriverà ad essere esplicitata dall’inizio del XIX° secolo dall’opera di
Alexander Von Humboldt, il fondatore della geografia del paesaggio, intesa come primo
ambito scientifico di descrizione delle relazioni tra morfologia e organizzazione biotica
(naturale e antropica) di un determinato contesto territoriale.
Nei suoi “quadri della natura”
4
, il geografo tedesco applica per la prima volta il metodo
pittorico di rappresentazione ad una finalità conoscitiva, esplorativa in termini scientifici
dell’ambiente naturale e delle relazioni con le comunità antropiche che vi sono insediate.
Le rappresentazioni derivate dal viaggio nelle Americhe dell’autore tedesco diventano così il
primo fondamentale momento di unione dell’approccio scientifico a quello pittorico
5
.
In questo modo e da questo momento, l’ambiguità concettuale diventa un carattere proprio
e presente sin dall’inizio dell’introduzione in ambito scientifico del concetto di paesaggio:
l’oggetto territoriale (o piuttosto l’insieme di oggetti) e la percezione dell’oggetto stesso vi
coesistono contemporaneamente
6
; in altre parole la funzione cognitivo - scientifica e la
componente estetica e soggettiva diventano compresenti e complementari all’interno dello
stesso termine.
4
Riferimento all’opera di Humboldt “Ansichten der Natur”, “Quadri della natura” appunto, pubblicata per la
prima volta nel 1808.
5
Dovuto principalmente al fatto che quel tipo di rappresentazione era quello che più si prestava ad una
comprensione e “leggibilità” da parte del pubblico alto-borghese al quale era rivolto; mezzi di comunicazione
assimilabili potrebbero oggi essere i video dei documentari televisivi o i reportage fotografici delle riviste
scientifiche; in tutti gli esempi appare evidente il ruolo preminente della percezione visiva rispetto agli altri
canali sensoriali.
6
Farinelli, 1991
13
Fig. 1.2
Illustrazioni tratte dal volume “Quadri della natura”, Alexander Von Humboldt, 1808.
Delle immagini traspare l’intento divulgativo, ottenuto tramite rappresentazioni pittoriche in grado di
attirare l’attenzione del lettore, unito a quello scientifico, di apprendimento dei caratteri tipici di paesaggi
esotici (in questo caso del sud America). Immagini tratte dalla rete, prive di diritto d’autore.
Il persistere tutt’oggi di un grado di ambiguità attorno a questo concetto può essere
interpretato come elemento di difficoltà, in un periodo di grande utilizzo del termine nelle
discipline inerenti al territorio ed alle sue trasformazioni; tuttavia se ricondotti ad unità i due
aspetti possono costituire una potenzialità in più per tentare di ricomporre in un unico
ambito di analisi le trasformazioni del territorio con le dinamiche che le determinano.
Dall’inizio del XIX° secolo, il concetto di paesaggio ha continuato ad essere utilizzato per
spiegare le relazioni tra attività antropiche e ambiente naturale, ricevendo i contributi da
differenti discipline (vedi Fig. 1.3), motivo per il quale uno studio del paesaggio richiede
necessariamente un approccio olistico ed interdisciplinare, per potersi orientare nella
molteplicità delle sue dimensioni e significati.
Prima fra queste discipline incontriamo la geografia umana, dalla quale agli inizi del secolo
scorso proviene il concetto di “paesaggio culturale”, nato per sottolineare l’azione della
cultura come forza capace di plasmare i tratti visibili della superficie terrestre in determinate
aree
7
e definito da uno dei suoi “padri”, Carl Sauer, in questo modo: “Il paesaggio culturale è
foggiato da un paesaggio naturale ad opera di un gruppo culturale. La cultura è l'agente, gli
elementi naturali sono il mezzo, il paesaggio culturale è il risultato.
8
7
Riferimento a Carl Sauer, “The morphology of landscape”, 1925.
8
Ibidem.
14
Fig. 1.3
Nello schema elaborato, si intende dare una rappresentazione (certamente non esaustiva ma utile a livello
espositivo) delle relazioni che intercorrono tra il concetto di Paesaggio e le principali discipline che hanno
contribuito alla creazione o all’acquisizione di significato del termine stesso.
Concetto che rimane comunque dai confini non definiti e sfuggevoli, come rappresentato in schema.
Le relazioni sono state rappresentate con colorazione più scura in corrispondenza di un “peso” maggiore del
rapporto tra il concetto e l’ambito disciplinare corrispondente. La tipologia differente di relazione è invece
simboleggiata dalla presenza della freccia, simbolo di un apporto unidirezionale dell’ambito scientifico verso il
concetto di paesaggio, o dal rombo, segno corrispondente ad un rapporto bidirezionale dove l’ambito
disciplinare oltre all’apporto al concetto di paesaggio, lo utilizza all’interno del suo impianto teorico.
Ad esempio notiamo come sociologia, economia, o scienze naturali abbiano dato il loro apporto allo studio
della complessità di relazioni che il paesaggio contiene al suo interno, anche se in valore assoluto molto meno
rilevante rispetto a quanto fatto da ecologia (attraverso la branca dell’ecologia del paesaggio), architettura
(attraverso la branca specifica dell’architettura del paesaggio, ma non solo, in quanto studio del rapporto tra
città e resto del territorio), pianificazione del territorio (attraverso gli strumenti di pianificazione paesaggistica,
le politiche per il paesaggio e l’apporto teorico di documenti come la Convenzione europea) e soprattutto
geografia. Questi ultimi ambiti di studio inoltre, insieme alla Semiologia, utilizzano il concetto di paesaggio
all’interno del proprio impianto teorico come concetto-chiave che racchiude la complessità delle relazioni tra
ecosistemi e territorio (ecologia del paesaggio), tra città e territorio (architettura, pianificazione), tra segni,
prodotto di una comunità per comunicare la propria identità e territorio (semiologia del paesaggio)e tra le
differenti componenti territoriali, naturali ed antropiche (geografia).
15
Nel 1992 una serie di paesaggi culturali, “opera combinata della natura e dell’uomo”
9
,
vengono inseriti dal Comitato per il Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nell’elenco dei siti
da conservare sul pianeta, a testimonianza della fortuna che il concetto ha sviluppato con il
tempo, anche se in questo caso il termine è stato associato ad una lista specifica di paesaggi
da tutelare e non all’intera categoria dei risultati visibili dell’interazione tra attività
antropiche e ambiente naturale.
Fig. 1.4
Pagina del sito dell’Unesco
10
contenente la lista dei luoghi e dei paesaggi culturali classificati come
“patrimonio dell’umanità”.
Nello scorso secolo la disciplina ecologica ha contribuito in modo fondamentale
all’evoluzione semantica del termine-paesaggio: introducendo il concetto di “ambiente”
11
ha
9
UNESCO, “Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention”, 2005.
10
http://whc.unesco.org
11
Ovvero l’”insieme eterogeneo di tutti gli elementi, i processi e le interrelazioni che costituiscono l’ecosfera,
considerato nella sua struttura *…+ ecologico-sistemica, che lo definisce come un aggregato superiore di
ecosistemi, naturali e antropici; dinamica, che lo identifica con un processo evolutivo”, secondo V. Romani, “Il
paesaggio. Teoria e pianificazione”, Franco Angeli, 1994
16
posto un altro elemento in gioco con cui confrontarsi; il rischio conseguente è stato quello
della creazione di una nuova ambiguità tra i termini ambiente e paesaggio, tuttavia come
ricorda Claudia Cassatella “il paesaggio è l’ambiente così come viene percepito. Se per la
landscape ecology è un sistema di ecosistemi, per la semiologia del paesaggio è un sistema di
segni. Questo vuol dire che apprezziamo un paesaggio perché leghiamo a un insieme di
oggetti dei significati, lo leggiamo come portatore di un messaggio. E’ solo l’attribuzione di
senso che fa il paesaggio”
12
.
Se il paesaggio è dunque il prodotto culturale di un’attribuzione di senso da parte di una
comunità, allora la memoria collettiva diventa fattore-chiave per comprenderne la storia e
l’evoluzione ed il suo stratificarsi su di un territorio produce nel tempo una fitta
composizione di simboli, un serbatoio di informazioni sul rapporto dialettico tra uomo e
natura. Per ricostruire la storia di questo rapporto, così come per attribuire significato agli
elementi che costituiscono il territorio in cui viviamo, i nostri occhi catturano immagini che
rielaboriamo attraverso “mediatori segnici”, cioè l’insieme organizzato di “segni capaci di
rimandare ad elementi funzionali (le strade, le case, i campi coltivati, le fabbriche, i paesi, le
città, ecc.)”.
13
In questo senso la “leggibilità” di un determinato paesaggio dipende
strettamente dalla presenza, costruita nel tempo, di segni condivisi da una comunità e
possibilmente in grado di rivelarsi anche a chi non ne fa parte; senza possibilità di
comprensione e di attribuzione di significato a quest’insieme di segni, non vi è paesaggio.
Grazie alla chiave di lettura semiologica appare più chiaro come la comprensione, lo studio
di un determinato paesaggio sia imprescindibile da tutta una serie di elementi di natura
differente tra loro, alcuni di essi percepibili per mezzo della vista, ma sottintendenti molti
altri che rimangono impossibili da rilevare attraverso i sensi.
Paesaggio è dunque per sua natura ambiguità e duplicità: oggettivo e soggettivo, reale e
simbolico, materiale ed immateriale.
Il primo teorico in Italia a segnalare l’importanza delle componenti immateriali nella
costruzione ed evoluzione del paesaggio è stato Lucio Gambi, il quale in riferimento critico
alla geografia del possibilismo francese di inizio XX° secolo, ancora legata ad una visione
“pittorica” e statica del paesaggio, introduce il contributo della storia come mezzo per
interrogare il territorio sulle sue trasformazioni e le sue dinamiche, impossibili da rilevare
12
Cassatella, 2001.
13
Turri, 1979
17
solo per mezzo della vista e dell’elaborazione cartografica. Gambi infatti afferma che
“ritenere che il paesaggio visivo sia o dia sintesi vera e piena della vita agricola significa
avere una visione parziale, monca, insufficiente di tale realtà: poiché l’operazione scarta ciò
che in primo luogo non è visibile o in ogni modo non può venire colto da qualche senso, e che
quindi non è topograficamente configurabile. Ma ciò che non ha forma visibile o
cartografabile, come il valore delle città o la scelta di un orientamento economico o la natura
di una istituzione sociale, fa parte della medesima realtà che assomma anche il paesaggio”
14
.
Gambi si pone in una posizione netta riguardo al concetto di paesaggio, in cui ruolo
predominante ha la storia, così come le componenti economiche e politiche che
costituiscono il quadro nel quale muoversi per comprendere come si sia evoluta
l’organizzazione del territorio, influenzandola a tal punto da fargli affermare: “Quale valore
ha più – per ciò che riguarda la realtà umana – la ricostruzione di un “paesaggio” […] visibile
o topografico? Non più che quello di elementare schizzo estrinsecativo o di epidermica e
facile constatazione […], che è pochissimo per chi vuol guardare nella realtà delle strutture
umane, con mentalità non di ecologo, ma di storico”.
15
Il riferimento di Gambi all’Ecologia viene fatto in questo caso per porre l’esempio di una
disciplina che studia il paesaggio prettamente dal punto di vista delle componenti ambientali
ed ecosistemiche; in realtà dai primi decenni del secolo scorso ad oggi l’approccio ecologico
ha avuto un peso notevole nel quadro dell’evoluzione concettuale del paesaggio, soprattutto
per quanto riguarda il contributo allo studio scientifico ed alla formulazione in leggi delle
relazioni tra le componenti del territorio che si configurano in paesaggio.
A partire dal decennio successivo a quello in cui scrive Gambi, negli anni ’80 del secolo
scorso, prende corpo in America una corrente di studi, che ricalcando una via tracciata negli
anni ’30 in Europa, a partire dal punto di vista ecologico (legato ai concetti di ambiente ed
ecosistema) intende porsi come strumento di integrazione tra questo e la dimensione del
contributo antropico alla creazione di paesaggi, esplorando e formalizzando in modo
scientifico il paesaggio, intendendo per esso qualcosa di simile ad un ecosistema a grande
scala.
Nella teoria della Landscape Ecology, ecosistema e paesaggio tuttavia non coincidono, ma
quest’ultimo è invece la combinazione di almeno quattro variabili: ecosistemiche,
14
Gambi, 1973.
15
Ibidem.
18
corologiche
16
, spaziali e temporali
17
; nessuna di queste può essere considerata in modo
esclusivo o determinante per la definizione di un paesaggio, pena la mancata comprensione
della complessità che ne è all’origine.
Interesse principale della nuova disciplina è stata la comprensione dei meccanismi alla base
della differenziazione delle configurazioni paesaggistiche, come risultato dell’interazioni tra
morfologia di un territorio e attività biotiche che vi sono presenti; a questo scopo i differenti
ricercatori impegnati nella formalizzazione della Landscape Ecology hanno elaborato una
serie di indicatori di processo (vedi ad esempio fragilità, resilienza, resistenza, disturbi, etc..)
indicatori biologici (indici di biodiversità), indici di connettività, spaziali, etc, in base ai quali
consentire una modellizzazione scientifica della complessità paesaggistica.
Complessità è il termine fondamentale secondo l’approccio della Landscape Ecology,
definente la proprietà dei sistemi ecologici che esprime l’organizzazione delle parti e le loro
relazioni
18
; in quanto sistema complesso il paesaggio è dotato di due meccanismi
fondamentali: iterazione (cioè combinazione di regole-base) e interazione (cioè scambio di
informazioni tra agenti autonomi). L’approccio alla complessità è pero soggettivo, in base
alla teoria ecologica del paesaggio: dalla scelta dell’unità che prendiamo a riferimento come
base dell’organizzazione di uno spazio dipende la realtà paesaggistica che ne risulta.
Il punto di vista dell’Ecologia del paesaggio include quindi la componente soggettiva, anzi, ne
fa elemento determinante e definente i paesaggi stessi che andiamo a considerare;
“paesaggi” e non “paesaggio”, in quanto la delimitazione dipende da quale processo,
pattern
19
o organismo scegliamo come “calibro” in base al quale misurarne caratteristiche e
dimensioni
20
.
Soggettivo, relazionale e complesso: per la Landscape Ecology il paesaggio è dunque
un’entità mobile, in evoluzione, ma indagabile in quanto prodotto di una serie di meccanismi
16
Per funzione corologica si intende “l’insieme dei rapporti tra gli elementi che vanno a costituire e ad agire
nello spazio geografico”, Farina, 2001.
17
Farina, 2001.
18
Ibidem
19
Inteso come modello di una determinata struttura di paesaggio, da quelle semplici come ecotipi e corridoi
ecologici, a quelle complesse come ecomosaici.
20
Idem nota 16 e precedenti.
19
iterativi e strutturato in una serie di elementi di base (patches)
21
che sono in costante
relazione tra loro. Ciò è riassumibile nella definizione che ne dà Almo Farina: “il paesaggio è
uno spazio geografico in cui la complessità ecologica è espressa in vario modo attraverso
attori concorrenti che nelle loro funzioni si sovrappongono, interagiscono in vario modo
attraverso meccanismi di feedback”.
22
La sovrapposizione di differenti elementi è anche alla base della concezione del “paesaggio
come palinsesto”
23
, ultimo apporto alla concezione di paesaggio che si riporta in questa
carrellata sintetica sul paesaggio come concetto in evoluzione.
In base ad una corrente dell’architettura contemporanea attenta al ruolo della storia, il
paesaggio è palinsesto in quanto contenitore di una serie di stratificazioni di elementi
simbolici, insieme di addizioni e sottrazioni, scritture e cancellature di elementi che hanno
avuto nel tempo una loro collocazione ed in seguito sono stati scartati o semplicemente
nascosti da altri segni, ma che possono essere riscoperti per acquisire un nuovo significato in
funzione della progettazione di nuovi paesaggi.
“In questo cancellare e aggiungere sul palinsesto del sito v’è, a seconda della necessità,
talvolta la forza rifondativa del reinventare, talaltra la leggerezza del sovrapporsi senza
toccare o quasi, del galleggiare sopra gli strati preziosi del passato”.
24
Il problema che mette in campo oggi con decisione la riflessione architettonica più attenta
alle questioni paesaggistiche è quella del rapporto tra gli strati, l’insieme sovrapposto di
segni di cui il territorio è stato dotato dalle attività umane nei secoli e le trasformazioni che
investono determinati contesti. Non può esservi trasformazione consapevole senza lo studio
di questi segni ed una scelta di quali riscoprire, quali utilizzare per rivestire di nuovi significati
l’esistente e quali occultare in vista di una nuova organizzazione del paesaggio e della sua
semantica.
Questa interpretazione del paesaggio come stratificazione e della progettazione come scelta
consapevole dei segni da riscoprire o costruire ex-novo è importante in quanto chiave di
21
Per patch in ecologia si intende l’unità strutturale di un sistema ambientale eterogeneo, individuata in base
alle differenze che appaiono all’interno del sistema stesso.
Farina, 2001
22
Ibidem.
23
Bocchi, 2006.
24
Bocchi e Barbarewicz, 1999.
20
lettura in grado di guidare la ricerca sul territorio per il fine della comprensione delle
dinamiche che lo governano e quindi che ne determinano (o ne hanno determinato, o
possono determinarne) le configurazioni paesaggistiche. Ancora una volta l’approccio storico
ritorna come passaggio – chiave per la comprensione del paesaggio e della sua evoluzione,
non inteso come fine a sé stesso, ma in modo strumentale, come una “archeologia del
territorio” che aiuti a comprendere le dinamiche attuali attraverso la lettura di quelle
precedenti. Riconoscere i fenomeni di degrado del paesaggio e la loro natura non può
prescindere da uno sguardo lucido sui valori (culturali, artistici, sociali) che un territorio ha
prodotto nel tempo.
Fig. 1.5
Interno della biblioteca comunale “Sala Borsa” di Bologna, con scavi di una basilica romane e scavi
dell’Ateneo di Adriano in Piazza Venezia a Roma.
Le città italiane sono un evidente esempio della stratificazione continua prodotta nel tempo dalle opere di
trasformazione del territorio da parte dell’uomo.
L’universo concettuale cui appartiene il paesaggio è vasto e le conclusioni che si possono
trarre da una lettura della sua evoluzione non sono univoche; tuttavia è impossibile trattarne
i caratteri del degrado senza prendere come riferimento la complessità e l’ambiguità
semantica di cui abbiamo visto essere dotato questo termine.
I geografi parlano di caratteri di una determinata regione, determinati da componenti
biotiche, abiotiche e percettive, i semiologi di un insieme di segni costruito e codificabile da
una determinata comunità, gli ecologi del paesaggio inquadrano l’aspetto soggettivo e
complesso all’interno di una teoria strutturale ed attraverso la modellizzazione matematica,
l’architettura considera il paesaggio come stratificazione di elementi, operata nel tempo,
dalla quale estrarre componenti fisiche e/o simboliche utili al progetto..