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INTRODUZIONE
Cercando un soggetto per la mia tesi di laurea che potesse suscitare il mio interesse, ho
trovato nella biblioteca labronica di Livorno un libricino, il cui contenuto è diventato
argomento della mia stessa tesi. Il personaggio di cui parla Luigi Venturini,
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autore del libro
dal titolo Di Gioacchino Prosperi e delle sue vicende missionarie in Corsica, edito a Milano
nel 1926, è il sacerdote lucchese Gioacchino Prosperi, vissuto nel XIX secolo, che ebbe un
percorso di vita piuttosto singolare.
Il sacerdote, patrizio di nascita, diventò padre gesuita in S. Andrea al Quirinale a Roma nel
1815 e trascorse un periodo iniziale in Piemonte come insegnante di grammatica superiore e
lingua greca nel collegio di Novara e successivamente come Rettore e Prefetto degli Studi del
collegio di Rivarolo, in provincia di Torino. In questo periodo partecipò al gruppo delle
Amicizie Cristiane facenti capo alla figura di Cesare D’Azeglio. Diventò poi un seguace del
pensiero rosminiano. Abbandonò pertanto l’ordine gesuita e in qualità di predicatore errante,
negli anni quaranta del XIX secolo, divise il suo ministero sacerdotale tra Lucca e la Corsica.
Qui, ufficialmente, fu padre missionario, in realtà non disdegnò contatti con numerosi
personaggi corsi, forse legati al partito bonapartista, che lo ospitarono con cordialità, senza
apparenti motivazioni religiose. Venturini presenta padre Prosperi come interessato a
promuovere la Corsica in ogni suo aspetto, non solo religioso, per fare dell’isola una regione
italiana, presumibilmente anche sul versante politico. Oltre a presentare le vicende
missionarie corse dal 1839 al 1843, Venturini accenna al periodo in cui Prosperi, nei primi
anni della sua carriera sacerdotale, era padre gesuita in provincia di Novara e di Torino.
Cronologicamente dunque il breve saggio affronta le vicende del religioso nel quinquennio
citato, senza omettere qualche informazione sul periodo precedente, trascorso da padre
Prosperi nello Stato Sabaudo. Il percorso biografico del sacerdote vi è descritto come
tortuoso, dato anche l’abbandono, forse repentino, non lo sappiamo, della Compagnia di
Gesù. Padre Prosperi abbracciò infatti gli ideali rosminiani e passò da incarichi ufficiali nei
collegi gesuiti ad una vita di predicatore, senza ottenere per lungo tempo né cattedre
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Di Luigi Venturini sappiamo che ha scritto un libro che ha come soggetto alcuni storici milanesi del settecento,
fra cui i Verri. Il libro si intitola Gli storici milanesi nel settecento, Milano, Ist. Edit. Scient.Tyrrenia, 1921.
Venturini si è interessato anche al rapporto tra lingua italiana e dialetto milanese, pubblicando, sempre a Milano,
nel 1935, un libro dal titolo L’anima del dialetto. Alcuni capitoli della storia del vivere milanese interpretati
dalle vecchie espressioni dialettali.
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d’insegnamento, né impegni religiosi che andassero oltre la predicazione. Solo nel 1847 ebbe
la rettoria di S. Anna fuori le mura, a Lucca, che mantenne fino al momento della sua morte,
avvenuta nel 1873. Nel 1847, quando assunse l’incarico di rettore della parrocchia di S. Anna,
aveva già iniziato ad insegnare storia nel Liceo cittadino lucchese.
Incuriosita dal contenuto che emerge dalle dieci lettere di cui è composta l’opera dedicata
alle sue missioni corse, ho tentato di documentarmi su di lui, anche avvalendomi di
testimonianze di studiosi lucchesi che fossero in grado di darmi qualche indicazione in più sul
percorso da seguire per chiarire le vicende di padre Prosperi. Pur mantenendosi tuttora una
qualche memoria del religioso nella sua città, ho dovuto constatare che i più lo descrivono
come bizzarro e nel contempo attivo politicamente, senza tuttavia fornirmi riferimenti
sufficientemente esaustivi per una sua disamina in profondità. Anche l’Archivio della Curia
lucchese non offre nutrite informazioni d’interesse storico su di lui, se prescindiamo dalle
lettere rinvenute nel carteggio vicariale di quegli anni, dove rintracciamo notizie su alcuni
dissidi di economato tra la Curia medesima ed il religioso.
Volendo rintracciare l’appartenenza di padre Prosperi alla Compagnia di Gesù, sono
rimasta stupita nel rilevare che non compare mai il suo nome negli elenchi ufficiali della
Compagnia. Nella Bibliothèque de la Compagnie de Jésus di Carlos Sommorvogel che ho
consultato, non c’è traccia del religioso lucchese. Ed anche l’archivio centrale dei padri
Gesuiti di Roma non contiene nei suoi elenchi la figura del religioso. Cosa che non risponde
al vero, poiché tutta la documentazione su di lui riconduce all’esperienza torinese, da padre
gesuita. Il breve saggio che ho scritto intende dunque ricostruire alcuni tratti essenziali della
vita del sacerdote, con la consapevolezza di non avere a disposizione tutte le risposte
necessarie per darne un’immagine definita ma, attraverso un metodo che potrei
chiamare“indiziario”, cerco di adoperarmi per interpretare i suoi numerosi scritti e le lettere
rinvenute.
Troviamo presso la biblioteca di Stato di Lucca i suoi opuscoli, i cui titoli, da soli,
accennano al loro contenuto. Le pubblicazioni di padre Prosperi che hanno raccolto più di
altre il mio interesse per una disamina di carattere storico sono state, oltre al libro
sull’esperienza missionaria corsa, l’operetta morale intitolata Il giorno di festa e di lavoro
dell’Artigianato, per l’impronta ideologica e sociale che qui emerge; Una vergogna del XIX
secolo, tentativo apologetico rivolto alla figura di Rosmini; Un pensiero cattolico ed
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un’azione generosa e Un riposo ai parrochi invalidi, che si pongono entrambe come
obiettivo, fra le righe, quello di individuare il ruolo socio-politico del clero nel suo insieme,
senza tuttavia disdegnare la polemica, talvolta improduttiva e rissosa, che Prosperi produsse
nell’ambito cittadino lucchese coi cattolici intransigenti, che non condivisero il suo pensiero.
Le diatribe, sia con i suoi ex compagni di viaggio gesuiti, sia più genericamente con i
numerosi cattolici conservatori con cui venne a contatto, sono rintracciabili in pubblicazioni
che hanno come punto di riferimento anche articoli di giornale apparsi su periodici cattolici
del tempo.
Nel 1848 il religioso abbracciò la causa neoguelfa con prese di posizione pubbliche su
giornali e in occasione di commemorazioni solenni. Prosperi tenne tra il 1848 ed il 1849 due
infuocati discorsi: un primo discorso nel 1848 nella chiesa Metropolitana di Lucca in
occasione della commemorazione dei caduti lucchesi alle Grazie, a Curtatone e a Montanara,
durante la prima guerra d’indipendenza; un secondo nel 1849, dentro la sua chiesa
parrocchiale di S. Anna fuori le mura, presente il Granduca Leopoldo II e la sua famiglia, di
ritorno a Firenze da Gaeta, sbarcato a Viareggio e quindi di passaggio da Lucca. Per quanto la
vita del Prosperi si connetta a grandi linee con le vicende politiche d’impronta neoguelfa del
periodo, ho preferito non insistere particolarmente su queste vicende, senza tralasciarne
tuttavia il coinvolgimento emotivo, relazionale, anche affettivo che il sacerdote ha sempre
manifestato in proposito, soprattutto nelle sue pubblicazioni.
Ciò che più caratterizzò il sacerdote, e che è stato oggetto prioritario delle mie
osservazioni, è certamente il suo originale modo di concepire il ruolo sacerdotale, che
trascende la stessa ideologia rosminiana. Sicuramente egli, ed è lo stesso Luigi Venturini ad
ammetterlo, ebbe di Rosmini una sua visione, non sempre aderente al pensiero del
Roveretano, ma senza dubbio genuina ed originale. Il personaggio fu a suo modo
indipendente ma anche irascibile, provocando dissidi e situazioni non facilmente gestibili, sia
da parte della Curia locale che di altre autorità con cui Prosperi mantenne rapporti. Ciò si
evince dalle sue carte. L’intelligenza e la singolare circospezione del religioso, che aveva la
“lingua sciolta”, come afferma Venturini, unita ad una precisa capacità di controllare i propri
movimenti, definendosi egli stesso “prete machiavellissimo”, lo mise, nonostante
l’impulsività, nella condizione di sapersi muovere adeguatamente in contesti complicati sul
piano politico.
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La sua originalità, eccentricità ma anche l’impegno e la sagacia, fecero di lui, io credo, un
sacerdote degno di essere ricordato non tanto per i suoi meriti quanto per aver fatto della
quotidianità un percorso di vita mai banale e scontato. Parlando di lui è tuttavia necessario
mettere in rilevo anche una certa superficialità nella preparazione culturale, come Venturini
stesso evidenzia. Emerge ad esempio un qualche manierismo nell’ode in onore di Antonio
Mazzarosa, suo amico, pubblicata nel 1835, quando il marchese entrò a far parte
dell’Accademia della Crusca. L’omaggio che Prosperi volle tributargli non produsse
certamente sul piano artistico pregevoli risultati.
Non dobbiamo comunque, ritengo, attribuire questi scarsi risultati solo ad una preparazione
che supponiamo superficiale. Molto dipese da una personalità che lo faceva agire d’impulso,
repentinamente, senza meditare troppo le sue scelte, soprattutto quelle stilistiche. “Come parlo
scrivo”, dichiarò candidamente all’amico professore Gioacchino De Agostini, quando gli
indirizzò le sue lettere missionarie dalla Corsica, scusandosi di non essersi mai corretto, come
l’amico gli suggeriva ben quattordici anni prima! Anche in questo singolare, padre Prosperi.
Possiamo certamente definirlo caparbio, ostinato, in positivo e in negativo, in ogni momento
della sua esistenza.
Scrive Luigi Venturini che se Prosperi avesse meditato e scritto le sue prediche invece
d’improvvisarle, il noto predicatore gesuita Paolo Segneri (1624-1694) avrebbe trovato in lui
il degno successore. Le qualità oratorie del sacerdote lucchese non furono mai messe in
discussione, nemmeno dagli avversari, che di certo le trovarono anche inopportune, sia sul
piano religioso che politico.
Ritengo il sacerdote rilevante come personaggio storico perché mi sono posta nella
condizione di pensarlo nel contesto in cui visse, alla ricerca di un qualcosa che gli eventi
proponevano e che egli mai disdegnò. A conferma di quest’affermazione possiamo citare le
lettere inviate all’amico professore universitario di filosofia teoretica a Pisa, suo ex collega al
liceo lucchese e rosminiano, il professor Carlo Pagano Paganini. Con lui Prosperi instaurò
un’amicizia duratura, che andò oltre il semplice rapporto professionale ed ideologico, capace
di suscitare nel lettore delle lettere rintracciate un senso di profonda quotidianità, unita
all’attiva partecipazione politica dei due amici alle scottanti questioni sociali del tempo. Le
vicende rosminiane furono certamente dirompenti per padre Prosperi, anche nel suo
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quotidiano, perché lo misero nella condizione di dover affrontare un difficile percorso di vita,
soprattutto nella sua città.
E qui non intendo certo criticare le autorità religiose lucchesi del tempo. La convivenza
con un personaggio come padre Prosperi non si presentò certamente semplice. Dobbiamo
infatti, per valutare le vicende che ho cercato di chiarire, considerare i risvolti politici che la
compagine cattolica dovette affrontare nel corso del XIX secolo, soprattutto se questi risvolti
li caliamo nei singoli contesti locali. Le rappresaglie verso il religioso, come lui le definisce,
vanno considerate, io credo, alla luce di in un clima politico particolarmente incandescente.
Prosperi, graffiante nelle sue esternazioni e, soprattutto, poco meditato e riflessivo, fece
sempre delle sue dichiarazioni oggetto di scontro. Tuttavia è giusto anche, per una più attenta
riflessione sul vissuto del religioso, calarsi nei suoi panni, che lo videro costretto, alla vigilia
della morte, a pubblicare un opuscolo dal titolo emblematico, Son matto io o son matti tutti.
Questo perché, forse per arginare l’ostacolo, si cercò, e non solo tra le autorità religiose, di
definirlo eccessivamente bizzarro, di una bizzarria che rasentava la follia. Leggendo le carte
di Gioacchino Prosperi, diventa complicato districarsi su un terreno così accidentato, di
presunta maldicenza cittadina. Comprendere cioè fino a che punto il Prosperi fosse bizzarro, e
fin dove arrivasse l’opportunismo di alcuni membri della comunità lucchese. La difficoltà non
è tanto legata ai giudizi che vennero indirizzati alla sua persona, quanto ad un’oggettiva
possibilità di reperire informazioni, soprattutto fuori Lucca, in campo neutro.
Per arginare queste difficoltà ho cercato di leggere ed interpretare minuziosamente quanto
Luigi Venturini ha scritto nel suo libro, adoperandomi poi su vari fronti.
Nel primo capitolo prendo in esame i tratti salienti della vita di padre Prosperi. Nel
secondo affronto la sua visione politica rosminiana, dove egli mette al centro delle sue
osservazioni una divisione per classi sociali che tutti devono rispettare, interpretando così, in
modo personalizzato, il pensiero del grande Roveretano. Nel terzo capitolo cerco di riflettere
sulle “diatribe” venutesi a creare tra il religioso ed i giornali locali d’impronta gesuitica che lo
avversarono, ed altresì di presentare per sommi capi il pensiero religioso e civile di padre
Prosperi. Nel quarto capitolo mi sono proposta di mettere in rilievo come il sacerdote potesse
essere stato coinvolto in questioni inerenti le vicende tormentate del periodo unitario e post
unitario italiano, ponendole in relazione con il contesto lucchese dell’epoca.
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Mi sento di sostenere l’ortodossia del religioso, ma anche di rilevare le incongruenze ed i
limiti del personaggio. Il mio breve saggio intende collocare la modesta figura del sacerdote
in un preciso contesto storico e sociale anziché puntare sulla specificità delle vicende che lo
videro coinvolto, dal momento che gli stessi documenti in mio possesso non me lo
consentirebbero.
In particolare l’accento è stato posto sulla sua adesione, certamente impulsiva, disordinata,
ma calorosa e genuina, sia sul piano teologico che sociale, al pensiero rosminiano.
CAPITOLO 1
Cenni biografici
1.1 La giovinezza tra Lucca, Roma ed il Piemonte (1795-1833)
La disamina dei rapporti tra Stato e Chiesa nello Stato Sabaudo all’indomani del
Congresso di Vienna ci introduce in un panorama culturale italiano che si fece sempre più
variegato all’interno delle diverse anime dell’opinione guelfa. La proliferazione di organi di
stampa e di movimenti associativi come le Amicizie Cristiane, a tendenza teocratico-
legittimista, alimentò la diffusione di nuove correnti filosofico-teologiche. Fra queste correnti
possiamo annoverare la scuola rosminiana , che ebbe una larga penetrazione nel nord Italia e
che si proponeva, sotto le spinte di una questione nazionale che guadagnava nuovi settori
dell’opinione pubblica, un dibattito sempre più stringente sui rapporti tra religione cattolica,
idea di nazione e principio di sovranità.
Furono anni in cui emerse, specie nelle aree urbane dell’Italia padana e toscana, una
generazione di uomini di Chiesa che non aveva più molto in comune con il clero settecentesco
o dell’età rivoluzionaria. A questo gruppo di religiosi appartenne padre Gioacchino Prosperi.
Il testo di Luigi Venturini, datato 1926, che sono riuscita a rinvenire alla biblioteca
Labronica di Livorno, mi ha permesso di scoprire ed apprezzare il religioso lucchese.
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L’autore lo presenta in modo alquanto originale, affermando che intende ridare “alla luce un
vecchio libricciolo e un vecchio uomo; l’uno e l’altro dimenticati nel tempo giustiziere e
come tale talvolta spietato. Il libro e l’uomo furono mediocri, ma l’Italia può ben rievocare
certe idee e certe situazioni”. Quella che Venturini definisce mediocrità appare, ad un’analisi
più particolareggiata, caparbietà del nostro, unita ad una buona dose di intelligenza e tenacia,
tale da portarlo a destreggiarsi in situazioni talvolta complesse, restando sempre fedele
all’abito che portava e soprattutto alle idee che professava.
Gioacchino Prosperi, nato a Lucca nel 1795, respirò, sin dalla prima infanzia, i contrasti
politici interni alla propria città, che perse nel 1799 la sua indipendenza. Questi contrasti
portarono i francesi occupanti ad abbozzare una costituzione provvisoria, provvedendo, la
1
Luigi Venturini, Di Gioacchino Prosperi prete lucchese e del suo libro sulla Corsica, Milano, Ist. Edit. Scient.
Tyrrehenia,1926.
10
mattina del 4 febbraio 1799, all’insediamento del nuovo governo con a capo del Direttorio
Paolo Garzoni, Domenico Moscheni, Stefano Erra, Francesco Ambrogini, Vincenzo Cotenna,
che si misero al servizio dei dominatori nell’intento di conservare almeno un barlume
d’autonomia per la loro città. In breve tempo però gli eserciti francesi si trovarono sotto una
forte pressione degli austro-russi e, una volta sconfitto il generale MacDonald sul Trebbia,
Lucca fu sgombra dalle milizie francesi (17 luglio 1799).
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Il periodo di dominazione austriaca, che durò circa un anno, fu contrassegnato dalla
soppressione dei ministeri istituiti dal governo democratico e dalla creazione di un
Commissariato di giustizia e di polizia che si propose la persecuzione di coloro che avevano
simpatizzato per il precedente regime e la soppressione di quanto tale regime aveva realizzato.
La vittoria di Marengo del 14 giugno 1800 restituì Lucca ai francesi. Il 9 ottobre la reggenza
si trasformò in governo provvisorio.
Il successivo Trattato di Madrid del 21 marzo 1801, che seguiva la pace di Luneville del 9
febbraio, fece ben sperare i lucchesi poiché con tale trattato venne istituito il Regno d’Etruria,
destinato all’infante di Spagna, senza comprendere Lucca. Formalmente Lucca venne istituita
come Repubblica dal trattato, ma le istituzioni repubblicane funzionarono per breve tempo
perché ad esse succederà il Principato.
Quest’epoca, complessivamente caratterizzata da un tentativo di riordino generale non
riuscito, ma che lascerà comunque una traccia positiva nel contesto cittadino, vide anche
escludere nel 1813, con l’occupazione inglese e la creazione del governo provvisorio degli
Stati Lucchesi in nome di Murat, un ritorno dei Baciocchi per avvenute manifestazioni
popolari anti-napoleoniche. In quella circostanza fu presidente senatoriale l’arcivescovo
Filippo Sardi. Nello stesso periodo fu affidato a Cesare Sardi e a Giovanni Cittadella, recatisi
a Parigi, il compito di esprimere ai rappresentanti delle potenze il voto senatoriale lucchese
per il ritorno all’antica autonomia. L’avvento al potere della dinastia Borbonica fece ben
sperare la compagine cittadina, ma si trattò in verità di speranze mal riposte: il destino politico
di Lucca era oramai segnato e Gioacchino Prosperi, patrizio di nascita, studi in seminario
nella sua città e successivamente in S. Andrea al Quirinale, a Roma, aveva certamente
bisogno di far proprie nella vita delle certezze, coniugando la vocazione religiosa con la scelta
di un ordine solido ed emblema della Restaurazione come la Compagnia di Gesù.
2
Augusto Mancini, Storia di Lucca, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2003, p. 284.
11
Secondo Giacomo Martina “attirava certamente la solidità della Compagnia, che si
presentava non come un istituto del tutto nuovo, alla ricerca della propria strada (altri istituti
del tempo lo erano e, fra questi i passionisti, i lazzaristi, i pallottini) ma avevano [i gesuiti]
viceversa una tradizione storica ben nota, una buona solidità culturale, un’ascetica che aveva
dato buone prove, una rigorosa disciplina”. Questa forza di attrazione spiegherebbe, secondo
Martina, il progressivo aumento del numero dei membri, subito dopo la caduta del regime
napoleonico.
3
Prosperi divenne padre gesuita nel 1815. Ciò si evince da una lettera a Cesare Lucchesini
del 1821, inviata da Oleggio a Lucca, in cui il nostro dichiara di essere figlio di obbedienza da
sei anni.
4
Gli anni romani furono anni essenziali per la riorganizzazione dell’Ordine, dopo la
sua ricostituzione nel 1814 con la bolla Sollecitudo omnium ecclesiarum, letta il 7 agosto di
quell’anno nella cappella annessa alla chiesa del Gesù.
5
La Compagnia di Gesù era stata
soppressa nell’agosto del 1773 da papa Clemente XIV “per la pace della Chiesa”, su pressione
di alcune corti europee, in particolare di quelle borboniche.
Al momento della soppressione furono attivate tutte le procedure necessarie per il
passaggio di proprietà dei beni dell’Ordine e per la sistemazione dei gesuiti, ridotti a semplici
sacerdoti secolari. Questi ultimi avevano fatto grandi proseliti tra il XVII ed il XVIII secolo,
sia in Europa che fuori dal continente europeo, con un’intensa attività apostolica. Basti
ricordare i successi in India con Roberto de’ Nobili ed in Cina con Matteo Ricci. Se in un
primo tempo la loro opera missionaria aveva giovato alla politica espansionistica delle
principali potenze cattoliche dell’epoca, successivamente andò ad interferire con gli interessi
economici e soprattutto politici di stati nazionali che aspiravano ad emanciparsi
dall’ingerenza, spesso troppo marcata, delle gerarchie ecclesiastiche. Gesuita diventò così
sinonimo di potere e ricchezza.
Il quadro che caratterizzò gli anni rivoluzionari fu particolarmente convulso, al punto da
veder morire prigioniero a Castel S. Angelo l’ex generale Lorenzo Ricci, zio del conosciuto
vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci, che aveva dovuto a fine Settecento, per un certo
periodo, sostenere un processo, interrotto per l’inconsistenza delle accuse. Quando l’Ordine fu
3
Giacomo Martina, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983), Brescia, Morcelliana, 2003, p. 22.
4
BSL, Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi.a C. Lucchesini, da Oleggio, 2 ott. 1821.
5
G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù…, cit., p. 21.
12
ripristinato non mancarono difficoltà interne, che vennero però in breve superate, grazie
soprattutto all’intervento diretto di Pio VII.
6
Negli anni di studio a Roma Prosperi conobbe Carlo Emanuele IV di Savoia, che da
gesuita visse in un appartamento separato, con un piccolo seguito. Ce lo ricorda lo stesso
Gioacchino Prosperi scrivendo: “Avrei potuto farmi ricco corredo nel periodo d’un lustro
intero, in cui sotto lo stesso tetto ebbi l’onore di trovarmi con S. M. il Re Carlo Emanuele IV,
Suo fratello amatissimo [di Carlo Felice]”.
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Della sua formazione romana sappiamo pochissimo. E’ rimasta una lettera , spedita da
Roma a Cesare Lucchesini il 17 agosto 1817 quando, dopo aver preso i voti nel 1815,
seguiva, presumibilmente, un percorso accessorio di studio. Egli colse l’opportunità della
lettera per riferire dell’’uscita di un fratello lucchese dalla Compagnia. Scrisse infatti: “In
occasione che un nostro fratello lucchese, uscendo dalla Compagnia, fa ritorno in Patria, mi fo
dovere d’inviarle queste poche righe. Quegli è un certo Giannecchini di Camaiore, già gesuita
di due anni e mezzo il quale, per continue tentazioni avute, ha dovuto alla fine soccombere, ed
abbandonare questo S. Istituto. Esso amava la solitudine, cosa troppo contraria al nostro
genere di vita. Il dispiacere per la partenza di sì caro fratello è stato universale; l’edificazione
che dava a tutti era molto particolare, e i superiori nel corso di questi tre anni non hanno avuto
mai di che lagnarsi”.
8
Padre Prosperi qui, di fatto, ci offre un esempio di descrizione del rigore esercitato dai
gesuiti, di cui tanto si è dibattuto. Rigore, disciplina, emulazione. Questi i requisiti essenziali
per seguire in modo esaustivo le regole dell’Ordine. Non possiamo mai dimenticare, parlando
delle modalità didattiche dei gesuiti, che il fine ultimo restava per loro quello religioso; o,
meglio ancora, la difesa dei valori cattolici rispetto all’etica protestante, intrapresa sin dalle
origini: obbedire rappresentava il modo migliore per avvicinarsi a Dio ed ai suoi precetti. Le
stesse punizioni rientravano nella medesima ottica. Inquadrandole nelle consuetudini
dell’epoca, a partire dal fondatore S. Ignazio, che le ammise solo per gli scolari di minore età,
la disciplina gesuitica non fu molto più rigida rispetto ad altri ordini o contesti educativi del
periodo.
6
G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù…, cit., p. 25, nota n. 8.
7
Gioacchino Prosperi, Ode in memoria di S.M. Carlo Felice pronunciata in Lanzo, Torino, Marietti, 1831.
8
BSL, Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi. a C. Lucchesini, Roma, 15 agosto 1817.
13
Nella lettera citata il religioso lucchese accenna inoltre a padre Panizzoni, di cui ci parla
Massimo d’Azeglio ne I miei ricordi. Un fratello del citato Massimo, Luigi Taparelli (così si
fece chiamare per celare il suo vero nome, Prospero d’Azeglio, e non mettere in imbarazzo i
più conosciuti Massimo e Roberto, noti liberali), entrò anch’egli nel noviziato romano di S.
Andrea al Quirinale , nel novembre 1814, a ventuno anni. Dunque fu non solo coetaneo di
padre Prosperi, ma con lui studente. In Sant’Andrea al Quirinale, nelle prime settimane fra il
1814 ed il 1815 entrarono 88 novizi, di cui 21 già sacerdoti, 22 scolastici (studenti) e 45
coadiutori (fratelli laici).
9
Per fornirci una nota di colore di quello che doveva essere il clima dentro quella casa ci
viene incontro Massimo d’Azeglio quando, nella sua opera citata, descrive in modo giocoso
l’ingresso del fratello tra le mura dell’Istituto. Il vecchio padre Panizzoni, ottantacinquenne e
con la vista limitata, confuse Massimo con il fratello Luigi, e si precipitò affettuosamente
verso di lui, che non aveva mai pensato a farsi gesuita, e quei giorni aveva un po’ goduto la
vita a Roma.
Il clima affettuoso che se ne ricava è riconosciuto anche dai più severi critici dei gesuiti,
che hanno sempre ammesso l’abituale fraterna amorevolezza con la quale gli esponenti
dell’Ordine erano soliti trattare gli allievi. Circa l’iter degli studi intrapresi da padre Prosperi,
è corretto rilevare che non ho rintracciato documenti precisi sul periodo formativo del
religioso, per cui è possibile ipotizzare che egli non abbia seguito l’intero percorso previsto
dall’Ordine per diventare padre professo, visti i lunghi tempi richiesti, che una lettera inviata
da padre Prosperi a Cesare Lucchesini del 2 ottobre 1821, da Oleggio, sembra smentire sul
piano temporale.
Il ristabilimento della Compagnia dopo la soppressione ( e relativa sua sopravvivenza in
Russia, paese per eccellenza antirivoluzionario, durante la rivoluzione francese), con il suo
molteplice significato, pastorale e, in parte, inevitabilmente politico, vide salire ai vertici della
Compagnia dopo la sua ricostituzione quali assistente e generale rispettivamente Jean de
Rozaven e Jan Roothaan, uomini formatisi in Russia. La Compagnia al tempo della
Restaurazione, in Italia soprattutto, si legò ai sovrani assoluti forse in maniera più accentuata
del periodo pre-rivoluzionario. Le direttive del generale Roothaan, nominato nel 1829 in
9
G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù…, cit., p. 23.
14
sostituzione di Luigi Fortis, furono molto conservatrici. In particolare opposizione al
romanticismo nelle idee e nello stile, nessuna lettura dei poeti italiani e romantici.
Il 14 gennaio 1832 padre Roothaan scrisse al rettore di Modena Ubaldini: “La scuola
romantica è falsa per se stessa, ed è pessima pel suo fine. Il romanticismo è una setta
irreligiosa e antimonarchica. Ha in bocca gli argomenti cristiani, ma per aver agio di mordere
le più sante istituzioni della Chiesa Cattolica, e soprattutto la buona fede degli antichi e del
papa. Tutti i litteratori che sono romantici sono anche liberali. I loro romanzi, le loro tragedie,
le loro canzoni sono sempre là. Quanto allo stile poi, è troppo chiaro che più si allontana dai
classici greci e latini, e più si allontana dal vero bello, e tende a guastare l’eloquenza. Dunque
i nostri, per tutti i riguardi, ne devono stare lontani. Troppo mi sta a cuore che tal peste non si
attacchi ai nostri giovani, che facilmente vengono presi da false bellezze, quando non si
tengono a’ maestri del vero gusto, dico agli antichi classici”.
10
Nel regno Sabaudo, in particolare, i gesuiti ebbero in quel periodo le cariche di prefetti o
padri spirituali nelle scuole secondarie di Chambéry, di Novara e Nizza Marittima; gestirono
le scuole pubbliche di latinità nella scuola del Carmine a Torino , dove ospitarono studenti di
teologia, filosofia e lettere, e, sempre a Torino, diressero il Collegio universitario, detto anche
delle province o di S. Francesco di Paola, che causò all’Ordine in seguito molte difficoltà.
11
L’ordine gesuita, considerato il baluardo dell’assolutismo, solo quando si chiuse un’epoca,
nel 1848, venne espulso, per maggior sicurezza, da casa Savoia. Fino a quella data la
condizione di dominio della Compagnia non subì modifiche. Alla fine del 1832, undici anni
dopo il suo decesso, la salma di Joseph de Mestre, pilastro dell’ancien régime, venne traslata
nella chiesa gesuitica dei Santi Martiri, a Torino . Sono gli anni antiliberali di Carlo Alberto e
questo gesto esprime, ancor più dell’ingresso in noviziato di Carlo Emanuele IV, a cui,
parlando di padre Prosperi a Roma, ho fatto cenno, i rapporti fra i gesuiti e casa Savoia. Solo
dopo l’avvento di Pio IX infatti, nel nuovo contesto generale, in Piemonte si respirò un’aria
diversa.
Trasferitosi nel collegio dei gesuiti di Novara intorno al 1821 (la prima lettera piemontese
che di padre Prosperi ho rinvenuto risale proprio a quell’anno)
12
, il religioso lucchese si
interessò di mineralogia; lesse e diffuse i testi di Cesare Lucchesini in Piemonte, anche presso
10
J. Ph. Roothaan, Epistulae, III, Romae 1940, pp. 28-29.
11
G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù…, cit., p. 32.
12
BSL, Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi. a C. Lucchesini da Oleggio, 2 ottobre 1821, cit.
15
professori universitari di Torino; compose un testo di grammatica, grazie alla collaborazione
con l’amico Cesare, che cercò di pubblicare. Di se stesso fece sapere di “stare benissimo,
d’essere contentissimo; di vivere tranquillo in una religione a cui Dio lo condusse senza
neppur accorgersene”.
13
L’unica lamentela che inviò all’amico Cesare riguardò la scarsezza dei mezzi a
disposizione per comporre testi di grammatica.
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Rilasciò preziose notizie sulla Compagnia di
Gesù in Piemonte, che investivano principalmente il ruolo guida dei gesuiti nel campo dell’
istruzione. “E’ ora di darle qualche notizia della nostra Compagnia qui in Piemonte. Le scuole
pubbliche della Capitale, tanto quella del Carmine, che quelle di S. Francesco sono state date
alla nostra direzione. In Torino presentemente abbiamo due collegi, il collegio de’ Nobili di
120 convittori, e il collegio delle Province composto da teologi, legali e medico-chirurghi. A
Sciamberi si è pure aperto un convitto. Un altro a Nizza già da qualche anno. Questo di
Novara è numeroso di 110 convittori. Si sono pure accettati due altri collegi che S. M. ha
desiderato che si stabilissero in Cagliari, e in Sassari. Il C. Bellotti è Rettore e maestro de’
Novizi della casa di Chieri. Il padre Grassi, come saprà, partì da Genova per portarsi a Napoli,
dove si trova attualmente. Non so però se sappia che (essendoci stato restituito il Collegio
Romano) nell’anno venturo professerà la Rettoria in Roma del detto collegio”.
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Padre Prosperi nel collegio gesuita di Novara insegnò grammatica superiore e lingua greca.
I coadiutori insegnavano generalmente grammatica, retorica e dottrina cristiana; tuttavia non
mi è stato possibile appurare se padre Prosperi fosse un padre professo, poiché non sono in
possesso di documenti che certifichino il grado di appartenenza all’ordine del religioso.
Un collegio particolare, quello di Novara, davvero espressione del contesto politico della
Restaurazione. Affidato in modo definitivo ai gesuiti nel 1818, nel periodo di residenza di
padre Prosperi vi divenne rettore (dal 1822 al 1824) padre Luigi Taparelli, con cui il nostro, in
quel preciso momento, doveva avere ottimi rapporti, visto il modo giocoso con cui parla di lui
all’amico Cesare Lucchesini nelle lettere. Padre Taparelli nel 1822 – pochissimo tempo dopo i
moti del 1821– ebbe l’incarico di redigere un nuovo regolamento, che avrebbe dovuto servire
da modello a tutte le scuole del Regno. Secondo il suo principale biografo, Jacquin, esso era
più adatto ad un noviziato che ad una scuola laica. Comprendeva 205 articoli, e sembra che la
13
BSL, Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi. a C. Lucchesini da Novara, 13 nov.1823.
14
Ibidem, 4 apr.1824.
15
BSL, Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi. a C. Lucchesini da Oleggio, 2 ottobre 1821, cit.